REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.6502/2005

Reg.Dec.

N.  3903 Reg.Ric.

ANNO   1996

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 3903/96, proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

(omissis), rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Raffo, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di Luigi Gardin in Roma, via Laura Mantegazza, n. 24;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, 7 novembre 1995, n. 548;

     visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

     visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

     visti tutti gli atti della causa;

     relatore all’udienza pubblica del 14 ottobre 2005 il consigliere Carmine Volpe, e uditi l’avv. dello Stato Volpe per l’appellante e l’avv. Buccellato, in delega dell’avv. A. Raffo, per l’appellato;

     ritenuto e considerato quanto segue.

FATTO E DIRITTO

     1. Il signor (omissis) (omissis), agente scelto della polizia di Stato, proponeva due ricorsi innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce. Con il primo (n. 3139/94) impugnava il decreto del capo della polizia 18 aprile 1994, n. 333-D/29837, di annullamento degli atti del procedimento disciplinare instaurato a carico del medesimo, a partire dal verbale della seconda riunione del consiglio di disciplina di Taranto (avvenuta il 21 febbraio 1994).

     Con il secondo ricorso (n. 3607/94) impugnava il decreto del capo della polizia 5 luglio 1994, n. 333-D/29837, irrogativo della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, e la presupposta delibera del consiglio provinciale di disciplina di Taranto in data 14 giugno 1994.

     Il signor (omissis) era stato condannato, con sentenza della Corte di Appello di Napoli, sezione quinta, depositata il 9 dicembre 1992 e confermata dalla Corte di Cassazione, alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione e a lire 400.000 di multa, per i reati previsti dagli artt. 624 e 625, comma 1, nn. 2) e 7), del c.p. (furto). Lo stesso, infatti, nel corso del servizio prestato presso la polizia ferroviaria di Napoli, aveva sottratto vari cartoni di sigarette.

     Con il citato decreto del capo della polizia in data 18 aprile 1994 era stata annullata la delibera del consiglio di disciplina presso la Questura di Taranto, che aveva ritenuto il suddetto responsabile dell’infrazione prevista dall’art. 6, comma 3, n. 2), del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737. Il consiglio si era discostato dalla proposta formulata dal questore di Taranto, incentrata sulla più grave violazione dell’art. 7 del d.p.r. n. 737/1981 e, conseguentemente, aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi 6.

     Il capo della Polizia aveva disposto l’annullamento per vizi procedimentali (difetto di motivazione sulla derubricazione dell’infrazione disposta dall’organo collegiale), a partire dal verbale della seconda riunione avvenuta in data 21 febbraio 1994.

     2. Il primo giudice, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso n. 3139/94 e, conseguentemente, ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso n. 3607/94.

     Il primo giudice ha ritenuto:

     - con riguardo al ricorso n. 3139/94:

     a) infondati il primo e il secondo motivo;

     b) non sussistente l’accertato (da parte del capo della polizia) difetto di motivazione sulla diversa soluzione prescelta dal consiglio. Questo, invece, nella delibera 21 febbraio 1994, avrebbe sufficientemente evidenziato i motivi della diversa rubricazione dell’infrazione rispetto alla qualificazione effettuata da parte dell’autorità amministrativa trasmittente. La motivazione della diversa soluzione adottata è da rintracciarsi, in accoglimento delle argomentazioni della difesa, nei buoni precedenti di servizio dell’interessato (quindi, in un giudizio complessivo sulla personalità dello stesso) richiamati anche nell’ultimo considerando della delibera;

     - con riguardo al ricorso n. 3607/94:

     c) che l’accoglimento del terzo motivo del ricorso n. 3139/94 e la consequenziale caducazione automatica degli atti emessi nella procedura di rinnovazione della delibera del consiglio di disciplina e del successivo decreto di destituzione, tolga ogni interesse alla decisione del successivo ricorso n. 3607/94 (di qui la dichiarata improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse).

     3.1. La sentenza viene appellata dal Ministero dell’interno, il quale sostiene che:

     1) il comportamento del signor (omissis) sarebbe stato ritenuto - all’inizio, dalla contestazione degli addebiti, e sino alla conclusione dell’istruttoria, ossia al deferimento al consiglio provinciale di disciplina - ascrivibile alla fattispecie di cui all’art. 7, comma 2, nn. 1), 2) e 4), del d.p.r. n. 737/1981 (destituzione);

     2) il detto consiglio, tuttavia, avrebbe ritenuto che l’agente fosse responsabile dell’infrazione prevista dall’art. 6, comma 3, n. 2), del d.p.r. n. 737/1981 (sospensione dal servizio), senza indicazione dei motivi sia nella delibera che nel verbale di trattazione orale;

     3) il consiglio di disciplina non avrebbe operato un’autonoma valutazione dei fatti, in quanto ha derubricato la sanzione della destituzione, inizialmente contestata, in una fattispecie, quella di cui all’art. 6, comma 3, n. 2), del d.p.r. n. 737/1981, che si limita a collegare apoditticamente la responsabilità disciplinare a una condanna penale;

     4) sarebbe stato legittimo, quindi, il procedimento successivamente instaurato, che ha portato alla destituzione dell’agente, sussistendo i presupposti di cui all’art. 7, comma 2, nn. 1), 2) e 4), del d.p.r. n. 737/1981.

