REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.7608/2005

Reg.Dec.

N.  994 Reg.Ric.

ANNO 2003 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 994 del 2003 proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è per legge  domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

(omissis)(omissis), rappresentato e difeso dall’avv. Lucio Anelli presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, via della Scrofa n.47;

per l'annullamento,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I ter, n. 9991/02 in data 14 novembre 2002, resa tra le parti;

     visto il ricorso con i relativi allegati;

     visto l’atto di costituzione in giudizio e vista la memoria dell’appellato;

     visti gli atti tutti della causa;

     alla pubblica udienza del 18 ottobre 2005, relatore il Consigliere Domenico Cafini, uditi l’avv. dello Stato De Felice e l’avv. Anelli;

     ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: 
 

FATTO

     1. Con ricorso depositato il 30.7.2004 al TAR per il Lazio, l’agente scelto della Polizia di Stato (omissis) (omissis)chiedeva l’annullamento - con gli atti ad esso connessi - del decreto ministeriale in data 9.3.2004, di rigetto del ricorso gerarchico avverso la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio irrogata nei suoi confronti dal Capo della Polizia,  con provvedimento del 26.4.1993, a conclusione del procedimento disciplinare scaturito da una “nota informativa” della Squadra mobile della Questura di Roma del 18.9.1992, a seguito di denuncia di tre cittadine extracomunitarie per episodi nello stesso giorno verificatisi in loro danno, fatti che avevano determinato anche l’avvio di un  procedimento penale a carico del predetto in relazione al reato di rapina aggravata in concorso.

     A sostegno del gravame il ricorrente denunciava, con tre motivi di diritto, censure di violazione e falsa applicazione di legge nonché di eccesso di potere sotto vari profili, in particolare per motivazione apparente e illogicità manifesta.

     Più specificamente, l’interessato deduceva che il procedimento disciplinare che lo riguardava doveva essere sospeso fino alla data di definizione del procedimento penale ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. n.737/1981 e che l’Amministrazione avrebbe, comunque, giudicato nella specie sulla base di prove assunte irritualmente, ignorando gli elementi e gli argomenti difensivi da lui prospettati.

     Nel giudizio si costituiva il Ministero intimato che si opponeva al ricorso, chiedendone, con apposita memoria, il rigetto.

     Successivamente l’interessato, con memoria depositata il 18.3.1995,  portava a conoscenza dell’avvio a completa archiviazione delle indagini penali a suo carico e, quindi, nella Camera di Consiglio del 12.10.1995, il TAR adito accoglieva la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, con ordinanza non appellata dall’Amministrazione, e, con successiva ordinanza, accoglieva la istanza di esecuzione della stessa, con conseguente riammissione in servizio del ricorrente a decorrere dall’11.1.1996.

     1.1. Con la sentenza indicata in epigrafe il TAR adito poi accoglieva nel merito il proposto gravame ed annullava il decreto impugnato, ritenendo fondato il primo mezzo di impugnativa nella parte in cui era stata dedotta la mancata considerazione dell’evoluzione delle indagini penali, nonchè il secondo motivo, relativo alla denunciata carenza di istruttoria e di motivazione nel procedimento di riesame.

     In particolare, il Giudice di prime cure - partendo dal presupposto che l’attività di riesame ex art. 25 del D.P.R. n.737 del 1981 dovesse essere condotta rivalutando non solo la legittimità formale del provvedimento ma anche il merito dei fatti - riteneva che l’organo competente al riesame  (il Ministro dell’Interno) avrebbe omesso di valutare elementi sopravvenuti rispetto a quelli emersi in sede di inchiesta disciplinare, in quanto, alla data di conferma della destituzione, le indagini penali sui fatti oggetto anche di procedimento disciplinare avevano subito “favorevoli sviluppi” per il dipendente in questione, essendo stata archiviata l’indagine per il reato più grave a lui addebitato (di concorso in rapina aggravata); l’Amministrazione, invece, non avrebbe valutato, ad avviso del TAR, tale sopravvenienza, limitandosi a giudicare “in base ad una versione unilaterale dei fatti, sostanzialmente riproduttiva delle valutazioni e dei giudizi posti alla base del primo provvedimento di destituzione”.

     1.2. Avverso tale sentenza è proposto l’odierno appello, con il quale il Ministero dell’Interno, nel denunciare l’erroneità delle statuizioni dei primi giudici, evidenzia la legittimità dell’iter logico seguito nel procedimento di irrogazione della sanzione de qua  e l’adeguatezza della motivazione posta alla base del provvedimento conclusivo di destituzione.

     Nell’attuale giudizio si è costituito l’agente scelto suddetto, che ha poi depositato un’articolata memoria, con la quale ha contestato le  argomentazioni ex adverso svolte, concludendo per la reiezione del ricorso in appello in quanto  infondato.

