REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.5287/2005

Reg.Dec.

N.  4313  Reg.Ric.

ANNO   1999

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da (omissis) rappresentata e difesa dall'avv. Roberto Ciociola presso cui è elettivamente domiciliata in Roma via Bertoloni 27;      

contro

Ministero dell’Interno in persona del Ministro p.t. rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è ope legis domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12;     

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione I-ter - n. 898 del 2 marzo 1998;   

       Visto il ricorso con i relativi allegati;

       Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;       

       Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

       Visti gli atti tutti della causa;

       Alla pubblica udienza del 24 giugno 2005 relatore il Consigliere  Luciano Barra Caracciolo.

       Uditi l’avv. dello Stato Ventrella e l’avv. Ciociola; 

       Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

     Con la sentenza in epigrafe il Tar del Lazio, Sezione I-ter, ha respinto il ricorso proposto da (omissis) contro il provvedimento 10 ottobre 1995 del Capo della Polizia di Stato di rigetto del ricorso gerarchico proposto dalla medesima avverso la sanzione disciplinare della pena pecuniaria pari a 1\30 dello stipendio mensile, inflitta con provvedimento del 19 giugno 1995 dal Direttore centrale dei servizi antidroga. Il Tribunale : a) disattendeva il primo motivo di ricorso ritenendo che sussistesse un adeguato nesso logico tra mancanza contestata- interessamento presso un collega per avere notizie su un’operazione di polizia che aveva visto l’esecuzione di ordinanze di custodia cautelare nei confronti dei due fratelli dell’ex coniuge della ricorrente- e la sanzione inflitta per violazione dell’art.4, n.18) del d.p.r. n.737\1981, senza che fosse necessario notificare un’ulteriore contestazione relativa alla violazione di tale disposizione, pur dopo che gli addebiti iniziali erano stati ritenuti riconducibili all’art.7, nn.1), 2) e 4) dello stesso d.p.r.( per cui era prevista la più grave sanzione della sospensione o della destituzione dal servizio). Nei fatti contestati sussistevano comunque presupposti idonei a ritenere integrata sia l’imprudenza della condotta tenuta sia il pregiudizio all’azione degli organi giudiziari e di polizia (causa delle operazioni relative ai procedimenti avviati nella circostanza); b) respingeva il secondo motivo ritenendo superflua la contestazione di addebiti diversamente qualificati o di una diversa ricostruzione dei fatti, rispetto all’iniziale contestazione, essendo i fatti sostanzialmente immutati e consistenti nella imprudente condotta della ricorrente nella vicenda; non sussisteva la violazione del principio di corrispondenza tra fatto contestato e quello accertato, risultando circostanze e condotta nei due casi identiche nella loro materialità ed intercorrendo tra i due fatti un chiaro rapporto di continenza; non risultavano così violati i principi di difesa e del contraddittorio; c) neppure risultava violato il termine per il compimento dell’istruttoria poiché la relazione del funzionario istruttore era stata presentata il 9 aprile 1995, nel 45° giorno dalla notifica della sua nomina ( 23 febbraio 1995) e non il 31 maggio 1995, come dedotto in ricorso, che era la data della nota 555 con cui il Capo della Polizia aveva trasmesso la relazione al Direttore centrale per i servizi antidroga; d) disattendeva pure il motivo aggiunto, sul rilievo che la verbalizzazione del procedimento non fosse necessaria, fino al momento della derubricazione dell’incolpazione (a partire dalla quale non doveva più procedersi al deferimento al Consiglio di disciplina), poiché nella fase precedente a tale derubricazione l’attività procedimentale si era limitata alla nomina del funzionario istruttore, alla contestazione degli addebiti e relative deduzioni, all’invio della relazione del funzionario stesso, attività non suscettibili di verbalizzazione, mancando espletamento di attività innanzi a organi collegiali.

     Appella l’interessata deducendo:

     1- Violazione degli artt. 4, 6 e 7 del d.p.r. 25 ottobre 1981, n.737- Violazione dell’art.97 Cost.- Eccesso di potere in tutte le sua figure sintomatiche ed in particolare per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, errore e difetto dei presupposti, contraddittorietà, perplessità, ingiustizia manifesta- Sviamento di potere.

