REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 910/07

Reg.Dec.

N. 10630 Reg.Ric.

ANNO   2005

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 10630 del 2005, proposto dal MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è per legge domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

...omissisvld... ...omissisvld..., rappresentato e difeso dall’avv. Camillo Lerio Miani, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Luigi Napolitano in Roma, Viale angelico n. 38;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 5882 del 26 luglio 2005.

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visti l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato e la relativa memoria difensiva;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore alla pubblica udienza del 12 dicembre 2006 il Cons. Giuseppe Minicone;

     Uditi l’avv. dello Stato Giacobbe e l’avv. Lamberti, per delega dell’avv. Miani;

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

     1. Con ricorso notificato il 30 maggio 1998, il sig. ...omissisvld... ...omissisvld..., agente scelto della Polizia di Stato, impugnava, innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il provvedimento in data 28 febbraio 1998, con il quale il Ministero dell’Interno lo aveva destituito dall’Amministrazione della P.S., con effetto dal 18 febbraio 1992, all’esito del procedimento disciplinare instaurato successivamente alla condanna definitiva a sei anni di reclusione e alla interdizione temporanea dai pubblici uffici per cinque anni, comminatagli dalla Corte di Appello di Napoli per una serie di reati.

     2. Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe, ha accolto il ricorso, ritenendo fondata ed assorbente la censura di violazione dell’art. 9 della legge n. 19 del 1990, per essersi il procedimento disciplinare concluso ben oltre il termine perentorio di complessivi duecentosettanta giorni dalla data di conoscenza del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, intervenuta il 18 marzo 1997.

     3. Avverso detta decisione ha proposto appello l’Amministrazione, sostenendo che il termine fissato dall’art. 9 della legge n. 19 del 1990 decorrerebbe dalla data di conoscenza della motivazione della sentenza irrevocabile di condanna e non del solo dispositivo.

     Nella specie, sarebbe irrilevante che l’azione disciplinare fosse stata avviata senza attendere il deposito della motivazione della sentenza (avvenuto il 29 ottobre 1997), giacché solo da quest’ultimo termine potrebbe farsi decorrere lo spatium deliberandi utile, pienamente rispettato, essendo stato l’atto finale adottato entro 270 giorni da quest’ultima data.

     3.1. Si è costituito l’appellato, sostenendo, in primo luogo, l’inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 345, secondo comma, c.p.c., in quanto fondato su una eccezione non sollevata in primo grado, sorretta., oltre tutto, da una documentazione mai depositata in quella sede.

     Nel merito ha dedotto l’infondatezza dell’appello, stante l’irrilevanza del momento del deposito della sentenza della Cassazione nel procedimento disciplinare de quo, che è iniziato, si è sviluppato e si è concluso esclusivamente con riferimento alla sentenza della Corte di appello di Napoli, la cui irrevocabilità è stata sancita dal rigetto del ricorso per Cassazione.

     4. Può prescindersi dall’esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata dal convenuto, essendo il gravame, comunque, da respingere nel merito.

     5. E’ giurisprudenza consolidata di questo Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, che la norma contenuta nell'art. 9 della legge 7 febbraio 1990 n. 19 – la quale fissa il termine perentorio di centottanta giorni dalla data in cui l' Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna penale per l'avvio del procedimento disciplinare a carico dei pubblici dipendenti nonché il successivo termine di novanta giorni per la sua conclusione - ha portata estensiva in tutto il settore del pubblico impiego ed è, quindi, applicabile anche al personale della Polizia di Stato, in luogo della normativa speciale contenuta nel D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737.(cfr., per tutte, Cons. St., IV Sez., n. 1933 dell’11 aprile 2003).

     Ed è principio altrettanto consolidato che il termine di conclusione del procedimento disciplinare ha natura perentoria, tranne il caso (che non ricorre nella fattispecie) che detto procedimento consegua ad una sentenza penale di condanna pronunciata su accordo delle parti (c.d. patteggiamento) (Cons. St., Ad. Pl., n. 4 del 25 gennaio 2000 e n. 15 del 26 giugno 2000).

     6. L’Amministrazione appellante nega che, nella specie, il procedimento disciplinare, che ha dato luogo alla destituzione, si sia concluso oltre il termine perentorio stabilito dall’art. 9 della legge n. 19/1990, dal momento che, indipendentemente dalla data in cui esso è iniziato (19 marzo 1997), il dies a quo per il computo di detto termine non potrebbe decorrere che dalla data (29 ottobre 1997) di deposito delle motivazioni della sentenza della Cassazione che ha determinato l’irrevocabilità della sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello di Napoli il 24 maggio 1996.

     7. L’assunto non merita accoglimento.

     8. Va, pregiudizialmente, osservato che, in disparte ogni valutazione circa la condivisibilità o no dell’argomentazione di cui sopra, la stessa appare sfornita della prova essenziale sulla quale essa si fonda e, cioè, la data del deposito delle motivazioni della Suprema Corte, non avendo l’Avvocatura dello Stato, che tale data invoca per il computo del termine, allegato copia della relativa sentenza con gli estremi di pubblicazione.

