R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.2018/2009

Reg. Dec.

N. 6269 Reg. Ric.

Anno 2000

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

     sul ricorso in appello iscritto al NRG. 6269 dell’anno 2000 proposto dal MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

     @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dall’avvocato -

per la riforma

     della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sez. I, n. 2624 del 1999;

      Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor @@@@@@@ @@@@@@@;

     Viste le memorie difensive prodotte dall’appellato a sostegno delle proprie tesi difensive;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore alla pubblica udienza del 13 gennaio 2009 il Consigliere --

     Uditi l’avvocato--

     Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

     Il sig. @@@@@@@ @@@@@@@, sottufficiale appartenente alla Guardia di finanza, veniva sottoposto a procedimento penale presso il Tribunale di Lodi per il reato di concussione, per avere, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, indotto un imprenditore soggetto a verifica fiscale a consegnarli indebitamente la somma di 10 milioni di lire.

     Il procedimento si concludeva in data 15/3/95 con sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. e la conseguente applicazione della pena di anni uno e mesi quattro di reclusione.

     A seguito di tale sentenza veniva dalla Guardia di Finanza disposta un’inchiesta formale che si concludeva con il provvedimento n. @@@@@@@ del 25 gennaio 1997, con il quale il veniva inflitto al suddetto militare la perdita del grado per rimozione.

     Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ritualmente adito dall’interessato, con la sentenza segnata in epigrafe, nella resistenza dell’intimata amministrazione statale, annullava il provvedimento impugnato, rilevando che il medesimo era  viziato per travisamento dei fatti, in quanto incentrato su indebite percezioni di somme di denaro, confermate dai soggetti sottoposti a controllo fiscale, laddove il @@@@@@@ era stato accusato di aver percepito in una sola occasione l’importo di 10 milioni di lire, circostanza confermata da un solo soggetto.

     Il Ministero delle Finanze, con atto di appello ritualmente notificato, ha chiesto la riforma della prefata statuizione, in quanto – a suo avviso – del tutto erroneamente i primi giudici avevano fondato il proprio convincimento sul travisamento dei fatti; del resto, sempre secondo la tesi dell’amministrazione appellante, i primi giudici non avevano considerato che il provvedimento disciplinare non aveva finalità meramente punitive, ma anche di tutela dell’immagine e dell’onorabilità dell’amministrazione e, sotto tale ulteriore profilo, era del tutto esorbitante dal potere giurisdizionale l’affermazione dei primi giudici circa la asserita violazione del principio di gradualità della sanzione, rientrando la sua concreta individuazione nella piena ed esclusiva discrezionalità dell’amministrazione.

     L’appellato si è costituito in giudizio, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, chiedendone il rigetto; con successiva memoria, ha illustrato ulteriormente le proprie difese.

     In sede cautelare, con ordinanza n. 3721/00, è stata accolta la richiesta di sospensione degli effetti della sentenza.

DIRITTO

     I. L'appello è fondato e va accolto.

      I.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è alcun motivo per discostarsi, le sentenze di patteggiamento non spiegano effetti extrapenali, ma equiparandosi ad una sentenza di condanna (ex art. 445 c.p.p.), legittimano (ed anzi impongono all’amministrazione, anche in relazione ai precetto di cui all’articolo 97 della Costituzione) l’apertura di una autonoma inchiesta disciplinare, onde accertare la rilevanza che i fatti ascritti al dipendente in sede penale possono avere sul rapporto di lavoro con particolare (ma non esclusivo) riferimento all’immagine e all’onorabilità dell’amministrazione stessa.

     In particolare è stato più volte sottolineato che i fatti che hanno dato luogo alla sentenza penale di patteggiamento devono formare oggetto di un’autonoma considerazione e la relativa sanzione deve essere irrogata sulla base di un separato giudizio di responsabilità disciplinare, senza che la ricordata sentenza penale patteggiata possa assurgere a presupposto unico per l’applicazione della sanzione disciplinare ovvero a parametro valutativo cui conformare la gravità della sanzione da irrogare (C.d.S., sez. IV, 23 maggio 2001, n. 2853).