     1.1. Il potere sanzionatorio nel caso di specie è sfornito di presupposto tanto con riferimento all’ipotesi iniziale di violazione meritevole di destituzione quanto per l’ipotesi ritenuta sussistente, non integrando la condotta accertata atti che rivelino in alcun modo, mancanza del senso dell’onore o del senso morale  in grave contrasto coi doveri assunti con il giuramento, o la dolosa violazione di doveri che abbia arrecato grave pregiudizio allo Stato, tanto più che la relazione del funzionario istruttore riconosce che la ricorrente non ha violato alcun segreto, e non si comprende come in tali fatti si sia intravisto, infine, un comportamento meramente indecoroso.

     1.2. Circa il ritardo nel presentare rapporto sui fatti ai superiori, quando dagli interrogatori a cui è stata sottoposta la ricorrente è emersa tale necessità, la stessa è dovuta partire in missione all’estero. Lo stesso funzionario istruttore ha riconosciuto come notevolmente attenuata la sua responsabilità al riguardo.

     1.3. L’azione disciplinare è nata a seguito dell’errata interpretazione di frasi estrapolate da un contesto diverso da quanto ritenuto e provenienti da registrazioni parziali di più conversazioni tra persone diverse.

     1.4. C’è inoltre l’impossibilità, per mancata loro trascrizione, di confrontare i contenuti delle varie telefonate intercorse tra la ricorrente e le ex cognate. Ciononostante si è ritenuta sussistente la mancanza addebitata, cadendo in insanabile contraddizione, posto che tale mancanza era quella di cui all’art.7 nn.1). 2) e 4) cit., mentre la sanzione è stata inflitta per violazione dell’art.4, n 18), mai contestata. 1.5. Né si comprende perché gli organi giudiziari avrebbero dovuto porsi in allarme e il servizio di indagine rallentato per il preteso comportamento della ricorrente, quando semmai ciò è dipeso dalla superficialità e scarsa professionalità con cui è stata condotta l’intera vicenda. 1.6. L’Amministrazione resasi conto di avere travisato la realtà avrebbe proseguito il procedimento solo “per tenere il punto”. 1.7. Il Tribunale ha errato, respingendo tali censure sul presupposto che la ricorrente avrebbe richiesto informazioni sui particolari di un’operazione di polizia per poi riferirli ai congiunti degli indagati, poiché non si era in grado di verificare cosa in realtà sia stato chiesto dalla ricorrente, cosa abbia saputo e soprattutto cosa abbia riferito, mancando la trascrizione delle intercettazioni. La qualificazione di non prudente e non conforme al decoro della condotta della ricorrente, manca, nei provvedimenti impugnati e nella sentenza appellata, di ogni possibile spiegazione logica, non potendo andare a discapito dell’interessata che le intercettazioni non siano state rese disponibili dall’Amministrazione, che non può dimostrare e neppure ipotizzare la non veridicità delle giustificazioni della ricorrente di avere solo assunto normali informazioni risultanti dalle stesse ordinanze di custodia cautelare. 1.7.1. Il Tar non ha speso una parola sulla circostanza che l’Amministrazione non fosse in grado di dimostrare documentalmente la sussistenza dei presupposti della propria stessa azione. Semmai il Tar avrebbe dovuto chiedere nuovi chiarimenti documentati. 1.7.2. Senza sapere cosa avesse sentito e riferito la ricorrente il Tar ha ritenuto evidente il pregiudizio derivato agli organi giudiziari e di polizia; se tale pregiudizio fosse riferito alle indagini in corso manca qualsiasi ragionevole spiegazione al riguardo, se riferito al disturbo derivato dall’apertura del procedimento disciplinare, si addossa alla ricorrente la responsabilità di un procedimento disciplinare instaurato per un malinteso senso di segretezza, nella specie non violato.

     2- Violazione e falsa applicazione degli artt. 1. 113 e 14 deò .p.r. 25 ottobre 1981,n.737- Violazione del principio della tipicità del procedimento- Violazione del principio del giusto procedimento- Violazione dei principi generali in materia di procedimento disciplinare- Violazione dell’art.3 della legge 7 agosto 1990, n.241- Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per illogicità. Contraddittorietà, difetto di motivazione e di istruttoria.

     Motivazione insufficiente e perplessa della sentenza. Omesso esame di punti decisivi della controversia. Violazione dell’art.112 c.p.c.

