R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.1915/2009

Reg. Dec.

N. 2137 Reg. Ric.

Anno 2005

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 2137/2005, proposto da @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avv.ti -

contro

il MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro in carica, in persona del , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sezione 1^ bis, del 15 dicembre 2004, n. 16075;

visto il ricorso in appello, con i relativi allegati,

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione appellata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

visti gli atti tutti della causa;

data per letta, all’udienza pubblica del 19 gennaio 2009 la relazione -

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

F  A  T  T  O

     L’appuntato dei Carabinieri @@@@@@@ @@@@@@@ impugnava innanzi al TAR del Lazio la determinazione del 10 agosto 1998 con la quale il dirigente generale del personale militare del Ministero della Difesa  gli aveva irrogato, previo giudizio della competente Commissione di disciplina, la sanzione disciplinare della “perdita del grado” e, per l’effetto, la cessazione dal servizio permanente, in quanto, in applicazione dell’art. 34 della legge n. 1168 del 1961, era risultato colpevole di essersi indebitamente appropriato, con artifizi e raggiri, della somma di lire 35 milioni, poi recuperata in favore di terza persona, spacciandosi per malavitoso.

     Tale sanzione disciplinare era stata preceduta da condanna in sede penale, pronunziata ex artt. 444 e 445 c.p.p., a pena detentiva, sostituita con pena pecuniaria, per il reato di truffa aggravata (artt.640 e 61, nn. 7 ed 11 del c.p.).

     Per l’annullamento di detta determinazione il sig. @@@@@@@ aveva dedotto innanzi al TAR:

     a)- la violazione del principio di autonoma valutazione, ai fini disciplinari, dei fatti che hanno comportato condanna penale;

     b)- la violazione del principio della gradualità sanzionatoria, essendo sproporzionata la sanzione irrogata rispetto ai fatti commessi ed ai precedenti favorevoli di carriera.

     Con sentenza n. 16075 del 15 dicembre 2004 il Giudice di prima istanza ha respinto il ricorso perché ha ritenuto infondate entrambe le censure anzidette.

     Con l’atto di appello in esame il sig. @@@@@@@ ha impugnato detta sentenza articolando i seguenti motivi:

      1)- il TAR, nel decidere sul primo motivo di ricorso, avrebbe commesso lo stesso errore in cui era già incorsa la Commissione di disciplina e cioè ritenere di poter “…argomentare la colpevolezza della condotta dell’inquisito sulla base di valutazioni di verisimiglianza delle circostanze rilevate e sulla scorta di mere ipotesi…anziché accertare la veridicità e l’attendibilità di quanto contenuto nell’esposto-querela che incolpava il militare…”; infatti, in tal modo, il TAR sarebbe pervenuto ad una ricostruzione dei fatti che non potrebbe essere valutata quale “…autonoma considerazione…” in sede disciplinare dei fatti oggetto della sentenza penale patteggiata, tenuto conto che “presupposto unico” della irrogata sanzione disciplinare sarebbe stato soltanto detta sentenza;

2)- il Tar, inoltre, avrebbe erroneamente ritenuto limitata alle sole ipotesi di travisamento dei fatti o di manifesta illogicità della determinazione assunta l’ampiezza del proprio sindacato, mentre, invece, avrebbe potuto estenderlo, come chiarito dalla giurisprudenza, anche alla verifica della sussistenza o meno di proporzionalità fra il fatto contestato e la sanzione irrogabile, nonché alla congruità della motivazione allegata al provvedimento disciplinare, tenuto conto che “…la ricostruzione dei fatti ascrivibili alla responsabilità del dipendente era stata effettuata sulla base di una mera valutazione di verisimiglianza (anziché di pieno accertamento tramite risultanze probatorie in equivoche) e che la condotta finora tenuta dal dipendente era stata al di sopra della media, come risulta dalla nota del Comandante della Regione Carabinieri del ...…”.

      L’Amministrazione della Difesa si è costituita in giudizio.

     All’udienza pubblica del 13 gennaio 2009, udito l’avv. .per la parte appellante e l’avv. per la parte appellata,  il ricorso è stato rimesso in decisione.

     D  I  R  I  T  T  O

     1. L’appello è infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

     1.1 Il sig. @@@@@@@, con il primo motivo di impougnazione, critica la decisione del Tar sostenendo che nessuna “consistenza probatoria” potrebbe essere attribuita, ai fini della necessaria ricostruzione dei fatti in sede disciplinare, alla denuncia-querela che aveva originato il procedimento penale, atteso che “…trattandosi di dichiarazione resa da un soggetto in posizione conflittuale con l’incolpato, quanto in essa contenuto non può essere idoneo a fornire elementi utili all’accertamento…”.

     Al riguardo, rileva il Collegio che -in disparte il valore attribuito dal legislatore, a fini disciplinari, alla sentenza di patteggiamento nel periodo di tempo antecedente alla riforma introdotta con la legge n. 97 del 2001, non trovando applicazione quest’ultima, ratione temporis, nella fattispecie- le argomentazioni spese in questa sede, così come quelle direttamente rassegnate dal militare innanzi alla Commissione di disciplina, non scalfiscono in alcun modo, né la circostanza, oggettivamente verificabile dal verbale 28 luglio 1998 e dagli atti ad esso allegati, che detta Commissione ha proceduto ad autonoma rivisitazione di tutti i fatti contestati al militare, come dimostrano anche le domande fatte all’inquisito dai componenti della Commissione stessa, né la valutazione operata da quest’ultimo organo, sol che si tenga in conto che la ricostruzione dei fatti effettuata dall’inquisito correttamente è stata ritenuta non verosimile, essendo essa contrastata da una attenta lettura degli atti, ivi compresa la stessa relazione difensiva fatta dall’inquisito.

