REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.1743/2007

Reg.Dec.

N. 9819 Reg.Ric.

ANNO   2002

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da Ministero dell’interno in persona del Ministro pro-tempore rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è ope legis domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12;

contro

Giovanni Sella rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Luigi Piscitelli e Guido Francesco Romanelli ed elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma via Cosseria 5;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria Sezione II n.777  del 4 luglio 2002.

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’originario ricorrente;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Alla pubblica udienza del 27 febbraio 2007 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo.

     Udito l’avv. dello Stato Colelli; 

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

     Con la sentenza in epigrafe il Tar ha accolto in parte il ricorso  proposto da Sella Giovanni, agente di Polizia riammesso in servizio a seguito di annullamento giurisdizionale del diniego opposto dall’Amministrazione alla sua istanza di riammissione, avverso il provvedimento che lo riammetteva in servizio disponendo la corresponsione degli arretrati stipendiali solo dal 5 aprile 1994, data di asserita notifica della destituzione annullata, riconoscendogli una qualifica diversa da quella in precedenza posseduta.

     L’adito Tribunale premetteva che il ricorrente, che aveva ottenuto l’annullamento della destituzione dall’impiego comminatagli con diversi e successivi provvedimenti, tutti annullati da questo TAR e, infine, l’ottemperanza al giudicato su tali pronunce formatosi, ricorreva nuovamente per chiedere l’annullamento parziale dei provvedimenti con i quali l’amministrazione lo aveva riammesso in servizio, adducendone l’illegittimità nella parte in cui veniva incardinato nella sede di Latina, in luogo di quella di Genova, dove prestava originariamente servizio; nella parte relativa alla decorrenza delle utilità economiche arretrate; nella parte in cui gli era stata riconosciuta una qualifica diversa da quella posseduta al momento della cessazione dal servizio; nella parte in cui era disposta la sottoposizione a nuova visita medica.

     Precisava il Tribunale che il ricorrente era stato destituito nel 1986, con provvedimento adottato in forza dell’automatismo sancito dall’art. 8 dpr n. 737 del 1981, caducato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 971 del 1988. Le successive domande di riassunzione presentate dal ricorrente ai sensi della conseguente legge n. 19 del 1990 erano state respinte dall’amministrazione, con provvedimenti annullati dalle sentenze nn. 303 del 1993 e 80 del 1997, fino a giungere alla odierna fase della vicenda. Valeva ancora ricordare che l’art. 10 della suddetta legge n. 19 del 1990, dopo aver sancito la riammissione, a domanda, dei dipendenti che anteriormente alla sua entrata in vigore fossero stati destituiti di diritto (subordinatamente all’esito favorevole del procedimento disciplinare, da celebrare entro termini tassativi), stabiliva che “il dipendente riammesso è reintegrato nel ruolo, con la qualifica, il livello e l’anzianità posseduti alla data di cessazione dal servizio”. Era, perciò, innanzitutto fondata la domanda di annullamento della assegnazione della nuova sede, in luogo di quella (Genova) nella quale il ricorrente svolgeva le proprie funzioni al momento della destituzione: era evidente, infatti, che la norma disponeva, in sostanza, il ripristino delle condizioni di lavoro interrotte in forza della destituzione caducata; e, se era vero che l’amministrazione aveva comunque la potestà di disporre il trasferimento dei propri dipendenti, era anche vero che tale potestà doveva essere esercitata nei limiti e con le condizioni consuete alla correttezza amministrativa, in particolare con l’onere di esternare e motivare le esigenze alle quali si intende, appunto, far fronte mediante il trasferimento. Nella fattispecie, i provvedimenti impugnati, che nessuna giustificazione  adducono per la scelta di incardinare in servizio il ricorrente a Latina, anziché a Genova, sono perciò illegittimi sotto i profili evidenziati e  meritano, per la corrispondente parte, l’annullamento.

     In base agli stessi principi era invece infondata la domanda relativa alla qualifica riconosciuta al ricorrente. Questi, infatti, al momento del primo provvedimento di destituzione (16.11.1987), aveva la qualifica di agente, essendo stato escluso dagli scrutini per il conferimento della qualifica di agente scelto, con provvedimento del 25.6.1987: era pertanto con la medesima qualifica posseduta al momento della cessazione dal servizio che egli doveva essere riammesso in ruolo, restando escluso qualsiasi obbligo per l’amministrazione di provvedere alla ricostruzione della carriera interrotta.

