REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.3777/08

Reg.Dec.

N. 5428 Reg.Ric.

ANNO   2003

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dal Ministero dell’ Interno- Dipartimento Pubblica Sicurezza, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio per legge presso la sede della stessa in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

@@@@@@@@ @@@@@@@@, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli ..

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. I^ ter, n. 2978/2003 del 02.04.2003;

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visto l'atto di costituzione di @@@@@@@@ @@@@@@@@ e le relative note a difesa;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Nominato relatore per la pubblica udienza del 29 aprile 2008 il Consigliere ..

     Uditi per le parti l’ Avvocato dello Stato ..

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

      1). Con ricorso proposto avanti al T.A.R. per il Lazio l’ Ispettore della Polizia di Stato @@@@@@@@ @@@@@@@@ impugnava per dedotti motivi di legittimità i provvedimenti con i quali - in relazione ad indagini per il reato di concorso con altre persone nella formazione di falsa documentazione per il rilascio di permesso di soggiorno in favore di tale ... – era prima sospeso dal servizio (decreto del Capo della Polizia del 30.10.2001 e successivo decreto confermativo del 07.12.2002) e poi destituito dall’ Amministrazione della Pubblica Sicurezza con decorrenza 27.11.2001 (decreto del Capo della Polizia del 01.03.2002).

      Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe il T.A.R. adito dichiarava improcedibile il primo ricorso ed accoglieva nel merito il secondo.

     Il T.A.R., in particolare, riconosceva la violazione dell’ art. 11 del d.P.R. 27.20.1981, n. 737, in materia di sanzioni e procedimento disciplinari del personale dell’ Amministrazione di P.S., che nei casi in cui l’ inquisito sia sottoposto per gli stessi fatti a procedimento penale impone la sospensione del procedimento disciplinare fino alla definizione della responsabilità in sede penale con sentenza passata in giudicato.

     Avverso detta decisione il Ministero dell’ Interno ha proposto atto di appello ed ha contrastato le conclusioni del giudice di primo grado insistendo per la legittimità dei provvedimenti impugnati.

     Si è costituito in giudizio il sig. @@@@@@@@ @@@@@@@@ che ha contraddetto ai motivi di impugnativa e concluso per la conferma della sentenza gravata.

     All’ udienza del 29 aprile 2008 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

     2). L’ appello è infondato.

     2.1). L’art. 11 del d.P.R. 25.10.1981, n. 737, recante norme in tema di sanzioni e di procedimento disciplinare del personale della Polizia di Stato, stabilisce che “quando l’appartenente ai ruoli della Pubblica Sicurezza viene sottoposto per gli stessi fatti a procedimento penale il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”.

     Il Ministero appellante identifica la nozione di “procedimento penale” cui è fatto richiamo nella menzionata disposizione regolamentare con l’ inizio dell’azione penale che, in base al dato formale di cui all’ dell’art. 405 c.p.p., ha luogo, con la formulazione da parte del pubblico ministero dell’ imputazione per un fatto specifico, ovvero con richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 416 c.p.p., ed in tutti i casi elencati all’art. 60 c.p.p. in cui l’inquisito assume la qualità di imputato in base a richiesta di giudizio immediato (art. 453); per richiesta di decreto penale di condanna (art. 459); di giudizio direttissimo; di decreto di citazione a giudizio a norma dell’art. 555 c.p.p.; per richiesta congiunta di applicazione della pena durante le indagini preliminari (art. 447).

     2.1). Osserva la Sezione che la nozione di “procedimento penale” recepita dall’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 non va ristretta alle sole fasi processuali in cui si determina l’ascrizione della “notitia criminis” ad un soggetto determinato (inizio dell’azione penale in senso formale), ma è comprensivo anche delle precedenti attività istruttorie e di indagine in base alle quale può pervenirsi o all’ istanza di archiviazione o alla formale richiesta di rinvio a giudizio per il prosieguo dell’accusa (cfr. in fattispecie analoga Cons. St., Sez. VI^, n. 5421/2005 del 06.10.2005).

     L’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 enuclea, invero, una norma di garanzia chiamata ad operare in raccordo con l’art. 653 c.p.p., che attribuisce alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento che il fatto non sussiste, non costituisce illecito penale o che l’imputato non lo ha commesso. Non ha senso quindi distinguere, agli effetti dell’applicazione dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981, all’interno del processo penale le fasi procedimentali di istruttoria e di indagine indirizzate verso un soggetto determinato rispetto al momento di inizio formale dell’azione penale, poiché in entrambe in casi ricorre l’ “eadem ratio” sottesa all’art. 11, che è quella di prevenire antinomie fra gli esiti del procedimento penale e di quello disciplinare e di consentire all’inquisito di avvalersi della pronunzia assolutoria a discarico dell’addebito di trasgressione del codice disciplinare.

