REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.5907/2005             Reg.Dec.

N. 9271/2000 Reg.Ric.

    

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 9271 del 2000, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

contro

il signor (omissis) (omissis), rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Romanelli e Corrado Mauceri, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Cosseria n. 5, presso lo studio dell’avvocato Enrico Romanelli;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sez. I, 21 giugno 2000, n. 699, e per la reiezione del ricorso di primo grado n. 1027 del 1998;

     Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

     Visto il controricorso dell’appellato, contenente un appello incidentale;

     Vista la memoria depositata dall’appellato in data 13 febbraio 2001; 
 

     Vista l’ordinanza con cui la Sezione, in data 23 febbraio 2001, ha accolto la domanda incidentale formulata dal Ministero ed ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata;

     Visti gli atti tutti del giudizio;

      Data per letta la relazione del Consigliere di Stato Luigi Maruotti alla pubblica udienza del 21 giugno 2005;

      Udito l’avvocato dello Stato Galluzzo per il Ministero appellante e l’avvocato Bafundi  per l’appellato, su delega dell’avvocato Corrado Mauceri;

      Considerato in fatto e in diritto quanto segue:

Premesso in fatto

      1. Col provvedimento n. 333-D/60412 del 6 maggio 1998, il Capo della Polizia ha destituito dal servizio l’assistente della Polizia di Stato (omissis) (omissis), ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981, al termine di un procedimento disciplinare.

     Col ricorso di primo grado n. 1027 del 1998 (proposto al TAR per la Liguria), il signor (omissis) ha chiesto l’annullamento del provvedimento di destituzione e l’accertamento del suo diritto a vedere riconosciuto ai fini giuridici (pensionistici, previdenziali e assistenziali) il periodo di sospensione dal servizio, sofferto dal 13 ottobre 1988 al 12 ottobre 1993.

     Il TAR, con la sentenza n. 699 del 2000, ha accolto in parte il ricorso ed ha annullato il provvedimento di destituzione, mentre ha respinto la medesima domanda di accertamento.

     2. Con l’appello principale in esame, il Ministero dell’Interno ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia integralmente respinto.

     Il signor (omissis) ha depositato un controricorso, con cui ha contestato le deduzioni del Ministero appellante ed ha altresì impugnato in via incidentale la sentenza, riproponendo la domanda di accertamento del diritto al riconoscimento, ai fini giuridici, del periodo di sospensione dal servizio.

     3. La Sezione, con una ordinanza resa in data 23 febbraio 2001, ha accolto la domanda cautelare formulata dal Ministero ed ha sospeso l’esecutività della gravata sentenza.

     All’udienza del 21 giugno 2005 la causa è stata trattenuta in decisione.

Considerato in diritto

      1. Col provvedimento n. 333-D/60412 del 6 maggio 1998, il Capo della Polizia:

      - ha rilevato che l’appellato – assistente della Polizia di Stato – è stato condannato dalla corte d’appello di Catania alla pena della reclusione di anni tre e mesi sei, con l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, con la sentenza depositata in data 1° agosto 1996 (divenuta irrevocabile a seguito del rigetto del ricorso dell’imputato, disposto dalla Corte di Cassazione, Sez. III, nell’udienza del 13 giugno 1987);

      - ha altresì rilevato che l’appellato è stato sospeso cautelarmente dal servizio, col decreto di data 1° agosto 1988, divenuto efficace il 13 ottobre 1988;

      - al termine del relativo procedimento disciplinare, ha destituito dal servizio l’appellato, ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981.

     Con la sentenza gravata, il TAR per la Liguria:

     - in accoglimento parziale del ricorso di primo grado, ha annullato il provvedimento di destituzione, per violazione dell’art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19;

     - ha respinto la domanda di accertamento del riconoscimento ai fini giuridici del periodo di sospensione cautelare dal servizio, dal 13 ottobre 1988 al 12 ottobre 1993.

     La sentenza del TAR è stata impugnata:

     - in via principale, dal Ministero dell’Interno, il quale ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia integralmente respinto;

     - in via incidentale, dall’originario ricorrente, il quale ha controdedotto in ordine alle censure del Ministero, ha chiesto l’accoglimento della domanda respinta in primo grado ed ha richiamato le censure assorbite dal TAR.

     3. Con l’unico articolato motivo dell’appello principale, il Ministero dell’Interno ha dedotto che – contrariamente a quanto ha rilevato la sentenza impugnata – il provvedimento di destituzione è legittimo, poiché l’inizio del procedimento disciplinare ha avuto luogo nel rispetto del termine di 270 giorni, fissato dall’art. 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990, decorrente dalla data in cui il Ministero ha avuto notizia della sentenza della Corte di Cassazione.

     Ritiene la Sezione che tale censura sia fondata e vada accolta.

     3.1. Va premesso che – a p.15 del ricorso di primo grado – l’interessato ha dedotto la violazione del medesimo art. 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990.