     Per quanto riguarda la decorrenza delle competenze economiche, osservava il Collegio che il pubblico dipendente già destituito, che a domanda fosse riammesso in servizio in forza della legge più volte citata, aveva diritto alla restitutio in integrum nel senso che gli effetti retributivi connessi al beneficio medesimo erano ricollegati non già al momento della destituzione, ma esclusivamente alla presentazione della domanda di riammissione, che era l’effettivo momento genetico del radicarsi ex novo del rapporto di lavoro (così Cons. Stato, Sez. V, 16.4.1998, n. 458), soprattutto qualora, come nella fattispecie, il successivo procedimento disciplinare si fosse concluso con provvedimento annullato in sede giudiziale.

     Deve pertanto escludersi che al Sella dovesse essere riconosciuta la decorrenza delle competenze arretrate dalla data dell’effettiva cessazione dal servizio: queste dovevano, invece, in accoglimento della richiesta avanzata in via subordinata dallo stesso ricorrente, essergli corrisposte a far data dal centottantesimo giorno successivo alla richiesta di riammissione in servizio (cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 26.5.1999, n. 686).

     Per quanto infine concerne la domanda di annullamento della sottoposizione alla visita medica, ne va dichiarata l’inammissibilità, dal momento che, come espone lo stesso ricorrente, tale visita egli aveva pienamente superato già in data antecedente alla proposizione del ricorso, risultando idoneo all’impiego.

     Appella l’Amministrazione deducendo i seguenti motivi:

     1. Il Tar ha errato nel ritenere che il ricorrente dovesse essere assegnato alla sede di Genova. La sentenza, in relazione alla formulazione dell’art.10, comma 4, l.19\90, non ha tenuto conto che al momento della riassunzione in servizio dopo il considerevole periodo di 15 anni, la scelta della sede di servizio non poteva prescindere dalle esigenze attuali di servizio e dagli organici dei singoli uffici. Non sussiste, nella specie, un diritto alla piena “restitutio in integrum” a seguito della riammissione in servizio, anche perché, sulla base del provvedimento adottato, sono stati assunti, nel tempo ulteriori provvedimenti volti a coordinare le esigenze di servizio delle sedi interessate. Il dipendente non è titolare di un diritto soggettivo alla reintegrazione nella sede dove prestava servizio ma solo di un interesse legittimo a veder soddisfatta la propria aspirazione di sede non appena le esigenze di servizio lo consentissero, anche in relazione alle concorrenti aspirazioni di altri pari qualifica. In materia di assegnazione del personale, la p.a. è tenuta a considerare come prevalenti le esigenze di servizio che, pertanto, costituiscono elemento di valutazione prioritaria rispetto alle istanze dei dipendenti. La scelta della sede di servizio rientra tra i poteri più propriamente discrezionali dell’amministrazione che deve in primo luogo ispirarsi alle esigenze organizzative generali della struttura. Con la l.1.4.81 n.121 e col DPR 24.4.82, n.335, è stata dettata un nuova disciplina per gli appartenenti alla P.S. che, seppure improntata a maggior tutela delle posizioni individuali dei dipendenti, rimane tuttavia caratterizzata da limitazioni non previste per il personale civile dello Stato, corrispondente al predetto potere ampiamente discrezionale.

     2. In ordine alla decorrenza delle competenze economiche, è sfuggito al Tar che la posizione del dipendente, destituito di diritto nel 1987 ai sensi del disposto di cui all’art.8, lett.a) del DPR 737\81, si è definita solo con la conclusione del procedimento disciplinare, instaurato, secondo quanto previsto dall’art.10 l.19\90, a seguito dell’istanza di riammissione in servizio presentata dal ricorrente. E’ a questo momento che può farsi risalire la decorrenza delle competenze economiche, tenendo presente che nel periodo intercorrente tra la data di cessazione dal servizio conseguente alla destituzione di diritto e quella della conclusione dell’iter disciplinare avviato per effetto della domanda di riammissione, il dipendente non aveva prestato attività lavorativa, non era titolare di alcuna situazione giuridica soggettiva diversa dalla mera aspettativa, né poteva vedersi riconosciuto alcun diritto, atteso che la sua posizione giuridica doveva essere definita. L’Amministrazione a conclusione dell’iter disciplinare avrebbe potuto determinarsi a favore del dipendente, che pertanto solo da quel momento sarebbe stato riammesso in servizio. Al contrario, nel caso di specie, l’istanza di riammissione presentata dal Sella non ha trovato esito favorevole. La l.19\90 nel disporre che il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale, stabilisce che la riammissione dei dipendenti già destituiti di diritto è “concessa solo all’esito del procedimento disciplinare” e solo a conclusione di questo può definirsi la posizione dell’interessato. Nessun diritto può vantare il ricorrente per il periodo ritenuto dal Tar cioè dal 180° giorno dall’istanza di riammissione, mente gli emolumenti spettanti sono già stati correttamente corrisposto dal 5.4.94, data di notifica del provvedimento di destituzione e del provvedimento di rigetto della domanda di riammissione successivamente annullato dal Tar con sentenza 80\97.

