N.1212/2009

Reg. Dec.

N. 3973 Reg. Ric.

Anno 2006 
 

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

     sul ricorso in appello n. 3973 del 2006, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la stessa domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

contro

     il sig. @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avv.ti -

avverso e per l’annullamento e/o la riforma

     della sentenza nr. 205/06 del 10 gennaio 2006, notificata il 7 febbraio 2006, del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. I-quater, resa inter partes.

      Visto il ricorso con i relativi allegati;

      Visti l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale dell’appellato @@@@@@@;

      Visti gli atti tutti della causa;

      Relatore, all’udienza pubblica del 27 gennaio 2009, il Consigliere -

      Ritenuto e considerato quanto segue:

F A T T O

      Il Ministero della Giustizia ha impugnato, chiedendone l’annullamento, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, accogliendo il ricorso proposto dal sig. @@@@@@@ @@@@@@@, assistente capo del Corpo di Polizia Penitenziaria, ha annullato il decreto con il quale a quest’ultimo era stata inflitta la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.

      A sostegno dell’appello, il Ministero denuncia l’erroneità della sentenza impugnata per avere il giudicante travalicato i limiti del proprio sindacato giurisdizionale, che non gli avrebbero consentito di censurare il merito della valutazione discrezionale condotta dall’Amministrazione in ordine all’idoneità delle condotte ascritte al @@@@@@@ a denotarne la carenza dei requisiti indispensabili al mantenimento in servizio; in ogni caso, ha evidenziato come tale valutazione non potesse considerarsi né illogica né immotivata, tenuto conto dell’estrema gravità della condotta attribuita al @@@@@@@.

      La medesima sentenza è stata impugnata in via incidentale dal sig. @@@@@@@ @@@@@@@, nella parte in cui il T.A.R. ha ritenuto infondato il motivo di ricorso denunciante il mancato rispetto dei termini previsti dall’art. 9 della legge 7 dicembre 1990, nr. 19, per la conclusione del procedimento disciplinare.

      Al riguardo, il @@@@@@@ ha lamentato l’erroneità della sentenza de qua, per avere ritenuto i termini suindicati meramente ordinatori, con ciò distaccandosi dal costante indirizzo giurisprudenziale.

      All’udienza del 27 gennaio 2009 la causa è stata ritenuta per la decisione.

D I R I T T O

      1. La Sezione ritiene che debba essere prioritariamente esaminato l’appello incidentale proposto dal sig. @@@@@@@ @@@@@@@.

      è pur vero che detto appello si autoqualifica come “subordinato”, e che il @@@@@@@ dichiara espressamente di impugnare la sentenza in epigrafe per la (da lui) denegata ipotesi di accoglimento del gravame principale proposto dal Ministero della Giustizia: tuttavia, è principio pacifico che, in caso di appello incidentale improprio, perché vertente su capi autonomi dell’impugnata sentenza e sostenuto da un interesse proprio, devono essere esaminate prioritariamente le questioni con esso sollevate se in ordine logico assumono carattere pregiudiziale rispetto a quelle introdotte con l’impugnazione principale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre 2007, nr. 5742; id. 10 ottobre 2007, nr. 5310; id. 11 aprile 2007, nr. 1603).

      Tale ipotesi indubbiamente ricorre nel caso di specie, in quanto l’appellante incidentale censura un capo della sentenza impugnata non oggetto di gravame da parte dell’Amministrazione (non soccombente sul punto), ed ha un autonomo interesse a veder dichiarare l’illegittimità del procedimento disciplinare subito per vizi procedurali, prima e indipendentemente dalle doglianze che egli stesso ha articolato nel merito della sanzione inflittagli.

      In sostanza, per effetto dei due appelli, principale e incidentale, l’intero thema decidendum del giudizio di primo grado torna all’attenzione del giudice di appello: ciò che consente di esaminare le questioni secondo la tassonomia loro propria, tenuto conto che l’eventuale fondatezza della doglianza qui riproposta con l’appello incidentale, avente carattere procedimentale, sarebbe assorbente di ogni altra censura contenuta nel ricorso di primo grado.

      2. Tanto premesso, giova premettere che il presente giudizio ha a oggetto la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio inflitta dal Ministero della Giustizia al sig. @@@@@@@, assistente capo del Corpo di Polizia Penitenziaria, a seguito del procedimento penale da lui subito per il reato di tentato omicidio (poi derubricato in lesioni personali aggravate) in conseguenza di un conflitto a fuoco da lui ingaggiato, a mezzo della propria pistola d’ordinanza, con un vicino di casa col quale era venuto a diverbio per banali questioni di viabilità.

      3. Con l’appello incidentale, il @@@@@@@ ripropone la doglianza – esaminata prioritariamente anche dal primo giudice – relativa alla prospettata violazione dell’art. 9, comma II, della legge 7 dicembre 1990, nr. 19, stante il mancato rispetto dei termini previsti da tale norma che impone all’Amministrazione di avviare il procedimento disciplinare entro 180 giorni dalla data in cui ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna, e quindi di concluderlo nell’ulteriore termine di 90 giorni.

