N.

Reg. Dec.517/2009

N. 11505 Reg. Ric.

Anno 2004 
 


 

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n. 11505 del 2004, proposto da

Ministero dell’Economia e delle Finanze,

in persona del Ministro p.t.,

ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli ufficii della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,

c o n t r o

Blasi Giuseppe,

costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv.to Francesco M. Curato ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Andrea Di Porto, in Roma, via Parma, 22,

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione Seconda, n. 7666/04.

      Visto il ricorso, con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio, nonché appello incidentale, dell’appellato;

     Vista l’Ordinanza n. 967/2005, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 25 febbraio 2005, di reiezione della domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore, alla pubblica udienza del 20 gennaio 2009, il Consigliere Salvatore Cacace;

     Udito, alla stessa udienza, l’avv. Angelo Vitale dello Stato per l’appellante principale, nessuno essendo ivi comparso per l’appellato/appellante incidentale;

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O  e  D I R I T T O

1. – Con ricorso notificato il 28 settembre 1999 e depositato il successivo 13 ottobre, l’odierno appellato, già finanziere in servizio S.p.e. presso la 7^ Legione di Venezia della Guardia di Finanza, impugnava, innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, i seguenti atti:

- giudizio di non meritevolezza a conservare il grado emesso dalla Commissione di Disciplina il 16 aprile 1998;

- determinazione n. 140949 del 6 luglio 1998, con la quale il Comandante Generale disponeva l’annullamento del procedimento disciplinare a partire dal foglio n. 95936/52 del 2 dicembre 1997;

- provvedimento di perdita del grado per rimozione, adottato dal Comandante generale con atto n. 54094 del 13 giugno 1999;

- provvedimento n. 59905 del 9 agosto 1999, con il quale il Comandante della Legione di Venezia ordinava il rilascio dell’alloggio A.S.T.C.;

- ogni altro atto precedente, seguente o comunque ad essi connesso.

Deduceva, con il gravame stesso, motivi varii di violazione di legge e di eccesso di potere.

    1. – Il Giudice adìto, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la censura di intempestività della contestazione degli addebiti.
    2. – Avverso detta decisione ha proposto appello il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che rileva come a torto, secondo il suo assunto, il T.A.R. abbia ritenuto fondata la lamentata violazione dei termini previsti per l’instaurazione del procedimento disciplinare.

Si è costituito in giudizio, per resistere, l’appellato, altresì deducendo, con appello incidentale, l’erroneità della sentenza impugnata laddove non ha condannato il Ministero a pagargli tutti gli assegni non corrispostigli durante il periodo di illegittima estromissione dal servizio e laddove ha inoltre disposto la compensazione delle spese processuali, riproponendo poi le altre doglianze esposte nel ricorso di primo grado, dal Giudice di prime cure dichiarate assorbite.

Con Ordinanza n. 967/2005, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 25 febbraio 2005, è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 20 gennaio 2009.

2. – L’appello principale è infondato.

3. – Con unico, articolato, motivo l’appellante Ministero contesta la tesi della tardività dell’avvio dell’azione disciplinare e della conseguente illegittimità della stessa, su cui si fonda l’appellata sentenza, sostenendo che, anche avuto riguardo agli opportuni accertamenti preliminari da svolgersi ai fini dell’esercizio dell’azione medesima, la contestazione dell’addebito “non poteva prescindere dalle risultanze della vicenda penale pendente dinanzi all’autorità giudiziaria” ( pag. 7 app. princ. ), sì che “la data dalla quale far decorrere il termine iniziale per l’avvio dell’inchiesta disciplinare in argomento non può essere genericamente individuata nell’avvenuta mera conoscenza dei fatti occorsi al dipendente da parte del reparto di appartenenza, né, parimenti, nel momento in cui la competente Autorità Giudiziaria ha disposto l’archiviazione della vicenda giudiziaria in cui risultava indagato il militare”, quanto, piuttosto, nella “acquisizione del Decreto di archiviazione corredato dagli atti dell’intero fascicolo processuale” ( pagg. 8 – 9 app. princ. ), intervenuta solo il 23 settembre 1997, data rispetto alla quale la contestazione degli addebiti, recante la data del 17 gennaio 1998, sarebbe sicuramente tempestiva.

3.1 – L’assunto non può essere condiviso.