     2.1. Già la contestazione iniziale era formulata in modo tale che non era possibile, se non in via presuntiva, comprendere quali fossero le colpe addebitate, operando un’individuazione degli addebiti in modo non in equivoco e specifico.

     2.2. Se è vero poi che l’obbligo della contestazione può ritenersi assolto con la sola indicazione dei fatti contestati, senza che sia necessaria la loro qualificazione giuridica, tuttavia l’eventuale qualificazione o individuazione di un orientamento che l’Amministrazione intenda dare al procedimento disciplinare, indirizza le difese che dipendente che è indotto o costretto a rispondere agli addebiti secondo l’impostazione data dall’Amministrazione stessa, tralasciando aspetti o giustificazioni che altrimenti non avrebbe omesso, in relazione alla violazione poi ritenuta sussistente.

     2.3. L’art.7 cit. sanziona comportamenti che non sono solo più gravi di quelli previsti dall’art.4, ma che sono obiettivamente diversi nella loro materialità e basta a tal fine il confronto tra l’art.4, n.18), per cui si è comminata la sanzione e l’art.7, nn.1), 2) e 4), che rispettivamente prevedono comportamenti che si discostano anche sul piano fattuale oltre che della valutazione di gravità. 2.4. Manca in realtà ogni spiegazione sull’iter logico seguito dall’Amministrazione per giungere alla più blanda soluzione adottata, in particolare del perché si è riscontrata la semplice imprudenza e del perché ciò avrebbe arrecato allarme e pregiudizio negli organi giudiziari e rallentato le indagini. 2.5. C’è poi l’ulteriore vizio procedurale del mancato accoglimento delle richieste istruttorie avanzate in sede disciplinare, disattese senza alcuna motivata statuizione e precludendo l’esercizio del diritto di difesa sia in sede disciplinare che giudiziale. 2.6. Ma è anche erronea l’affermazione del Tar che tra i fatti inizialmente contestati e quelli accertati vi sarebbe un rapporto di continenza, sicché non vi sarebbe stata la violazione del principio di corrispondenza e del diritto di difesa, in quanto proprio la qualificazione dei fatti come passibili delle più gravi sanzioni li rende oggettivamente diversi da quelli “imprudenti”, quantomeno sotto il profilo della stessa impostazione della difesa.

     3. Violazione e falsa applicazione dell’art.19 del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737- Violazione e falsa applicazione dell’art.110 del d.p.r. 10 gennaio 1957, n.3- Violazione del procedimento- Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e in particolare per sviamento.

     Difetto di motivazione della sentenza impugnata.

     3.1. Nel caso di specie, il funzionario istruttore è stato nominato con nota 8 febbraio 1995, notificata il 23 febbraio: atto iniziale del procedimento sarebbe la nomina stessa e non la sua notifica e il termine di 45 gg. per concludere l’istruttoria veniva a scadere  il 25 marzo 1995 (o se decorrente dalla notifica, il 29 aprile 1995). Mentre l’istruttoria si è conclusa con l’invio della relazione del funzionario stesso il 31 maggio 1995 ( tardiva anche se il termine fosse decorso dall’acquisizione delle giustificazioni rese dall’incolpato, andando a scadere il 29 aprile 1995). 3.2. La conclusione dell’istruttoria  sarebbe tardiva anche se  riferita al termine generale di 90 gg. previsto dall’art.110 del d.p.r. 3\1957, scadendo il 9 maggio 1995, se decorrente dalla nomina o il 24 maggio se decorrente dalla sua notifica. 3.3. L ‘Amministrazione potrebbe essere stata indotta a mutare il procedimento disciplinare da procedimento ai sensi dell’art.19 a procedimento ai sensi dell’art.17, vigendo solo per il primo il termine di 45 giorni che era andato ormai a scadere. In tal caso sarebbe però automatica l’applicazione del termine di 90 giorni ex art.110 cit., e, comunque, iniziato per l’irrogazione delle sanzioni più gravi, il procedimento avrebbe dovuto concludersi entro 45 giorni indipendentemente dall’esito concreto. 3.4. Il Tar ha errato nel ritenere il termine decorrente dalla notifica e non dalla nomina stessa, unico elemento logico e certo nel tempo dell’avvio procedimentale e sul punto non ha motivato.