     In particolare, giova evidenziare, come già correttamente fatto dal Giudice di prime cure, che è lo stesso ricorrente ad ammettere di essersi appropriato, mediante monetizzazione, di assegni ricevuti in consegna e che la dichiarazione resa dal Comandante della Stazione (Maresciallo @@@@@@@) ove il @@@@@@@ prestava servizio (al quale sottufficiale lo stesso @@@@@@@ dichiara di avere chiesto consiglio per risolvere i problemi insorti con tale sig. ...) non accenna minimamente, nè direttamente nè indirettamente, al fatto che il suo subordinato gli avesse riferito di avere restituito al predetto sig. ... i trentacinque milioni dovutigli.

     In tale situazione, ben si comprende e si giustifica come sia stato ritenuto poco credibile la tesi dell’appellante di essersi prestato a restituire le somme richiestegli sol perché minacciato dal suo querelante, tenuto conto che l’accordo per restituire ratealmente i soldi artificiosamente trattenuti è stato raggiunto con la mediazione di un sottuffiale dell’Arma, che certamente non si sarebbe prestato a tale compito sol che avesse avuto sentore che detto accordo potesse essere, in realtà, una estorsione in danno del suo subordinato.

     Né possono essere condivise le critiche mosse dall’appellante alla valutazione che la Commissione di disciplina ha fatto di alcune risultanze istruttorie, quali la testimonianza resa da tale @@@@@@@ e la nota  del Generale Comandante della Regione Carabinieri -

- con riferimento alla prima, appare razionalmente giustificato che la predetta Commissione abbia ritenuto più verosimile la versione fornita dal sig. -, rispetto a quella fornita dal @@@@@@@, sia per le ragioni già evidenziate in precedenza, sia perché  dalle dichiarazioni rese dal teste @@@@@@@ ai Carabinieri di Milano emerge con evidenza che “la minaccia” era per così dire “trasversale” e cioè diretta, come riferito dallo stesso teste, al suo amico sig. -;

- con riferimento alla seconda, è altrettanto evidente, da una lettura complessiva ed attenta della nota, come “i chiarimenti” richiesti dal Comandante Regionale avevano come scopo, ben vero di esprimere meraviglia, ma non per la sottoposizione del militare in questione a procedimento disciplinare; infatti, la annotata “…evidente discrasia di tale giudizio con quanto comunicato precedentemente, anche di recente, sul conto dell’interessato…classificato anche superiore alla media…” esprime la chiara intenzione di rivolgere una “reprimenda”, per così dire, ai superiori diretti dell’inquisito per non essersi mai resi conto del modo di comportarsi e di agire per anni del militare.

     In sintesi, sotto il profilo di appello esaminato, deve integralmente condividersi la motivazione del Giudice di prima istanza, precisando, ulteriormente, soltanto che la valutazione dell’Amministrazione non può ritenersi correttamente sottoposta a critica neppure quando l’appellante accusa la stessa Amministrazione di avere utilizzato quale “presupposto unico” della irrogata sanzione la mera condanna patteggiata del ricorrente per truffa aggravata, tenuto conto che, in ogni caso, la predetta condanna, già in sè e per sé, essendo riferita ad un militare dell’Arma, ha capacità autonoma di vulnerare irreparabilmente, non solo la credibilità del militare stesso, ma anche il prestigio dell’Arma, in palese e concreta violazione del giuramento prestato all’atto dell’arruolamento, per cui è da ritenere logico e commisurato alla gravità del fatto commesso che sia stata irrogata la sanzione massima espulsiva.

     1.2 Con il secondo ed ultimo motivo di appello il sig. @@@@@@@ si duole della violazione del principio di gradualità sanzionatoria e di congruità della motivazione, essendo sproporzionata, a suo giudizio, la sanzione irrogata rispetto ai fatti commessi ed ai precedenti di carriera favorevoli.

     Quanto al primo dei suddetti profili di impugnazione, non possono non ribadirsi le considerazioni da ultimo espresse nel capo di motivazione che precede, perché esse, ovviamente correlate sia alle risultanze documentali in atti, sia alle valutazioni espresse dal Collegio al riguardo, consentono di ritenere infondata la doglianza di violazione del principio di gradualità sanzionatoria.

     Quanto al secondo profilo, pare sufficiente chiarire che la congruità della motivazione va valutata tenendo conto non soltanto di quella formalmente espressa, ma anche di quella agevolmente ricavabile dal collegamento della prima con la documentazione in atti, presa in esame dalla Commissione di disciplina e valutata anche alla luce degli apporti critici dell’inquisito.

     In sintesi, deve ritenersi immune dai vizi denunziati l’impugnata sentenza, potendosi condividere la motivazione anche per questa parte resa dal Giudice di prime cure.

     2. In conclusione, l’appello è infondato e può disporsi, quanto alle spese del presente grado di giudizio, che le stesse siano integralmente compensate tra le parti, sussistendo giusti motivi per provvedere in tal modo.

     P. Q. M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, respinge l’appello.

     Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 gennaio 2009, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori: