N.2894/2007

Reg. Dec.

N. 10323

Reg. Ric.

Anno 2004 
 

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul ricorso r.g.n. 10323/2004 proposto in appello dal Ministero delle Finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici ope legis domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi, n.12,

contro

...omissisvld... ...omissisvld..., rappresentato e difeso dagli avvocati Lorenzo Acquarone, Francesco Massa e Ludovico Villani, con domicilio eletto in Roma, alla via Asiago n.8/2, presso l’ultimo di essi,

per l’annullamento

della sentenza n.1043/2004, con la quale il TAR Liguria ha accolto il ricorso per l’annullamento del decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza del 6 maggio 2003 avente ad oggetto la ratifica di precedente provvedimento ministeriale di perdita del grado per rimozione del ...omissisvld....

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti di causa;

Relatore alla udienza pubblica del 27 aprile 2007 il Consigliere Sergio De Felice;

Uditi l’avv. Villani e l’Avvocato dello Stato Varrone;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;

FATTO

Il ...omissisvld..., maresciallo capo della Guardia di Finanze, attuale appellato, con il ricorso di primo grado impugnava gli atti relativi alla comminazione della sanzione disciplinare della perdita di grado in esito al procedimento penale  per il reato di corruzione, conclusosi con la sentenza della Corte d’Appello di Genova, passata in giudicato, del 20 ottobre 2000 che dichiarava di non doversi procedere nei suoi confronti perché il reato ascrittogli  era prescritto.

Deduceva che il Comandante Generale della Guardia di Finanza aveva ratificato la sanzione originariamente comminata dal Ministro, ritenuto incompetente con precedente sentenza del TAR Liguria del 6 marzo 2003 n. 266, dopo la scadenza del termine perentorio di conclusione del procedimento disciplinare.

La ratifica veniva inoltre effettuata dopo l’annullamento giurisdizionale della sanzione senza poter legittimamente invocarsi   l’art. 6 l. 18 marzo 1968 n. 249 che disciplina l’ipotesi della convalida in pendenza di gravame amministrativo e/o giurisdizionale.

La massima sanzione comminata era  sproporzionata rispetto ai fatti  contestati ed addebitati relativi all’accettazione di buoni di benzina per un valore complessivo di £.150.000.

Il giudice di primo grado, con la impugnata sentenza, accoglieva il ricorso, ritenendo illegittima la ratifica di un provvedimento annullato giurisdizionalmente, adottato inoltre superando di gran lunga il termine perentorio posto dalla legge a garanzia dell’incolpato; nel merito, inoltre, accoglieva anche la censura di sproporzione della sanzione.

Avverso tale sentenza propone appello l’amministrazione, deducendo la legittimità della ratifica prima della definitività della sentenza che ha annullato l’atto da ratificare o convalidare. Sarebbe legittima la convalida o ratifica anche in pendenza di gravame in sede giurisdizionale o amministrativa.

Si ribadisce la legittimità dell’operato dell’amministrazione anche con riguardo alla asserita sproporzione, che non sussiste.

Si è costituito l’appellato, chiedendo dichiararsi la inammissibilità dell’appello, che non ha censurato il motivo di accoglimento relativo al superamento del termine perentorio; inoltre, chiede il rigetto dell’appello perché infondato.

Alla udienza pubblica del 27 aprile 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.

 
 

DIRITTO

1.L’appello è infondato e come tale va rigettato.

In via preliminare il Collegio osserva che, dovendosi condividere sul punto la eccezione di parte appellata, il giudice di prime cure ha censurato l’operato dell’amministrazione sotto più profili: la ratifica è stata adottata scaduto il termine perentorio di conclusione del procedimento disciplinare; la ratifica è stata effettuata dopo l’annullamento in via giurisdizionale della destituzione; la sanzione non è proporzionata.

L’appello dell’amministrazione si appunta sulla questione della possibilità di convalida o ratifica in pendenza dell’appello avverso sentenza demolitoria dell’atto da ratificare o convalidare, senza nulla osservare o dedurre in relazione all’altro – pure riscontrato – motivo di illegittimità dell’atto, consistente nel superamento dei termini perentori per l’esercizio del potere disciplinare.

Conseguentemente, non può non valere il principio secondo cui è inammissibile l’appello  contro la sentenza di primo grado, di annullamento di un atto amministrativo, basata su più motivi autonomi, qualora vengano svolte censure solo relativamente ad uno dei predetti motivi (tra tante, C. Stato, IV, 10.3.2004, n.1166).

2. In ogni caso, l’appello è infondato anche con riguardo alla possibilità di ratifica e/o convalida di un provvedimento oramai annullato in sede giurisdizionale.

La ratifica, nel diritto amministrativo una particolare ipotesi di convalida dell’atto annullabile, viziato dal vizio di incompetenza, diversamente dalla rinnovazione, presuppone la sussistenza di un provvedimento, sì viziato come detto (per incompetenza c.d. relativa), ma pur sempre valido ed efficace; la ratifica, come ogni forma di convalida, ha efficacia retroattiva, limitandosi a sanare il vizio di incompetenza (relativo) che inficia il provvedimento.

Non trova pertanto applicazione quando il provvedimento sia stato annullato in forza di sentenza amministrativa esecutiva che, sebbene non ancora passata in giudicato, non è stata  nemmeno oggetto di sospensione cautelare da parte del giudice d’appello ( in termini, Cons.St., ad plen., 9 marzo 1984 n.5; Id. sez. IV, 30 aprile 1999 n. 749).

L’esercizio del potere di convalida mediante ratifica spettante all’organo competente, di cui all’art. 6 L.18.3.1968, n.249, sana con efficacia retroattiva l’atto viziato da incompetenza relativa, ancorché quest’ultimo sia oggetto di ricorso giurisdizionale pendente, ma solo fino a quando non ne sia intervenuto l’annullamento (in tal sens, C. Stato, IV, 28.2.2005, n.739).

La sentenza di annullamento elimina ex tunc e quindi retroattivamente gli effetti dell’atto, determinandone una eliminazione dal mondo del diritto, sicchè esso atto annullato (e quindi non più solo annullabile) non può essere preso a presupposto di provvedimenti di convalida.

Una cosa è l’atto annullabile e fino a quando non sia stato annullato; ben altra è l’atto annullato (in sede amministrativa o giurisdizionale).

Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto.

La condanna alle spese del giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in euro tremila.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 aprile 2007, con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli,     Presidente f.f.

Salvatore Cacace,    Consigliere

Sergio De Felice,    Consigliere, est.

Eugenio Mele,     Consigliere

Sandro Aureli,     Consigliere

     L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE,f.f.

Sergio De Felice     Carlo Saltelli

IL SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci

- - 

N.R.G.  10323/2004


 

RL