N. 4392/2007

Reg. Dec.

N. 7001 Reg. Ric.

Anno 2005 
 

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

   Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n.7001 del 2005 proposto dal Ministero dell’ Economia e delle Finanze – Comando generale del Corpo della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso la quale domicilia ex lege in Roma Via dei Portoghesi n. 12;

contro

...omissismsmvld.... ...omissismsmvld...., rappresentato e difeso dall’avvocato prof. Francesco Castello presso lo studio del quale elettivamente domicilia in Roma Via G. Cerbara n. 64;

per l’annullamento

   della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – II Sez. 10.5.2005 n. 3494;

   Visto il ricorso con i relativi allegati;

   Visto l’atto di costituzione e controricorso dell’appellato;

   Vista la memoria prodotta dall’appellato;

   Visti gli atti tutti della causa;

   Relatore alla pubblica Udienza dell’ 8 maggio 2007 il Consigliere  A. Anastasi; uditi l’avvocato dello Stato Grumetto e l’avvocato Castiello;

   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Il brigadiere del Corpo della Guardia di Finanza ...omissismsmvld.... ...omissismsmvld.... è stato sottoposto ad indagini penali perché accusato di aver fornito, in concorso con altro appartenente al Corpo, a due nipoti partecipanti al concorso per il reclutamento di allievi sottufficiali  le soluzioni dei test di cultura generale nonché altra documentazione.

Con sentenza del 2.4.2003 il G.I.P. presso il Tribunale di Roma ha dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.

Il sottufficiale è stato quindi sottoposto a procedimento disciplinare, all’esito del quale la Commissione di disciplina lo ha ritenuto meritevole di conservare il grado.

Il Comandante in seconda del Corpo tuttavia ha ritenuto di discostarsi da tale parere e con decreto del 23 luglio 2004 ha irrogato all’interessato la sanzione della perdita del grado per rimozione.

Con la sentenza in epigrafe indicata il T.A.R. del Lazio, adito dal sovrintendente ...omissismsmvld...., ha annullato il provvedimento espulsivo.

A sostegno del decisum il Tribunale ha rilevato che la sanzione risultava motivata in riferimento a comportamenti dell’incolpato in realtà da ritenere non provati.

La sentenza è impugnata dall’Amministrazione che ne chiede l’integrale riforma deducendo un unico articolato motivo d’appello.

Si è costituito il brigadiere ...omissismsmvld...., insistendo per il rigetto del gravame e riproponendo le censure assorbite dal Tribunale.

Lo stesso ha presentato una memoria e documenti.

All’udienza dell’8 maggio 2007 il ricorso è stato spedito in decisione.

DIRITTO

L’appello è fondato e va pertanto accolto.

Deduce l’Amministrazione con il motivo d’appello che – diversamente da come ritenuto dal Tribunale – il provvedimento sanzionatorio fonda in realtà su un valido e insindacabile apprezzamento delle risultanze istruttorie.

Il mezzo è fondato.

In tal senso si deve premettere che il provvedimento impugnato è stato adottato in prevalenza sulla base del materiale probatorio acquisito nel procedimento penale, la cui valutazione ha indotto il Comando a ritenere l’effettiva sussistenza dei gravi fatti addebitati al sottufficiale.

Al riguardo è da osservare che la P.A. in sede disciplinare ben può tenere conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alla luce del principio di economicità del procedimento: ciò che conta, infatti, è che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare.

Nel caso in esame tale valutazione di merito – rapportandosi alle dichiarazioni accusatorie spontaneamente rese da un militare appartenente al Nucleo reclutamento, all’esito delle perquisizioni effettuate nei confronti del coimputato e al contenuto delle  intercettazioni telefoniche disposte dall’A.G. sulle utenze in disponibilità degli inquisiti – non esibisce alcuno di quei profili di illogicità  che l’appellato mira a lumeggiare e resta dunque insindacabile in questa sede di legittimità.

E’ noto infatti che, secondo consolidati principi, nel procedimento disciplinare a carico del pubblico dipendente l’apprezzamento dei fatti e la valutazione delle prove costituiscono espressione di attività di pieno merito e si sottraggono dunque al sindacato di legittimità, salva l’ipotesi della manifesta irragionevolezza che nel caso all’esame, come si è detto, non ricorre.

A fronte del tentativo del ricorrente di banalizzare in particolare il contenuto delle intercettazioni – ascrivendo i ripetuti contatti con l’altro militare inquisito a generiche ragioni di sollecitudine parentale - resta infatti che le stesse  ove obiettivamente e contestualmente considerate contribuiscono in modo preciso grave e concordante a delineare un quadro di riferimento comportamentale che non illogicamente l’autorità disciplinare ha ritenuto in irrimediabile contrasto con i vincoli di lealtà e correttezza esigibili da un graduato, oltre tutto  appartenente al Corpo da lunga data.

Dalla lettura delle trascrizioni delle conversazioni telefoniche (si pensi ad esempio a quella in cui viene espresso stupore e sconcerto per “l’incomprensibile” bocciatura di uno dei nipoti del ...omissismsmvld.... in fase di test) nonché dai riscontri di P.g. (si pensi fra l’altro alle ripetute visite presso l’abitazione di uno dei sottufficiali inquisiti da parte degli aspiranti alla vigilia dell’esame ed al tenore dei colloqui intercorsi tra i giovani) emergono infatti elementi probatori che del tutto ragionevolmente hanno indotto il Comando a ritenere veridici i comportamenti negativi ascritti al ricorrente.

Per contro, a fronte di un contesto probatorio così concludente riesce non facile comprendere in base a quale iter logico motivazionale la Commissione di disciplina possa aver degradato al rango di meri indizi una serie di fatti e circostanze che appaiono inquadrabili solo nell’ottica di un consapevole tentativo di alterare l’obiettività della procedura concorsuale.

Né il fatto che uno dei due congiunti del ricorrente non abbia superato l’esame costituisce una prova a discarico, in quanto l’insuccesso si è palesemente prodotto – alla luce di quanto sopra riportato – per fattori indipendenti dalla volontà dell’incolpato.

Deve quindi concludersi che il provvedimento poggia su un apprezzamento delle risultanze istruttorie ragionevole, adeguato e  non affetto da alcuno dei dedotti travisamenti.

L’accoglimento del mezzo impone di procedere al vaglio delle censure assorbite e qui riproposte dall’appellato.

Esse non meritano favorevole considerazione.

Infondata – anche a non volerla considerare dedotta con carattere di assoluta novità in appello - è in primo luogo la doglianza mediante la quale si rappresenta l’intervenuta estinzione del procedimento disciplinare per superamento del termine massimo di novanta giorni di inattività, previsto dall’art. 120 del T.U. n. 3 del 1957.

Infatti, per consolidata giurisprudenza, il termine in questione si intende rispettato ove nell’ambito di esso sia stato adottato il provvedimento sanzionatorio, pur successivamente notificato.

Quanto all’art. 21 bis della legge n. 241 del 1990 – peraltro entrato in vigore in epoca successiva ai fatti in controversia – esso si limita a regolare l’efficacia del provvedimento limitativo ma non attribuisce natura recettizia ad atti come quello di rimozione che possono spiegare i loro effetti costitutivi ex tunc indipendentemente dalla collaborazione del destinatario.

Ulteriormente deduce l’appellato che nel caso in esame il Comandante generale si è illegittimamente discostato dal giudizio formulato dalla Commissione di disciplina.

Anche questa censura non è fondata.

In virtù del combinato disposto dell’art. 75 della legge n. 599 del 1954 e dell’art. 1 della legge n. 260 del 1954, nei procedimenti disciplinari a carico dei sottufficiali di Finanza il Ministro (ora il Comandante generale) può discostarsi dal parere della Commissione di disciplina, in casi di particolare gravità, anche a sfavore dell’incolpato.

Dal punto di vista strutturale tale previsione – che non trova riscontro nell’ordinamento disciplinare del pubblico impiego civile e dei militari di truppa del Corpo – incide sulla qualificazione procedimentale del suddetto parere.

Infatti in presenza della facoltà di dissenso attribuita all’Organo decidente il verdetto della Commissione – che nel procedimento disciplinare paradigmatico assume valenza sostanzialmente costitutiva o co-determinativa, dovendo soltanto essere recepito in un provvedimento formale – degrada a parere obbligatorio ma non vincolante.

Ne consegue in generale, sotto il profilo funzionale, che l’Autorità deliberante da esso può discrezionalmente discostarsi in fase costitutiva col solo onere – secondo costrutti acquisiti in giurisprudenza – di evidenziare con completezza le ragioni logiche e giuridiche che la inducono a disattendere il giudizio formulato dall’organo collegiale al termine del segmento procedimentale istruttorio.

