N.  2438/08

Reg.Dec.

N. 4684 Reg.Ric.

ANNO 2003 
 

          

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

       Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.4684 del 2003 proposto da @@@@@@@@ @@@@@@@@, rappresentato e difeso dall’avv. ....

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., e la Questura di Catanzaro, in persona del Questore p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici  sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n.12;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, n.883/2003 in data 27 marzo 2003, resa tra le parti;

    Visto il ricorso con i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ Amministrazione dell’Interno;

    Visti gli atti tutti della causa;

    Alla pubblica udienza del 4 marzo, relatore il consigliere ....., udito l’avvocato dello Stato ....., nessuno è comparso per l’appellante;

    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: 

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso (n.38/2001) proposto al TAR per la Calabria, sede di Catanzaro,  il sig. @@@@@@@@ @@@@@@@@, ispettore superiore della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di P.S. di ......., impugnava  il provvedimento in data 19.11.1999 del Questore di Catanzaro con il quale gli veniva inflitta la sanzione disciplinare del richiamo scritto, nonché il decreto del  Capo della Polizia, datato 3.8.2000, con cui era stato respinto il proprio gravame avverso la sanzione anzidetta; e ciò a conclusione di un procedimento iniziato con una contestazione di addebiti notificata al ricorrente dal competente funzionario istruttore - per il quale, sulla base  della documentazione acquisita, l’ispettore predetto aveva “arrecato grave difficoltà all’Ufficio di appartenenza poiché, nel corso di delicate indagini di P.G. espletate nei confronti di noti pregiudicati della zona, avrebbe tenuto un comportamento censurabile, interferendo nell’attività di P.G”, il che avrebbe integrato gli estremi delle fattispecie previste e sanzionate con la destituzione nell’art.7 n.2 del D.P.R. n. 737/1981 - contestazione a cui erano seguite, poi, le giustificazioni dell’interessato, la relazione conclusiva del funzionario istruttore, la deliberazione della Commissione consultiva richiesta dal Questore e, infine, l’irrogazione nei suoi confronti del richiamo scritto per la seguente mancanza: “teneva un contegno scorretto nei confronti dell’ufficio di appartenenza per essersi messo in contatto telefonico con la Sezione di P.G. del Commissariato di @@@@@@@@, conferendo alla presenza di una persona estranea all’Amministrazione (ed utilizzando l’utenza telefonica di quest’ultima) in merito ad alcune rimostranze, occasionalmente esternategli dal terzi, riferibili all’attività di Polizia Giudiziaria dispiegata nei confronti di quest’ultimo”.

A sostegno del gravame l’istante deduceva, con due motivi di diritto, censure di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n.737/1981 con riguardo di vizi di ordine procedurale e a vizi concernenti il merito della sanzione come sopra inflitta.

Nel giudizio si costituiva l’Amministrazione dell’Interno, che controdeduceva al ricorso contestando i rilievi in esso mossi e concludendo per la sua reiezione.

1.1. Con la sentenza in epigrafe specificata l’adito TAR respingeva il  gravame,  attesa l’infondatezza di ambedue  i motivi in esso prospettati.

1.2. Avverso tale sentenza l’ispettore superiore @@@@@@@@ ha inteposto l’odierno appello, notificato invero irritualmente all’Avvocatura distrettuale di Stato di Catanzaro, deducendo i seguenti motivi di diritto:

a) violazione e falsa applicazione di legge: D.P.R. n.737/81; in quanto il Giudice di primo grado avrebbe disatteso “con una motivazione illegittima” l’applicazione delle norme in materia e in quanto il provvedimento del Questore, impugnato col ricorso originario, non avrebbe rispettato le norme di cui al citato D.P.R., sia con riguardo ai requisiti essenziali ai fini della comminatoria di sanzioni disciplinari, sia con riguardo al procedimento relativo;

b) eccesso di potere: irragionevolezza ed illogicità della decisione e disparità di trattamento; in quanto sarebbe “illegittima” la pronuncia dei primi giudici, non avendo essi rilevato che la condotta del ricorrente non avrebbe concretato alcuna violazione o infrazione, come emerso sia in sede penale che disciplinare.

