R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.1137/2009

Reg. Dec.

N. 915 Reg. Ric.

Anno 2005

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

     sul ricorso in appello N.R.G. 915/2005 proposto dal sig. @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avvocati -

contro

     il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento

     della sentenza del T.A.R. Lazio, I Sez., n. 16970 del 21.12.2004;

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione della Amministrazione appellata;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore, alla pubblica Udienza del 9 gennaio 2009, il Consigliere -

     Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

     Il sig. @@@@@@@, agente scelto nel Corpo di Polizia Penitenziaria, è stato sottoposto ad un procedimento disciplinare all’esito del quale gli è stata inflitta – con provvedimento dirigenziale del 13.3.2002 -  la sanzione disciplinare della destituzione.

     L’interessato ha impugnato il provvedimento avanti al T.A.R. del Lazio il quale con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto il ricorso, giudicando infondate tutte le censure dedotte dal ricorrente.

     La sentenza è impugnata con l’atto di appello all’esame dal soccombente il quale ne domanda la integrale riforma con accoglimento del ricorso originario e annullamento del provvedimento espulsivo.

     A sostegno dell’appello sono dedotti tre motivi di impugnazione.

     Si è costituita per resistere l’appellata Amministrazione.

     All’Udienza del 9 gennaio 2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

D I R I T T O

     L’appello non è fondato e va pertanto respinto con integrale conferma della gravata sentenza.

     Con il primo e centrale motivo l’appellante deduce la violazione dell’art. 120 del T.U. n. 3 del 1957, osservando che il procedimento disciplinare si era in realtà estinto per inattività dell’Amministrazione procedente protrattasi per oltre novanta giorni.

     Il mezzo è infondato.

     L’art. 120 comma primo del T.U. n. 3 del 1957 – applicabile al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria in virtù del rinvio disposto dall’art. 24 comma 5 del D. L.vo n. 449 del 1992 – prevede che il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato adottato.

     Al riguardo la giurisprudenza ha da tempo precisato che il termine estintivo introdotto dalla citata norma si interrompe ogniqualvolta, prima della sua scadenza, venga adottato un atto proprio del procedimento, anche se di carattere interno, dal quale possa inequivocamente desumersi la volontà dell’Amministrazione di portare a conclusione il procedimento.

     Applicando questo criterio orientativo al caso in esame deve rilevarsi che fra la data dell’invio della relazione del funzionario istruttore all’Ufficio centrale del Personale e la data in cui si è tenuta la riunione finale del Consiglio di disciplina sono stati disposti vari rinvii della trattazione, a causa del ricovero ospedaliero del dipendente in conseguenza di una infermità traumatica.

     Come analiticamente dimostrato dal T.A.R., tenendo conto dei suddetti provvedimenti di rinvio – evidentemente disposti nell’interesse del ricorrente ed in ragione della sua obiettiva impossibilità a partecipare alla seduta – il termine di cui all’art. 120 risulta costantemente rispettato nel corso del procedimento.

     La censura in rassegna va quindi disattesa.

     Con il secondo e terzo motivo l’appellante deduce che la sanzione inflittagli risulta palesemente sproporzionata rispetto all’unico tra i fatti addebitati concretamente poi provato nel corso dell’istruttoria.

     Per quanto concerne l’altro e più grave addebito – relativo alla sottrazione di una ricarica telefonica di proprietà di un detenuto – osserva l’appellante che nessuna prova della sua colpevolezza è stata effettivamente acquisita  dall’Amministrazione, la quale anzi ha finito per invertire l’onere della prova e pretendere che fosse l’incolpato a dimostrare la propria innocenza.

     Anche questi motivi non meritano positiva considerazione.

     Dagli atti del procedimento si evince che l’istruttoria condotta dal funzionario istruttore è stata particolarmente approfondita e che il convincimento della Commissione in ordine alla colpevolezza dell’agente @@@@@@@ per entrambi i comportamenti ascritti poggia sulle testimonianze di due colleghi dell’incolpato, uno dei quali in particolare aveva personalmente assistito ai fatti e li aveva denunciati al responsabile del servizio.

     E’ dunque evidente come, a fronte di un impianto accusatorio fondato su prove così rilevanti, spettava all’interessato introdurre elementi a sua effettiva discolpa, senza che ciò comportasse alcuna inversione dell’onere probatorio.

     Per quanto riguarda poi la afflittività della sanzione, deve osservarsi – in linea con la consolidata giurisprudenza -    che la valutazione della gravità dei fatti ai fini della individuazione della sanzione disciplinare da applicare costituisce il frutto di valutazioni discrezionali e di pieno merito, risultando quindi non censurabile in sede di giudizio di legittimità, salve le ipotesi di travisamento dei fatti o di manifesta irragionevolezza.

     Queste ipotesi a giudizio del Collegio non ricorrono nel caso all’esame, in cui l’Amministrazione da un lato ha ben evidenziato la gravità delle condotte dell’appellato in relazione al particolare e delicato contesto nel quale sono state poste in essere e dall’altro ha richiamato i numerosi e sfavorevoli precedenti disciplinari dell’agente.

     La decisione dell’Amministrazione, che fonda altresì sul concorrente rilievo circa la mancata percezione da parte del dipendente del disvalore del comportamento da lui tenuto, risulta quindi immune dai vizi dedotti con i mezzi ora in rassegna.

     Sulla base delle esposte considerazioni l’appello va quindi nel suo complesso respinto.

     Le spese di questo grado del giudizio possono essere compensate per giusti motivi.

P. Q. M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.

     Le spese del grado sono compensate.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma il 9 gennaio 2009 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:-

     L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE

  -

                       IL SEGRETARIO

                 -

     

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N.R.G. 915/2005