R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.4841/2006

Reg. Dec.

N. 9635 Reg. Ric.

Anno 1999

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello iscritto al NRG. 9635 dell’anno 1999 proposto dal MINISTERO DELLE FINANZE – COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA, in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

c o n t r o

...OMISSIS..., rappresentato e difeso dagli avvocati Antonella Zampino e Aurelio Leone, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma, viale Angelico, n. 97;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, Sez. I, n. 282 del 19 giugno 1999;

      Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

     Visti l’atto di costituzione in giudizio del signor ...OMISSIS... ...OMISSIS...;

     Viste le memorie difensive prodotte dall’appellato a sostegno delle proprie tesi difensive;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore alla pubblica udienza del 7 marzo 2006 il Consigliere Carlo Saltelli;

     Uditi l’avvocato dello Stato Cesaroni e l’avv. Aurelio Leone;

     Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

     Il Tribunale militare di Torino, con la sentenza n. 730 del 21 luglio 1997, divenuta irrevocabile il 6 ottobre 1997, applicava, ai sensi dell’articolo 444 c.c.p., su richiesta congiunta delle parti, al finanziere ...OMISSIS... ...OMISSIS..., imputato di furto militare in danno dell’amministrazione militare (art. 230 co. 2 e 47, n. 2 c.p.m.p., per essersi impossessato nel mese di dicembre 1996, al fine di trarne profitto, n. 2 blocchetti di buoni benzina in dotazione al Gruppo Interprovinciale della Guardia di Finanza di ...OMISSIS..., ove prestava servizio, custoditi all’interno dell’Ufficio Comando), la pena di mesi tre di reclusione militare, sostituita con la sanzione della multa di lire 6.750.000 (da pagarsi in trenta rate mensili).

     A seguito di tale sentenza veniva dalla Guardia di Finanza disposta un’inchiesta formale che si concludeva con il provvedimento n. ...OMISSIS...del 17 gennaio 1998, con il quale il veniva inflitto al suddetto militare la perdita del grado per rimozione.

     Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, ritualmente adito dall’interessato, con la sentenza segnata in epigrafe, nella resistenza dell’intimata amministrazione statale, annullava il provvedimento impugnato, rilevando che in concreto l’amministrazione non aveva tenuto conto di tutte le circostanze di fatto che aveva caratterizzato la vicenda disciplinare, con particolare riguardo ai concreti gesti di ravvedimento e pentimento del militare.

     Il Ministero delle Finanze – Comando generale della Guardia di Finanza, con atto di appello notificato il 27 ottobre 1999, ha chiesto la riforma della prefata statuizione, in quanto – a suo avviso – del tutto erroneamente i primi giudici avevano fondato il proprio convincimento sulla omessa valutazione di una circostanza attenuante (il ravvedimento ed il pentimento del militare e risarcimento del danno) che non solo non era prevista nell’ambito della normativa del procedimento disciplinare, per quanto essa era stata già presa in considerazione, quale unico effettivo elemento presente nelle memorie difensive (tanto più che senza il risarcimento del danno non sarebbe stato applicabile neppure il patteggiamento); del resto, sempre secondo la tesi dell’amministrazione appellante, i primi giudici non avevano considerato che il provvedimento disciplinare non aveva finalità meramente punitive, ma anche di tutela dell’immagine e dell’onorabilità dell’amministrazione e, sotto tale ulteriore profilo, era del tutto esorbitante dal potere giurisdizionale l’affermazione dei primi giudici circa la asserita violazione del principio di gradualità della sanzione, rientrando la sua concreta individuazione nella piena ed esclusiva discrezionalità dell’amministrazione.

     L’appellato si è costituito in giudizio, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, chiedendone il rigetto; con successiva memoria, poi, oltre ad illustrare ulteriormente le proprie difese, l’interessato ha evidenziato di essere stato già da tempo riammesso in servizio, conseguendo anche lusinghieri valutazioni di servizio.

DIRITTO

     I. L'appello è infondato e deve essere respinto.

      I.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è alcun motivo per discostarsi, le sentenze di patteggiamento non spiegano effetti extrapenali, ma equiparandosi ad una sentenza di condanna (ex art. 445 c.p.p.), legittimano (ed anzi impongono all’amministrazione, anche in relazione ai precetto di cui all’articolo 97 della Costituzione) l’apertura di una autonoma inchiesta disciplinare, onde accertare la rilevanza che i fatti ascritti al dipendente in sede penale possono avere sul rapporto di lavoro con particolare (ma non esclusivo) riferimento all’immagine e all’onorabilità dell’amministrazione stessa.