Nelle conclusioni, l’appellante ha chiesto, quindi, l’annullamento della gravata sentenza, con tutte le conseguenze anche in ordine alle spese.

Si è costituito nel giudizio di appello, con il solo foglio di resistenza, il Ministero dell’Interno.

1.3. Alla pubblica udienza del 4 marzo 2008 la causa è stata, infine, assunta in decisione.

2. Ritiene il Collegio che il ricorso in appello - a prescindere dall’esame dei profili attinenti alla ritualità della sua proposizione - sia nel merito infondato e debba essere, pertanto, respinto.

2.1. Con il primo motivo l’appellante - reiterando nella sostanza i rilievi mossi nel giudizio di prime cure, già motivatamente disattesi dal TAR, e criticando le argomentazioni dallo stesso svolte in proposito -  sostiene in sintesi, che la contestazione degli addebiti nei suoi confronti non sarebbe stata tempestiva rispetto al momento in cui i fatti erano accaduti e non avrebbe chiarito in che modo i fatti stessi potessero configurare una violazione tanto grave, quale quella indicata dall’art.7 n.2 D.P.R. n.731/1981; inoltre il provvedimento impugnato sarebbe risultato inficiato da una grave violazione delle norme procedurali, in quanto, avendo concluso il funzionario istruttore, al termine della sua indagine,  nel senso che  dalle acquisizioni probatorie non emergeva “un comportamento tale da integrare gli estreme della fattispecie contestatagli”, non vi sarebbe stato, di conseguenza, alcun elemento sul quale legittimamente basare un provvedimento sanzionatorio; per cui il Questore avrebbe dovuto procedere nella specie alla ”chiusura del procedimento”, anzichè disporne la prosecuzione, disattendendo così le disposizioni di legge poste a garanzia del soggetto incolpato, col convocare l’apposita Commissione ai fini dell’esame della diversa contestazione prevista dall’art. 3 n.6 del D.P.R. n.731/1981 e senza, peraltro, che il medesimo ne avesse avuto avviso alcuno, subendo così pregiudizio al suo diritto di difesa.

Tali rilievi non possono essere condivisi.

Ed invero, il Collegio - premesso che il funzionario istruttore nella relazione conclusiva trasmessa la Questore di Catanzaro in data 19.7.1999, dopo avere affermato che dalle acquisizioni probatorie non emergevano elementi su cui basare un provvedimento per effetto della contestata violazione indicata dall’art.7 n.2 D.P.R. n.731, sicché doveva escludersi nella specie “la sussistenza della fattispecie contestatagli”, ha anche affermato che nel caso in esame poteva “ravvisarsi un comportamento non conforme alle norme comportamentali, in quanto discutibile e inopportuno è per un operatore di  P.G., il fatto di informarsi su attività di indagini svolte da altri ufficiali di P.G. “-  non può ritenere fondato l’assunto dell’appellante secondo cui l’avviato procedimento disciplinare non avrebbe dovuto proseguire, avendo il funzionario istruttore concluso la sua relazione nel senso accennato (di esclusione della sussistenza della contestata violazione), con conseguente illegittimità della convocazione dell’apposita Commissione consultiva da parte del Questore nonché dell’operato di tale collegio per non avere esso disposto il proscioglimento dell’ispettore in questione.

L’atto di contestazione degli addebiti, infatti, non è caratterizzato - come correttamente osservato dai primi giudici - dalla qualificazione data agli stessi dal funzionario istruttore, nel senso cioè della loro riconducibilità ad una anzichè ad altra fattispecie di infrazione prevista dalla disciplina di settore, quanto piuttosto dall’indicazione  degli specifici fatti attribuiti al dipendente incolpato, costituendo la  concreta riconducibilità degli stessi ad un precisa infrazione disciplinare (con conseguente inflizione della sanzione prevista) un momento successivo a quello della detta contestazione; dal che la conseguenza che la legittimità della procedura disciplinare non può risultare inficiata dall’avvenuta inflizione di una sanzione minore rispetto a quella prefigurata nell’iniziale atto di contestazione.

