R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.1045/2005

Reg. Dec.

N. 9878 Reg. Ric.

Anno 2003

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n. 9878 del 2003, proposto da

(omissis) Roberto,

rappresentato e difeso dall’avv.to Giuseppe Placidi ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso, in Roma, p.zza Cavour, 3,

c o n t r o

MINISTERO dell’INTERNO,

in persona del Ministro p.t., costituitosi in giudizio, ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli ufficii della stessa, in Roma, via de’ Portoghesi, 12,     

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, n. 6201/02.

      Visto il ricorso, con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive domande e difese;

     Vista la decisione istruttoria n. 5015/2004;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Data per letta, alla pubblica udienza del 1 febbraio 2005, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;

     Udito, alla stessa udienza, l’avv. Giuseppe Placidi per l’appellante, nessuno essendo ivi comparso per l’Amministrazione appellata;

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Con l’appello in esame il ricorrente, vice questore aggiunto presso la Questura di Roma, chiede l’annullamento della sentenza n. 6201/02 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, il quale – investito del ricorso proposto dallo stesso avverso il provvedimento del Capo della Polizia, notificatogli il 18 agosto 1997, con il quale gli è stata inflitta la sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di cinque trentesimi di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo, in ragione del fatto ch’egli non aveva indicato, in una istanza di congedo a suo tempo avanzata, la località ove intendeva risiedere durante il godimento dello stesso - lo ha respinto.

Deduce parte appellante, con unico motivo d’impugnazione, l’erroneità e contraddittorietà della sentenza impugnata, sia laddove ha ritenuto che non configurasse un “ingiustificato comportamento dilatorio” il fatto che la contestazione d’addebito disciplinare le fosse stata notificata dopo quaranta giorni dalla sua formulazione, sia laddove si è basata, sulla “centrale tematica della vicenda in contestazione”, sulle parziali interpretazioni degli avvenimenti fornite dalla Questura di Roma nella relazione prodotta in data 17 marzo 1997.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione dell’appello.

Con successive memorie entrambe le parti hanno svolto tesi difensive.

Con decisione istruttoria n. 5015/2004 è stata disposta l’acquisizione del fascicolo di causa di primo grado, poi pervenuto in data 29 novembre 2004. 

    La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 1 febbraio 2005.

D I R I T T O

1. – Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, investito del ricorso proposto dal sig. Roberto (omissis), vice questore aggiunto presso la Questura di Roma, avverso il provvedimento del Capo della Polizia, notificatogli il 18 agosto 1997 - con il quale gli è stata inflitta la sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di cinque trentesimi di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo, in ragione del fatto ch’egli non aveva indicato, in una istanza di congedo a suo tempo avanzata, la località ove intendeva risiedere durante il godimento dello stesso - lo ha respinto.

2. – Deduce parte appellante, con unico motivo d’impugnazione, l’erroneità e contraddittorietà della sentenza impugnata, sia laddove ha ritenuto che non configurasse un “ingiustificato comportamento dilatorio” il fatto che la contestazione d’addebito disciplinare le fosse stata notificata dopo quaranta giorni dalla sua formulazione, sia laddove si è basata, sulla “centrale tematica della vicenda in contestazione”, sulle parziali interpretazioni degli avvenimenti fornite dalla Questura di Roma nella relazione prodotta in data 17 marzo 1997.

3. – Acquisita compiuta cognizione della causa a séguito dell’intervenuto deposito del fascicolo di causa di primo grado oggetto della decisione istruttoria n. 5015/2004, il Collegio può passare all’esame del mérito dell’appello.

4. – Fondata si rivela la censura, con la quale si deduce la violazione del principio di immediata contestazione degli addebiti disciplinari.

In materia di infrazioni, che possono sfociare in provvedimenti sanzionatorii, vale invero, in generale, il principio della immediatezza soggettiva e relativa.

Tale principio comporta che il datore di lavoro deve contestare i fatti subito dopo esserne venuto a conoscenza e ch’egli, acquisita tale conoscenza, può solo fare trascorrere il tempo strettamente necessario per gli accertamenti del caso, al fine di consentire una contestazione il più possibile specifica e circostanziata ( c.d. immediatezza relativa; in tal senso v. Cassazione civile, 18 luglio 1990, n. 7343 e, da ultimo, Cass., nn. 4507, 1226, 12141 ed 11933 del 2003  ).

