REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.2051/2009

Reg.Dec.

N. 6675 Reg.Ric.

ANNO   2007

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 6675 del 2007, proposto dal signor @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dall’avv. -

contro

il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, nella persona pro tempore in carica, Consiglio Provinciale di Disciplina per il Personale della Polizia di Stato della provincia di @@@@@@@, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato,  domiciliati in Roma, via dei Portoghesi  n. 12;

Questura di @@@@@@@ in persona del Questore pro tempore, non costituita;

per la riforma

della sentenza del TAR  della Toscana Sez. I, 23 maggio 2007, n. 778;

     Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata;

     Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Visti tutti gli atti di causa;

     Relatore alla pubblica udienza del 3 febbraio 2009 il Consigliere Aldo Fera;

     Uditi l’avv. Ronchi e l’avv. dello Stato Clemente;

     Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

     Oggetto dell’appello è la sentenza specificata in rubrica,  con la quale il TAR della Toscana ha respinto il ricorso presentato dal signor @@@@@@@ @@@@@@@, già ispettore capo in servizio presso la Questura di @@@@@@@, per l'annullamento  del decreto del 22 giugno 2005, con cui il Capo della Polizia ne ha disposto la destituzione dal servizio, nonché di tutti gli atti presupposti, compresi il decreto del Questore del 24.12.2004 con cui è stata disposta la riattivazione del procedimento disciplinare, la contestazione di addebito del 27.12.2004, la delibera del consiglio provinciale di disciplina del 14.6.2005.

     L'appellante, che contesta le motivazioni contenute nella sentenza, propone i seguenti motivi d’appello:

     1. Violazione ed erronea applicazione dell'articolo 20 del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737. Eccesso di potere per carenza ed errore di motivazione; carenza ed errore di istruttoria; difetto dei presupposti; ingiustizia.

     2.Violazione, falsa ed erronea applicazione dell'articolo 11 del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 19 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 5, comma 4, della legge n. 97 del 2001. Inesistenza del giudicato presupposto necessario ed indefettibile per la riattivazione del procedimento disciplinare. Nullità del provvedimento n. 60 del 24 dicembre 2004 emesso dal signor Questore di @@@@@@@ con il quale è stata disposta la riapertura del procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente nonché di tutti gli atti adesso successivi. Inesistenza o nullità del provvedimento di destituzione emesso dal Capo della Polizia in data 22 giugno 2005.

     3. Violazione del erronea applicazione dell'articolo 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990.

     4. Violazione ed erronea applicazione dell'articolo 21 del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737.

     5. Violazione ed erronea applicazione del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737, sotto diverso ed ulteriore aspetto. Eccesso di potere per carenza ed errore di motivazione. Carenza ed errore di istruttoria. Difetto dei presupposti. Ingiustizia

     Conclude quindi chiedendo, in riforma della sentenza appellata,  l'accoglimento del ricorso di primo grado.

     E’ costituito in giudizio il Ministero dell'interno, che controbatte le tesi avversarie, osservando in particolare come l'appello non investe il capo della sentenza di primo grado con il quale veniva dichiarata l'irricevibilità dei motivi aggiunti, e  conclude per il rigetto del medesimo.

DIRITTO

     Oggetto dell’appello è la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale il Tar della Toscana ha respinto il ricorso presentato dall’attuale appellante, già ispettore capo in servizio presso la Questura di @@@@@@@, per l'annullamento  del decreto del 22 giugno 2005, con cui il Capo della Polizia lo ha destituito dal servizio, e degli atti del relativo procedimento disciplinare riattivato a seguito della conclusione del giudizio penale.

     L’appello è  infondato.

     L'appellante ripropone in questa sede le censure disattese dal primo giudice.

     Il primo motivo denuncia la violazione dell'articolo 20 del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737, sotto il profilo che il Presidente del consiglio di disciplina, essendosi manifestate nella prima votazione tre diverse opinioni (tre membri si erano espressi per la destituzione, uno per la sospensione dal servizio ed un altro per l'archiviazione del procedimento), anziché unire i voti dei tre componenti che avevano votato per la sanzione più grave a quello di chi aveva votato per quella immediatamente inferiore, ha disposto una ulteriore votazione, dalla quale è stato escluso il componente che aveva votato per l'archiviazione. Secondo l'appellante, che critica sul punto la decisione del primo giudice di ritenere irrilevante la seconda votazione, il provvedimento di destituzione sarebbe illegittimo perché basato su di una deliberazione del consiglio di disciplina ( la seconda)  non costituito ritualmente dai cinque componenti previsti.

     L'assunto non ha pregio.