Come la giurisprudenza ha avuto modo ripetutamente di chiarire e come, del resto, lo stesso Ministero appellante afferma, l'art. 103, comma 2, del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, nel prescrivere che la contestazione degli addebiti debba avvenire "subito", non mira a vincolare l'Amministrazione all'osservanza di un termine rigido, il cui decorso comporti la decadenza del potere disciplinare, ma indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti ed alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedurale ( cfr., ex plurimis, Cons. Stato, VI Sez. n. 2539 del 20 maggio 2005 ). 
Ciò che, infatti, la norma vuole salvaguardare è la certezza del rapporto tra l'impiegato e l'Amministrazione, la quale verrebbe inficiata ( anche per i profili consequenziali inerenti allo sviluppo di carriera ed alle relative valutazioni periodiche ) ove il dipendente restasse esposto, sine die, per ingiustificata inerzia dell'Amministrazione stessa, alla possibile attribuzione di rilevanza disciplinare a determinati suoi comportamenti ( Cons. St., VI, 18 settembre 2006, n. 5418 ).

Tale irrinunciabile principio di speditezza dell’avvio dell’azione disciplinare va peraltro correlato, nel caso ( appunto ricorrente nella fattispecie ) di coincidenza dei fatti oggetto del potere punitivo disciplinare con l’oggetto di un procedimento penale, con la necessità di attendere, per l’esercizio del primo, la conclusione della vicenda giudiziaria ( v. art. 117 del T.U. n. 3/1957 ).

L’esigenza, in tale ipotesi, di tener conto delle risultanze degli atti relativi al procedimento penale fa dunque sì che la definitiva contestazione disciplinare e la sanzione per i relativi fatti ben possano ( anzi debbano ) essere differiti in relazione alla pendenza del procedimento penale stesso.

Alla luce di questi principii, il requisito dell’immediatezza va pertanto valutato, in caso di procedimento disciplinare conseguente, come appunto accade nella fattispecie all’esame, a sentenza penale di archiviazione ( nel quale l’Amministrazione non è vincolata al rispetto dei términi, di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 19/1990 in tema di destituzione del pubblico dipendente in ésito a procedimento disciplinare conseguente a sentenza penale irrevocabile di condanna ), in relazione al momento, in cui l’Amministrazione abbia avuto notizia della sentenza stessa, che, nel caso all’esame, come correttamente rilevato dal Giudice di primo grado sulla base del materiale probatorio offerto dal ricorrente originario, risale al più tardi al 29 gennaio 1997 ( data alla quale l’Amministrazione aveva accesso ad un formulario rilasciato dalla competente Procura della Repubblica, dal quale ben risultava che nessun procedimento penale era pendente e che la richiesta di archiviazione per “mancanza di condizioni” – locuzione ben interpretata nella relativa comunicazione fattane dal Comandante di Reparto al Comando Legione – aveva avuto “esito positivo”, così come del resto già in via informale preannunciato, come risulta dalla relazione del Comandante del Nucleo Regionale pt sull’attività svolta nel settembre 1996 in relazione ai fatti contestati, dal competente Magistrato ), mentre la successiva acquisizione del fascicolo e del provvedimento penale, intervenuta circa nove mesi dopo, si rivela del tutto ininfluente ai fini di quella “completa lettura degli accadimenti”, solo in astratto valorizzata dall’Amministrazione nelle sue difese, dal momento che la stessa risulta in concreto poi dalla stessa effettuata, ai fini dell’apertura del procedimento di cui si tratta, semplicemente sulla base della relazione di servizio redatta dalla pattuglia della Polizia di Stato, messa a suo tempo a disposizione sia dell’Autorità giudiziaria che della Guardia di Finanza, nella sua qualità, si presume, di datore di lavoro dell’interessato ( v. punto 1.a) dell’atto di conestazione di addebiti ).

