REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.3223/2006

Reg.Dec.

N. 10374  Reg.Ric.

ANNO   2001

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da Ministero dell’interno in persona del Ministro p.t. rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è ope legis domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12;

contro

(omissis) n.c.;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria Sezione distaccata di Reggio Calabria  n.230 del 9 marzo 2001

       Visto il ricorso con i relativi allegati;

       Visti gli atti tutti della causa;

       Alla pubblica udienza del 28 febbraio 2006  relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo.

       Udito l’avv. dello Stato Giannuzzi; 

       Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

     Con la sentenza in epigrafe, il Tar della Calabria ha accolto il ricorso proposto dall’agente della Polizia di Stato (omissis) avverso il decreto del Capo della Polizia del 13 maggio 1999, con cui gli era stata comminata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi, con correlata deduzione dall’anzianità per un periodo corrispondente. Riteneva il Tribunale che la singolarità della circostanza a base del comportamento contestato al ricorrente- richiesta di identificazione da parte di un collega che lo conosceva, avendo di recente prestato servizio insieme a lui- non fosse stata tenuta nel debito conto, essendosi applicata col provvedimento impugnato una sanzione sproporzionata ed eccessiva, tenuto conto del comportamento oggettivamente provocatorio posto in essere dagli agenti che avevano proceduto all’identificazione in parola.

     Appella l’Amministrazione deducendo che il Tar non ha tenuto conto dei precedenti disciplinari del ricorrente, già sanzionato per comportamenti analoghi a quello per cui si è proceduto. Lo stesso ricorrente, poi, non ha negato i fatti, e ha quindi effettivamente posto in essere la condotta oggetto dell’inchiesta disciplinare. La comminata sospensione è conforme agli artt.6 e 13 del DPR 25 ottobre 1981, n.737, che impongono di sanzionare con maggiore severità mancanze gravi o reiterate e abituali. Il (omissis) è infatti recidivo nel tenere comportamenti scorretti e di rilievo disciplinare, come dimostra la circostanza che, prima del presente episodio, gli erano state inflitte ben 10 sanzioni disciplinari. Comunque, l’apprezzamento espresso dal Tar sull’eccessività della sanzione inflitta ha esorbitato dai limiti del sindacato di legittimità, poiché alla luce di quanto osservato, non emerge alcuna illogicità macroscopica. Si ribadisce che consolidata giurisprudenza ha affermato che le norme relative agli illeciti disciplinari sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi, spettando all’Amministrazione di stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, che assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità.

     Nessuno si è costituito per l’originario ricorrente.

DIRITTO

     L’appello è infondato.

     Nel caso in esame il Tribunale ha accolto il primo motivo del ricorso introduttivo, ove si lamentava, tra l’altro, il vizio di motivazione del provvedimento impugnato per non avere tenuto conto della “arbitrarietà e illegittimità della condotta tenuta dagli agenti operanti nei confronti del ricorrente”, sebbene la stessa relazione del funzionario istruttore avesse manifestato ragionevoli dubbi sulla “genuinità” dell’identificazone disposta nei confronti di un collega ben conosciuto da almeno uno degli agenti intervenuti.

     La circostanza in questione è di importanza obiettiva nel definire la dinamica dei fatti oggetto di contestazione, poiché non risulta che il pur grave alterco tra il ricorrente e i suoi colleghi intervenuti sia stato originato da altro che non fosse la richiesta di identificazione, senza cioè che fossero in questione eventuali infrazioni al codice della strada o altri atteggiamenti sospetti tenuti dal ricorrente (i quali, oltretutto, potessero verosimilmente ipotizzarsi come tali alla luce della conoscenza che uno degli agenti possedeva della qualità di poliziotto del (omissis)).

     L’eccessività della sanzione comminata sarebbe, per il giudice di prime cure, connessa proprio al mancato rilievo attribuito a questa circostanza e su tale conclusione può, nella presente sede, concordarsi, atteso che la valutazione operata dall’Amministrazione si manifesta nella sua illocigità una volta che dagli atti istruttori era emersa la riferita circostanza che costituisce lo sfondo della vicenda in esame.

     Il rilievo del Tar, dunque, si muove proprio sul piano del sindacato di legittimità, contrariamente a quanto affermato dall’Amministrazione, incentrandosi sul vizio logico rilevato per l’omessa considerazione di un presupposto fattuale di importanza decisiva nello stabilire non la responsabilità disciplinare, ma il “quantum” della pena, avendo infatti l’Amministrazione comminato la sanzione della sospensione nel massimo previsto di sei mesi.

     Tale “decisum” non pare inficiato dalla mancata considerazione delle precedenti sanzioni disciplinari per analoghe mancanze comminate al ricorrente, come deduce l’appello, perché, date le circostanze complessive emergenti dall’istruttoria, quello che ne risulta censurato non è il tipo di sanzione inflitta, ma la proporzionalità della sua misura.

     Il Tar ha cioè ritenuto che la recidività non poteva essere l’unico criterio applicativo del “quantum” della sanzione, giocando in tal senso un ruolo non meno importante l’elemento dell’atteggiamento provocatorio tenuto dai colleghi intervenuti, che, in definitiva, senza serie ragioni giustificative emergenti dagli accertamenti svolti in sede disciplinare, ha dato luogo ad un episodio di accesa lite e contrasto non certo indotto da alcun comportamento tenuto in precedenza dal ricorrente.

     Sulla gravità dell’infrazione contestata, dunque, influisce in modo logico ed obiettivo, conformemente ai principi generali del diritto c.d. “punitivo” in materia di determinazione delle misure afflittive, l’evidente rilievo che sugli agenti intervenuti nell’occasione incombesse un pari obbligo di non provocare, di propria autonoma iniziativa, un turbamento dell’ordine pubblico non necessitato da ragioni obiettive attinenti ai loro doveri di intervento, laddove non risulta che ragioni di intervento a fini identificativi sussistessero, se non quelle personali e inammissibili che si intuiscono dalle dichiarazioni delle parti.

     Nulla va disposto in ordine alle spese del presente grado di giudizio attesa la mancata costituzione dell’appellato.

P.Q.M.

       Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.                                 

       Nulla per le spese di giudizio.

       Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

       Così deciso in Roma, il 28.2.2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giorgio GIOVANNINI   Presidente

Luigi MARUOTTI    Consigliere

Carmine VOLPE    Consigliere

Giuseppe ROMEO    Consigliere

Luciano BARRA CARACCIOLO  Consigliere Est. 
 

Presidente

GIORGIO GIOVANNINI

Consigliere       Segretario

LUCIANO BARRA CARACCIOLO   GIOVANNI CECI 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il..29/05/2006

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 10374/2001


 

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