Nel caso di cui trattasi, pertanto, la sanzione del richiamo scritto deve ritenersi giustamente adottata  sulla base dei fatti  originariamente contestati all’interessato e nessuna  nuova contestazione dei  fatti medesimi era al riguardo necessaria, dopo la determinazione dell’Amministrazione di non volere sanzionare l’infrazione contestata al ricorrente con la destituzione in origine ipotizzata.

Né alcun pregiudizio può ritenersi essere derivato alle garanzie di difesa del ricorrente e, in genere, a quelle procedimentali invocate dall’interessato, dal momento che esse, dalla diversa impostazione accusatoria (di molto attenuata rispetto alla precedente) non sono state affatto lese nei confronti dell’ispettore in questione, il quale è stato posto comunque in condizione di svolgere le proprie difese e rappresentare le proprie tesi, secondo quanto previsto dalle norme di settore dettate a tutela dei dipendenti sottoposti a procedimento disciplinare.

In assenza dell’asserita violazione del diritto di difesa, l’operato dell’Amministrazione procedente non può, dunque, considerarsi compromesso dai vizi di legittimità prospettati nel ricorso, dovendo intendersi tale operato, peraltro,  in una chiave di rispetto del principio di economia processuale e dei mezzi, che riguarda certamente anche il procedimento disciplinare, nell’intento di evitare che lo stesso comporti eccessivi e defatiganti incombenti istruttori su circostanze  risultate, in sede di istruttoria preliminare,  già sufficientemente acclarate.

2.2. Privo di pregio è anche il secondo motivo dell’appello in esame, con il quale l’interessato, rimodulando le analoghe censure del ricorso originario, ribadisce che i comportamenti per i quali era stata poi irrogata la impugnata sanzione del richiamo scritto erano stati oggetto di indagine avviata dalla Procura presso il Tribunale di @@@@@@@@, conclusasi con un’archiviazione per infondatezza della “notitia criminis”,  richiesta dal P.M. e disposta dal G.I.P. in data 20.7.1999, e che anche l’indagine svolta dal funzionario istruttore aveva evidenziato che il comportamento tenuto dall’interessato non era censurabile sotto il profilo disciplinare; con la conseguenza che il provvedimento originariamente impugnato sarebbe stato privo di fondamento logico e giuridico, anche perché, non tenendo conto di quanto precede, avrebbe inflitto una sanzione sproporzionata rispetto ai fatti addebitati, non integranti alcuna violazione di legge e di regolamento ed  avrebbe trascurato anche di considerare tutti i riconoscimenti di merito conseguiti dal dipendente incolpato.

Ritiene, infatti, il Collegio che, se è pur vero, sotto il profilo penale, che la vicenda derivata dai medesimi fatti contestati all’interessato nel procedimento disciplinare ha avuto la sua conclusione con il decreto di archiviazione 20.7.1999 n.363/99 del G.I.P. del Tribunale di @@@@@@@@, su richiesta del P.M. in data 7.7.1999,  è anche vero, tuttavia, che nella detta richiesta di archiviazione il medesimo P.M. ha rilevato che “l’operato” del @@@@@@@@, pur se non aveva dato luogo “a fattispecie criminose”, era stato “poco opportuno” e che il G.I.P., nel citato decreto, ha affermato altresì che, pur non assumendo il comportamento dell’odierno appellante “la connotazione di sviamento della pubblica funzione per finalità illecite”, restavano, comunque, ferme le “valutazioni sul piano deontologico ed eventualmente disciplinare”.

Da quanto precede emerge, quindi, che i fatti contestati al ricorrente, anche se non rilevanti in sede penale, potevano assumere rilievo invece in sede disciplinare, come appunto avvenuto, essendo evidentemente ben diversa - come sottolineato dal TAR - l’esigenza di pubblico interesse cui è preordinato il potere di esplicazione del potere disciplinare della P.A..