     4- Violazione dei principi generali in materia di procedimento disciplinare- Violazione e falsa applicazione delle norme di cui al Titolo II, capi I e II, del d.p.r. 25 ottobre 1981, n.737- Violazione e omessa applicazione dell’art.112 del t.u. d.p.r. 10 gennaio 1947, n.3- Violazione  e omessa applicazione della legge 7 agosto 1990, n.241- Difetto di istruttoria e di motivazione.

     Si insiste sulla mancata verbalizzazione del procedimento svolto dal funzionario istruttore, che avrebbe dovuto avere luogo almeno fino alla derubricazione dei fatti ad opera del funzionario istruttore, per gli atti da questi antecedentemente compiuti.

     Si è costituita l’Amministrazione intimata deducendo l’infondatezza e l’inammissibilità dell’appello.

D I R I T T O

     L’appello è accoglibile in relazione ai profili essenziali del primo motivo, già dedotti in primo grado e sui quali la sentenza impugnata è stata censurata per insufficiente e contraddittoria motivazione.

     Si tratta della censura, preliminare ad ogni altra sul piano logico e procedimentale, relativa al difetto dei presupposti per procedere alla stessa contestazione di addebiti nei confronti della ricorrente, e quindi al necessario anteriore esame dei fatti di cui l’Amministrazione era venuta a conoscenza, al fine di ravvisare una condotta che, prima ancora di essere qualificabile nei precisi termini di una fattispecie di illecito, rendesse astrattamente configurabile una responsabilità disciplinare.

     Per procedere in questo senso, infatti, occorre anzitutto individuare  una condotta che sia delineata in precisi fatti addebitabili al dipendente, consistenti in comportamenti circostanziati anzitutto nelle modalità, nei contenuti e nel tempo del loro accadere, sì da rendere ipotizzabile la violazione dei doveri d’ufficio che è alla base della responsabilità disciplinare.

     Nel caso in esame, in particolare, poiché la condotta centrale ritenuta contestabile e poi, seppur diversamente qualificata, addebitabile in termini sanzionatori, era la divulgazione di fatti attinenti a un’inchiesta penale, culminata nell’esecuzione di ordinanze di custodia cautelare a carico di ex congiunti della ricorrente (le cui coniugi si erano a lei rivolte per informazioni), l’accertamento preliminare avrebbe dovuto riguardare la stessa portata e natura dei fatti divulgati, riscontrata in base ad una conoscenza degli stessi che fosse sufficientemente verificata.

     Orbene tale verifica preliminare non risulta operata, posto che dalla contestazione non risulta indicato quali fossero le circostanze riferite dalla ricorrente, le sue precise dichiarazioni e, al contempo, il modo in cui queste, per i loro contenuti non fossero riconducibili ai fatti esposti nelle ordinanze cautelari suddette ( e quindi non fossero la mera spiegazione di fatti già resi noti da parte degli inquirenti), onde avessero integrato una violazione dei doveri d’ufficio tesa a divulgare fatti che, coperti dal segreto istruttorio, non dovessero essere posti a conoscenza di terzi. Ciò, appunto, al di là degli obblighi di informazione nei confronti degli indagati previsti dal codice di procedura penale, giungendo così a recare pregiudizio ad eventuali indagini in corso.

     Neanche quest’ultimo aspetto, attinente all’esistenza di accertamenti giudiziari in corso sui quali avrebbe potuto influire la divulgazione di “quelle” specifiche notizie da parte dell’incolpata e in quale modo, appare precisato. Ma ancor più in radice, va di nuovo sottolineato, la mancata specificazione delle dichiarazioni rese dalla ricorrente e delle notizie mediante esse divulgate, rende impossibile un siffatto esame di nocività della sua condotta. Ciò, va aggiunto, riguarda pure il caso della mera imprudenza e della non conformità al decoro delle funzioni del comportamento tenuto.

     L’aspetto ora evidenziato, poi, rende altresì praticamente impossibile una difesa per l’incolpato, il quale non è in grado di addurre circostanze  che possano spiegare la sua estraneità ai fatti o quantomeno l’assenza dell’elemento psicologico, attesa la genericità dell’addebito formulato in tal modo.