     L'articolo 20 del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737, comma sette lett. b) dispone testualmente che " qualora nella votazione si manifestino più di due opinioni, i componenti il consiglio che hanno votato per la sanzione più grave si uniscono a quelli che hanno votato per la sanzione immediatamente inferiore fino a che venga a sussistere la maggioranza. In ogni altro caso, quando su una questione vi è parità di voti, prevale l'opinione più favorevole al giudicando. " Contrariamente a quanto ritenuto dall'appellante, la norma non privilegia in senso assoluto l'incolpato, per cui il solo manifestarsi di più di due opinioni sulla sanzione imporrebbe di irrogare quella a lui più favorevole. Ma gli accorda un vantaggio solo in senso relativo, attraverso due strumenti che consentono comunque di pervenire ad una maggioranza di consensi, il primo aggregando via via i voti minoritari espressi per la sanzione più grave a quelli che seguono in ordine di gravità, il secondo facendo prevalere in caso di parità  l’opinione più favorevole per l’incolpato.  Entrambi gli strumenti, però, presuppongano che non sia stato possibile formare una maggioranza.

     Nel caso di specie, pertanto, è esatta  l’interpretazione del primo giudice, secondo il quale la regola in questione, nel caso di specie, non doveva essere applicata perché " fin dalla prima votazione era stata raggiunta la maggioranza, essendo state espresse in seno al collegio tre opinioni favorevoli alla sanzione della destituzione, una favorevole alla sanzione della sospensione semestrale ed una contraria a qualsiasi sanzione.”

     Il secondo motivo denuncia la violazione dell'articolo 11 del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737, secondo il quale " quando l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato. "

     L'assunto si fonda sulla circostanza che la sentenza della Corte di Cassazione 29 settembre 2004, n. 1276, sulla base della quale l'amministrazione ha riattivato il procedimento disciplinare, mediante una nuova contestazione degli addebiti, mentre ha respinto l'appello proposto dall'interessato, relativo ai capi della sentenza di condanna della Corte di appello di @@@@@@@ e di capi di imputazione di cui alle lettere G, H, I ed L, ha accolto l'appello del Procuratore generale relativo al capo di imputazione E, concernenti i reati di cui agli articoli 479, 61 n. 2, 314, 110 c.p. e dall'attenuante di cui all'articolo 323-bis c.p. Per cui il processo è proseguito limitatamente a quest’ultimo capo di imputazione.

     Come risulta chiaramente dalla contestazione degli addebiti del 27 dicembre 2004, il procedimento disciplinare è stato riaperto solo per i capi della sentenza della Corte di cassazione passati in giudicato.

     Il terzo motivo denuncia la violazione dell'articolo 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990, che recita “la destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni.” Secondo l'appellante, entrambi i termini sono perentori e non possono essere cumulati tra di loro, per cui una volta riavviato il procedimento questo deve comunque concludersi entro il termine di 90 giorni dal riavvio.

     La tesi contrasta, però, con una più che consolidata giurisprudenza secondo la quale " in materia di procedimenti disciplinari, il termine di 90 giorni previsto dall'art. 9 L. n. 19/1990, si cumula con quello di 180 giorni entro cui iniziare il procedimento disciplinare, sicché all'Amministrazione è concesso un termine globale di 270 giorni, per concluderlo, decorrente dalla data in cui ha avuto piena conoscenza della sentenza di condanna." (Consiglio di Stato, sez. IV, 12-03-2007, n. 1213)

     Il quarto motivo denuncia la violazione dell'articolo 21 del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737, sotto il profilo che il provvedimento di destituzione, ancorché adottato in data 22 giugno 2005, è stato tuttavia notificato all'interessato solo il 1° settembre 2005, cioè oltre il termine di 10 giorni stabilito dalla norma in questione. La giurisprudenza della sezione, tuttavia, ha già sottolineato come il termine per la comunicazione non ha natura perentoria ( Consiglio di Stato, sez. VI,  03-02-2006, n. 377).

     L'ultimo motivo denuncia il vizio di eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria, in quanto la deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina non ha evidenziato né i precedenti di carriera, sempre lodevoli, dell'interessato né i giudizi complessivi nei quali è sempre stato qualificato "ottimo". Comunque, si è limitato solo ad una sommaria motivazione.

     L'assunto non può essere condiviso, in quanto la motivazione, nel caso di specie che è caratterizzato dalla esistenza di un giudizio penale concluso definitivamente con l'accertamento della responsabilità di una serie reati particolarmente gravi e di una condotta particolarmente disonorevole per un pubblico ufficiale specie se appartenente le forze di polizia, ben poteva limitarsi ad una sommaria considerazione circa la qualificazione della fattispecie sotto il profilo disciplinare, che non poteva di certo essere attenuata da un generico richiamo ai precedenti di carriera introdotto in sede di giustificazioni da parte del incolpato.

     L’appello, pertanto, deve essere respinto.

     Sussistono motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, sezione VI,  respinge l’appello.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente decisione sia seguita dall’autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 febbraio 2009, con l’intervento dei signori: