R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N. 512/2008

Reg. Dec.

N. 8493 Reg. Ric.

Anno 2000

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello iscritto al NRG 8493 dell’anno 2000 proposto da @@@ @@@, rappresentato e difeso dagli avvocati ..., con i quali è elettivamente domiciliato in Roma, ... (presso lo studio dell’avv. ...

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del ministro in carica, e COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA, in persona del Comandante Generale in carica, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono ope legis domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per l’annullamento della sentenza

del Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino – Alto Adige, sezione autonoma per la Provincia di @@@, n. 152 del 25 maggio 2000;

      Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

      Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Comando Generale della Guardia di Finanza;

      Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore all'udienza pubblica dell’11 dicembre 2007 il Consigliere ..

     Uditi gli avv.ti ......e l’Avvocato dello Stato ..

     Ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue.

F A T T O

     Con decreto n. 238292 del 18 settembre 1997 al M.M.A. c.s. in congedo @@@ @@@ veniva inflitta la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, con conseguente messa a disposizione del Distretto Militare competente come semplice soldato, all’esito del procedimento disciplinare avviato a seguito dell’archiviazione disposta (per infondatezza della notizia di reato) in data 17 dicembre 1996 dal Giudice per le Indagini preliminare del Tribunale di @@@ del procedimento penale a suo carico per il reato previsto dall’articolo 335 C.P., per presunte condotte illecite nell’espletamento dell’attività d’istituto e, in particolare, per aver avuto nel periodo 1985 – 1994 la disponibilità di una consistente somma di danaro di provenienza sconosciuta.

     L’interessato con ricorso giurisdizionale notificato il 4 dicembre 1997 chiedeva al Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino – Alto Adige, sezione autonoma per la Provincia di @@@, l’annullamento di tale provvedimento (in uno con gli atti precedenti, presupposti, infraprocedimentali e conseguenti, tra cui in particolare il verdetto di non meritevolezza a conservare il grado espresso dalla Commissione di disciplina in data 20 giugno 2007, l’ordine di deferimento, di nomina e convocazione della commissione di disciplina e l’atto di contestazione degli addebiti in data 19 marzo 2007 e notificato il 20 marzo 2007), alla stregua di quattro motivi di censura, sostanzialmente incentrati sulla violazione e falsa applicazione della legge 31 luglio 1954, n. 599 (in special modo articoli 63, 64, 66, 67), dell’art. 64 del c.c.p., dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonchè sull’eccesso di potere nelle sue figure sintomatiche del travisamento dei fatti, della contraddittorietà (anche in ragione della assoluta mancanza di corrispondenza tra gli addebiti contestati e l’addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare in oggetto), della carente e contraddittoria motivazione (per la omessa o insufficiente considerazione delle giustificazioni rese anche nel corso del procedimento penale dal ricorrente e per non aver tenuto in considerazione lo stato matricolare dello stesso e le dichiarazioni rese nel corso del procedimento penale);  con memoria notificata il 20 settembre 1999 veniva poi formulato anche un ulteriore motivo aggiunto di censura, con cui, oltre alla violazione e falsa applicazione dell’art. 66 della legge 31.7.1954 n. 599, dell’art. 7.11 e 9.4 della circolare 1/1993 del Comando Generale della Guardia di Finanza (istruzione di procedimenti disciplinari di stato), si deduceva ancora la violazione nonché dell’art. 3 della legge 7.8.90 n. 241 ed eccesso di potere per carenza e contraddittorietà della motivazione, nonché eccesso di potere per sviamento e palese inversione dell’onere della prova.

     In sintesi, il ricorrente rilevava che dagli atti del procedimento penale non era emerso a suo carico alcun profilo di responsabilità, autonomamente valutabile ai fini disciplinari, non potendo a tal fine assumere alcun rilievo la contestata disponibilità finanziaria (riconducibile esclusivamente ad operazioni lecite di compravendita di beni immobili della sua famiglia ovvero all’attività lavorativa del proprio coniuge), di cui gli investigatori avevano ingiustamente e comunque inutilmente dubitato; ciò senza contare che, sia in sede penale che in sede disciplinare, egli aveva fornito ampia e convincente giustificazione della disponibilità delle predette somme, asseritamente di ingiustificata provenienza.