     Da tale genericità è scaturita altresì la conseguenza della successiva “derubricazione” degli addebiti, estremamente agevole a fronte di un’enucleazione men che minima dei fatti attribuiti, con il corollario che, da un lato, neppure vi è spazio per un giudizio di continenza tra i fatti contestati e quelli poi ritenuti sanzionabili, dato che non è possibile verificare la sostanziale coincidenza degli stessi sotto il profilo di una “materialità” che non è in concreto individuabile, dall’altro, che l’Amministrazione si può così sottrarre a un onere probatorio che sarebbe stato soddisfatto con l’indicazione di specifiche fonti di prova e di fatti determinati da essi risultanti, idonei a configurare una condotta (piuttosto che un’altra) imputabile alla ricorrente.

     Quanto ora chiarito, è concretamente confermato dalla relazione del funzionario istruttore, dalla quale si evince che l’accertamento dell’ultroneità delle informazioni date dalla ricorrente rispetto ai fatti contenuti nelle suddette ordinanze cautelari è riscontrata in termini dubitativi; risulta, cioè, che si è andato a compiere in esito all’istruttoria quell’esame preliminare dei fatti, come suscettibili di responsabilità disciplinare, che avrebbe dovuto essere posto alla base dello stesso avvio del procedimento, mentre, neppure in esito agli accertamenti in questione è stato stabilito che della “riservatezza” delle notizie stesse la ricorrente avesse coscienza, essendo quest’ultima semmai propria del collega a cui la ricorrente stessa aveva chiesto informazioni.

     La relazione istruttoria neppure può escludere che i fatti non riconducibili a quelli esposti nelle ordinanze cautelari, riferiti dalla ricorrente, non fossero piuttosto il frutto di considerazioni sue personali, come sostenuto dalla stessa nelle giustificazioni. E né appare che la stessa potesse dichiarare qualcosa di diverso in tale sede, o che dette giustificazioni potessero essere smentite, atteso il vizio di fondo della mancata precisazione del contenuto di tali dichiarazioni in sede di contestazione degli addebiti.

     Va aggiunto che qualsiasi ulteriore considerazione in ordine alla natura dei fatti contestati e alla specificità della loro indicazione da parte dell’Amministrazione, come pure della verosimiglianza delle giustificazioni addotte dall’incolpata, è impedita dal fatto che l’Amministrazione stessa ha dichiarato che l’essenziale fonte di prova, cioè le trascrizioni delle registrazioni effettuate nel corso delle intercettazioni telefoniche, non risulta “ agli atti di questa Amministrazione, essendo in possesso della competente Autorità giudiziaria”. Nessun riscontro perciò appare possibile in questa sede, né lo è stato in primo grado, ma, quello che rileva maggiormente, è la conferma che, a fronte di questa manchevole disponibilità delle fonti di prova, la contestazione degli addebiti risulta altrettanto difettosa e non chiara nel suo fondamento fattuale.

     In questo contesto di genericità e incertezza dei presupposti di fatto per procedere a carico della ricorrente, non può bastare a giustificare la sanzione comminata, e la sottoposizione allo stesso procedimento disciplinare, la mera circostanza del ritardo nel riferire i fatti ai superiori, rispetto alla quale lo stesso istruttore ravvisa una responsabilità “attenuata”, determinata dalla partenza in missione di servizio all’estero dell’interessata successivamente allo svolgersi dei fatti contestati, e altresì dalla circostanza che detti superiori erano stati informati dell’interrogatorio a cui la ricorrente stessa era stata sottoposta dagli stessi funzionari che l’avevano espletato.

     Sussistono pertanto i vizi di eccesso di potere per difetto dei presupposti e travisamento dei fatti dedotti col ricorso introduttivo e riproposti in appello, dovendosi pertanto annullare il provvedimento impugnato in primo grado.

     Giusti motivi consigliano peraltro di compensare tra le parti le spese per entrambi i gradi di giudizio.

P. Q. M.

       Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe annullando per l’effetto il provvedimento impugnato in primo grado .

       Compensa le spese di giudizio.

       Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

       Così deciso in Roma, il 24 giugno 2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori: 
 

Claudio Varrone    Presidente

Sabino Luce     Consigliere

Giuseppe Romeo    Consigliere

Luciano Barra Caracciolo   Consigliere Est

Giuseppe Minicone    Consigliere 
 

Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere       Segretario

LUCIANO BARRA CARACCIOLO   VITTORIO ZOFFOLI 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il...04/10/2005

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186) 
 

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 4313/1999


 

FF