     E tale adempimento era tanto più essenziale, nella fattispecie, in quanto il primo giudice aveva espressamente rilevato che, non avendo l’Amministrazione prodotto alcun documento dal quale potesse desumersi una esatta conoscenza successiva alla comunicazione della Corte di Cassazione del 18 marzo 1997, in mancanza di prova contraria, quest’ultima data doveva considerarsi quella di riferimento per il decorso del termine ex art. 9.

     Ne consegue che, per inficiare tale affermazione, l’appellante avrebbe dovuto esibire, almeno in questa sede, la prova omessa in primo grado; il che non ha fatto, essendosi limitato ad una semplice asserzione, sfornita di qualunque supporto documentale, circa il momento di conoscenza delle motivazioni della sentenza della Cassazione.

     9. Le considerazioni che precedono sarebbero già di per sé sufficienti per la reiezione del gravame.

     10. Peraltro, il Collegio ritiene di dover aggiungere, per completezza, che l’assunto dell’Avvocatura dello Stato non appare condivisibile neppure ove si volesse ritenere acquisita la data da essa indicata.

     Ed invero, l’Amministrazione ha iniziato, condotto e concluso il procedimento disciplinare sulla base della sola comunicazione, pervenuta da parte della Corte di Cassazione, di intervenuta irrevocabilità della sentenza della Corte di appello di Napoli, fondando sia la contestazione degli addebiti sia il provvedimento di destituzione sui fatti accertati da quest’ultima sentenza.

     In nessun atto del procedimento essa fa un qualsiasi richiamo alle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione, quale elemento determinante o, almeno, concorrente a definire le responsabilità disciplinari dell’incolpato, così smentendo per tabulas la necessità di attendere il deposito della sentenza per procedere in sede disciplinare.

     10.1. Comunque, anche a voler ritenere che i termini per l’avvio e la conclusione del procedimento disciplinare nei confronti del ...omissisvld... potessero essere ancorati al deposito della sentenza della Corte di Cassazione e non alla sola comunicazione di sopravvenuta irrevocabililità della sentenza di appello, è evidente che, non essendosi avvalsa l’Amministrazione della facoltà di attendere detto deposito, per aver iniziato il procedimento disciplinare immediatamente a seguito della notizia pervenutagli dalla Cassazione, non può pretendere, a posteriori, di dilatare la durata del procedimento disciplinare oltre il termine perentorio assegnato dall’art. 9 della legge n. 19/1990.

     Tale norma, infatti, prevede che il procedimento stesso debba essere concluso inderogabilmente entro novanta giorni dal suo avvio, cosicché, se è vero che la giurisprudenza ha ammesso che, a tali fini, l’Amministrazione, che abbia proceduto alla contestazione degli addebiti senza attendere il decorso dei centottanta giorni ad essa assegnati dal citato art. 9, possa usufruire, comunque, del periodo complessivo di duecentosettanta giorni per l’adozione del provvedimento conclusivo, non può, invece, ammettersi che, una volta che l’Amministrazione stessa abbia ritenuto di possedere sufficienti elementi per iniziare il procedimento, quest’ultimo possa essere, poi, dilatato, nella sua durata, per effetto del sopravvenuto deposito della sentenza della Corte di Cassazione, non tollerando il termine fissato dalla norma, come la giurisprudenza, ormai ferma sul punto, ha avuto modo di affermare, alcuna sospensione o interruzione.

     10.2. Non si vuol dire, beninteso, che il deposito delle motivazioni della sentenza che ha sancito l’irrevocabilità della condanna, sopravvenuto all’esercizio dell’azione disciplinare, non possa arrecare elementi nuovi dei quali l’Amministrazione debba tener conto.

     Verificandosi tale ipotesi, peraltro, va detto che, per rispettare il dettato stringente dell’art. 9 più volte citato, l’Amministrazione, che ritenga rilevanti i nuovi elementi acquisiti, deve, comunque, annullare il procedimento in corso per far luogo ad uno nuovo, fondato su una rinnovata contestazione degli addebiti, per la cui conclusione potrà, eventualmente, invocare, come dies a quo, quello costituito dalla conoscenza delle motivazioni sopravvenute.

     Ove ciò non avvenga, però, come è accaduto nella fattispecie, il procedimento disciplinare, una volta avviato, non può che obbedire al termine perentorio di conclusione fissato per esso dal legislatore, termine, che, nel caso concreto, è stato incontrovertibilmente superato.

     11. L’appello, pertanto, deve essere respinto.

     Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare integralmente le spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo respinge.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, addì 12 dicembre 2006, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Claudio VARRONE   Presidente

Sabino LUCE    Consigliere

Gianpiero Paolo CIRILLO  Consigliere

Giuseppe ROMEO   Consigliere

Giuseppe MINICONE  Consigliere Est. 
 

Presidente

f.to Claudio Varrone

Consigliere       Segretario

f.to Giuseppe Minicone    f.to Glauco Simonini 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

il..................20/02/2007...................

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

f.to Maria Rita Oliva 
 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 10630/2005


 

FF