Se è vero, dunque, che, stante la separazione tra giudizio penale e giudizio disciplinare, gli elementi acquisiti nel primo vanno autonomamente valutati in sede disciplinare, proprio il fatto che, nel caso all’esame, l’Amministrazione abbia poi compiuto una ulteriore attività istruttoria in sede di procedimento disciplinare in ordine all’accertamento dei fatti contestati dimostra che la semplice notizia ( risalente, come s’è visto, al più tardi al gennaio 1997 ) dell’intervenuta conclusione del procedimento penale (nonché delle relative ragioni) fosse più che idonea ad integrare le condizioni per un tempestivo esercizio dell’azione disciplinare, il cui ritardo, in relazione anche alla gravità della violazione ed alla natura degli accertamenti a quella data già in possesso dell’Amministrazione, non può essere giustificato dall’accampata esigenza di acquisire il fascicolo del procedimento penale (acquisizione, come pure s’è visto, poi intervenuta circa 11 mesi dopo l’emissione del decreto penale di archiviazione ed otto mesi dopo la predetta sicura notizia avutane dall’Amministrazione), che ( tenuto conto anche della particolare natura del provvedimento di archiviazione, delle ragioni poste a base dello stesso e degli atti del relativo procedimento già in possesso dell’Amministrazione ) nulla poteva aggiungere, e nulla ha infatti in concreto aggiunto, alla conoscenza e valutazione dei fatti necessarie per l’inizio dell’azione disciplinare.

Per altro verso, essendo detta valutazione funzionale, come s’è detto, all’atto di apertura del procedimento disciplinare ( ch’è rappresentato dalla contestazione degli addebiti, che, come fatto palese dalla sua stessa denominazione oltre che dalla sua naturale funzione, è un atto, i cui effetti si producono solo in quanto esso è portato a conoscenza del lavoratore ), un tale rilievo può attribuirsi, nel procedimento disciplinare di cui si tratta, solo all’atto di contestazione in data 25 agosto 1998 (intervenuto dunque a circa 22 mesi di distanza dall’adozione del decreto penale di archiviazione, a circa 19 mesi di distanza dalla data di conoscenza del decreto stesso da parte dell’Amministrazione ed a circa 11 mesi di distanza dalla intervenuta acquisizione del provvedimento stesso e del suo fascicolo), la precedente contestazione degli addebiti in data 16 gennaio 1998 risultando travolta dall’annullamento in autotutela del procedimento, in cui essa era inserita ( v. determinazione del Comando Generale della Guardia di Finanza n. 140949 in data 6 luglio 1998 ), la fase relativa al quale non può non essere considerata, ad avviso del Collegio, in sede di valutazione della legittimità dell’azione amministrativa, che ha portato al contestato provvedimento espulsivo, dal punto di vista della necessità di una sollecita definizione dell’inchiesta disciplinare.

Tutto il regime dei termini e della tipicità degli atti, che segnano e caratterizzano le procedure disciplinari, risponde, infatti, proprio all'esigenza di tutela della sollecita definizione di una vicenda, che altrimenti pregiudicherebbe, in danno dell'art. 97 Cost., la certezza delle situazioni giuridiche e la posizione del dipendente.

Deve osservarsi, in proposito, che le norme, che presiedono alla disciplina dei termini perentorii del procedimento disciplinare ed alla scansione delle sue fasi, sono poste a tutela dei principii di garanzia e certezza della sollecita definizione dei procedimenti disciplinari, nel rispetto del canone di ragionevolezza dei tempi di irrogazione delle sanzioni disciplinari e quindi sono di generale applicazione nel pubblico impiego.

Risulta, allora, con sufficiente chiarezza la erroneità della tesi dell’Amministrazione, secondo cui tale fase non andrebbe computata ai fini dello scrutinio richiesto a questo Giudice circa la rispondenza dell’azione nel caso di specie da essa svolta al veduto principio di immediatezza, atteso che non v’è, nella scansione procedurale prevista sia dalle norme generali che da quelle di settore qui applicabili, spazio alcuno per la sospensione dei términi del procedimento, perché, se è vero, come sostenuto dall’Amministrazione stessa nel rapporto depositato in primo grado, che “tale fase del procedimento è da considerarsi come mai venuta ad esistenza”, lo stesso principio di imparzialità dell’azione amministrativa, oltre che la logica generale della sollecitudine ( che presiede, come s’è detto, ad ogni possibile attivazione di una procedura disciplinare ) non consentono di riguardare come non trascorso il tempo inopinatamente con essa “sprecato” dall’Amministrazione, ogni cui eventuale inefficienza o ripensamento non può certo portare all’elusione di dette regole di buon andamento.

