N.2830/2007

Reg. Dec.

N. 9883

Reg. Ric.

Anno 2005 
 

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

   sul ricorso iscritto al NRG 9883\2005, proposto dal Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato ex lege domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

   contro

   il signor ...omissisvld... ...omissisvld..., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Castiello ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via G. Cerbara n. 64;

   per l'annullamento

   della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. I bis, n. 3021 del 21 aprile 2005 e per il rigetto del ricorso di primo grado;

   Visto il ricorso in appello;

   visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

   viste le memorie prodotte dalla parte appellante a sostegno delle proprie difese;

  visti gli atti tutti della causa;

  data per letta alla pubblica udienza del 3 aprile 2007 la relazione del consigliere Vito Poli; uditi l’avv. Castello e l’Avvocato dello Stato Noviello;;

   ritenuto e considerato quanto segue:

   FATTO e DIRITTO

   1. L’appellato, carabiniere scelto, la mattina del 13 luglio 2003 alle ore 7,20 circa, dopo aver trascorso la serata e la notte in compagnia di amici, ha perso il controllo della propria autovettura, collidendo con un albero di grosso fusto posto ai margini della carreggiata.

   Egli, ricoverato in ospedale per le lesioni subite, su sollecitazione della Polizia stradale è stato sottoposto a test clinici, che hanno accertato l’assunzione di sostanze alcoliche e di stupefacenti.

   1.1. Con il decreto penale di condanna n. 803 dell’11 maggio 2004, il Tribunale di Lucca ha comminato all’appellato la pena di euro 687 di ammenda per il reato previsto dagli artt. 186 e 187 del Codice della strada (per aver condotto la propria autovettura in stato di ebbrezza e di alterazione psicofisica, dovuta all’assunzione di cocaina e anfetamina).

   1.3. Instaurato il procedimento disciplinare di stato, su conforme parere della Commissione di disciplina, con decreto di data 11 gennaio 2005 il direttore generale per il personale militare del Ministero della difesa ha comminato la sanzione della perdita del grado per rimozione, ex art. 34, l. n. 1168 del 1961, rilevando <<carenze di ordine morale e militare, con conseguente lesione del prestigio dell’Istituzione, violando i doveri attinenti al grado ed alle funzioni del proprio stato che rendono incompatibile la sua ulteriore permanenza nell’Arma dei Carabinieri>>.

   1.4. Col ricorso di primo grado (proposto al TAR per il Lazio), l’odierno appellato ha impugnato il decreto di data 11 gennaio 2005, articolando le seguenti censure:

   a) violazione e falsa applicazione degli art. 12, lett. f), e 34, l. n. 1168 del 1961, eccesso di potere per carenza di istruttoria e per travisamento di presupposto;

   b) violazione dell’art. II-107, comma 2, della Costituzione europea, violazione dell’art. 1, l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per violazione dei principi di proporzionalità e gradualità della sanzione, illogicità, manifesta ingiustizia, sviamento;

   c) violazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990, dell’art. 4, u.c., d.m. n. 603 del 1993, sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione.

   2. Con la gravata sentenza n. 3021 del 2005, il TAR per il Lazio:

   a) ha accolto il ricorso, riscontrando la sproporzione della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito disciplinare accertato;

   b) ha compensato le spese di lite.

  3. Col gravame in esame, il Ministero della ha impugnato la sentenza del T.A.R., richiamandosi ai consolidati principi resi in materia dalla giurisprudenza di questa sezione.

  4. Si è costituito l’appellato, il quale ha dedotto l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.

   5. Con l’ordinanza n. 444 del 31 gennaio 2006, la sezione ha accolto l’istanza di sospensione degli effetti dell’impugnata sentenza.

   6. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 3 aprile 2007. 

   7. L’appello è fondato e deve essere accolto.

   Preliminarmente la sezione rileva che il thema decidendum del presente giudizio è circoscritto alle doglianze ritualmente articolate in prime cure e riproposte dall’appellato nella comparsa di costituzione, non potendo essere esaminati i profili nuovi sollevati nella memoria conclusionale del 26 marzo 2007 in violazione dell’art. 345, comma 1, c.p.c. (in particolare nella parte in cui si richiamano le circolari del Ministero della difesa 27 agosto 1990 e 8 novembre 1990).

   I medesimi profili, peraltro, risultano comunque infondati, per le ragioni dopo esposte.

   Tutti i motivi dell’originario ricorso di primo grado, in quanto intimamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e vanno respinto.

   7.1. Per la consolidata giurisprudenza, la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente, in relazione all' applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento.

   Inoltre, il giudice amministrativo non può sostituirsi agli organi dell'Amministrazione nella valutazione dei fatti contestati o nel convincimento cui tali organi sono pervenuti (cfr. ex plurimis e da ultimo in materia di assunzione di sostanze stupefacenti da parte di militari, sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5759; sez. IV, 31 gennaio 2006, n. 339; sez. IV, 3 luglio 2000, n. 3647).

   7.2. Nella specie, il provvedimento impugnato in primo grado non ha violato il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa e il suo corollario rappresentato, in campo disciplinare, dal c.d. gradualismo sanzionatorio (cfr. negli esatti termini Cons. Stato sez. IV, 18 dicembre 2006, n. 7615).

   Il principio di proporzionalità consiste in un canone legale di raffronto, che anche dopo la sua espressa codificazione (art. 5, u.c., Trattato CE), non consente di controllare il merito dell’azione amministrativa.

   Inizialmente delineato in sede di verifica degli atti adottati dagli organismi comunitari, il principio è stato successivamente utilizzato dalla Corte di Giustizia anche per l’esame della legittimità della normativa di recepimento degli atti comunitari emanata dagli stati membri (cfr. Corte giust. 18 maggio 1993, C- 126\91).

   La rilevanza assunta dal controllo di proporzionalità nella giurisprudenza comunitaria – rilevante anche se il Trattato che ha adottato la Costituzione europea non è entrato in vigore - ha posto il problema dei limiti entro i quali tale esame possa esercitarsi.

   A tal proposito, la Corte ha rilevato che il riscontro di proporzionalità riguardi <<solo il carattere manifestamente inidoneo di un provvedimento adottato in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di un siffatto provvedimento>> (cfr. Corte giust. 16 dicembre 1999, C- 101\98); ciò significa che il sindacato giurisdizionale non può spingersi ad un punto tale da sostituire l’apprezzamento dell’organo competente con quello del giudice, valutando l’opportunità del provvedimento adottato ovvero individuando direttamente le misure ritenute idonee (cfr. Corte giust. 18 gennaio 2001, C- 361\98).

  La giurisprudenza di questo Consiglio ha più volte approfondito la natura, gli effetti e i limiti del principio di proporzionalità e del connesso sindacato del g.a. (cfr. Cons. Stato sez. IV, 18 dicembre 2006, n. 7615 in materia disciplinare; sez. IV, 25 marzo 2005, n. 1275, in materia di insindacabilità della misura delle sanzioni disciplinari irrogate a pubblici dipendenti; sez. VI, 1 aprile 2000, n. 1885, in materia di insindacabilità delle scelte di politica societaria pubblica), riconoscendone l’origine comunitaria e la sua penetrazione nell’ordinamento italiano, prima della affermazione espressa del principio con la novella all’art. 1, comma 1, l. n. 241 del 1990.

   Si è al riguardo rilevato la sussistenza dell’obbligo per i pubblici poteri (legislatore ed amministrazione) di adottare la soluzione idonea ed adeguata comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi in gioco, rispetto a quello strettamente necessario per il raggiungimento della cura del pubblico interesse, ferma però restando l’insindacabilità, da parte del giudice amministrativo, delle valutazioni discrezionali siano esse tecniche, amministrative o politiche, consentendone un riscontro ab externo e nei limiti della abnormità, con esclusione di ogni sostituzione del giudice all’amministrazione.

   Altrimenti opinando, si introdurrebbe surrettiziamente una smisurata ed innominata ipotesi di giurisdizione di merito del g.a. in contrasto con le caratteristiche ontologiche di siffatta giurisdizione, che sono, all’opposto, la tipicità e l’eccezionalità in quanto deroga al principio di separazione dei poteri, cui si ispira la legislazione (cfr. Cons. Stato sez. IV, 18 dicembre 2006, n. 7615).

   Ne discende che il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, ed il suo corollario in campo disciplinare rappresentato dal c.d. gradualismo sanzionatorio, non consentono al giudice amministrativo di sostituirsi alle valutazioni discrezionali compiute dall’autorità disciplinare, che possono essere sindacate esclusivamente ab externo, qualora trasmodino nell’abnormità.

   7.3. Diversamente da come ritenuto dal Tribunale, nel caso di specie deve escludersi la sussistenza nel provvedimento impugnato di evidenti sintomi di abnormità o sproporzione.

   Al riguardo va in primo luogo tenuto presente che anche dopo la parziale abrogazione ad opera del referendum del 18 aprile 1993 di alcune norme del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti (D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309), ai sensi dell'art. 75 del predetto Testo unico l'assunzione di sostanze stupefacenti rimane illecito amministrativo.

   L'intero sistema normativo posto a base del Testo unico, lungi dal porsi in un'ottica agnostica rispetto all'uso personale di sostanze stupefacenti, si incentra sull'attività di contrasto, a livello preventivo e repressivo del fenomeno.

   Gli artt. 107 e 108 configurano tutta una serie di adempimenti a carico delle strutture facenti capo al Ministero della difesa, fra cui spiccano: le attività informative sul fenomeno criminoso sul traffico di sostanze stupefacenti; le campagne sanitarie di prevenzione; le azioni di prevenzione a mezzo di consultori e servizi di psicologia delle Forze armate.

   Anche l'esigenza connessa al mantenimento del posto di lavoro del tossicodipendente, nel disegno del Legislatore, è bilanciata per particolari categorie di personale con la salvaguardia di altri non meno importanti valori.

