R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.3017/2009

Reg. Dec.

N. 7031 Reg. Ric.

Anno 2004

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

     sul ricorso in appello iscritto al NRG 7031 dell’anno 2004 proposto dal sig. @@@@@@@ @@@@@@@ rappresentato e difeso dall’avv. -

contro

     il Ministero della Giustizia, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ope legis in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento

     della sentenza del TAR per la Puglia, sez. I n. 1351/2004;

     visto il ricorso  in appello, con i relativi allegati,

     visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata amministrazione; 

     visti gli atti tutti della causa;

     relatore, alla pubblica udienza del 27 gennaio 2009 il Consigliere -

     uditi l’avv. Vetro, su delega dell’avv. -, per l’appellante e l’Avvocato dello Stato -

     ritenuto in fatto e diritto quanto segue:

F A T T O

     Il sig. @@@@@@@ @@@@@@@, all’epoca dei fatti agente di polizia penitenziaria, veniva sottoposto a processo penale che si concludeva con sentenza (n. 1587 del 23.6.1999) di applicazione della pena su richiesta (art. 444 c.p.p.). per il reato di ricettazione e detenzione illegale di arma da fuoco. In data 16.11.1999 l’amministrazione riceveva notizia della sentenza ed il 2.12.1999 attivava, ai sensi dell’art. 6 del d.leg.vo n. 449/1992, un procedimento disciplinare, che si concludeva con la sanzione della destituzione dal servizio (datata 12. 4.2000).

   Avverso tale provvedimento insorgeva l’interessato, censurandolo innanzi al TAR della Puglia, che respingeva il ricorso ritenendo infondati tutti i motivi. Di qui l’appello proposto dall’interessato innanzi a questo Consiglio, con il quale l’appellante, sostanzialmente reiterando contro la sentenza le censure svolte in primo grado, ha svolto motivi così riassumibili:

   A supporto di tali censure sono state poste le argomentazioni che sono trattate in diritto dalla presente decisione.

   Si è costituita nel giudizio l’amministrazione appellata, resistendo al gravame e depositando la produzione documentale.

   Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

D I R I T T O

     La controversia sottoposta al Collegio investe la legittimità di un provvedimento di destituzione inflitto, nei confronti di agente di polizia penitenziaria, in applicazione del DPR n. 449/1992 ed in relazione a sentenza penale resa in applicazione degli artt. 444 e 445 c.p.p.

     1- Con la sentenza impugnata il TAR, respingendo il corrispondente primo motivo del ricorso sul sostenuto superamento del termine di 90 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare, ha affermato l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 9, comma 2, della legge n. 19/1990, individuando quindi la normativa di riferimento nel DPR  n. 449/1992, ma, rilevata in quest’ultimo l’assenza di un termine finale per la conclusione del procedimento disciplinare, ha ritenuto applicabile il termine finale di 90 giorni (dall’ultimo atto) previsto dalla norma generale dell’art. 120 del TU n. 3/57 (e nella fattispecie rispettato).

     L’appellante, nel formulare il primo motivo di gravame, aderisce al principio dell’applicabilità della menzionata normativa speciale ai procedimenti disciplinari che traggano fonte in sentenza ex art. 444 c.p.p., ma, confermando il secondo motivo di primo grado, deduce la violazione del d.leg.vo n. 449, poichè l’art. 7, comma 6, del medesimo, che prevede che l’inizio del procedimento disciplinare avvenga entro 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza; poichè nella specie questa risulta avvenuta il 28.6.99 ed il procedimento è stato avviato il 2.12.1999, sarebbe palese l’illegittimità della contestata destituzione.

     La prima questione della quale è investito il Collegio verte dunque non più sulla consistenza in sè del termine iniziale ma sull’argomentazione, svolta dal giudice di prime cure, per la quale detto termine perentorio decorrerebbe non dalla pubblicazione della sentenza che applica la pena a seguito del “patteggiamento”, ma dalla data di in cui l’amministrazione ha avuto notizia della stessa (nella specie 2.12.1999); tale tesi si porrebbe, ad avviso del ricorrente, in contrasto con le esigenze di certezza e celerità connesse allo svolgimento del procedimento disciplinare e con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenze n. 264/1990 e n. 374/1995) su questione inerente l’art. 97 terzo comma del TU n. 3/1957 e che l’appellante definisce analoga a quella in esame. Individuando il “dies a quo” dal giorno di pubblicazione della sentenza, il termine di centoventi giorni, imposto per l’avvio del procedimento risulterebbe perciò violato.

     La censura è infondata sia sotto il profilo del “dies a quo”, sia sotto quello della misura del termine in parola.

     Al riguardo, e premesso che nella fattispecie non vengono in rilievo le analoghe questioni postesi per i procedimenti disciplinari nei confronti di personale diverso dagli agenti di polizia penitenziaria, deve premettersi che la norma invocata (art. 7, comma 6, del d.l.vo citato) non ha costituito nella specie la fonte del contestato procedimento disciplinare, il quale come già esposto in fatto, è stato invece emesso ai sensi dell’art. 6, che quindi costituisce l’imprescindibile  fonte normativa cui riferirsi. Ciò chiarito, se si esamina il testo dei commi 3 e 4, si rileva agevolmente che il primo indica espressamente, alla lett. a, tra i fatti per i quali può essere irrogata la destituzione all’esito di procedimento disciplinare, la condanna per ricettazione; la seconda disposizione poi recita testualmente che “ La destituzione per le cause di cui al comma 3 è inflitta all'esito del procedimento disciplinare, che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza “. La tesi per la quale il termine decorre dalla data di pubblicazione della sentenza è pertanto esclusa da una applicazione correlata delle due cennate disposizioni.