     Il ricorrente lamentava, inoltre, che la gravissima sanzione disciplinare inflittagli, per un verso, non trovava la necessaria corrispondenza con gli addebiti contestatigli, non potendo essere oggetto di contestazione disciplinare il mero comportamento processuale che aveva assunto nel corso del procedimento penale, mentre, per altro verso, essa era del tutto priva della adeguata motivazione, non potendo essa consistere nelle mere clausole di stile in cui si articolava il provvedimento impugnato; d’altra parte, sempre secondo la tesi del ricorrente, l’Amministrazione non aveva evidentemente tenuto conto ai fini della sanzione, né di tutte le risultanze del procedimento penale, univocamente convergenti nell’escludere una sua qualsiasi responsabilità penale, né dei suoi precedenti di carriera.

     Sotto altro profilo, il ricorrente sosteneva infine l’avvenuta estinzione del procedimento disciplinare per il superamento del termine perentorio di 90 giorni, fissato dall’articolo 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, tra la data di contestazione degli addebiti (12 marzo 1997) e quella di conclusione del procedimento (18 settembre 1997).

     L’adito tribunale, nella resistenza dell’intimata amministrazione statale, con la sentenza segnata in epigrafe, respingeva il ricorso, ritenendo infondate tutti motivi di censura sollevati avverso gli atti impugnati.

     Con atto di appello notificato il 21 settembre 2000 l’interessato, riproposti espressamente tutti i motivi di primo grado, a suo avviso frettolosamente esaminati e superficialmente respinti, ha chiesto la riforma della impugnata sentenza, articolando tre motivi di gravame, con i quali ha denunciato: 1) “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 punto 5 c.p.c. – motivazione errata e perplessa in merito al primo motivo di ricorso di primo grado per non avere la sentenza qui impugnata tenuto in considerazione la circostanza che l’illiceità della provenienza di danaro era stata definitivamente esclusa giusto decreto di archiviazione dd. 17.12.1996 per infondatezza della notizia di reato in sede penale, che nessun ulteriore elemento a carico del ricorrente era stato individuato nel corso dell’inchiesta disciplinare che giustificasse il proseguimento del procedimento mediante il deferimento alla commissione di disciplina e per non aver assolutamente preso in considerazione le contestazioni relative al punto sub a) secondo capoverso delle contestazioni disciplinari afferenti alla scelte del ricorrente di valersi della facoltà di non rispondere in corso di indagini penali”; 2) “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 punto 5 c.p.c. – motivazione errata perplessa e contraddittoria in merito al secondo motivo di ricorso di primo grado per non avere la sentenza qui impugnata preso in considerazione la circostanza che l’addebito sanzionato non corrisponde agli addebiti contestati”; 3) “Contraddittorietà manifesta della sentenza di primo grado avendo essa nel respingere il terzo motivo di ricorso ritenuto espressamente richiamato e quindi “facente parte integrante” della motivazione del provvedimento il rapporto finale relativo alla inchiesta formale disciplinare dd. 13.5.1997 pur non essendo esso assolutamente richiamato nei provvedimenti impugnati ed essendo sottoposto a segreto e per aver considerato lo stesso rapporto non vincolante ai fini del provvedimento finale sanzionatorio “e come tale non esplica efficacia lesiva esterna”, nel respingere il motivo aggiunto svolto in primo grado in seguito al deposito da parte dell’amministrazione resistente del rapporto stesso, e per non aver tenuto in considerazione che la lesività e conseguente censurabilità del rapporto discende dalla circostanza che trattasi di atto infraprocedimentale che ha determinato il deferimento alla commissione di disciplina del ricorrente”.

     Si sono costituiti nel giudizio di appello sia il Ministero delle finanze (ora Ministero dell’economia e delle finanze), sia il Comando generale della Guardia di Finanza, che hanno resistito al gravame chiedendone il rigetto.

DIRITTO

     I. L’appello è fondato e deve essere accolto.

     I.1. Preliminarmente la Sezione deve ricordare che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione per discostarsi, nel procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti (ivi compreso il personale militare), l’amministrazione è titolare di un’ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere: ciò in considerazione degli interessi pubblici che devono essere attraverso tale procedimento tutelati.

