REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 3136/2009

Reg.Dec.

N. 9006 Reg.Ric.

ANNO   2004

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.9006 del 2004, proposto dal Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n.12;

contro

@@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avvocati -

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia, della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, Sezione I, n..922/2003 in data 18.6.2003, resa tra le parti;

     visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

     visto l’atto di costituzione in giudizio e vista la memoria del sig. @@@@@@@ @@@@@@@;

     alla pubblica udienza del 24 febbraio 2009, relatore il Consigliere -

     ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

     1. Con ricorso n. 507/2003 il sig. @@@@@@@ @@@@@@@, ispettore superiore della polizia di Stato, adiva il TAR del Piemonte, impugnando il decreto 23.1.2003, n. 28099.8/RIS, emesso  dal dirigente superiore del Compartimento della polizia ferroviaria del Piemonte e Valle d’Aosta, con cui veniva disposta nei suoi confronti la sanzione disciplinare della deplorazione ai sensi dell’art.5, nn.3 e 4, del D.P.R. n.737/1981, nonché il verbale della riunione in data 22.1.2003 della Commissione di disciplina.

     A sostegno del gravame il ricorrente deduceva, con tre motivi di diritto, censure di violazione di legge (con riferimento, in particolare, agli artt. 12 e 15 del D.P.R. 25.10.1981, n. 737, in relazione ai principi di uguaglianza, del giusto procedimento  e di difesa, di cui agli artt. 3, 11 e 24 Cost.; degli artt. 5 e 13  dello stesso D.P.R. n.737/1981 e dell’art. 3 della L.7.8.1990, n. 241), nonché di eccesso di potere sotto vari profili (in particolare, per carenza di motivazione, contraddittorietà tra atti, illogicità manifesta e sviamento).

     Nel giudizio si costituiva l’Amministrazione dell’interno che si opponeva al ricorso chiedendone la reiezione.

     2. Con la sentenza in epigrafe specificata, l’adito TAR, pronunciandosi sul ricorso ai sensi dell'art. 9 del 21.7.2000, n. 205, lo accoglieva con sentenza resa in forma semplificata, dopo avere rilevato, nella sostanza, che nel caso in questione l’atto di contestazione degli addebiti individuava la qualificazione giuridica dell’infrazione, inquadrandola in una fattispecie tipica, che prevede come unica pena la deplorazione, e che, pertanto, era fondato il rilievo di violazione dell’art.12 del D.P.R n.737/198, formulato al riguardo dall’interessato. Nella sentenza stessa, peraltro, venivano dichiarate assorbite le restanti censure proposte nel gravame esaminato  

     3. Avverso tale sentenza è stato interposto l’odierno appello con il quale il Ministero dell’interno – avuto riguardo anche agli ulteriori motivi del ricorso introduttivo non esaminati dal TAR in quanto ritenuti assorbiti nella gravata pronuncia – ha dedotto, in sintesi, quanto segue:

     A) sarebbe errata la gravata pronuncia nella parte in cui ha ritenuto violato l’art.12 del D.P.R. n.737/1981 ed affermato l’illegittimità della contestazione degli addebiti per essere stata individuata dal funzionario istruttore la qualificazione giuridica dell’infrazione; e ciò in quanto tale disposizione disciplinerebbe esclusivamente il rapporto del  superiore che rileva l’infrazione e non l’atto di contestazione degli addebiti;

     B) nel caso in esame non sussisterebbe la violazione dell’art.15 del D.P.R. n.737/1981 per difetto di costituzione della Commissione disciplinare denunciata nel ricorso di primo grado;

     C)  sarebbe inconferente il rilievo mosso dall’originario ricorrente in ordine alla circostanza che l’estensore della proposta di trasferimento per incompatibilità ambientale del ricorrente sia stata la stessa persona che ha irrogato la sanzione disciplinare impugnata;

     D) la pronuncia impugnata sarebbe infine errata per non avere rilevato che il provvedimento impugnato era del tutto legittimo, in quanto adottato, nell’ambito dell’ampia discrezionalità attribuita nella materia all’Amministrazione, dopo corretta valutazione dei precedenti disciplinari dell’interessato.

     Ricostituitosi il contraddittorio nell’attuale fase giudiziale, il sig. @@@@@@@ ha replicato alle censure dedotte nell’appello, rilevandone l’infondatezza, e ha riprodotto, con alcune precisazioni, le argomentazioni già svolte nel giudizio di prime cure, riproponendo i profili di illegittimità precedentemente denunciati  e non esaminati dal TAR del Piemonte, per averli ritenuti assorbiti nel motivo accolto; in particolare, l’appellato ha riprodotto i profili relativi alla “violazione dell’art.15 del D.P.R. n.727/1981”; sulla “identità del soggetto che applica la sanzione disciplinare e che richiede il trasferimento del dipendente” e sulla “valutazione operata nel procedimento disciplinare”.

     Alla camera di consiglio del 18.4.2004 l’istanza incidentale di sospensione è stata respinta.

     Con memoria in data 6.2.2009 la parte appellata ha ulteriormente illustrato le proprie tesi e conclusioni, insistendo per la reiezione dell’odierno gravame.

     4. La causa, infine, è stata assunta in decisione nella pubblica udienza del 24.2. 2009.

MOTIVI DELLA DECISIONE

     1. Forma oggetto dell’odierno appello la sentenza del TAR del Piemonte 19.6.2003, n.922, con la quale è stato accolto il ricorso dell’ispettore superiore della Polizia di Stato sig. @@@@@@@ @@@@@@@, proposto avverso  la sanzione della deplorazione al medesimo irrogata (in relazione ad un episodio, verificatosi in @@@@@@@ il 25.9.2002, in cui,  a seguito di uno scambio di opinioni tra il ricorrente, l’assistente della Polizia di Stato sig.a @@@@@@@ e l’agente sig. @@@@@@@, l’assistente predetta aveva riportato una contusione al braccio sinistro, derivata dalla presa operata sull’arto della medesima dal parte dell’ispettore superiore predetto), dopo che l’Amministrazione, raccolte le informazioni preliminari, con atto 16.10.2002 a firma del dirigente superiore dott. @@@@@@@ @@@@@@@, aveva  contestato gli addebiti all’interessato, osservando, tra l’altro, che “quanto sopra descritto”  con riguardo al suo comportamento configurava gravi mancanze, “disciplinarmente sanzionate dall’art. 5, punto 3 e 4, del dpr 737/81…”, concernente appunto la deplorazione.

     2. Con l’appello in esame sono contestate, innanzitutto, (nel punto 2 A) che precede,  le argomentazioni della sentenza predetta in quanto ritenute basate su un’erronea interpretazione degli artt. 12 e seguenti del D.P.R  25.10.1981 n.737. In particolare, viene censurata dall’appellante la statuizione  relativa alla ritenuta illegittimità dell’atto di contestazione degli addebiti  per avervi indicato il funzionario istruttore la qualificazione giuridica dell’infrazione.

     Tale doglianza dell’appellante è meritevole di accoglimento.

     Deve osservare il Collegio infatti che il contenuto dell’atto di contestazione di addebito è stabilito dall’art. 14 del D.P.R. n. 737/1981 e che in tale atto vanno indicati con chiarezza, sulla base della detta disposizione, i fatti e la “specifica trasgressione di cui l’incolpato è chiamato a rispondere”  e che deve ritenersi peculiare al concetto di trasgressione non soltanto l’identificazione sul piano concreto della condotta dell’interessato da sottoporre a sanzione, ma  anche la relativa qualificazione giuridica alla stregua del regolamento di disciplina, il quale riconnette specifiche conseguenze afflittive a determinati comportamenti.

     Di conseguenza, il funzionario, tenuto a formulare la contestazione di addebito ben può individuare, con riguardo alla fattispecie in relazione alla quale è stato avviato il procedimento, la norma disciplinare ritenuta violata.  

     Ed invero,  nella specie si è di fronte ad un elemento che in definitiva si risolve in garanzia dell’inquisito, il quale viene così posto nelle condizioni di interloquire ed eventualmente contestare non solo con riferimento all’addebito mosso per i fatti suscettibili di sanzione, ma anche in merito alla loro qualificazione giuridica prefigurata in base al regolamento di disciplina ed alla graduazione della sanzione secondo criteri di adeguatezza e proporzionalità.