     Si è costituito il Sella argomentando con memorie circa l’infondatezza dell’appello.

     DIRITTO

     1. Il primo motivo di appello, relativo al capo di sentenza con cui è stabilita la fondatezza della pretesa del ricorrente a vedersi confermata la sede di ultima prestazione di servizio in occasione della riammissione al servizio stesso disposta a seguito di istanza avanzata ai sensi dell’art.10 della legge n.19 del 1990, è inammissibile per difetto di interesse, come eccepito dalla difesa dell’originario ricorrente.

     L’adito Tribunale, infatti, ha accolto il motivo di censura espresso nel ricorso di primo grado essenzialmente sotto il profilo della carenza di motivazione in ordine alle esigenze di servizio e ai corrispondenti motivi di pubblico interesse giustificanti, in ipotesi, l’assegnazione, in occasione della riammissione in servizio, di una sede diversa da quella di originaria prestazione, anteriore all’interruzione del servizio afferente alla disposta destituzione.

     Tale profilo di accoglimento, idoneo a sorreggere di per sé la statuizione di annullamento “in parte qua” adottata dal giudice di prime cure, non è stato effettivamente censurato in appello, onde, come eccepito dalla difesa del resistente, la contestazione mossa ora dall’Amministrazione non è sufficiente a caducare il punto di decisione qui in discussione.

     E’ d’altra parte evidente che, (per quanto svolto su un piano diverso dal tenore della statuizione censurata), anche l’assunto che contraddistingue le censure mosse in appello, relativo al potere dell’Amministrazione di tenere prevalentemente conto delle proprie esigenze organizzative, ai fini della determinazione “discrezionale” della sede da assegnare in seguito a riammissione in servizio ex art.10 citato, non è stato negato dalla pronuncia impugnata che ha soltanto rilevato la totale assenza di un’esternazione motivazionale di dette esigenze, con rilievo che, come evidenziato, non è stato oggetto di censura in appello.

     2. Il secondo motivo di appello è invece infondato.

     E’ principio consolidato in giurisprudenza che l’art.10, comma 3, L. 7 febbraio 1990, n.19, assegna all’Amministrazione un termine di 90 giorni per la prosecuzione o la promozione del procedimento disciplinare e un termine ulteriori di 90 giorni per la sua conclusione, per cui la somma di tali termini costituisce indispensabile “spatium deliberandi” che non può essere sottratto all’Amministrazione ai fini dell’adozione delle determinazioni di sua competenza, con la conseguenza che è solo dall’esaurirsi di tale arco di tempo che sorge il diritto del dipendente a vedersi reintegrato nella posizione giuridica ed economica spettategli ai sensi dell’art.10, comma 4, della legge stessa. (V 16 aprile 1998, n.458, VI 29 maggio 1999, n.686, IV 18 ottobre 2002, n.5748, IV 28 gennaio 2003, n.310).

     I principi così enunciati sono stati correttamente applicati dal giudice di prime cure, che, nel censurare la decorrenza degli emolumenti arretrati operata nel provvedimento qui impugnato, ha infatti puntualmente richiamato le suddette decisioni del 1998, V Sezione, e del 1999, di questa Sezione.

     Va dunque ribadito che, nel caso in esame, gli effetti economici della riammissione retroagivano allo spirare del suddetto termine di 180 giorni decorrenti dall’originaria domanda di riammissione in servizio avanzata dall’attuale resistente, come ritenuto nella sentenza appellata; a nulla rilevano, infatti, i provvedimenti di destituzione adottati in sede disciplinare se si considerano, come era dovuto da parte dell’Amministrazione, gli effetti caducatori ex tunc delle sentenze definitive del giudice amministrativo che avevano annullato tali provvedimenti disciplinari. E’ evidente che la mancata prestazione del servizio non costituisce un ostacolo, sul piano logico e normativo, alla corresponsione degli arretrati, essendo dovuta proprio al comportamento dell’Amministrazione stessa che è stato ritenuto illegittimo in sede giurisdizionale.

     L’appello va pertanto per intero respinto.

     Giusti motivi consigliano di compensare le spese del presente grado di giudizio tra le parti costituite.   

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe, confermando la sentenza impugnata.                        

     Compensa le spese di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, il 27.2.2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giovanni Ruoppolo   Presidente

Carmine Volpe   Consigliere

Giuseppe Romeo   Consigliere

Luciano Barra Caracciolo  Consigliere Est.

Lanfranco Balucani   Consigliere 
 

Presidente

GIOVANNI RUOPPOLO

Consigliere       Segretario

LUCIANO BARRA CARACCIOLO   MARIA RITA OLIVA 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il....17/04/2007

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 9819/2002


 

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