REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.378/2006             Reg.Dec.

N. 126    Reg.Ric.

ANNO 2001        

       Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici è per legge domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12.     

contro

(omissis), rappresentato e difeso dall’avv. Maurizio Discepolo presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via Simone di Saint Bon, n. 61.

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Milano Sez. I, n. 3229 dell’11 maggio 2000. 

       Visto il ricorso con i relativi allegati;

       Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato.

       Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

       Visti gli atti tutti della causa;

       Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2005 relatore il Consigliere Guido Salemi. Uditi l’avvocato dello Stato Ferrante e l’avv. Discepolo.

       Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O e D I R I T T O

1.- Il sig. (omissis) (omissis), agente della Polizia di Stato, adiva il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, chiedendo l’annullamento del decreto del Capo della Polizia in data 26 febbraio 1999, con il quale gli era stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di mesi sei, ai sensi dell’art. 6, n. 1, in relazione all’art. 4, n. 18, del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, perché, “evidenziando grave mancanza di correttezza nel comportamento, aggravata dall’esistenza di precedenti disciplinari di rilievo, anche se non a carattere specifico, veniva a diverbio con i propri genitori procurando loro lesioni e costringendo il padre a chiedere l’intervento di una volante”.

2.- Con sentenza n. 3299 dell’11 maggio 2000, il giudice adito accoglieva il ricorso.

A suo avviso, vi era stata da parte del Consiglio provinciale di disciplina una evidente sopravvalutazione dei comportamenti del ricorrente, assegnando a questi stessi un valore determinante per le altre reazioni, ed assegnando, invece, un valore minimo alle precedenti azioni altrui che avevano causato le reazione del ricorrente stesso; fatti accaduti, peraltro, all’interno delle mura domestiche.

Il T.A.R. affermava, altresì, che “la complessa vicenda – proprio perché definita privata – appariva valutata in modo contraddittorio e incongruo.

Inoltre, la complessa vicenda – proprio perché definita privata – appariva valutata in modo contraddittorio e non era così grave da assumere la definizione assegnatale dal Consiglio di disciplina, posto che i comportamenti del ricorrente si erano, con certezza, confrontati con errori ed iniziative di altre persone non coartate né fisicamente né moralmente; persone che, a loro volta, erano state causa delle reazioni del ricorrente stesso.

Sulla scorta di tali considerazioni, il T.A.R., “pur non avallando i disdicevoli e irriflessivi comportamenti del ricorrente”, riteneva che i comportamenti dell’istante dovessero essere “rivalutati, comminando, se del caso, una diversa sanzione”.  

3.- Con ricorso notificato il 12 dicembre 2000, il Ministero dell’Interno ha proposto appello contro la summenzionata sentenza.

Si è costituito in giudizio l’appellato.

Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2005, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

3.- In via preliminare, va esaminata l’eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse, che è stata sollevata dall’Avvocatura Generale dello Stato sulla base della considerazione che l’appellato è stato destinatario di un provvedimento disciplinare di destituzione dal servizio emesso il successivo 9 ottobre 1999.

L’eccezione è infondata.

In disparte ogni considerazione sul fatto che la difesa dell’Amministrazione non ha specificato se questo ultimo provvedimento sia divenuto inoppugnabile, è, comunque, certo che l’interesse all’impugnazione permane pur dopo l’intervenuta misura espulsiva.

La sanzione della sospensione dal servizio comporta, infatti, ai sensi dell’art. 6, primo comma, del D.P.R. n. 737 del 1981, la privazione della retribuzione mensile per il periodo corrispondente alla sanzione disciplinare inflitta, sicché, in caso di esito positivo del gravame, v’è il diritto dell’istante a percepire la differenza tra la retribuzione non corrisposta e l’assegno alimentare.

4.- Nel merito, la difesa dell’Amministrazione sostiene che il procedimento disciplinare appare affatto legittimo, scaturito da una scrupolosa inchiesta disciplinare a conclusione della quale il Consiglio provinciale di disciplina ha tenuto in debita considerazione il quadro di insieme che ne emergeva e che gravava sul dipendente, proponendo conseguentemente una sanzione più lieve, non ritenendo congrua, alla luce del quadro emerso, la sanzione della destituzione inizialmente contestata.

In particolare, diversamente da quanto sostenuto dal T.A.R., al (omissis) è stata inflitta la sospensione dal servizio in considerazione della grave mancanza di correttezza nel comportamento tenuto, aggravata dall’esistenza di precedenti disciplinari di rilievo.

Detti precedenti disciplinari riguardano un richiamo scritto per essersi il dipendente presentato in ritardo in occasione di un servizio di vigilanza ad un obiettivo cittadino ed una sospensione dal servizio per la durata di mesi 4 per aver in breve lasso di tempo evidenziato una persistente indecorosa condotta in luogo diverso da quello di servizio, infastidendo una famiglia di privati cittadini ed apostrofato in malo due poliziotti in servizio ad Ancona che, secondo il dipendente, lo avevano pedinato tutto il giorno.

Vi è stata, pertanto, una congrua e ponderata valutazione di tutti gli aspetti della vicenda, laddove, esclusa l’applicazione della destituzione inizialmente contestata in virtù della considerazione della sfera privata in cui si è consumato l’episodio, l’organo disciplinare ha ritenuto la sanzione impugnata alla luce dei precedenti disciplinari.

Inoltre, sarebbero inconferenti le argomentazioni del giudice adito nella parte in cui hanno ritenuto che l’Amministrazione avrebbe assegnato un valore minimo alle precedenti azioni altrui che avevano causato le reazioni del ricorrente stesso.

Infatti, la condotta di un operatore di polizia, per le delicate e precipue funzioni demandategli dalla legge, deve essere sempre improntata, anche fuori del servizio, ad irreprensibilità e giammai dare luogo, come nel caso in questione, a disdicevoli ed irriflessivi comportamenti, peraltro riconosciuti tali dallo stesso T.A.R.

L’appello è fondato.

E’ giurisprudenza costante di questo Consiglio che, nel procedimento disciplinare, il giudizio si svolge con una larga discrezionalità da parte dell’Amministrazione in ordine al convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e della conseguente sanzione da irrogare e che il giudice amministrativo non può sostituirsi agli organi dell’Amministrazione nella valutazione dei fatti contestati se non nei limiti in cui detta valutazione contenga un travisamento dei fatti ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (cfr., di recente, Sez. IV, 11 marzo 2003, n. 1319 e Sez. VI, 28 marzo 2003, n. 1639).

Nella fattispecie in esame, deve escludersi che il procedimento disciplinare sia inficiato dai summenzionati vizi, atteso che l’Amministrazione ha compiuto una corretta ricostruzione della vicenda, tant’è che il Consiglio di disciplina ha ritenuto che l’episodio, essendosi verificato all’interno delle mure domestiche, non era suscettivo di arrecare nocumento al prestigio e al decoro dell’Amministrazione, ma denotava, comunque, grave mancanza di correttezza, ai sensi dell’art. 4, n. 18, del D.P.R. n. 737 del 1981.

5.- In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado dall’appellato.  

Circa le spese e gli altri oneri del doppio grado di giudizio, si ravvisano giusti motivi per compensarli tra le parti.

P. Q. M.

       Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado.

       Compensa tra le parti le spese di giudizio.

       Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

       Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2005, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Claudio VARRONE         Presidente

Sabino LUCE                                                                        Consigliere

Luigi MARUOTTI          Consigliere

Giuseppe ROMEO            Consigliere

Guido SALEMI               Consigliere, est. 
 

Presidente

CLAUDIO VARRONE

      Consigliere Estensore                                              Segretario

GUIDO SALEMI     GIOVANNI CECI 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il.....03/02/2006.

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì.........................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 
 

                                                                        Il Direttore della Segreteria 
 
 
 

 
 

reg.ric.n. 126/2001 


 

A.L.