Peraltro, è principio generale, come già sottolineato desumibile dall' art. 103 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, quello, secondo cui la contestazione degli addebiti disciplinari debba avvenire «subito» dopo gli opportuni accertamenti preliminari ( nella fattispecie, come s’è visto, concretamente possibili per lo meno a partire da fine gennaio 1997 ), indicandosi, con l’espressione “subito”, una regola di ragionevole prontezza e tempestività nella contestazione, da definirsi caso per caso in relazione alla gravità del fatto ed alla difficoltà e complessità degli accertamenti preliminari ( cfr. Cons. Stato, IV Sezione, 25 ottobre 1991, n. 725, la quale ha anche osservato che deve ravvisarsi un uso irragionevole del potere di azione disciplinare anche quando l'illecito disciplinare sia stato contestato al dipendente e l'Amministrazione, che non abbia fatto seguire alcuno sviluppo procedimentale in un ragionevole lasso di tempo, dopo le giustificazioni scritte dell' interessato, reiteri poi la contestazione disciplinare, che è poi quanto nella sostanza ha fatto nel caso di specie la resistente Amministrazione, prima annullando in autotutela il già tardivo procedimento disciplinare e poi reiterandolo, pretendendo peraltro di attribuire a tale annullamento un effetto sospensivo dei términi dell’azione disciplinare non previsto da alcuna disposizione e dunque del tutto inapplicabile al caso all’esame ). 
Mette conto, da ultimo, rammentare che la contestazione tardiva degli addebiti vizia, per effetto di quanto sopra considerato, il procedimento disciplinare rinnovato ed il suo esito, comportando l'illegittimità della sanzione inflitta al dipendente pubblico.

3.2 - In conclusione, la effettiva sussistenza della tardività, già rilevata dal T.A.R., dell’attivazione della procedura disciplinare impone al Collegio di respingere l’appello principale dell’Amministrazione.

4. – Quanto alle richieste avanzate con l’appello incidentale, va accolta la domanda di condanna dell’Amministrazione al pagamento delle retribuzioni dovute al lavoratore per il periodo di illegittima estromissione dal servizio, che deve intendersi ricompresa nella domanda di annullamento del provvedimento di destituzione oggetto del giudizio ( sì che non si configura come domanda nuova preclusa in appello dal principio sancito dall’art. 345, primo comma, del c.p.c. ), la cui caducazione giudiziale comporta ex se la totale restitutio in integrum delle posizioni dello stesso, la determinazione delle quali spetta peraltro all’Amministrazione ed è poi conoscibile da questo Giudice in sede di eventuale giudizio di ottemperanza.

In relazione, poi, alla compensazione delle spese processuali disposta dal Giudice di primo grado, della quale pure si duole l’appellante incidentale, va ricordato che l'obbligo del rimborso delle spese processuali, che si fonda sul principio di causalità, di cui la soccombenza costituisce solo un elemento rivelatore, risponde all'esigenza di ristorare la parte vittoriosa dagli oneri inerenti al dispendio di attività processuale, cui è stata costretta dall'iniziativa dell'avversario, ovvero del soggetto che abbia causato la lite ( Cass., sez. II, 8 giugno 2007, n. 13430 ). 
4.1 - Nella specie, la prima decisione ha compensato le spese del grado con il semplice richiamo generico ai giusti motivi, richiamo non più ritenuto sufficiente per giustificare la compensazione che comporta invece l'esplicitazione delle specifiche ragioni, da cui deriva la compensazione delle spese del giudizio ( Cass., sez. II, 21 marzo 2007, n. 6681; Cons. St., V, 8 settembre 2008, n. 4246 ); ragioni, invero, che questo Giudice non ritiene nella fattispecie integralmente sussistenti, sì che la sentenza impugnata va parzialmente riformata per quanto attiene alla compensazione delle spese del giudizio di primo grado, che, unitamente a quelle del presente grado di appello, vanno poste a carico del Ministero dell’Economia e delle Finanze e liquidate come in dispositivo.

5. – Conclusivamente, l’appello principale va respinto, mentre va accolto l’appello incidentale, con conseguente parziale riforma, nei términi di cui sopra, della sentenza impugnata. 

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, respinge l’appello principale, accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti oggetto del giudizio e condanna l’Amministrazione alla totale restitutio in integrum delle posizioni dell’appellante incidentale, nonché alla rifusione, in favore dello stesso, delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida forfetariamente nella misura di Euro 7.000,00 ( settemila/00 ) complessive, di cui 3.000,00 ( tremila/00 ) per il primo grado ed Euro 4.000,00 (quattromila/00) per il grado di appello, già al netto della condanna alle spese della relativa fase cautelare, di cui all’Ordinanza n. 967/2005. 

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, addì 20 gennaio 2009, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

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L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE

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IL SEGRETARIO

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DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il ……30/01/2009………………………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente

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N. R.G. 11505/2004