REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.5421/2005

Reg.Dec.

N.  2902 Reg.Ric.

ANNO   1998

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dal Ministero dell’ Interno, rappresentato e difeso dall’ Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio per legge presso la sede della stessa in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

(omissis), costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv.to Paolo Ciuffa ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via Lucrezio Caro, n. 38;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I^ ter, n. 1410/97 del 02.10.1997;

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visto l'atto di costituzione in giudizio di (omissis);

     Visti gli atti tutti della causa;

     Nominato relatore per la pubblica udienza del 7 giugno 2005 il Consigliere Polito Bruno Rosario;

     Udito per il Ministero dell’ Interno l’ Avvocato dello Stato Tortora;

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: 
 

FATTO

     Con decreto in data 26.10.1994 il Capo della Polizia irrogava nei confronti dell’ Ispettore Principale della Polizia di Stato (omissis) la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di mesi tre per la mancanza prevista dall’art. 6, n. 1, in relazione all’art. 4, n. 10, del d.P.R. n. 737/1981.

     Con decreto in pari data, sempre a firma del Capo della Polizia, il (omissis) , in relazione a recenti vicende in cui lo stesso risultava coinvolto ed al grave pregiudizio che la permanenza nella sede di servizio (Commissariato di ...) poteva arrecare al sereno svolgimento dei compiti di istituto, disponeva il trasferimento alla Questura di .... del predetto Ispettore per motivi di opportunità e sicurezza.

     Avverso detti provvedimento il (omissis) si gravava avanti al T.A.R. per il Lazio, formulando in sede di ricorso introduttivo e di motivi aggiunti censure di violazione di legge ed eccesso di potere in diverse figure sintomatiche.

     Con la sentenza di estremi in epigrafe il T.A.R. adito accoglieva il ricorso nella parte in cui era rivolto avverso il decreto di irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio, rilevando che il procedimento disciplinare era stato iniziato malgrado la pendenza di procedimento penale per i medesimi fatti. Respingeva, invece, la domanda di annullamento indirizzata avverso il provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale.

     Contro detta sentenza proponeva appello il Ministero dell’ Interno, confutando le conclusioni del giudice di primo grado relative allo svolgimento del giudizio disciplinare e chiedendone l’annullamento decisione in parte “de qua”.

     L’ Ispettore Principale della Polizia di Stato (omissis) si è costituito in resistenza ed ha contraddetto ai motivi di appello e riproposto in via incidentale le deduzioni formulate con il ricorso introduttivo avverso il provvedimento di trasferimento di sede.

     All’udienza del 7 giugno 2005 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

     1). L’appello proposto in via principale dal Ministero dell’ Interno è infondato.

     2). L’art. 11 del d.P.R. 25.10.1981, n. 737, recante norme in tema di sanzioni e di procedimento disciplinare del personale della Polizia di Stato, stabilisce che “quando l’appartenente ai ruoli della Pubblica Sicurezza viene sottoposto per gli stessi fatti a procedimento penale il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”.

     Il Ministero appellante identifica la nozione di “procedimento penale” cui è fatto richiamo nella menzionata disposizione regolamentare con l’ inizio dell’azione penale che, in base al dato formale di cui all’ art. 405 c.p.p., ha luogo, con la formulazione da parte del pubblico ministero dell’ imputazione per un fatto specifico, ovvero con richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 416 c.p.p., ed in tutti i casi elencati all’art. 60 c.p.p. in cui l’inquisito assume la qualità di imputato in base a richiesta di giudizio immediato (art. 453); per richiesta di decreto penale di condanna (art. 459); di giudizio direttissimo; di decreto di citazione a giudizio a norma dell’art. 555 c.p.p.; per richiesta congiunta di applicazione della pena durante le indagini preliminari (art. 447).

     2.1). Osserva la Sezione che la nozione di “procedimento penale” recepita dall’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 non va ristretta alle soli fasi processuali in cui si determina l’ascrizione della “notitia criminis” ad un soggetto determinato (inizio dell’azione penale in senso formale), ma è comprensivo anche delle precedenti attività istruttorie e di indagine in base alle quale può pervenirsi o all’ istanza di archiviazione o alla formale richiesta di rinvio a giudizio per il prosieguo dell’accusa.

     L’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 enuclea, invero, una norma di garanzia chiamata ad operare in raccordo con l’art. 653 c.p.p. che, nel testo vigente all’epoca di adozione degli atti di cui è controversia, attribuiva alla sentenza penale di assoluzione efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento che il fatto non sussiste e che l’imputato non lo ha commesso. Non ha senso quindi distinguere, agli effetti dell’applicazione dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981, all’interno del processo penale le fasi procedimentali di istruttoria ed indagine indirizzate verso un soggetto determinato rispetto al momento di inizio formale dell’azione penale, poiché in entrambe casi ricorre l’ “eadem ratio” sottesa all’art. 11, che è quella di prevenire antinomie fra gli esiti del procedimento penale e di quello disciplinare e di consentire all’inquisito di avvalersi della pronunzia assolutoria a discarico dell’addebito di trasgressione del codice disciplinare. Quanto alla non praticabilità, su un piano di interna ragionevolezza dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 della soluzione interpretativa prospettata dalla difesa erariale il giudice di primo grado ha efficacemente rilevato che “nel caso trovasse ancora ingresso la regola della sospensione del procedimento disciplinare solo in presenza dell’ (inizio in senso formale) dell’azione penale, sarebbero favoriti proprio i soggetti più gravemente sospettati (e cioè nei cui confronti con immediatezza è intervenuta l’ascrizione dell’imputazione per fatto determinato) . . .per i quali il procedimento disciplinare sarebbe sospeso, mentre questo procederebbe inesorabilmente nei confronti dei soggetti solo in fase indagatoria”.

     2.2.). Un ulteriore argomento ermeneutico induce alla conferma delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado.

     Stabilisce l’art. 61 c.p.p. che “i diritti e le garanzie dell’imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari. Alla stessa persona si estende ogni altra disposizione relativa all’imputato, salvo sia diversamente stabilito”. Dalla su riferita disposizione si ricava un principio di carattere ordinamentale che parifica i diritti e le garanzie dell’inquisito quale sia la fase del procedimento penale in cui esso sia coinvolto. Detto principio esplica, quindi, effetto anche in ordine al diritto dell’indagato di veder subordinata, secondo quanto stabilito dall’art. 653 c.p.p., la definizione del giudizio disciplinare all’esito del giudizio penale, per ciò che attiene all’insussistenza del fatto addebitato ed alla mancata commissione dello stesso.

     2.3). Le conclusioni di cui innanzi trovano, del resto, conforto nella stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato che, in fattispecie afferente alla sospensione cautelare dal servizio dell’ impiegato “sottoposto a procedimento penale” (art. 91 del d.P.R. 10.01.1957, n. 3), ha ripudiato al tesi riduttiva della pendenza del procedimento penale ai soli casi di inizio formale dell’azione penale secondo le situazioni processuali previste dagli artt. 60, 405 e 416 c.p.p., ammettendo la possibilità di adottare la misura cautelare anche in un momento antecedente, in relazione all’attività istruttoria del giudice penale per fatti ascritti al pubblico dipendente (cfr. da ultimo questa Sezione n. 398 del 27.01.2003).

     3). Il sig. (omissis) con ricorso in via incidentale rinnova i motivi di eccesso di potere per insussistenza dei presupposti e per travisamento dei fatti avverso il decreto emesso dal Capo della Polizia in data 26.10.1994, che ha disposto, in applicazione dell’art. 55, commi quarto e quinto del d.P.R. 24.04.1982, n. 335, il trasferimento dell’istante dal Commissariato di .... alla Questura di .....

     Il provvedimento di trasferimento d’ufficio è motivato “ob relationem” con rinvio nella nota del Questore di Roma del 04.10.1994 che, dopo aver riassunto le vicende processuali, disciplinari ed interne all’ufficio di applicazione che hanno visto coinvolto il ricorrente, esprime il giudizio di opportunità di trasferimento ad altro ufficio per la risonanza che esse hanno avuto all’ ambito della stessa Questura di Roma.

     Il ricorrente contesta in dettaglio i fatti assunti a presupposto del trasferimento quanto alla loro fondatezza ed attendibilità e ribadisce la sua assoluta estraneità ad ogni addebito e rilievo.

     Rileva la Sezione che le stesse deduzioni del ricorrente evidenziano la situazione di grave conflittualità con altro dipendente esistente all’interno dell’ufficio di assegnazione – circostanza puntualmente posta in rilievo dal giudice di primo grado – a ciò si aggiunge il precedente coinvolgimento in vicende penali e disciplinari connesse con i compiti di istituto che, indipendentemente dal loro esito, esplicano effetti sull’immagine esterna dell’ Amministrazione.

     In tale contesto diviene prevalente, rispetto all’interesse del pubblico dipendente a permanere nella sede di assegnazione, l’interesse di rilievo pubblico all’ utilizzazione dello stesso in condizioni che non pregiudichino il sereno svolgimento del servizio, tenuto conto della peculiarità dei compiti espletati, inerenti all’ ordine ed alla sicurezza pubblica, e prevenendo situazioni di turbamento e disfunzioni idonee ad influire sul buon andamento dell’ Amministrazione.

     Il provvedimento di trasferimento, espressione di un potere ampiamente discrezionale dell’ Amministrazione, si configura quindi indenne dai denunziati profili di eccesso di potere e trae fondamento da un complesso di fatti e di circostanze che, unitariamente considerate, sorreggono la scelta di mutamento della sede di servizio a garanzia del buon andamento dell’ ufficio e della stessa di immagine esterna dell’ istituto.

     L’appello incidentale va quindi respinto.

     Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio fra le parti.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta:

     -  respinge l’appello principale proposto dal Ministero dell’ Interno;

     - respinge l’appello incidentale proposto da (omissis);

     - compensa fra le parti le spese del giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez. VI - nella Camera di Consiglio del 7 giugno 2005, con l'intervento dei Signori:

Mario Egidio Schinaia  Presidente

Sabino Luce,    Consigliere

Luigi Maruotti   Consigliere

Carmine Volpe   Consigliere

Bruno Rosario Polito   Consigliere relatore ed estensore 
 

Presidente

MARIO EGIDIO SCHINAIA

Consigliere       Segretario

BRUNO ROSARIO POLITO    GIOVANNI CECI 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il...06/10/2005

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186) 
 

Per Il Direttore della Sezione

GIOVANNI CECI 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 2902/1998


 

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