R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N. 1602/2009

Reg. Dec.

N. 7993 Reg. Ric.

Anno 2001

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n. 7993 del 2001, proposto dal signor @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avvocati -

contro

il Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, e il Ministero delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione di Brescia, 15 giugno 2000, n. 523, e per l’accoglimento dei ricorsi di primo grado n. 338 del 1998 e n. 1030 del 1999;

     Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

     Vista la memoria depositata dalle Amministrazioni appellate;

     Visti gli atti tutti del giudizio;

      Relatore il Consigliere di Stato -alla udienza del 13 gennaio 2009;

      Uditi l’avvocato -

Considerato in fatto e in diritto quanto segue:

     1 L’appellante, maresciallo della Guardia di Finanza, è stato dapprima sospeso obbligatoriamente dal servizio (con decreti del 12 novembre 1992 e del 15 luglio 1993, conseguenti alla emissione di ordinanze di custodia cautelare in carcere), è stato poi sospeso precauzionalmente (con decreti del 12 novembre 1993 e del 4 gennaio 1996 (a seguito di una richiesta di rinvio a giudizio della procura della Repubblica di Bergamo e della sentenza di condanna del tribunale di Bergamo del 30 marzo 1995) ed è stato infine ancora sospeso precauzionalmente (col decreto n. 167937 del 14 novembre 1997, a seguito di un rinvio a giudizio da parte del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bergamo).

     Col ricorso n. 338 del 1998 (proposto al TAR per la Lombardia, Sezione di Brescia), l’interessato ha impugnato il provvedimento del 14 novembre 1997, chiedendone l’annullamento.

     Successivamente, il Comando Generale della Guardia di Finanza:

     - con l’atto n. 36088 del 14 maggio 1999, ha preso atto di una sentenza di assoluzione della Corte d’appello di Brescia del 22 settembre 1998 ed ha revocato la sospensione cautelare, disposta con l’atto n. 167937 del 14 novembre 1997;

     - con l’atto n. 75028 del 7 giugno 1999, ha preso atto della sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 1555 del 19 dicembre 1997-20 gennaio 1998 (che ha condannato l’appellante alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione) ed ha disposto che, essendovi stata una sospensione cautelare della durata di cinque anni, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 19 del 1990 “hanno termine in data 10 aprile 1998” le sospensioni disposte in data 12 novembre 1993 e 4 gennaio 1996.

     Col ricorso n. 1030 del 1999 (proposto allo stesso TAR), l’interessato ha impugnato anche tali atti, chiedendone l’annullamento.

      Il TAR, con la sentenza n. 523 del 2000, ha riunito i ricorsi, ha dichiarato improcedibile il ricorso n. 338 del 1998 ed ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto il ricorso n. 1030 del 1999.

      Con il gravame in esame, l’appellante ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, i ricorsi di primo grado siano accolti.

      2. Con i primi tre motivi (v. pp. 5-10), l’appellante ha premesso di avere un interesse morale all’annullamento del decreto n. 167937 del 14 novembre 1997 ed ha riproposto le censure di primo grado, secondo cui il medesimo decreto non sarebbe adeguatamente motivato, in considerazione sia del carattere eccezionale della sospensione cautelare dal servizio, sia della mancata valutazione dei fatti accaduti.

      L’appellante ha inoltre lamentato che il decreto:

     - avrebbe ravvisato la sussistenza di un interesse pubblico con una motivazione ‘di stile’, senza considerare le modalità della originaria denuncia dei fatti, i suoi precedenti di carriera e la sua situazione familiare, incorrendo in una disparità di trattamento con il collega Urb. Sab., “a quanto risulta” mantenuto in servizio;

      - sarebbe stato emanato in contrasto con l’art. 9 della legge n. 19 del 1990, sulla durata massima di 5 anni della sospensione cautelare.

      3. Ritiene la Sezione che il ricorso di primo grado n. 338 del 1998 va considerato procedibile, in ragione dell’interesse morale prospettato dall’appellante, che mira all’annullamento di un atto negativamente incidente sul suo status.

      Passando all’esame del medesimo ricorso, esso risulta infondato e va respinto.

      Per la pacifica giurisprudenza, in ragione della sua natura cautelare, il provvedimento di sospensione cautelare discrezionale dal servizio risulta adeguatamente motivato quando si basi sui fatti contestati in sede penale, per i quali vi sia stato il rinvio a giudizio, inerenti al rapporto di servizio (Sez. VI, dec. n. 1917 del 2003) e che siano tali incidere sul prestigio dell’amministrazione e sull’opportunità che siano svolte le funzioni che – secondo l’accusa – hanno occasionato la commissione dei reati (Sez. VI, dec. n. 1882 del 2003).

      Infatti, non occorre che l’amministrazione rimarchi l’oggettiva gravità delle condotte descritte nei capi di imputazione e per le quali vi sia stato il rinvio a giudizio, potendo sotto tale aspetto essere sufficiente il richiamo ai reati contestati (Sez. IV, dec. n. 3337 del 2008).

      Nella specie, con una articolata motivazione il Comandante ha rilevato che il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bergamo, con decreto del 28 ottobre 1996, ha disposto il rinvio a giudizio per i reati previsti dagli articoli 323, 479 e 476 del codice penale e,: non potendo valutare nel merito la fondatezza delle accuse, ha rilevato l’oggettiva gravità dei fatti contestati e l’esigenza di non far svolgere provvisoriamente le funzioni di carattere operativo.

      Inoltre, non sussiste la dedotta disparità di trattamento.

      A parte ogni considerazione sul fatto che – a differenza del signor Urb. Sab. – l’appellante era già risultato destinatario di precedenti atti di sospensione cautelare dal servizio, dalla documentazione acquisita risulta che il medesimo collega, all’epoca della emanazione del contestato provvedimento, ricopriva un incarico interno e non operativo.

      Non sussistono dunque le identità di posizioni, prospettate dall’appellante.

      Infine, per un duplice ordine di ragioni non è fondata la censura di violazione dell’art. 9 della legge n. 19 del 1990;

      a) in primo luogo, il limite legale di cinque anni di durata della sospensione cautelare riguarda lo specifico procedimento nel corso del quale essa è disposto, ma non preclude all’amministrazione di emanare un ulteriore atto di sospensione, qualora il dipendente sia sottoposto ad un distinto procedimento penale (nella specie, il decreto di sospensione del 20 novembre 1992 ha riguardato il procedimento penale n. 3370/92 della procura della Repubblica di Bergamo, conclusosi con la sentenza n. 1555 del 19 dicembre 1997-20 gennaio 1998 della Corte d’appello di Brescia, mentre il decreto del 14 novembre 1997, impugnato in primo grado, riguarda i fatti diversi, oggetti del giudizio n. 1057/96 della medesima procura;

      b) in secondo luogo, alla data del 14 novembre 1997 neppure erano trascorsi cinque anni dalla emanazione del decreto del 20 novembre 1992, dovendosi altresì rilevare come l’appellante sia stato riammesso in servizio a decorrere dal 15 giugno 1993, sino alla emanazione dell’ulteriore decreto di sospensione cautelare del 12 novembre 1993 (sicché, nel complesso, prima del decreto del 14 novembre 1997 egli è stato sospeso dal servizio per circa 4 anni e sette mesi).

      4. Con le residue censure, l’appellante  ha contestato la statuizione di inammissibilità del ricorso proposto avverso il provvedimento n. 36088 del 14 maggio 1999 (che ha preso atto della sentenza della corte d’appello di Brescia del 22 settembre 1998 ed ha disposto la revoca della sospensione cautelare, disposta in data 14 novembre 1997) ed ha chiesto l’annullamento di tale atto, nonché del provvedimento n. 75028 del 7 giugno 1999, che ha fatto cessare al “10 aprile 1998” (cioè con una limitata restituito in integrum, risalente a tale data) le sospensioni disposte in data 12 novembre 1993 e 4 gennaio 1996.

     5. Osserva la Sezione che va confermata la statuizione di inammissibilità dell’impugnazione del provvedimento n. 36088 del 14 maggio 1999, di cui non si può rilevare alcun carattere lesivo: l’amministrazione ha disposto la revoca ‘a tutti gli effetti’ della sospensione disposta in data 14 novembre 1997, a seguito della sentenza della corte d’appello di Brescia del 22 settembre 1998.

      Peraltro, anche a voler ritenere sussistente un interesse morale dell’appellante, va respinta l’unica censura proposta, di illegittimità derivata di tale atto, in considerazione della rilevata infondatezza del ricorso proposto contro l’atto del 14 novembre 1997.

     6. Avverso l’atto n. 75028 del 7 giugno 1999, l’appellante ha riproposto in questa sede la censura secondo cui – non avendo attivato alcun procedimento disciplinare – l’amministrazione avrebbe dovuto disporre la revoca ex tunc di tutte le sospensioni cautelari, e non solo della sospensione eccedente la durata di 5 anni, consentita dall’art. 9 della legge n. 19 del 1990.

     L’appellante ha dedotto che:

     - non rileverebbe l’esito del processo penale che ha condotto alle originarie sospensioni cautelari (e all’esito del quale vi è stata la condanna a cinque anni e sei mesi di reclusione);

     - l’art. 9 della legge n. 19 del 1990 e l’art. 20 della legge n. 599 del 1954 andrebbero interpretati nel senso che la sospensione cautelare sarebbe revocata ad ogni effetto ex tunc non solo quando il procedimento disciplinare si esaurisca senza dar luogo a un provvedimento disciplinare di stato, ma anche quando vi sia stata una condanna in sede penale, senza alcun procedimento disciplinare successivo;

     - anche dalla decisione n. 8 del 1997 dell’Adunanza Plenaria si desumerebbe uno stretto collegamento tra il procedimento disciplinare e la sospensione cautelare, nel senso che solo il primo giustifica la seconda.

     Così sintetizzate le censure dell’appellante, ritiene la Sezione che esse siano infondate e vadano respinte.

     L’ultimo periodo dell’art. 9 della legge n. 19 del 1990 dispone che, decorso il termine di cinque anni, “la sospensione cautelare è revocata di diritto”, quando è stata disposta “a causa del procedimento penale”.

     Tale disposizione comporta che, scaduto tale termine, l’amministrazione deve disporre la riammissione in servizio del dipendente sottoposto al procedimento penale, la cui eccessiva durata non può continuare a incidere sullo svolgimento della attività lavorativa.

     Essa non disciplina le conseguenze dell’esito del procedimento penale, già prese in considerazione dall’art. 97 del t.u. approvato con il d.P.R. n. 3 del 1957.

     In base all’art. 97, la revoca ex tunc della sospensione cautelare, con la restituito in integrum, si verifica quando vi è una sentenza di proscioglimento passata in giudicato, perché il fatto non sussiste o il dipendente non lo ha commesso.

     Per i sottufficiali della Guardia di finanza, un corrispondente principio è sancito dall’art. 20, terzo comma,  della legge n. 599 del 1954.

     Tale disposizioni comportano che – in deroga al principio di corrispettività tra le prestazioni dell’amministrazioni e quelle del dipendente – nei rapporti interni ricade sulla amministrazione il rischio economico della mancata prestazione lavorativa, qualora il dipendente sia prosciolto perché il fatto non sussiste o egli non lo ha commesso.

     Quando invece il dipendente sia stato condannato in sede penale, si applica il principio di corrispettività e la mancanza della prestazione lavorativa è imputabile al dipendente: qualunque sia la ragione che conduca alla revoca della sospensione cautelare (sia essa la scadenza del termine massimo di cinque anni della sua durata o la mancata attivazione del procedimento disciplinare), rileva il principio di corrispettività, sicché la revoca della sospensione cautelare ha effetti ex nunc e non può avere luogo la restitutio in integrum.

     Non rileva al riguardo la disposizione per la quale “la sospensione è ad ogni effetto revocata quando il procedimento disciplinare si esaurisce senza dar luogo a provvedimento disciplinare di stato” (art. 20, terzo comma, corrispondente all’art. 96 del testo unico n. 3 del 1957).

     Essa, infatti, riguarda il caso il cui nella sede disciplinare – a seguito dell’accertamento dei fatti - il dipendente non sia risultato meritevole di una sanzione disciplinare di stato e non si applica, dunque, al diverso caso in cui nella sede disciplinare sia mancato tale accertamento e, per di più, vi sia stata la condanna in sede penale.

     Poiché l’appellante ha mantenuto lo status di dipendente a seguito della condanna, neppure rilevano i principi enunciati dalla Adunanza Plenaria con la decisione n. 8 del 1997, che ha riguardato il particolare caso di un dipendente cessato dal servizio prima del giudicato penale, affermando il principio della perdurante sussistenza del potere disciplinare.

      7. Per le ragioni che precedono, l’appello nel suo complesso va respinto.

      La condanna al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) respinge l’appello n. 7993 del 2001.

Condanna d’appellante al pagamento di euro 2.000 (duemila), oltre agli accessori di legge, in favore delle Amministrazioni appellate, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 13 gennaio 2009, presso la  sede del Consiglio di Stato,

 
 

Palazzo Spada, con l’intervento dei signori: