REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.1047/08

Reg.Dec.

N. 4147 Reg.Ric.

ANNO   2007

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 4147/2007, proposto dal Ministero dell’Interno,  in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

contro

@@@ @@@, rappresentato e difeso dall’Avv. F...

per la riforma

della sentenza  22 giugno 2006, n. 5079, resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. I ter, con cui è stato accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento n.“333-D/9483” del 24.8.’98, con cui il Capo della Polizia ha destituito disciplinarmente @@@ @@@ dal servizio.

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata, che ha affidato alla proposizione di  apposito appello incidentale la riproposizione dei motivi di gravame assorbiti in prime cure;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore, alla camera di consiglio dell’11 dicembre 2007, il Consigliere  ....

     Uditi l’avv. dello Stato ... e l’avv. @@@;

     Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO  E  DIRITTO

     1. Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno accolto il ricorso proposto in prime cure dall’odierno appellato, agente di polizia, avverso il provvedimento n..... con cui il Capo della Polizia  lo ha destituito disciplinarmente dal servizio.

     L’Amministrazione dell’Interno appella contestando gli argomenti posti a fondamento del decisum.

     Resiste l’appellato, che affida ad apposito appello incidentale la riproposizione dei motivi assorbiti in prime cure.

     All’udienza del 14 dicembre 2007 la causa è stata trattenuta per la decisione.

     2. L’appello è fondato.

     Il Tribunale ha posto a fondamento della statuizione di accoglimento il riscontro del decorso di quasi tre anni tra la data della sentenza “di patteggiamento” pronunciata nei confronti dell’interessato ed il provvedimento disciplinare. Ha osservato in particolare il Primo Giudice che,  pur tenendo presente l’insegnamento pretorio secondo cui  i termini perentori dettati per la definizione del procedimento disciplinare dall’articolo 9 della legge 7 febbraio 1990 n.19 (applicabile ratione temporis, trattandosi di provvedimento adottato prima della nuova legge 27 marzo 2001 n.97) non sono applicabili nelle ipotesi di sentenza di patteggiamento (Corte costituzionale 28 maggio 1999 n.197), nondimeno, nel caso in esame,  l’Amministrazione ha  superato ogni ragionevole limite nel definire la posizione del ricorrente.

     Il Primo Giudice ha ritenuto quindi fondato, con valore assorbente, il motivo che denuncia l’estinzione del procedimento disciplinare quanto meno ai sensi della regola generale posta dall’articolo 120 del T.U. approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957 n.3, essendo comunque decorso più volte il termine massimo di novanta giorni tra l’uno e l’altro atto della lunga procedura.

     Tale essendo la parabola motivazionale  calibrata dal Primo Giudice coglie nel segno il motivo di appello con cui si deduce la non  coerenza del principio di diritto affermato dal Primo Giudice con i limiti del motivo di ricorso svolto in primo grado con il quale si era eccepita la violazione della norma di cui al citato art. 120 cit. con esclusivo riferimento al lasso temporale tra il 15.12.1997 (data del decreto con il quale è stata respinta l’istanza di ricusazione) ed il 16.4.1998 (data della lettera di convocazione del Consiglio Provinciale di Disciplina). Delimitato il campo di indagine, in coerenza con  il principio dispositivo, al perimetro della doglianza  di prime cure si deve allora convenire nel senso della relativa infondatezza, alla  luce del principio giurisprudenziale secondo cui è idoneo ad impedire la perenzione del procedimento di cui all’art. 120 del testo unico il compimento di uno degli atti esplicitamente previsti dalla legge, anche se interni  al procedimento, nonché degli atti indispensabili  a fini propulsivi,  che dimostrano la permanenza dell’interesse alla decisione. Nella specie, tra i due momenti indicati in sede di ricorso originario, sono intervenuti una pluralità di atti interruttivi analiticamente enunciati in sede di appello (nomina dei componenti del consiglio di disciplina, notifica del  rigetto dell’istanza di ricusazione, richiesta ai sindacati di nomina dei componenti del consiglio di disciplina, deferimento dell’inquisito innanzi al consiglio) che hanno impedito il decorso del termine di perenzione di cui all’art. 120 cit..

     3. Sono altresì infondati i motivi assorbiti in primo grado e riproposti in seconde cure a mezzo di appello incidentale.

     A confutazione di dette doglianze valgono i seguenti rilievi:

     a) non sussistono le lamentate deficienze istruttorie e motivazionali in quanto la lettura del provvedimento gravato, in una con gli atti procedimentali  richiamati, dà contezza delle ampie e convergenti risultanze probatorie, autonomamente  valutate in sede amministrativa a seguito della sentenza penale di patteggiamento, poste a fondamento della verifica della condotta delittuosa perpetrata dal ricorrente (concorso continuato in ricettazione di autoveicoli di provenienza  furtiva, soppressione, distruzione e occultamento di atti), in guisa da denotare la più assoluta mancanza dell’onore e della morale e da rendere incompatibile, per il pregiudizio derivatone all’amministrazione, la permanenza dell’appellato in  servizio;

