REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.2038/2009

Reg.Dec.

N. 6166 Reg.Ric.

ANNO   2004

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 6166/2004, proposto dal Ministero dell’Interno in persona del Ministro in carica rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma Via dei Portoghesi n. 12

contro

il sig. @@@@@@@ @@@@@@@ rappresentato e difeso dagli Avv.ti -

per l’annullamento o la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma, Sezione I ter, n. 1263 in data 10 febbraio 2004;

     Visto il ricorso con relativi allegati;

     Visto l'atto di costituzione in giudizio del sig. @@@@@@@ @@@@@@@;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Visti gli atti tutti di causa;

     Relatore alla pubblica udienza del 24 febbraio 2009 il Consigliere -

     Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

     Con ricorso al Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma il sig. @@@@@@@ Greco, ispettore capo della Polizia di Stato, impugnava il provvedimento in data 22/12/1994 con il quale il Capo della Polizia gli aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per due mesi.

     Lamentava eccesso di potere sotto diversi profili, violazione del diritto alla difesa, violazione degli artt. 1, 11, 14, 19, 20 e 21 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, e dell’art. 117 T.U.I.C.S., chiedendo quindi l’annullamento del provvedimento impugnato.

     Con la sentenza in epigrafe il Tribunale Amministrativo per il Lazio, sede di Roma, Sezione I ter, accoglieva il ricorso, annullando, per l’effetto, il provvedimento impugnato.

     Avverso la predetta sentenza insorge il Ministero dell’Interno chiedendo il suo annullamento o riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado.

     Si è costituito in giudizio il sig. @@@@@@@ @@@@@@@, chiedendo la declaratoria dell’inammissibilità ovvero il rigetto dell’appello.

     Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

     L’appellato sostiene l’inammissibilità dell’appello in quanto l’amministrazione appellante non avrebbe confutato tutte le argomentazioni della sentenza di primo grado.

     In particolare l’appellante non avrebbe contestato l’affermazione dei primi giudici secondo la quale l’amministrazione avrebbe proceduto nei confronti dell’appellato senza concreti elementi a suo carico.

     La tesi non può essere condivisa in quanto i primi giudici legano l’affermazione sopra riportata alla problematica dell’assunzione dello status di imputato che, a loro avviso, conseguirebbe anche alla mera sottoposizione ad indagini preliminari; in sostanza, secondo il TAR, l’amministrazione doveva sospendere il procedimento, a seguito della sottoposizione dell’appellato ad indagini penali, per riprenderlo una volta terminato il processo, arricchito delle sue acquisizioni.

     Può infatti leggersi, nella sentenza gravata, l’affermazione secondo la quale le valutazioni circa la responsabilità dell’appellato si sono basate su indagini e deduzioni che hanno anticipato il giudizio penale.

     Giustamente, quindi, l’appellante ha attaccato principalmente il fulcro del ragionamento dei primi giudici.

     Nel merito, l’appello è fondato.

     Il problema dell’individuazione del momento nel quale il pubblico dipendente assume la qualità di imputato, per cui il procedimento disciplinare eventualmente aperto nei suoi confronti per gli stessi fatti deve essere sospeso, è stato recentemente risolto dall’Adunanza Plenaria che, con decisone n. 1 in data 30 gennaio 2009, ha stabilito che l’esercizio dell’azione penale, ai sensi degli artt. 60 e 405 del codice di procedura penale, si realizza con la richiesta del Pubblico Ministero di rinvio a giudizio a norma dell’art. 416 dello stesso codice e con gli altri atti con i quali si chiede al giudice di decidere sulla pretesa punitiva.

     Applicando il principio affermato dalla Plenaria, che il collegio condivide, al caso di specie, deve essere rilevato che la vicenda disciplinare si è concluso prima della richiesta di rinvio a giudizio dell’odierno appellato, per cui giustamente l’amministrazione non ha ravvisato l’esistenza del presupposto per la sua sospensione.

     L’appellato obietta che, comunque, la fattispecie non evidenziava alcuna sua responsabilità e la mancata sospensione del procedimento gli ha impedito di avvalersi della positiva conclusione del processo penale.

     La tesi non può essere condivisa.

     L’appellante nel corso del procedimento penale non ha contestato di essersi interessato a pratiche amministrative di competenza dell’Ufficio in favore di soggetti in contatto con la malavita; ha solo sostenuto di averlo fatto per eccesso di cortesia e senza sapere dei loro contatti.

     Osserva il collegio che tali circostanze sono state presumibilmente tenute presenti dal giudice penale; peraltro, non appare affatto illogica la scelta dell’amministrazione, che ha considerato inopportuno il comportamento dell’appellato, il quale non ha adeguatamente accertato chi fossero le persone per le quali interveniva.

     L’appellato si duole della mancata contestazione espressa dell’episodio sul quale si è basato il provvedimento disciplinare.

     La doglianza non può essere condivisa in quanto l’allegato 3 della produzione della difesa erariale in primo grado dimostra come al ricorrente sia stato contestato anche lo specifico comportamento in base al quale gli è stata comminata la sanzione.

     L’appellante lamenta, infine, che la commissione di disciplina non abbia partitamene preso in considerazione i diversi capi d’accusa; in tal modo non ha potuto tenere nella debita considerazione la sua estraneità ad alcuni.

     Neanche questa censura può essere condivisa.

     La mancanza addebitata all’appellato è palesemente idonea a sorreggere il provvedimento sanzionatorio, di media gravità, per cui l’incidenza dell’irregolarità lamentata non risulta affatto con evidenza, come preteso dall’appellato.

     L’appello in epigrafe deve, in conclusione, essere accolto e, in riforma della sentenza gravata, respinto il ricorso di primo grado.

     Le spese possono essere integralmente compensate, in ragione delle oscillazioni giurisprudenziali.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie l’appello in epigrafe e, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado.

     Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite.

     Ordina che la decisione venga eseguita in via amministrativa.

     Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2009 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

-
 

Presidente

-

Consigliere       Segretario 
 

-

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il...01/04/2009

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione


 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 6166/2004


 

CA