Ciò posto, i fatti per i quali è stata disposta la menzionata sanzione disciplinare - consistenti, come accennato, in “un contegno scorretto nei confronti dell’ufficio di appartenenza” a causa dei contatti telefonici avuti dall’interessato con la Sezione di P.G. del Commissariato di @@@@@@@@, alla presenza di un soggetto estraneo all’Amministrazione, con riguardo “ad alcune rimostranze, occasionalmente esternategli dal terzi, riferibili all’attività di Polizia Giudiziaria dispiegata nei confronti di quest’ultimo” - concretano un comportamente che, ad avviso della Sezione, appare certamente non opportuno e non rispettoso degli obblighi di correttezza che, nell’adempimento dei propri doveri, i dipendenti della Polizia di Stato devono rispettare; dal che la conseguenza che nessun rilievo di illogicità ed irragionevolezza può riscontrarsi nel procedimento conclusosi con l’impugnata sanzione disciplinare.

In tale quadro, in altri termini,  non appare ingiustificata e sproporzionata l’adozione della sanzione del richiamo scritto, posto che il senso del dovere e della disciplina costituiscono per gli appartenenti ad un corpo militarizzato, come la Polizia di Stato, dei caposaldi essenziali nell’assolvimento dei compiti istituzionali e che, con riguardo agli stessi, manchevolezze in altri settori della p.a. non particolarmente significative, assumono invece connotazioni tali da farle ritenere meritevoli delle sanzioni previste dall’ordinamento (e ciò deve dirsi, in particolare, che per il richiamo scritto ex art. 3 n. 6, d.P.R. n. 737/1981 nel caso in esame irrogato).

Quanto infine all’ ulteriore  rilievo della parte appellante in base al quale da parte dell’Amministrazione procedente non potevano “trascurarsi” tutti i riconoscimenti di merito conseguiti dall’ispettore @@@@@@@@”, essi appaiono, a prescindere dal fatto che nell’atto impugnato di ciò viene fatto comunque cenno, ininfluenti rispetto a quanto documentato dall’Amministrazione stessa ed, in ogni caso, inconferenti, perché l’avere dato prove eventualmente positive nel servizio non è di certo sufficiente e non escludere che  nella vicenda esaminata l’operato dell’interessato non sia stato corretto.

Ciò precisato in ordine alla specifica vicenda in esame, va rilevato in ogni caso che la valutazione dei fatti contestati ad un appartenente dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, ai fini della loro rilevanza disciplinare, appartiene alla sfera di discrezionalità dell’Amministrazione stessa, sicchè, fatte salve le ipotesi di manifesta irrazionalità o sproporzione, non vi è spazio per il sindacato del giudice amministrativo in ordine alla scelta di comminare una determinata sanzione disciplinare (tra le tante, C.S., Sez. VI, 21.2.2007 n. 926 e 29.3.2007 n. 1455); ipotesi queste, invero, che non sussistono nel caso riferito alla sanzione disciplinare inflitta al ricorrente, atteso che essa risulta coerentemente motivata e logicamente graduata, ove appunto si tenga conto della accertata condotta riprovevole, riconducibile correttamente - contrariamente all’assunto del ricorrente - sotto il paradigma dell’art. 3 n.6 del D.P.R. n. 737/1981 e, quindi, alla previsione della sanzione più lieve (dopo il richiamo orale) tra quelle previste dal citato art.1 del D.P.R. n.737/1981, sanzione  che indubbiamente non viola  il principio di proporzionalità caratterizzante il sistema disciplinare, anche di quello speciale previsto dal citato D.P.R. e che è prevista per punire, tra le altre fattispecie, quella del contegno”comunque scorretto verso superiori, pari qualifica, dipendenti, pubblico” e, quindi, comportamenti che nella sostanza arrecano pregiudizio all’Amministrazione e alla dignità delle  funzioni dei dipendenti medesimi.

2.3. Il ricorso in appello, risultando infondati i motivi ora esaminati, va, dunque, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Sussistono, peraltro, giustificate ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

       Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe specificato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2008, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori: 
 

...


 

Presidente

...

Consigliere     Segretario

... 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

Il 22/05/2008

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

.... 
 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 4684/2003


 

pds