     b) la motivazione recata dall’atto, anche ob relationem, dà contezza dell’iter logico seguito al fine di escludere la persuasività della linea difensiva impostata dall’appellato in sede disciplinare, senza che occorra, in base a giurisprudenza pacifica, l’analitica confutazione delle specifiche giustificazioni addotte dall’inquisito;

     c) l’art. 9 comma 3, d.P.R. n. 737 del 1981 – concernente le  sanzioni disciplinari per il personale dell'amministrazione di Pubblica sicurezza e la regolamentazione dei relativi procedimenti - nel prevedere che, in caso di revoca dell'ordine di arresto, ove le circostanze lo consiglino, la sospensione cautelare può essere revocata, attribuisce all'amministrazione dell'Interno la facoltà e non già l'obbligo di revocare la misura cautelare;

     d) non risulta  applicabile al caso in esame il disposto dell’art. 119 del d.P.R. n. 3/1957, relativo al termine per la riedizione della procedura in caso di annullamento giurisdizionale (o straordinario) in quanto nella specie si è invece al  cospetto dell’esercizio del potere di annullamento amministrativo in sede di autotutela;

     e) i termini previsti dalle disposizioni in materia disciplinare ex art. 20, d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, segnatamente con riguardo alla convocazione del Consiglio di disciplina - non hanno carattere perentorio, bensì ordinatorio, essendo garanzia sufficiente per l'incolpato quella del termine perentorio fissato per l'intero provvedimento disciplinare (Cons. Stato. sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7459);

     f) l'art. 9 comma 2, l. 7 febbraio 1990 n. 19, al pari delle norme settoriali che prevedono analoghi termini perentori (tra cui  l'art. 9, d.P.R. n. 1981 n. 737), non trova applicazione quando il procedimento disciplinare è instaurato a seguito di una sentenza che applica la pena su richiesta delle parti ex art. 444, c.p.p., atteso che, in tal caso, per le particolari connotazioni del procedimento penale, non può escludersi, in linea astratta, la necessità di autonomi accertamenti in sede disciplinare, con la conseguente applicabilità della disciplina generale stabilita dal d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3. Detta conclusione, uniformemente ribadita per il termine finale, va estesa anche al termine iniziale del procedimento disciplinare se si considera, per un verso, che il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'art. 19 dà la stura ad un legame indissolubile tra tali termini in guisa che l'esclusione dall'ambito di tale previsione dei procedimenti conseguenti a sentenze patteggiate non può che riguardare nel complesso la tempistica normativamente scolpita, e, per altro verso, che la stessa ratio della deroga addotta dalla giurisprudenza, che si incentra sulla necessità di un'autonoma delibazione dell'amministrazione a seguito di una sentenza che non contiene un pieno accertamento dei fatti, concerne sia la verifica dei presupposti per la sottoposizione a procedimento disciplinare che la disamina delle risultanze in sede di determinazione disciplinare all'esito dell'iter procedurale. Se ne deve concludere che, in caso di procedimento disciplinare conseguente a sentenza penale di patteggiamento, l'amministrazione non è vincolata al rispetto dei termini di cui all'art. 9 comma 2, l. 7 febbraio 1990 n. 19, in tema di destituzione del pubblico dipendente in esito a procedimento disciplinare (inizio del procedimento entro 180 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna, conclusione dello stesso nei successivi novanta giorni), bensì dei termini dinamici di cui all'art. 120 comma 1, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (Cons.o Stato , sez. VI, 30 ottobre 2006 , n. 6448);

     g) il termine di novanta giorni previsto dall'art. 110 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 non è automaticamente estensibile al procedimento relativo al personale della polizia di Stato  retto da normative specifiche e, in ogni caso, si riferisce all'espletamento della inchiesta disciplinare, dal cui ambito resta estraneo il decreto ministeriale che irroga la sanzione;

     h) destituito di fondamento si appalesa il motivo volto a dedurre l’incompatibilità dell’assunzione del ruolo  di funzionario istruttore da parte di un funzionario addetto al gabinetto od alla segreteria particolare, posto che l’art. 19 del d.P.R. n. 737/1931  stabilisce solo che il funzionario debba appartenere ad un servizio diverso da quello dell’inquisito e che deve rivestire una qualifica dirigenziale o direttiva superiore a quella dell’incolpato;

     i) le questioni di legittimità sono state affrontate dal Capo della Polizia, in quanto titolare della potestà disciplinare, in coerenza con il disposto degli artt. 19 e 20 del citato d.P.R. n. 737/1981:

     l) il Capo della Polizia risulta  avere motivatamente respinto l’istanza di ricusazione del Presidente del Consiglio Provinciale di Disciplina ritenendo non sussistenti i presupposti  all’uopo cristallizzati dall’art. 149 del d.P.R, n. 3/1957;

     m) non risulta comprovata la generica deduzione volta a stigmatizzare la compressione del diritto di difesa e del diritto di accesso agli atti della procedura..

     4. L’appello è pertanto fondato.

     Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) - definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, addì 11 dicembre 2007, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. VI) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

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Presidente

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Consigliere       Segretario


 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il 11.03.2008

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

..

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 4147/2007


 

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