     In sede di esame di tale censura, la gravata sentenza:

     - ha ritenuto che l’art. 9, comma 2, sia applicabile anche al personale della Polizia di Stato e preveda termini perentori per l’inizio del procedimento disciplinare (180 giorni dalla data di conclusione del processo penale) e per la sua conclusione (90 giorni dal suo inizio);

     - ha ravvisato la violazione del complessivo termine perentorio di 270 giorni, poiché la sentenza della Corte di Cassazione è stata depositata in data 13 giugno 1997, la contestazione degli addebiti vi è stata in data 17 ottobre 1997 e il provvedimento di destituzione è stato emesso in data 6 maggio 1998.

     In tal modo, la sentenza gravata – nel ritenere violato l’art. 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990 - ha dato decisivo rilievo alla circostanza per cui il processo penale si è concluso in data 13 giugno 1997.

     3.2. Ciò posto, ritiene la Sezione che il medesimo art. 9, comma 2 (che si è riferito alla “data in cui l’Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna”) vada interpretato nel suo chiaro significato letterale, e cioè che il termine di 180 giorni, fissato per l’inizio del procedimento disciplinare, cominci a decorrere dalla data in cui l’Amministrazione abbia avuto specifica cognizione dei fatti accertati in sede penale (e non dalla data in cui la sentenza penale di condanna sia diventa irrevocabile: Sez. IV, 19 luglio 2004, n. 5210; Sez. VI, 15 maggio 2002, n. 2635).

     Del resto, la data di deposito della sentenza penale non potrebbe essere di per sé rilevante per la decorrenza del termine, poiché l’Amministrazione non ha l’onere di seguire giorno per giorno l’andamento del processo penale: il termine per l’inizio del procedimento disciplinare non può che cominciare a decorrere da quando l’Amministrazione abbia acquisito copia della sentenza che giustifica l’esercizio del suo potere.

     3.4. Nella specie, è pacifico che il Ministero dell’Interno ha ricevuto copia del dispositivo della sentenza della Corte di Cassazione in data 17 settembre 1997, su comunicazione della segreteria della corte d’appello di Catania.

     Ciò comporta che - dovendo essere effettuati i calcoli sostituendo alla data 14 giugno 1997, individuata dal TAR, quella del 18 settembre 1997 - risultano tempestivi l’atto di contestazione degli addebiti (di data 17 ottobre 1987) e il provvedimento conclusivo del procedimento (di data 6 maggio 1998), in quanto emesso dopo 228 giorni dalla data in cui vi è stata la conoscenza del dispositivo della sentenza del 13 giugno 1997.

     4. Per le ragioni che precedono, l’appello principale va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il motivo formulato a p. 15 del ricorso di primo grado, come esaminato dal TAR.

     Per ragioni di carattere logico, con priorità rispetto all’appello incidentale, vanno dapprima esaminate le censure assorbite in primo grado e  richiamate dall’appellato a pp. 8 ss della sua memoria difensiva.

     5. Con l’originario primo motivo, l’interessato ha dedotto la violazione degli articoli 16 e 20 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (recante la disciplina delle “sanzioni disciplinari per il personale di pubblica sicurezza”), poiché il consiglio provinciale di disciplina si è riunito dopo la scadenza del termine di quindici giorni dalla data della prima riunione: secondo l’assunto, non rileverebbe la circostanza della assenza per malattia di uno dei suoi componenti, poiché l’Amministrazione avrebbe dovuto convocare il membro supplente.

     6. Tale censura va respinta, per un duplice ordine di considerazioni:

     a) il termine di quindici giorni, fissato dall’invocato art. 20 del d.P.R. n. 737 del 1981, aveva natura ordinatoria e non perentoria, in quanto fissato per consentire le formalità di convocazione della seduta;

     b) a p. 6 la sentenza gravata, con una statuizione di per sé non impugnata in questa sede da alcuna delle parti, ha rilevato che l’art. 19 della legge n. 19 del 1990 ha fissato una normativa di carattere generale, che ha abrogato per incompatibilità tutta la previgente normativa primaria e secondaria, sui termini inerenti allo svolgimento ed alla definizione del  procedimento disciplinare conseguente alla definizione del processo penale.

     7. Con l’originario secondo motivo, l’interessato ha lamentato che la commissione provinciale di disciplina avrebbe formulato la proposta di destituzione in assenza di adeguata motivazione e senza tenere conto dell’accoglimento – da parte della autorità giudiziaria – della sua istanza di sospensione dell’ordine di carcerazione e di affidamento in prova al servizio sociale.

     8. Così riassunta la censura, ritiene la Sezione che essa vada respinta, perché infondata.

     Quando i fatti rilevanti siano già stati accertati con una sentenza penale di condanna, su cui si è formato il giudicato, l’Amministrazione – nel corso del procedimento disciplinare e anche nel provvedimento di destituzione – ben può porre a base delle proprie statuizioni le considerazioni del giudice penale e un sintetico proprio giudizio sulla estrema gravità dei fatti, sulla loro riprovevolezza e sulla inconciliabilità con l’ulteriore permanenza in servizio del dipendente (salva la sindacabilità della relativa valutazione da parte del giudice amministrativo, ove essa risulti ingiustificata o sproporzionata rispetto ai fatti accaduti).

