R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.2415/2009

Reg. Dec.

N. 8035 Reg. Ric.

Anno 2007

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello iscritto a NRG 8035 dell’anno 2007  proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale elettivamente domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 

CONTRO

@@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dall’Avv. ----

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio –  Roma, Sez. II, n. 5568 del 20 giugno 2007;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione dell’appellato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle loro difese;

Visti gli atti tutti di causa;

Relatore alla Pubblica udienza del 9.01.09 il Consigliere -

Udito, l’Avvocato dello Stato -e l’avv.to -

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue

FATTO

Il provvedimento originariamente impugnato ha inflitto all’odierno appellante, finanziere in servizio permanente, la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione in quanto l’interessato ha fatto uso di sostanze stupefacenti (cocaina), consumo ravvisato incompatibile con le finalità istituzionali del Corpo di appartenenza nonché con la qualifica rivestita di Agente di PG, così denotando carenza di qualità morali, disciplinari e di carattere nel ricorrente, in contrasto con i doveri di correttezza e lealtà assunti con il giuramento prestato e con grave nocumento all’immagine ed al prestigio del Corpo nonché pregiudizio all’interesse pubblico.

Con la gravata sentenza, il TAR in epigrafe indicato, ha accolto il terzo mezzo di ricorso proposto dal ricorrente, assorbite le altre censure, rilevando come l’Amministrazione non abbia considerato che l’episodio il quale ha generato l’avvio del procedimento disciplinare – il 9 marzo 2006 – in effetti è stato il primo ed unico caso in cui il militare ha fatto uso di tali sostanze così come si evince dai rispettivi accertamenti sanitari ed esami diagnostici con esito negativo che confermano la mera episodicità dell’assunzione di droga, la quale non ha neanche minato lo stato di salute del ricorrente.

L’amministrazione appellante, con il gravame in esame, ha chiesto che  il ricorso di primo grado sia respinto, richiamando gli elementi di fatto specificati nella motivazione del provvedimento sanzionatorio, deducendo il legittimo apprezzamento discrezionale operato dall’Amministrazione proprio alla luce dell’intero procedimento disciplinare e delle risultanze probatorie ponderate, rinviando a precedenti giurisprudenziali di questa Sezione in tema di assunzione occasionale di droghe da parte di militari.

L’appellato si è costituito in giudizio e, con il controricorso seguito da varie memorie, ha opposto nel merito l’assoluta infondatezza del gravame avversario per l’unicità dell’episodio contestato ed ha riproposto le censure sollevate in prime cure ma rimaste assorbite nella sentenza oggetto di impugnazione (estinzione del procedimento disciplinare per la prolungata inattività di giorni 126; le modalità “travagliate” in cui si sarebbe svolto l’esame tossicologico delle urine; pur ad ammettere la circostanza del consumo, in ogni caso la PA avrebbe dovuto adoperarsi per favorire il recupero del ricorrente e non colpirlo con la sanzione disciplinare irrogata).

All’udienza del 9 gennaio 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.


 

DIRITTO

1. La questione dibattuta nel presente giudizio investe la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione inflitta a militare del Corpo della Guardia di Finanza in relazione all’uso occasionale di sostanze stupefacenti.

Il Giudice di primo grado ha accolto il ricorso proposto dal finanziere, assorbite le residue censure, rilevando che il provvedimento di destituzione impugnato è stato disposto sulla base di un episodio che, di per sé solo, non è idoneo a fondare l’adozione del grave provvedimento espulsivo in danno di un appartenente alla Guardia di Finanza.

Rileva il Collegio che la Sezione si è già pronunciata sulle tematiche controverse tra le parti, con una consolidata giurisprudenza dalla quale non vi è ragione per discostarsi ed alla quale si rinvia, ai sensi dell’art.9 della legge 21.07.2000, n°205 (cfr. di recente, IV, 10 luglio 2007 n. 3887 e 31 gennaio 2006, n. 339).

2. – L’appello è fondato.

In linea preliminare merita osservare che il Ministero appellante, da un canto, lamenta che il primo giudice ha spinto il proprio sindacato sino alla valutazione della gravità disciplinare ascritta (laddove il rapporto tra proporzionalità e sanzione è manifestazione della discrezionalità amministrativa, non contestabile in sede giurisdizionale, se non per ragioni di contraddittorietà o travisamento dei fatti) e, dall’altro, sostiene che l’accertamento di un unico caso di assunzione di sostanze stupefacenti è circostanza idonea a legittimare la sanzione espulsiva.

La sentenza – in effetti – dà per scontata la ricorrenza nella fattispecie  di una assunzione occasionale ed incentra il tema del decidere sul corretto apprezzamento di tale fatto episodico, ritenuto non idoneo per sé solo a fondare la destituzione irrogata.

Ne segue in vicenda, nell’assenza di rituale gravame incidentale introdotto da parte del ricorrente originario, che il fatto processuale relativo all’uso isolato di droghe deve assumersi in questa sede come acclarato e non contestato.

Ovviamente, non è qui in discussione il principio per cui il ricorrente vittorioso in primo grado, in caso di appello della parte soccombente, può riproporre con semplice memoria i motivi avanzati con il ricorso, non esaminati dal primo giudice, e che il giudice di appello dovrà esaminarli se l’appello risulterà fondato.

Le precisazioni testè svolte, infatti, hanno soltanto lo scopo di chiarire – ai fini della corretta devoluzione della causa e per la sua esatta delimitazione – che questo giudice, in assenza di appello incidentale, è tenuto a portare il  proprio esame unicamente su aspetti del contenzioso che formano oggetto del giudizio come configurato dall’atto introduttivo in secondo grado.

In breve, non è possibile ravvisare carattere incidentale nella memoria di costituzione dell’appellato, peraltro non notificata alla controparte pubblica: da ciò consegue come verità processuale che il finanziere ricorrente ha fatto uso occasionale di sostanze psicotrope e che tale dato non può essere messo in discussione.

Poiché il luogo ne è occasione, deve quindi trarsi una prima ripercussione in ordine al riproposto secondo motivo originario, teso a minare l’attendibilità dell’esame tossicologico delle urine cui il militare è stato sottoposto: è invero evidente l’inutilità di siffatta censura quando deve ritenersi non contestabile il consumo di droga da parte del militare ricorrente.

La relativa doglianza è dunque priva di pregio.

3. La perdita del grado è stata inflitta all’appellato, in applicazione dell’art.40 della legge 03.08.1961 n°833, che è posta a fondamento dell’atto espulsivo in parola.

Al riguardo si può osservare, da una lettura in termini generali di detta norma, che in essa vengono per lo più individuati specifici fatti, al verificarsi dei quali, prescindendo da ogni profilo di gravità insito in essi, la perdita del grado segue automaticamente.

Da tale quadro caratteristico si distacca, però, il punto 6), oggetto di odierno esame, per il quale il militare di truppa incorre nella perdita del grado, quando è stato rimosso “per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità del Corpo o alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio di una Commissione di disciplina”.

A tenore di quest’ultima previsione la perdita del grado non segue, come negli altri casi elencati dalla stessa norma, al verificarsi di un fatto da essa direttamente individuato.

Correttamente, quindi, la disamina giurisprudenziale effettuata al riguardo giunge alla conclusione che la previsione di cui al punto n°6) è astratta e si riferisce ad una seria aperta di infrazioni (Cons. St., IV, 11 ottobre 2005, n°5622).

Occorre però liberare il campo da un possibile equivoco in cui a giudizio della Sezione si può incorrere nell’esame della “previsione in argomento”, ritenendo, cioè, che la gravità del comportamento del militare incolpato, debba influire sulla misura della sanzione in essa contemplata.

La perdita del grado, è, infatti sanzione unica ed indivisibile, non essendo stata stabilita con la caratteristica di regolarne un minimo ed un massimo, entro i quali l’Amministrazione deve esercitare il potere sanzionatorio.

Dal che consegue, in prima battuta, che il giudizio sulla gravità del fatto, postulando un potere di graduazione della sanzione in sede di sua applicazione, non può mai riverberare sulla perdita del grado di cui si sta discutendo, una volta accertatane l’esistenza in sede istruttoria.

Ovviamente si potrà sostenere che un giudizio sulla gravità del fatto necessiti al fine di stabilire se ricorre o meno la “……violazione del giuramento….ovvero un …..comportamento contrario alle finalità del Corpo…”.

Ma in realtà, l’operazione logica richiesta dal punto n°6 in esame, non è, però, basata su di un giudizio, tipicamente empirico, di disvalore, bensì sul collegamento del fatto con gli obblighi assunti dal militare con il giuramento, ovvero con le finalità del Corpo: operazione che richiede un giudizio di attinenza e di congruenza, non di gravità del comportamento.

Ovvero, se si vuole continuare a ragionare in termini di gravità, si può solo concludere che qualunque comportamento riconducibile, sulla base di un giudizio di merito che spetta solo all’Amministrazione, alla violazione del giuramento o contrario alle finalità del Corpo, è considerato grave dalla previsione in esame.