   Sotto tale angolazione viene in rilievo l’art. 124 comma 4 del T.U., il quale – proprio in un contesto volto a salvaguardare il mantenimento del posto di lavoro da parte del soggetto che si sottopone a programmi di recupero – fa espressamente salve le disposizioni vigenti che richiedono il possesso di particolari requisiti psico-fisici e attitudinali per l'accesso all'impiego, nonché quelle che disciplinano la sospensione e la destituzione dal servizio del personale delle Forze armate e di polizia e di quello che riveste la qualità di agente di pubblica sicurezza.

   Per quanto più specificamente attiene alle Forze armate, per l’art. 36 del regolamento di disciplina, l’abuso di sostanze alcoliche e l’uso di sostanze stupefacenti costituiscono illecito disciplinare come costantemente rilevato dalla pacifica giurisprudenza di questa sezione (cfr. da ultimo sez. IV, n. 5759 del 2006 cit.).

   Sotto tale angolazione, contrariamente a quanto riferito dalla difesa dell’appellato nella memoria del 26 marzo 2007, la decisione di questa sezione n. 339 del 2006 ha rilevato la sussistenza dei particolari obblighi di chi abbia lo status di militare, in considerazione delle particolari esigenze organizzative ed operative delle Forze Armate e di quelle di Polizia (per la medesima decisione <<costituisce ad es. applicazione il D. L.vo n. 215 del 2001 sulla  trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, il quale all’art. 14 c. 2 lettera c) - come di recente sostituito dall’art. 4 del D. L.vo n. 197 del 2005 – prevede il proscioglimento dalla ferma del militare risultato positivo agli accertamenti diagnostici per l’uso anche saltuario o occasionale di sostanze stupefacenti>>).

   Non risulta pertanto suffragata la tesi dell’appellato, per il quale vi sarebbe stato un mutamento della giurisprudenza della sezione, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 197 del 2005.

   Neppure risulta giustificato il richiamo (operato anche dall’impugnata sentenza) alla decisione di questa sezione n. 3647 del 2000, che ha in realtà affermato principi corrispondenti a quelli qui ribaditi (respingendo un ricorso proposto avverso il proscioglimento dalla ferma volontaria di un carabiniere ed il diniego di accesso al s.p.e., dove venivano in contestazione valutazioni sull’idoneità morale e attitudinale ex art. 4, l. n. 53 del 1989).

   7.4. In questo quadro generale di riferimento, la vicenda all’esame esibisce ulteriori profili che ad avviso del Collegio vanno adeguatamente considerati.

   In tal senso si deve anzi tutto rilevare che all’Arma dei C.C.  l’ordinamento affida un ruolo centrale e di primissima linea nella repressione dello spaccio di stupefacenti e nel contrasto ai fenomeni di criminalità organizzata ad esso connessi: di talché non può ragionevolmente ipotizzarsi che simili compiti, essenziali per la salvaguardia della pubblica sicurezza, siano in concreto espletati da soggetti i quali a loro volta facciano uso delle sostanze la cui diffusione si tratta invece di impedire.

   A ciò deve aggiungersi che secondo logica ed esperienza il consumo di stupefacenti comporta – in via diretta o indiretta – una inevitabile contiguità con chi vende o cede tali sostanze e dunque con soggetti operanti nell’illegalità e dediti a traffici illeciti, che l’Arma ha invece la missione istituzionale di reprimere (in termini, con riferimento a personale della guardia di finanza, da ultimo ed ex plurimis, cfr. sez. IV, n. 5751 del 2006 cit.; n. 339 del 2006 cit.). 

   Sotto il profilo ora in considerazione, dunque, il giudizio dell’Amministrazione – in ordine alla correlazione tra l’uso delle sostanze stupefacenti e la perdita dei requisiti di affidabilità richiesti ad un militare dell’Arma – non appare in definitiva viziato da illogicità né da carenza di motivazione o istruttoria: accertato il venir meno delle doti morali necessarie per l’appartenenza all’Arma, i buoni precedenti di carriera non sono preclusivi della valutazione negativa ai fini disciplinari.

   Le considerazioni che precedono evidenziano l’assenza di profili di eccesso di potere sindacabili in sede di legittimità, pur se il provvedimento impugnato in primo grado si è fondato su un comportamento tenuto fuori dal servizio e di cui non è risultata la reiterazione

   8. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere accolto e - in riforma dell’impugnata sentenza – va respinto il ricorso di primo grado.

   Il collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

   P.Q.M.

   Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta) accoglie l’appello n. 9883 del 2005 e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

   Dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

   Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

   Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del 3 aprile 2007, con la partecipazione dei signori:

   Luigi Maruotti    - Presidente f.f.

   Vito Poli Rel. Estensore       - Consigliere

   Anna Leoni    - Consigliere

   Bruno Mollica    - Consigliere

   Salvatore Cacace    - Consigliere

          L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE,f.f. 
 

IL SEGRETARIO