REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.1745/2007

Reg.Dec.

N. 10603 Reg.Ric.

ANNO   2002

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da Ministero dell’interno in persona del Ministro pro-tempore rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è ope legis domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12;

contro

...omissismsmvld.... ...omissismsmvld.... non costituito in giudizio;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia Sezione I n.3342  del 10 settembre 2002;

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Alla pubblica udienza del 27 febbraio 2007 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo.

     Udito l’avv. dello Stato Colelli; 

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

     Con la sentenza in epigrafe il Tar della Lombardia ha accolto il ricorso  proposto da ...omissismsmvld.... ...omissismsmvld...., ispettore della Polizia di Stato, avverso il decreto del Questore di Lecco del 30 gennaio 2001 con cui gli era stata inflitta la sanzione del richiamo scritto, in quanto avrebbe trattato una pratica di denunzia possesso armi in modo errato, sulla base di un’interpretazione normativa non corretta, incorrendo in comportamento negligente ai sensi dell’art.3, punto 2, del DPR 737\81.

     L’adito Tribunale riteneva fondato il primo motivo di censura, non potendo qualificarsi come negligenza in servizio la non corretta interpretazione delle norme, salvo che fosse dimostrata l’esistenza di direttive o disposizioni specifiche impartite dai superiori in ordine all’interpretazione dell’art.38 TULPS. In assenza di tale dimostrazione considerato che non poteva farsi carico al dipendente di stabilire le modalità di inoltro delle denunzie, tanto più che pareva esistere un prassi in senso difforme o quantomeno non omogenea presso la Questura di Lecco (dichiarazione assistente Santoro), il comportamento del ricorrente non poteva ricondursi ad una violazione generica di norme di diligenza. L’organizzazione degli uffici presupponeva che fossero stabilite le norme cui i dipendenti devono attenersi nello svolgimento dei loro compiti, soprattutto quando coinvolgevano soggetti esterni ai quali era necessario indicare gli adempimenti esatti da seguire; solo allorché non fossero applicate siffatte direttive i dipendenti potevano essere censurati, essendo certo che non fosse possibile lasciare loro l’interpretazione autonoma di norme riguardanti anche terzi estranei all’Amministrazione.

     Appella l’Amministrazione deducendo i seguenti motivi:

     Il Tar si è limitato a recepire acriticamente la censura ex adverso formulata nel primo motivo, ritenuta invece priva di fondamento dal Consiglio di Stato in sede di accoglimento dell’appello cautelare. Il DPR n.737\81, in materia disciplinare, dispone che il personale di P.S. che violi i doveri generici e specifici del servizio e della disciplina indicati dalla legge, dai regolamenti o conseguente alla emanazione di un ordine, qualora i fatti non costituiscono reato, commette infrazione disciplinare, punibile a seconda della sua gravità. La denuncia di possesso di armi non è una semplice comunicazione come sostenuto dal ricorrente, ma una dichiarazione con cui un cittadino porta a conoscenza dell’autorità di P.S. competente del possesso di armi, munizioni o esplosivi, provocandone l’esercizio di verifica. La denuncia ha le stesse finalità della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà la quale, ai sensi dell’art.3 DPR n.403\98 “deve essere firmata dinnanzi al dipendente addetto, ove fosse presentata da altra persona, o inviata a mezzo posta o fax, dovrà essere allegata la fotocopia di un documento d’identità della persona che sottoscrive la dichiarazione”. Il concetto di negligenza indica solitamente un atteggiamento passivo e\o omissivo nei confronti di obblighi o doveri di “fare”, comunque una grave disattenzione o dimenticanza: quando l’atteggiamento passivo trascura obblighi di ufficio non può che parlarsi di negligenza in servizio.