     In particolare è stato più volte sottolineato che i fatti che hanno dato luogo alla sentenza penale di patteggiamento devono formare oggetto di un’autonoma considerazione e la relativa sanzione deve essere irrogata sulla base di un separato giudizio di responsabilità disciplinare, senza che la ricordata sentenza penale patteggiata possa assurgere a presupposto unico per l’applicazione della sanzione disciplinare ovvero a parametro valutativo cui conformare la gravità della sanzione da irrogare (C.d.S., sez. IV, 23 maggio 2001, n. 2853).

     In altri termini, sebbene non possa revocarsi in dubbio che l’amministrazione può utilizzare in sede disciplinare tutti gli atti dell’indagine penale (ivi comprese le ammissione e le confessione dello stesso dipendente), spettando a quest’ultimo di indicare ulteriori elementi a suo discarico e di chiedere nuovi accertamenti, l’amministrazione ha l’obbligo di valutare in maniera completa e autonoma tutti i fatti, nella loro interessa e senza farsi fuorviare dalla struttura dell’illecito penale, giustificando quindi con adeguato motivazione il provvedimento disciplinare ed esplicitando, cioè, puntualmente le ragioni per le quali ritiene che quei fatti – e dunque il concreto comportamento del dipendente – abbia violato o esposto a pericolo il bene/interesse protetto in sede disciplinare (legalità, imparzialità e buon andamento degli uffici amministrativi, immagine e onorabilità dell’amministrazione, in particolare).

     I.2. Ciò posto, la Sezione è dell’avviso che la sentenza impugnata non meriti le critiche rivolte con l’appello, in quanto dall’esame dei documenti depositati in atti risulta che effettivamente l’amministrazione non valutato e apprezzato l’intera fattispecie concreta, sottotesa alla sentenza di patteggiamento e posta a base del procedimento disciplinare, con particolare riferimento proprio ai gesti di ravvedimento e all’atteggiamento di pentimento del militare appellato.

     Dalla lettura del rapporto finale relativo all’inchiesta formale (prot. 13243/P del 4 novembre 1997) e dalla stessa motivazione dell’impugnato provvedimento disciplinare, invero, emerge – senza ombra di dubbio – che il convincimento sulla responsabilità disciplinare del militare costituisce la conseguenza della mera trasposizione in sede disciplinare di quanto acquisito e accertato in sede penale ed in particolare della stessa ammissione di responsabilità fatta dall’interessato nel corso dell’indagine penale.

     E’ significativa al riguardo l’affermazione contenuta nel punto D del ricordato rapporto finale laddove si legge: “Dagli accertamenti – quali risultano dalla documentazione costituente il fascicolo processuale della vicenda…- emerge inconfutabilmente la responsabilità del militare in ordine agli addebiti specifici mossigli…”.

     Sennonché, come si è avuto modo di accennare, ai fini dell’accertamento della responsabilità disciplinare e dell’irrogazione della relativa sanzione a seguito di una sentenza di patteggiamento, ciò che rileva è la autonoma valutazione dei fatti e non l’attribuibilità o meno dei fatti acquisiti in sede penale al dipendente, tanto più che su tale circostanza non era stata affatto oggetto di contestazione, essendo noto che il bene giuridico protetto dalla normativa disciplinare è completamente diverso e giammai coincidente con quello protetto dalla norma penale.

     L’Amministrazione, quindi, che per contro si è limitata a dar conto della responsabilità del dipendente per i fatti ascritti, ha del tutto eluso l’obbligo di autonoma valutazione dei fatti che avevano costituito oggetto della sentenza penale di patteggiamento: prova ne sia che, nei citati documenti (relazione finale e provvedimento impugnato) essa indugia sulla circostanza che il militare non ha prodotto ulteriori documenti a sua discolpa ovvero non ha fatto richiesta di ulteriori indagini, limitandosi a dichiarare il proprio pentimento, quasi che il procedimento disciplinare e la valutazione autonoma dei fatti di cui al procedimento penale bisognassero di nuovi elementi, senza dei quali non si potesse che giungere alle stesse conclusioni di cui alla sentenza penale.