     Non sussiste pertanto  nel caso in trattazione la violazione dell’art.12 del D.P.R. n.737/1981, censura dedotta nel ricorso originario e ritenuta fondata dal TAR, giacchè - fermo restando la mancanza di ogni competenza in capo al Dirigente sopra menzionato in ordine al giudizio di colpevolezza che spetta invece all’Organo decidente – deve ritenersi che il criterio di separazione di cui trattasi non può essere inteso in senso assoluto, essendo specifico compito del funzionario inquadrare ai fini della contestazione formale il fatto addebitato nell’apposita previsione legale. (in tal senso, cfr. Cons. St. Sez. VI, 16.9.2005, n. 4785; Sez. IV 1.4.2003, n.1933).

     Il primo motivo dell’appello deve essere dunque condiviso.

     3. Passando all’esame del secondo motivo, meglio sopra specificato al punto 2 lett. B) del ricorso in esame, e alle argomentazioni della parte appellata che al riguardo ripropone il relativo rilievo del ricorso originario dichiarato assorbito dai primi giudici, osserva il Collegio come detto motivo di appello sia privo di pregio e che sia invece fondato il riproposto rilievo dell’appellato, formulato con il secondo motivo del gravame originario, con il quale era stata prospettata la violazione dell’art.15 del D.P.R. n.737/1981, sostenendosi, in particolare, che nel procedimento disciplinare in questione era stata illegittimamente costituita la Commissione consultiva, in quanto composta, oltre che dai tre membri previsti dal regolamento, anche da un quarto membro, con funzioni di presidente, nella persona del dirigente superiore dott. @@@@@@@ @@@@@@@, il quale aveva proceduto anche alla contestazione degli addebiti nei confronti del ricorrente con comunicazioni del 16.10.2002 e del 30.1.2003 (v. al riguardo verbale della riunione in data 22.1.2003, impugnato in primo grado)..

     Infatti - atteso che l’art.15, comma 5, del D.P.R. n.737/1981 stabilisce chiaramente che “non possono far parte della Commissione il superiore che ha rilevato la mancanza e il dipendente eventualmente offeso o danneggiato” - non vi è dubbio che la partecipazione  alla Commissione di disciplina nella posizione di Presidente del dirigente predetto abbia determinato nella specie un’evidente violazione della disciplina che regola il procedimento di cui trattasi, avendo alterato la equilibrata composizione del menzionato organo consultivo, secondo quanto previsto dal Regolamento, anche per via dell’incompatibilità del medesimo dirigente, per avere egli proceduto in precedenza alla contestazione degli addebiti.

     D’altra parte, in proposito, la giurisprudenza  di questo Consiglio, dalla quale il Collegio non intende discostarsi, ha già avuto occasione di affermare, in via generale e con riguardo al procedimento disciplinare nel pubblico impiego, che non può far parte della commissione di disciplina colui il quale si è già esplicitamente espresso in sede inquirente sulle responsabilità del dipendente  e che a tutela della difesa dell’incolpato deve essere garantita nel procedimento stesso l’imparzialità del giudizio, mediante la separazione della funzione inquirente da quella decisoria con conseguente illegittimità del provvedimento disciplinare ove il componente del collegio giudicante sia lo stesso funzionario che ha partecipato al sub procedimento di contestazione (cfr., in particolare, Cons. St. Sez. VI, 28.11.1991, n.744).

     4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, in riforma della sentenza impugnata, deve accogliersi dunque, con diversa motivazione, il ricorso di primo grado, attesa la fondatezza  della censura di violazione dell’art. 15 del D.P.R. n.737/1981 dedotta nel motivo ora riproposto dall’appellato, con assorbimento delle restanti censure.

     Sussistono peraltro giusti motivi, in relazione alla particolarità della controversia, per disporre, tra le parti in causa, la integrale compensazione delle spese giudiziali.

P.Q.M.

     il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado con diversa motivazione e, per l’effetto, annulla gli atti con lo stesso impugnati.

     Spese compensate.

      Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma, nella sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 24 febbraio 2009, con l'intervento dei signori:


 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 9006/2004


 

FF