     Di ciò si è reso responsabile l’...omissismsmvld....: infatti la dichiarazione resa ad un pubblico ufficiale implica che la stessa sia sottoscritta in sua presenza previo accertamento della identità della persona che la sottoscrive, dovere che l’...omissismsmvld.... ha omesso di adempiere, e tale modalità è prevista non solo nel caso in cui la dichiarazione sia inviata tramite servizio postale unitamente alla fotocopia di valido documento d’identità del sottoscrittore. Qui un ispettore della P.S. che in qualità di addetto all’Ufficio Armi della Divisione polizia amministrativa e sociale, nell’accettazione di una pratica di denuncia di detenzione di armi, presentata da una terza persona per conto dell’effettivo possessore delle armi, ometteva di accertare l’effettiva identità di quest’ultimo, ha evidenziato negligenza in servizio, comportamento riconducibile, nel discrezionale apprezzamento del fatto da parte dell’Amministrazione, all’art3, n.2, del DPR n.737\81. Esclusa la irragionevolezza o ingiustizia del provvedimento sanzionatorio, appartiene alla sfera insindacabile del merito ogni valutazione in ordine alla adeguatezza della sua misura. L’Amministrazione, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, nell’irrogare la sanzione, ha considerato non solo “l’errata interpretazione delle norme che disciplinano la materia della detenzione delle armi”, ma anche la superficiale conoscenza dei doveri e degli obblighi connessi alla sua qualifica di pubblico ufficiale.

     Infondata è poi l’ulteriore censura del ricorso di primo grado per cui il provvedimento impugnato non avrebbe espressamente richiamato le norme che si pretederebbero violate e in osservanza delle quali avrebbe dovuto comportarsi, emergendo dal provvedimento chiaramente i riferimenti normativi che hanno indotto l’Amministrazione a decidere, a conclusione di un articolato procedimento in cui si è esaminata analiticamente la posizione del dipendente e le circostanze ritenute rilevanti. In un regolare procedimento ai sensi del DPR n.737\81, con adeguata istruttoria, al ricorrente è stato garantito il pieno rispetto del diritto di difesa (invio rituale della contestazione degli addebiti e presentazione delle giustificazioni).

     Infondata anche la doglianza in merito alle reali ragioni di adozione del provvedimento, riconducibili, per il ricorrente, all’invidia dei colleghi per il positivo giudizio espresso dai superiori nei suoi confronti. Nel caso, il titolare della potestà disciplinare si è attenuto scrupolosamente alla previsione dell’art.14 DPR cit., vagliando accuratamente addebiti e giustificazioni, e tutti gli elementi della fase istruttoria al termine della quale ha derubricato la sanzione inizialmente proposta, pena pecuniaria, in una minore, richiamo scritto, indicando puntualmente le ragioni determinanti di ciò.

     Nessuno si è costituito per l’originario ricorrente.

DIRITTO

     Come ribadisce l’appello, e come emerge dalla lettura del “clou” della motivazione del provvedimento qui contestato, al ricorrente è stato in essenza contestato di aver omesso di accertare l’identità dell’effettivo possessore delle armi e sottoscrittore della denuncia ex art.38 TULPS presentata da terzo, non avendo disposto che la sottoscrizione avvenisse in sua presenza o che, comunque, il terzo allegasse la fotocopia di un documento del sottoscrittore.

     Che in ciò sia ravvisabile una negligenza non sarebbe compiutamente dimostrato, per il giudice di prime cure, posto che, da un lato, lo stesso provvedimento fa riferimento alla prassi accertata in base alla testimonianza assunta nel corso dell’istruttoria, (che aveva evidenziato come “in alcuni casi viene accettata la denuncia anche se presentata da terza persona, ove questa sia conosciuta all’Ufficio e si possano confrontare le firme già apposte su precedenti denunce”, precedente denuncia che, in effetti, nelle sue giustificazioni, il ricorrente aveva affermato di aver acquisito), e che, d’altro lato, non sussistevano direttive o specifiche disposizioni impartite dai superiori in ordine alla interpretazione del citato art.38 del TULPS.

     Va per contro osservato che l’impugnato provvedimento ha bensì reso conto dell’effettiva vigenza della prassi suddetta (citando le dichiarazioni rese da altro addetto all’Ufficio), ma ha evidenziato, a carico del ricorrente, una modalità applicativa delle disposizioni in tema di denuncia non conforme ai criteri accertativi dell’identità dei soggetti coinvolti imposti dalle disposizioni vigenti in tema di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi dell’art.3 del DPR n.403 del 1998, (ora artt. 47 e 38 del DPR 28 dicembre 2000, n.446).