      La nozione di “procedimento penale” fissata nel vigente codice di procedura penale assume, quindi, a riferimento il sorgere di un procedimento giudiziario per un’astratta ipotesi di reato. Detto momento si identifica nella registrazione della “notizia criminis” presso la Procura della Repubblica, che se indirizzata verso soggetto determina contestualmente, o dal momento in cui ciò risulti anche l’iscrizione della persona indagata  (cfr. art. 335 c.p.p.). Tale conclusione è conforme al modello processuale accusatorio cui si ispira il codice di procedura penale, che distingue chiaramente tra “procedimento” e “processo”, riservando quest’ultima espressione alle fasi del procedimento posteriori all’esercizio dell’azione penale.

     2.2.). Un ulteriore argomento ermeneutico induce alla conferma delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado.

     Stabilisce l’art. 61 c.p.p. che “i diritti e le garanzie dell’imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari. Alla stessa persona si estende ogni altra disposizione relativa all’imputato, salvo sia diversamente stabilito”. Dalla su riferita disposizione si ricava un principio di carattere ordinamentale che parifica i diritti e le garanzie dell’inquisito quale sia la fase del procedimento penale in cui esso sia coinvolto. Detto principio esplica, quindi, effetto anche in ordine al diritto dell’indagato di veder subordinata, secondo quanto stabilito dall’art. 653 c.p.p., la definizione del giudizio disciplinare all’esito del giudizio penale, per ciò che attiene all’insussistenza del fatto addebitato ed alla mancata commissione dello stesso.

     2.3). Quanto alla non praticabilità, su un piano di interna ragionevolezza dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981, della soluzione interpretativa prospettata dalla difesa erariale basta osservare che nel caso trovasse ancora ingresso la regola della sospensione del procedimento disciplinare solo in presenza dell’ inizio in senso formale dell’azione penale, sarebbero favoriti proprio i soggetti più gravemente sospettati (e cioè nei cui confronti con immediatezza è intervenuta l’ascrizione dell’imputazione per fatto determinato) per i quali il procedimento disciplinare sarebbe sospeso, mentre questo procederebbe inesorabilmente nei confronti dei soggetti solo in fase indagatoria.

      2.4). Le conclusioni di cui innanzi trovano, del resto, conforto nella stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato che, in fattispecie afferente alla sospensione cautelare dal servizio dell’ impiegato “sottoposto a procedimento penale” (art. 91 del d.P.R. 10.01.1957, n. 3), ha ripudiato la tesi riduttiva della pendenza del procedimento penale ai soli casi di inizio formale dell’azione penale secondo le situazioni processuali previste dagli artt. 60. 405 e 416 c.p.p., ammettendo la possibilità di adottare la misura cautelare anche in un momento antecedente, in relazione all’attività istruttoria del giudice penale per fatti ascritti al pubblico dipendente (cfr. da ultimo questa Sezione n. 398 del 27.01.2003).

     3). Diversamente da quanto prospettato dal Ministero appellante la riconduzione dell’ obbligo di sospendere il procedimento disciplinare in presenza anche di un’ attività di indagine preliminare nei confronti dell’ inquisito non introduce un’ipotesi atipica di sospensione idonea a determinare effetti interruttivi dei termini di perenzione dell’ azione disciplinare. L’ obbligo di sospensione si raccorda al contenuto prescrittivo dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 che, con riguardo alla nozione di “procedimento penale” è più ampio, per le ragioni innanzi esposte, di quello ad esso ascritto dall’ Amministrazione appellante.

     3.1). Nel caso di specie l’ azione disciplinare è avvenuta in parallelo all’ attività di indagine della procura di Roma per i fatti addebitati al @@@@@@@@.

     Lo stesso funzionario istruttore in sede di relazione conclusiva in data 19.11.2001 poneva in rilevo come “l’ inchiesta disciplina sia strettamente connessa a quella penale” con riflessi sulla disponibilità degli atti.

     La sanzione impugnata è stata pertanto inflitta in violazione della norma di garanzia dettata dall’ art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 che, per i medesimi fatti, rende prioritaria alla definizione del procedimento disciplinare la conclusione con decisione irrevocabile del giudizio in sede penale

     L’ appello va quindi respinto.

     I particolari profili della controversia inducono alla compensazione delle spese del giudizio fra le parti.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’ appello in epigrafe.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez. VI - nella Camera di Consiglio del 29 aprile 2008, con l'intervento dei Signori:

..


 

Presidente

.

Consigliere       Segretario


 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

Il 29/07/2008

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

.

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 5428/2003


 

FF