     1.3. La causa, infine, è stata spedita in decisione, su concorde richiesta delle parti, alla pubblica udienza del 18 ottobre 2005.

DIRITTO

     1. Come emerge dalla narrativa che precede, il ricorrente, agente scelto della Polizia di Stato, impugnava davanti al TAR per il Lazio – chiedendone la sospensione dell’efficacia – il decreto in data 9.3.1994 con il quale il Ministro dell’Interno aveva irrogato nei suoi confronti la sanzione della destituzione dal servizio in conseguenza di un grave episodio occorso il giorno 18.9.1992, episodio che aveva dato luogo ad una denuncia per  il reato di rapina aggravata in concorso, in ordine alla quale veniva tuttavia chiesta (il 2.8.1993) dalla competente Procura della Repubblica al G.I.P. l’archiviazione del relativo procedimento penale, non sussistendo elementi per configurare il reato di rapina, residuando il reato di furto, in relazione al quale interveniva anche un successivo decreto di archiviazione in data 28.7.1994.

     In relazione a tale gravame, il TAR adito poi, preso atto dell’archiviazione del procedimento penale che riguardava l’interessato, accoglieva la domanda incidentale di sospensione  dell’impugnato decreto di destituzione con ordinanza del 12.10.1995 - ordinanza che comunque non veniva appellata dall’Amministrazione - e, successivamente, accoglieva, altresì, l’istanza di esecuzione di detta ordinanza, con conseguente riammissione in servizio dell’agente in questione a decorrere dall’11.1.1996, e successivamente (con la sentenza 14.11.2002 n. 9991, ora impugnata), anche il ricorso nel merito, ritenendo fondati sia il primo motivo (in parte), che il secondo mezzo di gravame.

     2. Ciò premesso, avverso detta sentenza l’odierno appello propone una serie di rilievi che nella sostanza possono essere così sintetizzati:

     a) l’oggetto dell’impugnata misura espulsiva è stato il comportamento tenuto dal ricorrente in relazione ai fatti oggettivamente considerati, comportamento che esula dalla valutazione effettuata dal Giudice penale con riguardo agli stessi fatti integranti reati; nella specie sarebbe stato quindi irrilevante l’accertamento in sede penale dei fatti medesimi al fine di constatare la legittimità del provvedimento impugnato e sarebbe stato inutile un nuovo accertamento con riferimento ai “favorevoli sviluppi delle indagini penali”, così definiti dal TAR, sviluppi che, peraltro, non si sarebbero in effetti verificati;

     b) l’Amministrazione, prima in sede disciplinare e poi in sede di riesame, ha autonomamente valutato l’oggettivo comportamento del dipendente e la sua rilevanza, maturando il convincimento che lo stesso, a parte la vicenda penale, era in contrasto con i doveri assunti al momento del giuramento; in sede di riesame, comunque, il Consiglio centrale di disciplina avrebbe approfondito tutti gli aspetti della questione;

     c) non sussiste la dedotta illegittimità dell’iter logico seguito per l’irrogazione delle misura disciplinare e la correttezza della motivazione a base del provvedimento conclusivo sia della prima fase che  di quella di riesame; la valutazione dell’Amministrazione in sede di riesame, d’altra parte, non sarebbe potuta mutare per il fatto che nel frattempo era intervenuto un decreto di archiviazione relativamente al reato ascrittogli; giacché la considerazione essenziale dell’organo del riesame concerne la obiettiva gravità del comportamento tenuto dal dipendente sottoposto a procedimento disciplinare;

     d) in detto procedimento non potevano essere trasposti gli accertamenti conseguiti in sede penale; comunque nella specie sarebbe stato il complessivo comportamento del ricorrente, manifestato negli episodi verificatisi il 18.9.1992, la causa determinante dell’irrogazione della sanzione e della successiva conferma della stessa, rientrante nelle ipotesi contestate di cui all’art. 7  del  D.P.R. n.737/1981.

     3. Tali rilievi del proposto appello non sono fondati.

     3.1. Il Collegio - pur ribadendo il principio che al giudice della legittimità non è consentito valutare autonomamente il fatto imputato al pubblico dipendente e sanzionato disciplinarmente dall’Amministrazione di appartenenza, giacché la valutazione sulla punibilità del comportamento rientra nella sfera discrezionale di quest’ultima e non può essere sindacata se non eccezionalmente, nel caso di evidenti ragioni di illogicità - deve ritenere, tuttavia, che nella fattispecie in esame appare evidente come la Commissione centrale di disciplina (il 13.11.1993) e il Ministro dell’Interno (in data 9.4.1994) si siano espressi, in sede di riesame, non correttamente, senza tener conto cioè dell’evoluzione in senso favorevole all’interessato del procedimento penale avviato nei suoi confronti, limitandosi a valutare soltanto il quadro comportamentale emerso dalla denuncia di cui alla nota informativa in data 18.9.1992 della Squadra mobile della Questura di Roma, riferita ai contestati episodi nei quali il ricorrente era restato coinvolto con un collega e in relazione ai quali era stato attivato il procedimento conclusosi poi  con l’impugnato decreto espulsivo.