     Tali disposizioni sono richiamate non nei loro estremi di identificazione normativa, ma nella loro sostanza precettiva nel terzo “considerato” del provvedimento impugnato.

     In sostanza, la negligenza è nel caso da ricondurre alla omessa piena applicazione della citata disciplina relativa alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, individuata nelle citate disposizioni, e non tanto nell’erronea applicazione dell’art.38 del TULPS.

     Orbene, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza appellata, le possibili prassi diversamente seguite dagli uffici, non impingono sulla piena applicabilità della disciplina in tema di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, in definitiva contestata nel caso in esame: infatti, l’art.38 del TULPS, riferendosi espressamente ad una “denuncia”, esigeva, in prima battuta, che non potesse mancare la presenza fisica del dichiarante di fronte al soggetto preposto, appartenente all’Ufficio di P.S..

     L’ipotesi della presentazione da parte di terzi della medesima denuncia dunque appare di per sé non contemplata dalla previsione del TULPS, e configurabile soltanto come un’estensione delle facoltà dell’obbligato alla dichiarazione consentita “aliunde”, cioè in base ad una distinta disciplina normativa di compatibile applicazione, per la sua portata generale in tema di procedure amministrative, individuabile proprio nelle disposizioni in tema di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. 

     Nell’ipotesi qui considerata dunque, intanto la “denuncia” sarebbe stata legittimamente sottoscritta dall’interessato e consegnata da un terzo, in quanto le previsioni del TULPS fossero state integrate dalla disciplina di semplificazione documentale in questione, la quale peraltro, non poteva che essere applicata nella sua interezza, non potendo il dipendente preposto ignorarla e consentirne un’applicazione priva di un elemento fondamentale, qualificante la fattispecie della presentazione da parte di terzi come dotata della certezza di provenienza, (nel caso la simultanea presentazione di una fotocopia di un “documento di identità del sottoscrittore”, elemento puntualmente richiamato nel provvedimento impugnato).

     Tale adempimento doveva ritenersi obbligatorio e noto al dipendente preposto, derivando da una disciplina che non solo risulta di comune applicazione negli uffici amministrativi competenti a ricevere la dichiarazioni previste dalla legislazione amministrativa in generale, ma che, oltretutto, costituiva il presupposto indispensabile per ampliare le modalità di presentazione personale della denuncia altrimenti previste dall’art.38 del TULPS, senza che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, potesse invocarsi la prevalenza di una prassi in senso attenuativo ovvero che il disposto normativo in tema di dichiarazione sostitutiva dovesse essere integrato con le opportune disposizioni esplicative da parte degli organi gerarchicamente preposti.

     Poiché dunque le modalità applicative della disciplina in tema di dichiarazione sostitutiva dovevano ritenersi di essenziale rilevanza nel caso di mancata presentazione personale della “denuncia”, l’omesso riscontro del pieno rispetto delle medesime, contestato nell’ambito disciplinare qui in rilievo, appare un comportamento effettivamente riconducibile alla contestata “negligenza in servizio”.

     Nel caso la “scarsa preparazione” del ricorrente e la pur possibile “errata interpretazione delle disposizioni in materia” non valgono a impedire la configurabilità dell’infrazione, ma solo, esattamente come ha fatto il provvedimento impugnato, a costituire motivi di attenuazione della responsabilità disciplinare, sanzionata appunto con una misura di lieve entità, come evidenzia l’appello in esame.

     La mancata costituzione dell’originario ricorrente esime dall’esaminare le censure assorbite in primo grado.

     All’accoglimento dell’appello nei sensi che precedono, può accompagnarsi la compensazione delle spese per entrambi i gradi di giudizio attesa la peculiarità della fattispecie.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe, annullando per l’effetto la sentenza impugnata.                        

     Compensa le spese di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, il 27.2.2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giovanni Ruoppolo   Presidente

Carmine Volpe   Consigliere

Giuseppe Romeo   Consigliere

Luciano Barra Caracciolo  Consigliere Est.

Lanfranco Balucani   Consigliere 
 

Presidente

GIOVANNI RUOPPOLO

Consigliere       Segretario

LUCIANO BARRA CARACCIOLO   MARIA RITA OLIVA 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il....17/04/2007

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 10603/2002


 

FF