      La censura è fondata.

      Ed invero, risulta incontestato che nella fattispecie il provvedimento di destituzione sia intervenuto oltre la scadenza del termine complessivo di 270 giorni a partire dalla data in cui il Ministero della Giustizia aveva avuto formale conoscenza del passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’appello di Napoli con la quale, in riforma di precedente pronuncia del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, al @@@@@@@ era stata applicata la pena concordata di due anni e sei mesi di reclusione per l’imputazione di lesioni personali aggravate.

      Tuttavia, la sentenza appellata ha ritenuto, in dichiarata “rilettura” della norma rispetto all’interpretazione dominante, di poter qualificare i termini in questione come ordinatori, anziché perentori; tale interpretazione si giustificherebbe anche in considerazione dell’estrema delicatezza della vicenda all’attenzione dell’Amministrazione  e dell’estrema rilevanza della sanzione da infliggere, tale da imporre un maggiore approfondimento dei fatti.

      Il Collegio non condivide tale impostazione, essendo evidente che in tutti i casi del genere la possibile conseguenza per il dipendente, concretandosi nella perdita del posto di lavoro, riveste estrema rilevanza, e i fatti che danno avvio al procedimento disciplinare, proprio in quanto idonei a determinare la destituzione e a formare oggetto di un distinto procedimento penale, si connotano di gravità e delicatezza.

      Malgrado ciò, i termini di cui al ridetto art. 9, comma II, della legge 7 dicembre 1990, n. 19 sono stati ritenuti perentori per l’Amministrazione, anche sulla scorta di una pronuncia della Corte Costituzionale intervenuta in materia (sent. 28 maggio 1999, nr. 187), trattandosi – come peraltro riconosciuto dallo stesso giudice di primo grado – di garantire il diritto costituzionalmente protetto del dipendente alla prosecuzione dell’attività lavorativa, il quale non tollererebbe di essere mantenuto in una condizione indefinita di incertezza (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 25 gennaio 2000, nn. 4 e 6; Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2007, nr. 347; Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, nr. 3546; id. 17 settembre 2002, nr. 4665).

      Per completezza espositiva, va aggiunto che, sempre a mente del consolidato orientamento giurisprudenziale e del ricordato intervento della Corte Costituzionale, l’unico caso diversamente inquadrabile sarebbe quello in cui la sentenza riportata dal dipendente sia non di condanna, ma di applicazione di pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p.: in questa ipotesi, invero, la mancanza di un accertamento giudiziale dei fatti che possa far stato nel procedimento disciplinare, e la conseguente necessità di autonomi accertamenti da parte dell’Amministrazione procedente, comportano l’applicabilità non dei termini perentori de quibus, ma dei termini “dinamici” di cui all’art. 120 del d.P.R. 10 gennaio 1957, nr. 3 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 2008, nr. 3102; Cons. Stato, sez. VI, 21 febbraio 2008, nr. 624; id. 30 ottobre 2006, nr. 6448; id. 14 dicembre 2005, nr. 7105; Cons. Stato, sez. IV, 5 ottobre 2005, nr. 5362).

      Nel caso che occupa, il fatto che nei confronti del @@@@@@@ risulti passata in giudicato una sentenza di applicazione di pena in appello non autorizza, tuttavia, l’applicabilità della deroga testé richiamata: infatti, il cd. patteggiamento in appello, per come disciplinato dagli artt. 599, comma IV, e 602 c.p.p., si configura piuttosto come un accordo tra le parti sui motivi di appello, con la rinuncia a taluni di essi e l’accoglimento di altri, segnatamente quelli relativi alla quantificazione della pena.

      Pertanto, in tale ipotesi resta applicabile il “regime” di cui all’art. 9, comma II, della l. 7 dicembre 1990, n. 79, anche perché la sentenza d’appello segue a un giudizio di primo grado svoltosi con rito ordinario, nell’ambito del quale vi è stato un accertamento di fatto che la successiva decisione d’appello concordata consolida, piuttosto che obliterare.

      4. L’acclarata fondatezza dell’appello incidentale, comportando – come sopra anticipato – l’accertamento di un vizio procedurale assorbente, rende manifestamente improcedibile l’appello principale dell’Amministrazione, esonerando la Sezione dall’esame critico delle argomentazioni che il primo giudice ha ritenuto di svolgere nel merito della valutazione che la stessa Amministrazione aveva formulato sulla condotta (sicuramente grave) del @@@@@@@, e sulle conseguenze disciplinari che ne aveva tratto.

      5. In considerazione della peculiarità della vicenda affrontata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV:

      Compensa tra le parti le spese di giudizio.

      Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 gennaio 2009 con l’intervento dei signori:

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     L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE

       -

                                         IL SEGRETARIO

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                                                                                                                      N.R.G. 3973/2006