Allo stesso modo, la disposizione contenuta nell'art. 103 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, che risulta applicabile ai procedimenti disciplinari dell’Amministrazione di pubblica sicurezza in virtù del rinvio operato dall’art. 31 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 e che, com’è noto, fa obbligo all'amministrazione, una volta avuta contezza di una possibile infrazione disciplinare dal dipendente commessa,  di contestargli "subito" i fatti a lui addebitati, sebbene non possa essere interpretata nel senso che tale contestazione debba essere fatta "immediatamente", è tuttavia espressione di un principio generale, che vieta di ulteriormente procrastinare la contestazione medesima, una volta soddisfatta la esigenza di avere la conoscenza del fatto storico che integra la violazione, alla quale si perviene con gli accertamenti del caso; ciò al fine di esercitare il potere disciplinare in termini di ragionevolezza e di speditezza, esigenza rinvenibile nel procedimento disciplinare anche per le fasi successive alla contestazione degli addebiti, scandite da definiti termini perentorii ( v., in tal senso, Consiglio di Stato: VI, 20 giugno 2002, n. 3365; IV, 7 giugno 2004, n. 3619 ). 
Orbene, tale ragionevole tempestività ( che deve valutarsi in relazione al momento della effettiva conoscenza, da parte del lavoratore, dell’atto recettizio di contestazione degli addebiti ) non può dirsi certo realizzata nel caso di specie, in quanto, se  essa deve individuarsi, di volta in volta, secondo quella che è, nella singola ipotesi, la gravità del fatto ascritto e la complessità delle verifiche preliminari, nella fattispecie all’esame, a differenza di quanto ha ritenuto il Giudice di primo grado, non si giustifica affatto, a fronte di fatti ritenuti disciplinarmente rilevanti posti in essere tra la fine di febbraio e gli inizii di marzo 1997, indubbiamente connotati da scarsa gravità ( come si desume del resto dalla stessa sanzione poi inflitta all’ésito del procedimento disciplinare ) e dalla relativa semplicità delle indagini poste in essere dal datore di lavoro per l’accertamento dei fatti stessi, non si giustifica affatto, si diceva, che il provvedimento di contestazione degli addebiti sia stato notificato al dipendente solo dopo cinquanta giorni dall’ultima delle infrazioni da lui asseritamente poste in essere; né l’Amministrazione ha in alcun modo giustificato, nemmeno nella sede giudiziaria, il comportamento chiaramente dilatorio risultante dalla circostanza che l’atto di contestazione degli addebiti, adottato in data 22 marzo 1997 ( data alla quale l’accertamento preliminare dei fatti poteva dunque pacificamente ritenersi concluso ), sia stato poi notificato all’interessato soltanto all’incirca quaranta giorni dopo e cioè, come s’è detto, il successivo 30 aprile.

D’altronde, la tempestività della reazione del datore di lavoro all'inadempimento del lavoratore rileva sotto due distinti profili: sotto il primo profilo, il tempo decorso dall'accertamento del fatto potrebbe rivelare la mancanza di interesse all'esercizio del potere disciplinare; sotto il secondo profilo, la tempestività della contestazione permette al lavoratore un più preciso ricordo dei fatti e gli consente di predisporre una più efficace difesa, con la conseguenza che la mancanza di una tempestiva contestazione si traduce in violazione delle garanzie del giusto procedimento disciplinare, anche laddove, come nel caso all’esame, il dipendente abbia pur svolto puntuali controdeduzioni alle contestazioni dell’Amministrazione ( peraltro precisando, già in tale sede, che la mancata immediatezza delle contestazioni “non ha permesso, a distanza di un sì lungo periodo di tempo, di rammentare fatti e particolari interessanti per una globale lettura della vicenda contestata” ).

Va poi aggiunto che il principio dell'immediatezza della contestazione dell'addebito mosso al lavoratore e quello della tempestività della misura disciplinare discendono, altresì, dal precetto, che impone di conformarsi alla buona fede e correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, che, quale clausola generale, deve ritenersi incombente anche sulle parti del rapporto di pubblico  impiego.

5. – Dalle considerazioni che precedono consegue, in virtù della assorbente fondatezza dell’esaminato primo profilo di impugnazione, l’accoglimento dell’appello, con conseguente accoglimento, in riforma della sentenza di primo grado, del ricorso originario e relativo annullamento del provvedimento impugnato.

Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, séguono, come di régola, la soccombenza.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso originario.

Condanna il Ministero dell’Interno alle rifusione di spese ed onorarii del doppio grado di giudizio in favore dell’appellante, liquidandoli in Euro 5.000,00=, oltre I.V.A. e C.P.A.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, addì 1 febbraio 2005, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

Paolo SALVATORE              - Presidente

Antonino ANASTASI         - Consigliere

Vito POLI                         - Consigliere

Carlo DEODATO                  - Consigliere

Salvatore CACACE             - Consigliere,rel. est.

L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE

Salvatore Cacace                                          Paolo Salvatore 

IL SEGRETARIO

                                   Rosario Giorgio Carnabuci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

14 marzo 2005

(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)

     Il Dirigente

     Giuseppe Testa 
 

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N.R.G.  9878/2003


 

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