     D’altra parte, pur avendo l’amministrazione fatto legittimamente affidamento, quanto alla loro oggettività ai fatti rilevati in sede penale, non ha provveduto poi alla loro autonoma valutazione ai fini della responsabilità disciplinare, essendo al riguardo assente qualsiasi elemento da cui possa ricavarsi l’esistenza di detta valutazione, valutazione che non doveva essere condizionata dalla struttura dell’illecito penale: in tal senso, correttamente i primi giudici hanno sottolineato che alcuna valutazione risulta essere stata fatta del ravvedimento e del pentimento del militare, elementi che, lungi dal costituire circostanze attenuanti della responsabilità (penale o disciplinare), costituivano elementi della fattispecie complessiva da valutare ai fini della incidenza sul rapporto di lavoro.

     La tesi dell’Amministrazione appellante, alla luce di tali considerazioni, non merita di essere accolta, in quanto si fonda sulla articolazione dell’illecito penale (elemento oggettivo ed elemento soggettivo, circostanze attenuanti), laddove, ai fini dell’accertamento della responsabilità disciplinare a seguito di una sentenza penale di patteggiamento, ciò che conta è esclusivamente la piena, completa ed autonoma valutazione dell’intera fattispecie in tutti i suoi elementi caratterizzanti, tra cui non possono non rientrare anche quelli elementi che, secondo la fattispecie penale, servono ad una più pertinente qualificazione e specificazione del fatto (circostanze attenuanti) o ad una più puntuale individuazione della pena (ravvedimento, pentimento, risarcimento, etc.), valutazione che, come risulta dalla documentazione in atti e dalla motivazione del provvedimento impugnato, non vi è stata.

     I.2.2. Né merita censura la sentenza impugnata per la parte in cui ha ritenuto che nel caso di specie fosse stato violato il principio della gradualità della sanzione, con l’irrogazione della massima sanzione disciplinare.

     Se è vero, infatti, che per costante indirizzo giurisprudenziale, nel procedimento disciplinare nel confronti dei pubblici dipendenti (ivi compreso anche il personale militare ), il giudizio si svolge con una larga discrezionalità da parte dell'Amministrazione in ordine al convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da irrogare, sicché, in sede di impugnativa del provvedimento disciplinare, il giudice amministrativo non può sostituirsi agli organi dell'Amministrazione nella valutazione dei fatti contestati all'inquisito e nel convincimento cui tali organi siano pervenuti, è pur vero che ciò trova un limite nei casi in cui la valutazione contenga un travisamento dei fatti, ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (C.d.S., Sez. VI, 10 maggio 1996, n. 670; Sez. V, 1 dicembre 1993, n. 1226 e 11 aprile, n. 539; Sez. IV, 16 gennaio 1990, n. 21; Sez I, 10 giugno 1992, n. 506 ).

     Orbene, nel caso di specie, lungi dal volersi sostituire all’amministrazione nell’esercizio del potere discrezionale di valutazione dei fatti ai fini dell’accertamento e della dichiarazione di responsabilità disciplinare, nonché della puntuale individuazione della sanzione da irrogare, i primi giudici, dopo aver rilevato che l’amministrazione non aveva valutato autonomamente i fatti, hanno ritenuto che di conseguenza l’Amministrazione aveva errato nella individuazione della pena, pervenendo alla irrogazione della massima sanzione disciplinare: in altri termini, quest’ultima non era errata in sé, ma per il fatto che non si basava sulla corretta e completa valutazione dei fatti (il che integrava all’evidenza la violazione del principio di gradualità della pena).

  II. In conclusione l’appello deve essere respinto.

  Tuttavia, la peculiarità della controversia giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P. Q. M.

     Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione IV), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero delle Finanze – Comando generale della Guardia di Finanza avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, Sez. I, n. 282 del 19 giugno 1999, lo respinge.

     Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 marzo 2006 con l'intervento dei signori:

     Lucio         VENTURINI       Presidente

     Filippo       PATRONI GRIFFI      Consigliere

     Bruno        MOLLICA       Consigliere

     Carlo          SALTELLI                      Consigliere, est.

     Salvatore    CACACE                        Consigliere 
 

L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE

Carlo Saltelli       Lucio Venturini  

                           IL SEGRETARIO

     Rosario Giorgio Carnabuci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

21 agosto 2006

(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)

     Il Dirigente

     Giuseppe Testa

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N.R.G. 9635/1999


 

TRG