     Infatti, in presenza dei nuovi elementi che erano emersi nel corso del procedimento penale, riferiti ai “favorevoli sviluppi per il dipendente” delle indagini svolte, si imponeva certamente all’Amministrazione un’attenta valutazione degli stessi o, comunque, un approfondimento istruttorio per acquisire maggiori elementi di riscontro e verifica, ai fini di una più completa valutazione dei fatti ascritti all’agente in parola, prima della deliberazione conclusiva nella fase di riesame.

     Come rilevato dal TAR, invero, l’Organo chiamato alla revisione della precedente sanzione disciplinare disposta dal Capo della Polizia non può non valutare eventuali, nuovi elementi intervenuti nel corso dell’istruttoria in favore del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare e non può ignorare fatti eventualmente sopravvenuti rispetto a quelli considerati in sede di inchiesta disciplinare.

     Ora nella specie - come emerge dalla documentazione depositata - alla data di adozione del provvedimento di conferma della misura espulsiva, le indagini penali sui fatti oggetto anche di procedimento disciplinare si erano evolute in senso favorevole all’agente in questione,  giacché, da un canto, la Procura della Repubblica competente aveva chiesto al GIP, con atto 2.8.1993, l’archiviazione del procedimento nei suoi confronti, perché non sussistevano elementi per configurare il reato di rapina, soltanto “residuando una sottrazione imputabile come furto”; e, dall’altro, il GIP aveva disposto, con decreto 13.10.1983, l’archiviazione dell’instaurato procedimento penale, mentre anche la successiva indagine per il reato di furto veniva archiviata con provvedimento del GIP in data 20.7.1994.

     Di conseguenza, come rettamente rilevato dai primi giudici, già al momento in cui il Consiglio centrale di disciplina esprimeva la propria proposta negativa sulla istanza di revisione avanzata dall’agente in questione (ed ancor più al momento di rigetto dell’istanza), la posizione processuale del medesimo si era “favorevolmente evoluta”, essendo stata archiviata l’indagine relativa al reato di rapina aggravata a lui addebitato, sicché di tale sopravvenienza il Consiglio centrale anzidetto ed il Ministro avrebbero dovuto tenere conto, considerando almeno la possibilità di un’eventuale richiesta di informazioni sullo stato del procedimento penale relativo prima di pronunciarsi in ordine al richiesto riesame.

     La Commissione predetta ha ritenuto invece nella specie di deliberare sulla base di una versione dei fatti, seppure contestata, sostanzialmente analoga a quella precedente, e quindi contenente le medesime valutazioni poste già a fondamento del precedente provvedimento di destituzione emesso dal Capo della Polizia.

     In definitiva,  come evidenziato dal TAR, l’Amministrazione, anche in sede di riesame, si è attenuta alla descrizione dei fatti già contenuta nel rapporto 18.9.1992 n.500/6^,  della Squadra mobile della Questura, inviato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale penale di Roma, nel quale veniva ipotizzato il reato di concorso in rapina aggravata in danno di tre cittadine extracomunitarie, a seguito della loro denuncia.

     Alla stregua delle considerazioni che precedono, devono essere, dunque, condivise le statuizioni dei primi giudici circa la ritenuta fondatezza sia del  primo motivo del ricorso originario (nella parte relativa alla mancata considerazione dell’evoluzione delle indagini penali) che del secondo motivo (relativo al denunciato eccesso di potere  per difetto di motivazione e di istruttoria del procedimento di riesame).

     Devono essere, di converso, disattesi i sopra descritti rilievi, mossi nell’appello dell’Amministrazione dell’Interno.

     3.2.1. Più specificamente - quanto al primo di essi (v. sopra, al punto 2 a)) - è sufficiente osservare, innanzitutto, che,  che, se è vero, in generale, che l’oggetto della misura espulsiva deve essere il complessivo “comportamento” tenuto dal dipendente in relazione a fatti considerati oggettivamente (comportamento che quindi può anche non rientrare nell’ambito di fatti integranti reati), è vero, altresì, che non può comunque ritenersi indifferente o irrilevante, ai fini della valutazione di detto comportamento in sede di riesame da parte dell’Amministrazione, la circostanza che in ordine ai relativi elementi ed aspetti vi sia già stata, in sede penale, una determinata valutazione.