     Per contro, a differenza di quanto sostenuto nella seconda censura d’appello, è inapplicabile alla fattispecie l’art. 7, comma 6, del decreto, ove dispone: “Quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione”; tali disposizioni si riferiscono ad altre imprecisate ipotesi di fatti e circostanze che in generale possono essere rilevanti ai fini di un eventuale procedimento disciplinare, di talchè la norma invocata assume una portata residuale rispetto al disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 6, che individuano invece il fondamento del procedimento disciplinare in una serie di ipotesi di reato specificamente indicate e che, previe le valutazioni necessarie, possono originare specificamente la misura destitutoria.

     Quanto alle richiamate pronunzie della Corte costituzionale, le stesse hanno riguardo alla non irragionevolezza di norma del TU n. 3 del 1957 (quindi del tutto estranea al decreto applicato) che faceva decorrere il termine per l’inizio del procedimento non dalla data di pubblicazione, ma da quella dalla data di passaggio in giudicato della sentenza penale (resa peraltro non in applicazione degli artt. 444 e 445 c.p.p.), e non sembrano recare principi in contrasto con una norma che faccia decorrere il termine dalla data in cui l’amministrazione abbia avuto notizia della sentenza. Il quarto comma dell’art. 6 è stato peraltro esaminato dalla Corte, ma relativamente al diverso profilo del termine di conclusione determinato entro 90 giorni, ritenuto legittimo  (ordinanza 12-26 luglio 2000, n. 366 ) e nella fattispecie rispettato.

     In ordine alle richiamate esigenze di celerità, solitamente sottese ai termini ed evidentemente connesse alla necessità di non mantenere a lungo il dipendente in una situazione di incertezza sulla propria posizione giuridica, giova osservare che la norma permette anche che la notizia della sentenza venga data mediante la sua notifica (applicandosi in  tal caso il termine di 40 giorni per iniziare l’eventuale procedimento disciplinare), di talchè se il dipendente intende accelerare i tempi, può comunque avvalersi di tale norma.

     Correttamente pertanto, e conclusivamente sul punto, il TAR ha ritenuto tempestivo l’avvio del procedimento disciplinare, in quanto azionato nei 180 giorni dalla notizia della sentenza, seppur richiamandosi a normativa non conferente ma comunque recante il medesimo termine.

     2- Il secondo mezzo, ribattendo la motivazione svolta dal TAR sul terzo motivo di ricorso, ripropone la violazione dell’art. 12 del decreto citato, sostenendo la non corrispondenza tra i fatti contestati e quelli posti a base della misura  disciplinare.

     La censura non ha fondamento.

     L’atto di contestazione degli addebiti (in data 18.12.1999) attiene alle infrazioni cui all’art. 6 comma 2, del decreto n. 449 e la stessa indicazione si riscontra nelle premesse della censurata destituzione, come avviene anche per la conclusione del processo relativo alla detenzione e ricettazione di arma da fuoco. Il riferimento del provvedimento 12.4.2000 anche ai processi subiti per tentata rapina e detenzione di stupefacenti è perciò oggettivamente irrilevante rispetto alla destituzione irrogata, sia perché la stessa poggia sufficientemente sulla valutazione dell’unica imputazione che ha dato luogo all’applicazione della pena su richiesta, sia in quanto gli altri detti procedimenti non sono sfociati in alcuna sanzione penale.

     3- Non sussiste poi alcuno dei denunziati profili di eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, risultando il provvedimento di destituzione sufficientemente collegato alla esauriente relazione del funzionario istruttore (14.1.2000) che a sua volta reca una proposta di sanzione strettamente correlata alla valutazione dei fatti che hanno dato luogo alla applicazione della pena ex artt. 444 e 445 c.p.p. .

     4 - Parimenti non ha alcun fondamento la censura di violazione dell’art. 11 del decreto n. 449/1992, per mancata valutazione delle controdeduzioni e delle circostanze attenuanti, sulle quali invece il funzionario istruttore si è espresso.

     5 - L’amministrazione ha esplicitamente compiuto, secondo il dettato dell’art. 6 la necessaria autonoma valutazione dei fatti che hanno dato luogo alla sentenza ex art. 444 c.p.p.; è pertanto infondato anche l’ultimo mezzo di gravame,  che detto apprezzamento nega sia stato effettuato; ed invero, prescindendo dalla sopravvenienza normativa in ordine all’art. 445, (legge n. 134/2003, il cui comma 1 bis, ha dichiarato che la sentenza  applicativa della pena su richiesta è equiparata ad una pronunzia di condanna), l’operato dell’amministrazione risulta conforme al pacifico orientamento giurisprudenziale per il quale, in sede di sanzioni disciplinari collegate all’esito di un procedimento penale occorre procedersi, al fine di meglio graduare la sanzione, ad un apprezzamento dei fatti (Cons. di Stato, sez. V, n. 921/2000) che comunque presenta ampi margini dei discrezionalità dell’amministrazione  (v. Cons. di Stato, sez. IV, n. 2705/2005 e n. 527/2008), peraltro in coerenza con un sistema che ha da tempo abbandonato il principio di automaticità nella  irrogazione delle sanzioni disciplinari originanti da quelle penali (v. Corte cost., sent. n. 197/1993).

     6- Conclusivamente l’appello deve essere respinto.

     Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, respinge l’appello, e condanna l’appellante alle spese del grado che liquida, in favore dell’Amministrazione appellata, nella complessiva somma di 1500,00 (millecinquecento/00).

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dallautorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 gennaio 2009, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta - con l’intervento dei signori: