REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.377/2006

Reg.Dec.

N.  10282 Reg.Ric.

ANNO   2000

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso n. 10282/2000 proposto da (omissis), rappresentato e difeso dall’Avv. Bruno Pettinari, ed elettivamente domiciliato a Roma, presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato, piazza Capo di Ferro n. 13;

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t. e la Questura di Macerata, in persona del Prefetto p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono legalmente domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12; 

il Capo della Polizia - Direttore Centrale della Pubblica Sicurezza – Dipartimento Pubblica Sicurezza, non costituito;

il Consiglio Provinciale di Disciplina di Macerata, non costituito;

per l’annullamento 

della sentenza n. 1232/2000 con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche  resa inter partes;

    Visto il ricorso con i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione appellata;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

    Visti gli atti tutti della causa;

    Relatore, alla pubblica udienza del 14 ottobre 2005, il Consigliere Francesco Caringella e udito l’avv. dello Stato Volpe;

    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO DIRITTO

    1. L’odierno appellante, vice Sovrintendente di P.S. presso la Questura di macerata,  impugna la sentenza con la quale  il Primo Giudice ha respinto, previa riunione, i ricorsi proposti  in prime cure avverso gli atti del procedimento disciplinare culminato con il provvedimento di destituzione di cui al decreto 26.7.1999, n. 333-D/28642 del Capo della Polizia.

    Resiste il Ministero appellato.

    All’udienza del 14 ottobre 2005 la causa è stata trattenuta per la decisione.

    2. L’appello è infondato.

    2.1. Giova prendere le mosse dalle censure con le quali si ripropongono i motivo del  ricorso n. 710/1999 di primo grado.

    Non meritano accoglimento innanzitutto i motivi di gravame, sviluppati con i primi tre motivi di appello,  con i quali la parte ricorrente torna a ribadire l’assunto dell’illegittimità dell’atto con il quale il Capo della Polizia  ha disposto l’annullamento della  dell’originaria proposta del Consiglio di disciplina.

    Osserva infatti il Collegio  che la titolarità, in capo del Capo della Polizia, del potere di definire il procedimento disciplinare implica, in via generale, il connesso potere-dovere di verificare la legittimità e la completezza degli atti del procedimento e di disporre, ove del caso, l’integrazione dell’attività istruttoria. Ne consegue che se è vero che la normativa  non  riconosce al capo della Polizia il potere di infliggere una sanzione più grave di quella proposta dal Consiglio di disciplina (vedi art. 21 del d.P.R. n. 737/1981) è del pari indubitabile che sia immanente alla potestà di definizione del procedimento, ed al conseguente dovere primario di evitare illegittimità negativamente incidenti sulla determinazione finale di competenza dell’autorità in esame,  il compito di eccitare l’esercizio del potere di riesame della originaria proposta del Consiglio al fine di porre rimedio alle lacune ed alle incongruenze  verificate.

    Nel solco di queste coordinate ricavabili dai principi generali si è per l’appunto mosso il contestato provvedimento del Capo della polizia che, senza sfociare nelle non consentita reformatio in pejus della proposta, ha nella sostanza disposto il riesame della proposta stessa  in relazione alla deficienza data dalla non adeguata valutazione della rilevanza dei precedenti disciplinari  dell’interessato. Deficienza la cui ricorrenza si rivela dall’esame della proposta originaria  che, pur menzionando  le contestazioni del funzionario istruttore, non è assistita da un’effettiva e congrua valutazione della contestata preesistente e riprovevole condotta dell’interessato al fine di verificare la rilevanza di tale dato ai fini della derubricazione della originaria contestazione.

    Alla doglianza tesa a stigmatizzare la violazione del termine di dieci giorni  stabilito dall’articolo 21, comma 4, del d.P.R. n. 737/1981 (norma secondo cui il decreto con il quale viene inflitta la sanzione disciplinare al soggetto che appartiene ai ruoli della Polizia di Stato "deve essere comunicato all'interessato entro dieci giorni dalla sua data)", si deve opporre il consolidato e condivisibile indirizzo giurisprudenziale propenso ad escludere la caratterizzazione perentoria del termine in parola.

    2.2. Del pari infondate si appalesano le censure che ripropongono i motivi dell’originario ricorso n. 979/1999.

    A confutazione della doglianza che mette l’accento sul diverso tenore della seconda rispetto alla prima proposta del Consiglio di disciplina, anche con riferimento a profili diversi dalla valutazione dei precedenti disciplinari, si deve rimarcare che la legittima sottolineatura, nel ricordato decreto del Capo della polizia, delle carenze motivazionali che avevano inficiato la prima proposta rendesse fisiologica, se non  doverosa, la rivalutazione complessiva della fattispecie al fine dell’individuazione della sanzione congrua in relazione ai fatti in contestazione.

    L’esame degli atti di causa non consente poi di condividere il rimprovero rivolto agli atti impugnati in relazione alla modificazione dell’originaria contestazione, posto che gli elementi valutati in occasione della determinazione finale sono coerenti, anche alla luce del principio di continenza, con la contestazione degli addebiti e risultano acquisti agli atti del procedimento in guisa da non incidere negativamente sull’esplicazione del diritto di difesa.

    L’applicazione del principio sancito con la decisione 25 gennaio 2000, n. 6 resa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato consente inoltre di escludere l’applicabilità, in caso di procedimento disciplinare conseguente a sentenza penale di applicazione di pena concordata ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., del  termine di novanta giorni sancito dall’articolo 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, valendo piuttosto la disciplina generale posta sul piano della tempistica procedimentale dal TU 10 gennaio 1957, n. 3.

    Sono altresì infondate le censure tese a stigmatizzare la assenza della autonoma valutazione dei fatti posti a base della sentenza ex art. 444 c.p.p., se si considera che il provvedimento finale,  in una con la proposta del consiglio di disciplina, rende conto della autonoma valutazione della incompatibilità del comportamento tenuto, anche al di là della rilevanza penale sul piano dell’integrazione dei reati contestati in materia di estorsione, con l’ulteriore permanenza in sevizio; e tanto anche alla luce dei “pessimi precedenti disciplinari”.

    In merito agli ultimi motivi rivolti all’indirizzo dell’atto finale del capo della Polizia si deve ribadire la natura non perentoria dei termini di cui all’articolo 21, comma 4, del d.P.R. n. 737/1981. Non sussiste poi la dedotta deficienza  motivazionale del provvedimento finale soccorrendo  il principio giurisprudenziale secondo il quale non è necessaria una analitica confutazione dei singoli argomenti difensivi svolti dall’incolpato qualora, come nella specie, risultino percepibili le ragioni della valutazione sfavorevole di dette tesi, nella specie anche con rinvio per relationem alla proposta del consiglio di disciplina.

    Infine, pecca per genericità l’accusa di slealtà  mossa al Capo della Polizia nel mentre sono sostanzialmente ripetitive di quelle prima disattese le censure tese, una volta ancora, a ribadire la violazione delle regole applicative del principio del giusto procedimento.

    4. L’appello deve essere conseguentemente  respinto.

    Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) - definitivamente pronunciando, respinge l’appello.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma, addì 14 ottobre 2005, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. VI) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Claudio VARRONE   Presidente

Sabino LUCE    Consigliere

Luigi MARUOTTI   Consigliere

Carmine VOLPE   Consigliere

Francesco CARINGELLA  Consigliere Est. 
 

Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere       Segretario

FRANCESCO CARINGELLA    VITTORIO ZOFFOLI 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il...03/02/2006

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 10282/2000


 

FF