     A ciò consegue che il provvedimento disciplinare sfugge al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, non potendo in nessun caso quest’ultimo sostituire le proprie valutazione a quelle operate dall’amministrazione, salvo che le valutazioni siano inficiate da travisamento dei fatti ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4841; 30 giugno 2005 , 3544; 16 gennaio 1990, n. 21) ovvero sia inficiato da palese irrazionalità (C.d.S., sez. IV, 30 gennaio 2005, n. 3544).

     I.2. Orbene, con riferimento al caso di specie la Sezione osserva che, dall’attento esame del primo motivo di appello, l’interessato non contesta affatto l’ampio potere discrezionale di cui è titolare l’amministrazione nella valutazione dei fatti oggetto della contestazione disciplinare, bensì la stessa esistenza di fatti disciplinarmente rilevanti ovvero il travisamento dei fatti posti a fondamento degli addebiti, irragionevolmente valutati, ferma restando in ogni caso l’omessa considerazione delle giustificazioni fornite.

     Ad avviso della Sezione, così ricostruita la doglianza, essa è fondata.

     I.2.1. In punto di fatto deve rilevarsi che con l’atto in data 13 maggio 1997 l’Amministrazione contestava formalmente al maresciallo maggiore “a” c.s., in congedo, @@@ @@@: a) di aver accumulato nel periodo 1984-1995, allorquando era in forza ad un reparto operativo nel cospicuo patrimonio familiare immobiliare e non (benché la sua famiglia fosse monoreddito), di cui si era venuti a conoscenza solo a seguito di accertamenti disposta dall’Autorità giudiziaria e per il quale non era stato fornito alcun chiarimento circa la provenienza, ponendo così in essere un comportamento contrario al giuramento di fedeltà prestato; b) di aver compiuto, durante la permanenza nel Corpo, operazioni di compravendita di immobili, omettendo di dichiararne il valore reale (tant’è che erano stati sollevati processi verbali di constatazione per le relative violazioni di carattere fiscale); c) di avere con tali comportamenti arrecato grave nocumento all’immagine ed al prestigio del Corpo.

     E’ sicuramente vero che l’interessato ammetteva, tra l’altro, di avere acquistato tre immobili nel periodo 1984 – 1995 (due garage in ......, un appartamento di 70 mq in .....), precisando di averli pagati con risparmi personali accumulati nel tempo, con l’accensione di un mutuo quinquennale (dal 1981 al 1985) e con il ricavato della vendita dell’abitazione principale della famiglia in @@@, di proprietà della moglie; quanto ad un certificato di deposito di valore di £ 75.000.000, l’interessato evidenziava tra l’altro che esso era riconducibile alla somma percepita dalla moglie a titolo di liquidazione e buonuscita percepite per la fine di un rapporto di lavoro; inoltre egli osservava che il plus valore che si era generato nelle transazioni commerciali non poteva considerarsi illecito, mentre avverso le presunte violazioni di carattere fiscale (per occultamento di valore relativo a d imposta di registro) pendeva ricorso alla competente commissione tributaria di primo grado di @@@.

     I.2.2. L’esame del provvedimento impugnato evidenzia che l’Amministrazione non ha formulato alcuna osservazione volta a confutare le ricordate prospettazioni difensive e a farne constare la loro irrilevanza in riferimento agli addebiti formulati (e con particolare riguardo al bene giuridico asseritamente tutelato, cioè il prestigio ed il decoro del Corpo della Guardia di Finanza ovvero il contenuto del giuramento di fedeltà prestato); infatti, l’Amministrazione si è limitata ad affermare che “…l’inquisito, con comportamento analogo a quello tenuto in sede penale, non ha inteso fornire alcun chiarimento in relazione alle ingenti movimentazioni bancarie contestategli”.