Ivi, invero, i suddetti parametri rappresentano la soglia varcata la quale la perdita del grado segue in modo automatico, e non, i presupposti per esercitare il potere di graduazione della sanzione.

Solo per questa via, in effetti, la prescrizione in esame è in armonia con le altre ipotesi di perdita del grado contemplate dall’art.40 della legge n°833 del 1968, e se ne giustifica il suo inserimento in esso.

E poiché dal procedimento disciplinare emerge che il fatto contestato all’incolpato è stato argomentatamente ricondotto alla violazione del giuramento ed alla contrarietà con le finalità del Corpo, non solo non sussiste alcuna illegittimità per difetto di ragionevolezza o di proporzionalità della sanzione applicata, ma neppure per difetto della motivazione.

E’ difficile, del resto, sostenere che il consumo anche episodico di droga non contrasti con le finalità del Corpo a cui il militare appartiene se tra i compiti a cui questo attende vi è proprio il contrasto al contrabbando ed al traffico di stupefacenti (Cons. St., IV, 10 luglio 2007 n. 3887 e 7 giugno 2005, n°2899).

Di conseguenza, la terza censura di gravame iniziale andava respinta, anziché accolta.

4. Pertanto, del tutto irrilevante appare il riferimento al programma terapeutico di recupero richiesto come da quarto motivo di ricorso originario, per violazione dell’art. 89 bis della legge n. 685/75 e degli artt. 107 e ss. del D.P.R. n°309 del 1975 – posto che quivi in nessuna parte si prevedono riflessi attenuativi sul potere sanzionatorio verso i militari, ma soltanto condizioni per l’idoneità al servizio militare in nulla attinenti alla condotta contestata al finanziere appellante: sovvengono al riguardo, tra i tanti, altri perspicui precedenti della Sezione (IV, 31 gennaio 2006, n°339; 14 ottobre 2005, n°5682).

Va in primo luogo tenuto presente che anche dopo la parziale abrogazione ad opera del referendum del 18 aprile 1993 di alcune norme del Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti (D.P.R. 09 ottobre 1990 n°309), a mente dell’art.75 del predetto Testo Unico, l’assunzione di sostanze stupefacenti rimane illecito amministrativo.

L’intero sistema normativo divisato dal Testo Unico, lungi dal porsi in un’ottica agnostica rispetto all’uso personale di sostanze stupefacenti, si incentra sull’attività di contrasto, a livello preventivo e repressivo del fenomeno. Per quanto più specificatamente attiene alle Forze Armate, gli artt. 107 e 108 configurano tutta una serie di adempimenti a carico delle strutture facenti capo al Ministero della difesa, fra cui spiccano: le attività informative sul fenomeno criminoso sul traffico di sostanze stupefacenti; le campagne sanitarie di prevenzione; le azioni di prevenzione a mezzo di consultori e servizi di psicologia delle Forze Armate.

Anche l’esigenza connessa al mantenimento del posto di lavoro del tossicodipendente, nel disegno del Legislatore, è bilanciata per particolari categorie di personale con la salvaguardia di altri non meno importanti valori.

Sotto tale angolazione viene in rilievo l’art.124, comma 4, del T.U., il quale – proprio in un contesto volto a salvaguardare il mantenimento del posto di lavoro da parte del soggetto che si sottopone a programmi di recupero – fa espressamente salve le disposizioni vigenti che richiedono il possesso di particolari requisiti psico-fisici e attitudinali per l’accesso all’impiego, nonché quelle che, per il personale delle Forze Armate e di polizia e per quello che riveste la qualità di agente di pubblica sicurezza, disciplinano la sospensione e la destituzione dal servizio.

Di tale impostazione, volta in definitiva a privilegiare le particolari esigenze organizzative ed operative delle Forze Armate e di quelle di Polizia, costituisce applicazione il D.Lvo n°215 del 201 sulla trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, il quale all’art. 4, comma 2, lettera c) – come di recente sostituito dall’art. 4 del D.Lvo n°197 del 2005 – prevede il proscioglimento dalla ferma del militare risultato positivo agli accertamenti diagnostici per l’uso anche saltuario o occasionale di sostanze stupefacenti.

In questo quadro generale di riferimento, la vicenda all’esame esibisce ulteriori profili che ad avviso del Collegio vanno adeguatamente considerati.