     3.2. Il signor (omissis) si è costituito in giudizio, resistendo al ricorso in appello. Lo stesso, in via gradata, ha riproposto le censure svolte in primo grado, del seguente tenore:

     1) incompetenza assoluta;

     2) violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 4, del d.p.r. n. 727/1981, per avere il capo della polizia irrogato una sanzione più grave, ignorando così l’espresso divieto della “reformatio in peius” posto dalla legge.

     L’appellato, infine, ha reiterato le censure svolte avverso il provvedimento di destituzione impugnato con il secondo ricorso (n. 3607/94), di seguito enunciate:

     3) invalidità derivata dalla nullità del decreto di annullamento delle operazioni della commissione disciplinare;

     4) violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.p.r. n. 737/1981, per omesso rispetto del principio della difesa e del contraddittorio;

     5) eccesso di potere per carenza di motivazione, illogicità e contraddittorietà rispetto ad atti precedenti, nonché violazione dell’art. 21 del d.p.r. n. 737/1981, per essere la delibera irrogante la destituzione stata assunta in totale assenza di motivazione e senza un riesame della posizione dell’inquisito, oltre che in aperta violazione del divieto di “reformatio in peius”.

     4. Il ricorso in appello è fondato.

     La sezione ritiene che il primo giudice abbia errato nel considerare legittima la delibera del consiglio di disciplina in data 21 febbraio 1994, a causa invece della sua illegittimità per difetto di motivazione e della conseguente legittimità del potere di annullamento esercitato dal capo della polizia.

     La proposta del consiglio di disciplina in data 21 febbraio 1994, di infliggere la sanzione della sospensione dal servizio ai sensi dell’art. 6, comma 3, n. 2), del d.p.r. n. 737/1981, era del tutto immotivata. Mentre una motivazione era comunque necessaria, anche perché la possibilità di infliggere la sospensione dal servizio è prevista - dall’art. 6, comma 3, n. 2), del d.p.r. n. 737/1981 - nel caso di condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti gli effetti di cui al successivo art. 8. Il che significa con esclusione della destituzione, la quale, non essendo più consentita la destituzione di diritto (prevista dal citato art. 8), è inflitta “per atti che rivelino mancanza del senso dell'onore o del senso morale”, “per atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento” e “per dolosa violazione dei doveri che abbia arrecato grave pregiudizio allo Stato, all'Amministrazione della pubblica sicurezza, ad enti pubblici o a privati” (art. 7, comma 2, nn. 1, 2 e 4, del d.p.r. n. 737/1981). Ciò si è verificato nella fattispecie per cui è causa, essendo stato l’appellato condannato per il delitto di furto e in quanto la contestazione degli addebiti si riferiva proprio alle ipotesi di cui al citato art. 7, comma 2, nn. 1), 2) e 4).

     5. Quanto alle censure dedotte in primo grado e riproposte dall’appellato, esse sono in parte inammissibili e in parte infondate.

     Con riguardo al dedotto vizio di incompetenza assoluta, il primo giudice ne ha ritenuto l’infondatezza, così che si sarebbe dovuto proporre appello.

     Egualmente è a dirsi relativamente alla denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 4, del d.p.r. n. 727/1981.

     L’invalidità derivata dalla nullità del decreto di annullamento delle operazioni del consiglio disciplinare non sussiste, non esistendo, sulla base di quanto statuito dalla sezione, la dedotta nullità.

     La censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.p.r. n. 737/1981, per omesso rispetto del principio della difesa e del contraddittorio, è solo enunciata e non viene in alcun modo illustrata. Di qui la sua inammissibilità. Tra l’altro, dagli atti, non è desumibile l’inosservanza del principio della difesa e del contraddittorio

     Quanto, infine, all’eccesso di potere per carenza di motivazione, illogicità e contraddittorietà rispetto ad atti precedenti, nonché alla violazione dell’art. 21 del d.p.r. n. 737/1981, per essere la delibera irrogativa della destituzione assunta in totale assenza di motivazione e senza un riesame della posizione dell’inquisito, oltre che in aperta violazione del divieto di “reformatio in peius”, la sezione ritiene che la delibera, invece, sia stata sufficientemente motivata con riguardo alla posizione dell’inquisito. Inoltre, non vi è stata alcuna violazione del divieto di “reformatio in peius”, in quanto la prima proposta del consiglio di disciplina (inerente la sanzione della sospensione dal servizio) è stata legittimamente annullata. Così che, dopo, il medesimo consiglio (con delibera in data 14 giugno 1994) ha proposto la destituzione dell’appellato e tale sanzione gli è stata inflitta dal capo della polizia. Non si è verificata, quindi, alcuna “reformatio in peius”, data la conformità alla deliberazione del consiglio richiesta dall’art. 21, comma 3, del d.p.r. n. 737/1981.

     6. Il ricorso in appello, pertanto, deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va respinto. Le spese del doppio grado di giudizio, sussistendo giusti motivi, possono essere compensate.

Per questi motivi

     il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, accoglie il ricorso in appello e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

     Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma il 14 ottobre 2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori:

Claudio Varrone    presidente

Sabino Luce     consigliere

Luigi Maruotti    consigliere

Carmine Volpe    consigliere, estensore

Giuseppe Minicone    consigliere 
 

Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere       Segretario

CARMINE VOLPE     VITTORIO ZOFFOLI 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il..22/11/2005

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 3903/1996


 

FF