     Nella specie, ritiene la Sezione che l’Amministrazione abbia legittimamente formulato il proprio giudizio sulla estrema gravità dei fatti, sulla loro riprovevolezza e sulla inconciliabilità con l’ulteriore permanenza in servizio dell’appellato.

     Infatti, la sinteticità del giudizio non è sintomo di un eccesso di potere, ma della ragionevole determinazione dell’Amministrazione di non sottolineare ulteriormente e di non mortificare inutilmente il dipendente sottoposto al procedimento disciplinare.

     Sotto tale aspetto, per un obiettivo giudizio sulla indubbia gravità dei fatti accaduti, in questa sede non rilevano soltanto i titoli dei reati per cui vi è stata la sentenza di condanna della corte d’appello di Catania, ma anche i fatti per come si sono concretamente verificati (con l’esercizio di violenza con abuso dei poteri della funzione pubblica) e per come sono stati reiterati (così come analiticamente descritti nella nota di contestazione degli addebiti e corrispondenti a quelli accertati in sede penale).

     Inoltre, l’Amministrazione non doveva specificamente valutare il disposto affidamento in prova al servizio sociale, poiché tale misura rientra nell’ambito degli istituti volti alla rieducazione del condannato, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, ma non incide sull’ambito del potere disciplinare, che l’Amministrazione può esercitare in relazione ai fatti commessi.

     9. Per le ragioni che precedono, e in riforma della sentenza gravata, il ricorso di primo grado va respinto nel suo complesso, per la parte rivolta avverso il provvedimento di destituzione.

     10. Passando all’esame dell’appello incidentale, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, sia accertato il suo diritto al riconoscimento ai fini giuridici (pensionistici, previdenziali e assistenziali) del periodo di sospensione dal servizio, sofferto dal 13 ottobre 1988 al 12 ottobre 1993.

     A fondamento della domanda, egli ha dedotto che la sospensione cautelare dal servizio non estingue il rapporto di lavoro e determina la valutabilità del relativo periodo ai fini giuridici, secondo i principi generali evincibili dagli articoli 4 e 36 della Costituzione e dagli articoli 91, 92 e 97 del testo unico n. 3 del 1957.

     11. Ritiene la Sezione che tale censura sia infondata e vada respinta.

     Per la costante giurisprudenza di questo Consiglio, che il collegio condivide e fa propria, per la natura cautelare del provvedimento di sospensione dal servizio, l’Amministrazione non ha sul punto alcuna discrezionalità e deve disporre che la destituzione dall’impiego decorra ex tunc dal momento in cui sia cominciata la sospensione cautelare (Sez. VI, 20 giugno 2001, n. 3271; Sez. VI, 29 gennaio 2002, n. 487; Sez. IV, 20 dicembre 1996, n. 1308; Sez. IV, 24 gennaio 1990, n. 37; Sez. IV, 27 settembre 1989, n. 644; Sez. IV, 30 gennaio 1984, n. 32; Cons, giust. amm., 21 ottobre 1983, n. 114, Sez. IV, 10 febbraio 1983, n. 65; Sez. VI, 19 ottobre 1976, n. 320).

     Tale retroattività non urta con gli invocati principi, anche di rango costituzionale, poiché il provvedimento di destituzione estingue il rapporto di lavoro per fatto imputabile al dipendente, con decorrenza dal giorno in cui egli non abbia più svolto la propria attività lavorativa, facendo così venire meno il sinallagma tra le prestazioni.

      Per la retroattività dell’atto di destituzione, non spetta dunque all’appellato il computo ai fini giuridici del periodo per il quale non è ravvisabile un rapporto di pubblico impiego.

      12. Per le ragioni che precedono, in accoglimento dell’appello principale e in riforma parziale della sentenza gravata (con reiezione dell’appello incidentale), il ricorso di primo grado va respinto.

      Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello principale n. 9271 del 2000, respinge l’appello incidentale e, in parziale riforma della sentenza del TAR, respinge integralmente il ricorso di primo grado n. 1027 del 1998.

Compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 21 giugno 2005, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l’intervento dei signori:

Giorgio Giovannini  Presidente

Sabino  Luce   Consigliere

Luigi  Maruotti  Consigliere estensore

Carmine Volpe   Consigliere

Domenico Cafini   Consigliere

Il Presidente

GIORGIO GIOVANNINI

Il Consigliere estensore    Il Segretario

LUIGI MARUOTTI     ANNAMARIA RICCI

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il.20/10/2005.

(Art. 55, L.27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

Addì.........................copia conforme alla presente è stata trasmessa

a..............................................................................................

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n. 642

                                                                        Il Direttore della Segreteria

Consiglio di Stato – Sezione Sesta                                                                                    Reg.ric.n.  9271 del 2000