In tal senso si deve anzitutto rilevare che al Corpo della Guardia di Finanza l’ordinamento affida un ruolo centrale e di primissima linea nella repressione dello spaccio di stupefacenti e nel contrasto ai fenomeni di criminalità organizzata ad esso connessi: di talché non può ragionevolmente ipotizzarsi che simili compiti, essenziali per la salvaguardia della pubblica sicurezza, siano in concreto espletati da soggetti i quali a loro volta fanno uso delle sostanze la cui diffusione si tratta invece di impedire.

A ciò deve aggiungersi che secondo logica ed esperienza il consumo abituale di stupefacenti comporta – in via diretta o indiretta – una inevitabile contiguità  con chi vende o cede tali sostanze e dunque con soggetti operanti nell’illegalità e dediti a traffici illeciti, che il Corpo ha invece la missione istituzionale di reprimere.

Sotto il profilo ora in considerazione, dunque, il giudizio dell’Amministrazione – in ordine alla correlazione tra uso delle sostanze stupefacenti e perdita dei requisiti di affidabilità richiesti ad un militare del Corpo – non appare in definitiva viziato da illogicità né da carenza di motivazione: è del tutto evidente infatti che una volta accertato il venir meno delle doti morali necessarie per l’appartenenza alla Guardia di Finanza, la continuazione del rapporto di impiego ne risulta preclusa.

5. – Residua ora la questione, oggetto del primo mezzo dell’originario ricorso (correttamente riproposta con memoria in appello non essendosi su di essa pronunciato il giudice di primo grado), consistente nella dedotta violazione dell’art. 120 del D.P.R. n. 3 del 1957 e, in particolare, nella affermata estinzione del procedimento disciplinare per essere decorsi 126 giorni tra la chiusura dell’inchiesta (5.5.2006) e l’emanazione del provvedimento impugnato (8.9.2006).

Si assume da parte del ricorrente che non esiste alcuna precisa disposizione normativa che regoli le scansioni temporali del procedimento disciplinare in danno degli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza (pag.4 ricorso di primo grado), donde l’applicabilità dell’art.120 prima citato: di contro va osservato che questa norma del Testo Unico sugli impiegati civili dello Stato trova applicazione, per il suo stesso carattere, soltanto nei rapporti per i quali è dettato o nei casi in cui è espressamente richiamato (secondo stabile insegnamento del Consiglio di Stato).

Sul punto va invece ricordato che, in virtù del rinvio disposto dall’art. 46 della legge n. 833 del 1961, le norme applicabili al procedimento disciplinare a carico dei finanzieri sono quelle della legge sui sottoufficiali n. 599 del 1954: dunque, per ciò solo, la doglianza in esame dev’essere respinta perché carente in fatto del suo presupposto.

Ad ogni modo la Sezione osserva che la violazione dedotta non sussiste perché – anche in ipotesi di automatica ed integrale applicazione al procedimento disciplinare del personale militare delle disposizioni riguardanti il procedimento disciplinare degli impiegati civili dello Stato –l’andamento del procedimento disciplinare si rivela lineare.

L’art. 120 del DPR n. 3 del 1957, infatti, prevede che “il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto”.

Nello specifico, il ricorrente muove dalle seguenti constatazioni:

  1. – il procedimento disciplinare ha avuto inizio con la contestazione degli addebiti notificata in data 9/3/2006;
  2. – il successivo atto di procedura è rappresentato dalla relazione riepilogativa dell’inchiesta, redatta dall’Ufficiale inquirente in data 5/5/2006;
  3. – il successivo atto di procedura è rappresentato dal provvedimento di destituzione del ricorrente, datato 8/9/2006, e notificato il successivo 12/10/2006.

Ebbene, tra la chiusura dell’inchiesta del 5/5/06 e l’emanazione del provvedimento impugnato (8/9/2006), si interpongono necessariamente le ulteriori tappe non richiamate e di seguito precisate: l’atto di deferimento, la comunicazione della seduta per la trattazione orale, ma – soprattutto – il verdetto della Commissione di disciplina (nella specie adottato il 12 luglio 2006).

In sintesi, la sanzione non è stata adottata oltre i novanta giorni dalla deliberazione della Commissione di disciplina e, pertanto, il procedimento disciplinare in trattazione non è potuto incorrere in estinzione per l’inutile decorso del citato termine, come erroneamente lamentato in primo grado.

Ne consegue, concludendo sul punto, che il ricorso originario è infondato anche in questa parte.

6. – In conclusione, l’appello deve essere accolto ed il ricorso di primo grado respinto perchè totalmente infondato.

Sussistono tuttavia giusti motivi per la integrale compensazione fra le parti delle spese relative al doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa le spese di lite del doppio grado.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio tenutasi il 9 gennaio 2009, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l’intervento dei  signori:

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