REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.7095/2005

Reg.Dec.

N.  4841 Reg.Ric.

ANNO   1999

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 4841 del 1999, proposto dal MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è per legge domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

(omissis), rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Zaganelli, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Francesco Falvo D’Urso in Roma, Via Alberigo II, n. 31;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria n. 1167 del 23 dicembre 1998.

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato e vista la relativa memoria difensiva;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore alla pubblica udienza del 14 ottobre 2005 il Cons. Giuseppe Minicone;

     Udito l’avv. dello Stato Volpe;

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

     Con ricorso notificato il 10 giugno 1998, il sig. (omissis) (omissis), agente scelto della Polizia di Stato in servizio presso il distaccamento della Polstrada di (omissis) di (omissis), impugnava, innanzi al Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, il decreto del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, in data 10 maggio 1998, che aveva disposto la sua destituzione, all’esito del procedimento disciplinare instaurato per essere stato sorpreso, nella notte del 27 maggio 1997, nell’atto di prelevare circa 10 litri di benzina super dall’erogatore di carburante in uso presso la sede di servizio.

     Avverso detto provvedimento deduceva le seguenti censure:

     a) erronea applicazione dell’art. 7 del DPR n. 737 del 25 ottobre 1981; violazione dell’art. 8 del DPR n. 737/1981 e dell’art. 9 della legge n. 19 del 7 febbraio 1990, per essere stato avviato il procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale instaurato per lo stesso fatto;

     2) eccesso di potere per sviamento e per mancanza dei presupposti di diritto nonché per illogicità manifesta, in quanto il Questore avrebbe usato un potere discrezionale per un fine diverso da quello per il quale il potere stesso è stato conferito alla pubblica Amministrazione;

     3) violazione dell’art. 20 del DPR n. 737/1981, posto che nel verbale della seduta del Consiglio di Provinciale di disciplina di Perugia non sarebbero state riportate le conclusioni del difensore del ricorrente.

     Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe, ha accolto il primo motivo di ricorso, affermando che, nella specie, il parallelo procedimento penale avviato nei confronti dell’interessato, ancorché nella fase delle indagini preliminari, doveva ritenersi pendente, con l’effetto di rendere obbligatoria la sospensione del procedimento disciplinare conclusosi con la sanzione della destituzione, ai sensi dell’art. 11 del DPR n. 737/1981.

     Avverso detta decisione ha proposto appello il Ministero dell’Interno, deducendo l’erroneità dell’assunto del T.A.R., giacché, alla luce del nuovo codice di procedura penale, il procedimento penale potrebbe considerarsi iniziato solo con l’esercizio dell’azione penale, ovverosia con la formulazione dell’imputazione.

     Ciò non si era verificato nel caso di specie, in quanto il (omissis), alla data della destituzione (30 maggio 1998), non aveva ancora acquisito la qualità di imputato e, pertanto, non poteva applicarsi nei suoi confronti la sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare fino all’esito di quello penale.

     Si è costituito l’appellato, eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello per genericità dell’unico motivo di impugnazione, da ravvisarsi nella parte in cui l’Avvocatura dello Stato non effettuerebbe un esame del tenore dell’art. 11 del DPR n. 737/1981 per individuare il momento iniziale del procedimento penale al quale lo stesso fa riferimento.

     Detto motivo, ad avviso del resistente, sarebbe, comunque, infondato, dovendosi far coincidere l’inizio del procedimento penale, agli effetti della sospensione obbligatoria di quello disciplinare, con l’avvio delle indagini preliminari, mentre con l’esercizio dell’azione penale inizierebbe il processo.

     La tesi dell’Avvocatura dello Stato, oltre tutto, sarebbe illogica dal momento che, comportando l’eventuale condanna per peculato di cui all’art. 314 c.p. la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, il giudice finirebbe con l’applicare tale pena (implicante la destituzione) ad un dipendente già destituito.

     Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2005 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

     1. Il primo giudice, con la sentenza impugnata in questa sede, ha ritenuto illegittima la sanzione della destituzione irrogata nei confronti dell’odierno appellato, in quanto adottata prima della conclusione del procedimento penale, pendente a quella data, in violazione dell’art. 11 del DPR n. 737/1981.

     Si oppone a tali conclusioni il Ministero dell’Interno, con l’atto di appello in esame, sostenendo che alla data anzidetta non poteva considerarsi venuto ad esistenza il presupposto per la sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare, vertendosi ancora nella fase delle indagini preliminari.

     2. L’appello è fondato.

     3. Va, in primo luogo, osservato che è priva di pregio l’eccezione di inammissibilità del gravame, sollevata dall’appellato sul rilievo della eccessiva genericità del motivo svolto dall’Avvocatura dello Stato, posto che le censure da quest’ultima mosse alla decisione di primo grado sono chiarissime nel senso di individuare nell’esercizio dell’azione penale e non nell’inoltro della “notitia criminis”, come sostenuto dal T.A.R., il momento di inizio del procedimento, per gli effetti di cui all’art. 11 del DPR n. 737/1981, attenendo, per il resto, la bontà o no di tale tesi alla sostanza della questione sottoposta all’attenzione di questo giudice.

     4. Nel merito, questo Collegio ritiene di dover richiamare la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, dalla quale non ravvisa ragioni per discostarsi, secondo la quale l'art. 11 del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 (a norma del quale quando il dipendente viene sottoposto a procedimento penale ed a procedimento disciplinare per gli stessi fatti, il secondo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato) deve essere interpretato nel senso che presupposto ostativo alla prosecuzione o alla attivazione del procedimento disciplinare è l'esercizio dell'azione penale con la relativa assunzione della qualità di imputato, da parte del soggetto al quale è attribuito il reato.

     Tale evenienza, ai sensi degli artt. 60 e 405 Cod. proc. pen., si realizza con la richiesta, avanzata dal Pubblico ministero, di rinvio a giudizio a norma dell'art. 416 stesso Codice, o in altri atti con i quali ugualmente si investe il giudice di decidere sulla pretesa punitiva (art. 447: richiesta congiunta di applicazione della pena durante le indagini preliminari; art. 449: giudizio direttissimo; art. 453: giudizio immediato; art. 459: richiesta di decreto penale di condanna a pena pecuniaria; art. 555: decreto di citazione a giudizio a chiusura delle indagini preliminari: cfr., per tutte, Sez. IV, 13 ottobre 1999 n. 1573) .

     4.1. Orbene, nel caso di specie, alla data di conclusione del procedimento disciplinare, l’azione penale, nei termini sopra indicati, non risulta che fosse stata ancora esercitata, onde non ricorrevano i presupposti per l’applicazione dell’art. 11 del DPR n. 737/1981.

     5. Le considerazioni che precedono sono sufficienti all’accoglimento dell’appello e alla reiezione del ricorso di primo grado, essendo del tutto infondata la censura di eccesso di potere (assorbita dal T.A.R. e riproposta dall’interessato in appello), dal momento che non può ravvisarsi alcuna illogica sovrapposizione fra la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, eventualmente irrogata dal giudice, in relazione al reato ascritto al (omissis), avente effetto preclusivo sull’assunzione di qualunque futuro munus pubblico, e la destituzione inflitta in sede disciplinare, volta a far cessare il rapporto di lavoro in atto.

     Sussistono, peraltro, motivi di equità per disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, addì 14 ottobre 2005, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Claudio VARRONE   Presidente

Sabino LUCE    Consigliere

Luigi MARUOTTI   Consigliere

Carmine VOLPE   Consigliere

Giuseppe MINICONE  Consigliere Est. 
 

Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere       Segretario

GIUSEPPE MINICONE    VITTORIO ZOFFOLI 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

Il   14/12/2005

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 4841/1999


 

FF