     In realtà il convincimento dell’Amministrazione sulla “colpevolezza” dell’inquisito, ancorché non direttamente collegato all’esercizio della facoltà processuale utilizzata dall’interessato di non rispondere alle domande del magistrato inquirente, risulta ragionevolmente fondato (ovvero adagiato) sulle motivazioni dell’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di @@@ in data 17 dicembre 1996 che, pur ordinando l’archiviazione degli atti per infondatezza della notizia di reato, aveva rilevato che vi era la prova che sui conti correnti erano transitati contanti per circa £ 300 milioni di cui non era stata fornita alcuna giustificazione e che, tuttavia, non avendo il cittadino alcun obbligo giuridico di dimostrare la provenienza di (tali) somme di danaro, non vi era alcuna accusa sostenibile in sede dibattimentale.

     Sennonché, pur potendo astrattamente ammettersi che gli stessi fatti oggetto di procedimento penale possano essere autonomamente valutati in sede disciplinare, nel caso di specie, ad avviso della sezione, proprio dalla motivazione del provvedimento impugnato e dall’esame degli atti del relativo procedimento disciplinare non si evince l’esistenza di tale necessaria autonoma valutazione, neppure ai fini di supportare la asserita violazione degli obblighi derivanti dal giuramento di fedeltà ovvero il nocumento all’immagine e al prestigio del Corpo.

     E’ sufficiente rilevare, al riguardo, che il fatto che l’interessato abbia acquistato e che abbia avuto anche la disponibilità di ingenti somme di denaro, di cui peraltro ha in qualche modo fornito non implausibili giustificazioni, non costituisce di per sé alcun reato, né un elemento disciplinarmente rilevante, non essendo stato provato (onere che incombeva esclusivamente all’Amministrazione) né la illiceità della sua provenienza e neppure un ragionevole dubbio di illiceità; né a tanto possono supplire le circostanze che la famiglia del sottufficiale fosse monoreddito (presunzione semplice, per un verso, smentita in punto di fatto da alcune controdeduzioni circa l’esistenza di un precedente rapporto di lavoro della moglie, circostanza su cui l’Amministrazione avrebbe potuto/dovuto svolgere eventualmente opportune indagini),  né il fatto che l’interessato abbia ritenuto di non collaborare (prima con l’A.G. e poi con l’Amministrazione), rifiutandosi di fornire notizie sulla provenienza del danaro (utilizzando, peraltro, una facoltà lecita, espressamente riconosciutagli dal codice di procedura penale).

     In effetti, anche a voler prescindere dal fatto che alcuni indizi sulla provenienza del danaro forniti in sede di controdeduzioni alle contestazioni di addebiti, indizi sui quali l’Amministrazione non ha svolto alcuna osservazione, il dubbio sulla eticità del comportamento tenuto dal sottufficiale non è da solo sufficiente ed idoneo a farlo ritenere socialmente riprovevole e comunque tale da far ritenere fondati e rilevanti i fatti addebitati, né è sufficiente da solo a far ritenere violato il giuramento di fedeltà.

     In sostanza, pur non potendo ragionevolmente contestarsi la sussistenza di fatti che astrattamente hanno giustificato l’inizio dell’azione disciplinare, in concreto l’Amministrazione non ha fornito alcuna prova della loro effettiva rilevanza disciplinare e soprattutto della loro ragionevole idoneità a violare gli obblighi nascenti dal giuramento di fedeltà ovvero a produrre nocumento al prestigio e al decoro dell’Amministrazione stessa.

     Ciò comporta la sostanziale fondatezza del primo motivo di gravame e il suo carattere assorbente esime la Sezione dall’esame degli altri mezzi di gravame.

     II. In conclusione alla stregua delle osservazioni svolte l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado dal sig. @@@ @@@, con conseguente annullamento del provvedimento disciplinare impugnato.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal sig. @@@ @@@ avverso la sentenza del Tribunale regionale di Giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, Sezione autonoma per la provincia di @@@ n. 152, del 25 maggio 2000, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie il ricorso proposto in primo grado e annulla l’impugnato provvedimento disciplinare.

     Compensa integralmente tra le parti le spese  del doppio grado di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 11 dicembre 2007, con la partecipazione dei seguenti Magistrati:


 

L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE


 

IL SEGRETARIO

Depositata in Segreteria

           Il 14/02/2008

(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)

                 Il Dirigente

- - 

N.R.G. 8493/2000


 

TRG