In questo quadro di riferimento, in sede disciplinare il dissenso del decidente – investendo la valutazione sulla congruità della sanzione proposta - può dunque legittimamente relazionarsi anche ad un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, essendo evidente che il giudizio finale circa la sussistenza e gravità dell’illecito non può essere formulato se non mediante contestuale individuazione e qualificazione delle condotte materiali effettivamente ascrivibili al militare in base al materiale probatorio acquisito nel procedimento.

Tanto premesso in generale, la giurisprudenza della Sezione ha peraltro da tempo posto in luce per un verso che, come sopra ricordato, la previsione di cui si discute non trova riscontro nell’ordinamento disciplinare del pubblico impiego civile e dei militari di truppa dello stesso Corpo ed ha dunque valenza chiaramente derogatoria; per altro verso che la facoltà di dissenso attribuita   all’Autorità disciplinare comporta nei fatti la possibile sconfessione di una proposta formulata dall’organo collegiale competente all’esito del giusto procedimento e con la garanzia del contraddittorio.

In un’ottica costituzionalmente orientata è stato pertanto statuito che allorquando fa uso di tale facoltà l’Autorità deliberante non può limitarsi semplicemente a sostituire la propria valutazione di merito a quella espressa dalla Commissione di disciplina ma deve individuare i presupposti straordinari che impongono di disattendere  il giudizio della commissione.

In altri termini, la reformatio in peius si giustifica – e la questione di costituzionalità prospettata dall’appellato risulta manifestamente infondata – ove supportata dall’individuazione di elementi prospettici o di sistema che in precedenza non sono stati tenuti adeguatamente presenti e che vanno invece ragionevolmente valorizzati in rapporto ad esigenze ordinamentali.

Tali presupposti di straordinarietà non possono disconoscersi nel caso all’esame, in cui l’aggravamento della sanzione si correla  all’incidenza degli illeciti ascritti al dipendente nella materia del reclutamento del personale, e dunque in un ambito che riveste importanza obiettivamente nevralgica sia in vista dell’espletamento della missione che l’ordinamento affida al Corpo sia per quanto attiene alla credibilità, agli occhi dei giovani aspiranti, delle procedure di selezione e di arruolamento.

Da ultimo l’appellato deduce la contraddittorietà del comportamento dell’Amministrazione la quale lo ha sempre valutato in termini di eccellenza e, poco tempo prima di infliggergli la sanzione espulsiva, lo ha giudicato addirittura meritevole di un elogio formale per l’attività dispiegata.

La censura è infondata, in quanto le valutazioni caratteristiche espresse nel tempo dall’Amministrazione afferiscono ad un genus di attività  profondamente diversa da quella che costituisce espressione della potestà disciplinare.

Né i positivi precedenti di carriera possono rilevare ai fini della individuazione in concreto della sanzione da comminare ove questa si rapporti ad una soglia di illecito – la violazione del giuramento – che impone secondo il discrezionale giudizio dell’Amministrazione l’allontanamento definitivo del dipendente dal Corpo.

Infatti, in ambito disciplinare, mentre per le condotte connotate da minore gravità è possibile operare una graduazione della sanzione tenendo anche conto della personalità professionale del dipendente, ciò risulta impossibile allorché il comportamento da questi posto in essere sia giudicato incompatibile col mantenimento del precedente status civile o militare.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va quindi accolto, con integrale riforma della sentenza impugnata e rigetto del ricorso originario.

Sussistono peraltro motivi, vista la complessità delle questioni trattate, per disporre l’integrale compensazione tra le Parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

   Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello, riforma la sentenza impugnata e respinge il ricorso di primo grado.

Le spese del giudizio sono integralmente compensate.

   Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

   Così deciso in Roma, l’8 maggio 2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:

Gennaro FERRARI   Presidente

Luigi MARUOTTI    Consigliere

Antonino ANASTASI   Consigliere, est.

Vito POLI     Consigliere

Anna LEONI    Consigliere 
 

LESTENSORE     IL PRESIDENTE

Antonino Anastasi      Gennaro Ferrari

     IL SEGRETARIO

Giacomo Manzo

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

10 agosto 2007

(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)

     Il Dirigente

     Giuseppe Testa 
 

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N.R.G.7001/2005


 

mps