     Quindi, nella fase di riesame del procedimento disciplinare, l’Amministrazione non avrebbe dovuto ignorare  - come invece avvenuto nel caso in questione - gli elementi sopravvenuti, emersi da procedimento penale instaurato in relazione ai medesimi fatti.

     3.2.2. Anche il rilievo surriferito al punto 2. lett. b) - con il quale l’Amministrazione sostiene che, prima in sede disciplinare e poi in sede di riesame, ha autonomamente valutato l’oggettivo comportamento del dipendente e la sua rilevanza, maturando il convincimento che lo stesso, a parte la vicenda penale, era in contrasto con i doveri assunti al momento del giuramento e, comunque, ha approfondito tutti gli aspetti della questione - è privo di pregio.

     E’ fuor di dubbio, infatti, che - ferma la valutazione autonoma sull’obiettivo comportamento spettante all’Organo procedente - andava nella specie svolta quanto meno, in presenza di elementi nuovi riferiti alla vicenda penale, una più approfondita attività istruttoria per esaminare, come accennato, le ragioni per cui il Giudice penale era pervenuto ad un provvedimento. di archiviazione.

     3.2.3. Non può considerarsi poi fondata nemmeno la censura di cui al punto 2 lett. c) dell’appello, con cui l’Amministrazione sostiene la legittimità dell’iter logico seguito nell’irrogare la misura disciplinare della destituzione e la correttezza della motivazione a base del provvedimento conclusivo sia della prima fase procedimentale che  di quella di riesame.

     E ciò in quanto, nel procedimento di cui trattasi appare chiara la presenza del vizio di istruttoria e di motivazione, sulla base delle considerazioni sopra svolte.

     3.2.4. Infine, non può essere positivamente apprezzato neanche il profilo di censura di cui al suindicato punto 2 lett. d), nel quale si deduce che non si sarebbero potuti trasporre nel procedimento disciplinare gli accertamenti conseguiti in sede penale e che sarebbe stato, in ogni caso, il complessivo comportamento del ricorrente nell’episodio considerato - rientrante nelle ipotesi previste dall’art. 7 D.P.R. n.737/1981 - la causa determinante dell’irrogazione della sanzione e della successiva conferma della stessa.

     Ritiene, infatti, il Collegio che nella specie non si trattava, da parte dell’Amministrazione, di “trasporre” nel procedimento disciplinare gli accertamenti penali svolti, ma soltanto di effettuare una migliore valutazione del quadro comportamentale preesistente, riferito all’interessato, alla luce dei fatti considerati ed accertati dal Giudice penale, fatti che non potevano essere di certo ignorati e che dovevano, anzi, valutarsi, sia pure per ritenerli, motivatamente, non rilevanti.

     4. In conclusione, come osservato anche dalla difesa dell’appellato, l’Amministrazione ha dato nella specie un’“immotivata prevalenza” alle accuse rivolte dalle denuncianti (riportate nel rapporto della Squadra Mobile), senza tuttavia esternare, con chiarezza, su quali fatti oggettivi si sia basato il proprio convincimento, mentre, se avesse svolto una più adeguata  istruttoria, il suo giudizio conclusivo avrebbe potuto anche non discostarsi da quello a cui sono giunti sia il Pubblico ministero, che ha chiesto l’archiviazione, che il GIP, che poi l’ha disposta poiché non vi erano “elementi idonei per sostenere l’accusa in dibattimento”.

     Appare, dunque, evidente nel caso in questione l’illegittimità, sotto i profili evidenziati nel ricorso di prime cure e condivisi dal TAR, del provvedimento di destituzione oggetto del gravame per essersi basato, essenzialmente, su quanto segnalato dalle tre denuncianti attraverso il menzionato rapporto della Squadra Mobile, senza che sia stata all’uopo effettuata un’adeguata istruttoria; e ciò, nonostante che, in sede penale - dove i mezzi istruttori di cui dispone il P.M. sono di cerio più incisivi - si è ritenuto di archiviare il procedimento attinente ai medesimi fatti.

     Per le considerazioni fin qui svolte, l’appello deve essere dunque respinto, non essendo i rilievi mossi nel ricorso idonei a scalfire le statuizioni dei primi giudici come sopra precisate.

     Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare, tra le parti in causa, le spese processuali inerenti i due gradi di giudizio.

P.Q.M.

     il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza gravata.

     Compensa le spese dei due gradi di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2005 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Mario Egidio SCHINAIA    Presidente

Sabino LUCE                Consigliere

Luigi MARUOTTI                                                    Consigliere

Carmine VOLPE                                                       Consigliere

Domenico CAFINI                Consigliere Est.   
 

Presidente

MARIO EGIDIO SCHINAIA

Consigliere       Segretario

DOMENICO CAFINI     ANNAMARIA RICCI 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il...30/12/2005

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Per Il Direttore della Sezione

ANNAMARIA RICCI 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 994/2003


 

FF