     In altri termini, sebbene non possa revocarsi in dubbio che l’amministrazione può utilizzare in sede disciplinare tutti gli atti dell’indagine penale (ivi comprese le ammissione e le confessione dello stesso dipendente), spettando a quest’ultimo di indicare ulteriori elementi a suo discarico e di chiedere nuovi accertamenti, l’amministrazione ha l’obbligo di valutare in maniera completa e autonoma tutti i fatti, nella loro interezza e senza farsi fuorviare dalla struttura dell’illecito penale, giustificando quindi con adeguato motivazione il provvedimento disciplinare ed esplicitando, cioè, puntualmente le ragioni per le quali ritiene che quei fatti – e dunque il concreto comportamento del dipendente – abbia violato o esposto a pericolo il bene/interesse protetto in sede disciplinare (legalità, imparzialità e buon andamento degli uffici amministrativi, immagine e onorabilità dell’amministrazione, in particolare) (Cons. stato, IV Sez., n. 4841/06).

     I.2. Ciò posto, la Sezione è dell’avviso che la sentenza impugnata meriti le critiche rivolte con l’appello, in quanto dall’esame dei documenti depositati in atti risulta che effettivamente l’amministrazione ha valutato e apprezzato l’intera fattispecie concreta, sottotesa alla sentenza di patteggiamento e posta a base del procedimento disciplinare, con particolare riferimento proprio ai fatti ritenuti affetti da travisamento da parte dei primi giudici.

     Dalla lettura del rapporto finale relativo all’inchiesta formale e dalla stessa motivazione dell’impugnato provvedimento disciplinare, invero, emerge che il convincimento sulla responsabilità disciplinare del militare costituisce la conseguenza a) delle esplicite ammissioni di colpevolezza in ordine alle indebite percezioni di somme di denaro avvenute nel corso delle verifiche oggetto di contestazione rese spontaneamente dal mar. @@@@@@@ in sede di interrogatorio dinanzi all’Autorità giudiziaria, confermate dalle convergenti dichiarazioni rilasciate all’Autorità giudiziaria dai soggetti sottoposti al controllo fiscale; b) della inconsistenza delle giustificazioni addotte dall’interessato in sede amministrativa, sia perché costituenti mere smentite di inequivocabili ammissioni rese nel corso dell’interrogatorio dinanzi all’Autorità giudiziaria, sia perché incentrate su non rilevanti considerazioni circa la scelta del patteggiamento, sia perché inidonee a sminuire la portata delle responsabilità addebitate; c) della riscontrata violazione da parte dell’interessato dei doveri di fedeltà, lealtà e correttezza assunti col giuramento, nonché di riscontrata carenza di qualità morali.

     Come si è già avuto modo di accennare, ai fini dell’accertamento della responsabilità disciplinare e dell’irrogazione della relativa sanzione a seguito di una sentenza di patteggiamento, ciò che rileva è la autonoma valutazione dei fatti e non l’attribuibilità o meno dei fatti acquisiti in sede penale al dipendente.

     L’Amministrazione, nel caso de quo, non si è limitata a dar conto della responsabilità del dipendente per i fatti ascritti, ma ha ottemperato all’obbligo di autonoma valutazione dei fatti che avevano costituito oggetto della sentenza penale di patteggiamento.

     In altre parole, pur avendo l’amministrazione fatto legittimamente affidamento, quanto alla loro oggettività ai fatti rilevati in sede penale, ha poi provveduto poi alla loro autonoma valutazione ai fini della responsabilità disciplinare, essendo al riguardo presenti inequivoci elementi da cui si può ricavare l’esistenza di detta valutazione, valutazione che non doveva essere condizionata dalla struttura dell’illecito penale:

     La tesi dell’Amministrazione appellante, alla luce di tali considerazioni, merita di essere accolta, in quanto ai fini dell’accertamento della responsabilità disciplinare a seguito di una sentenza penale di patteggiamento, ciò che conta è esclusivamente la piena, completa ed autonoma valutazione dell’intera fattispecie in tutti i suoi elementi caratterizzanti, tra cui non possono non rientrare anche quelli elementi che, secondo la fattispecie penale, servono ad una più pertinente qualificazione e specificazione del fatto (circostanze attenuanti) o ad una più puntuale individuazione della pena (ravvedimento, pentimento, risarcimento, etc.), valutazione che, come risulta dalla documentazione in atti e dalla motivazione del provvedimento impugnato, è stata effettuata.

     I.2.2. Analogamente merita censura la sentenza impugnata per la parte in cui ha accennato alla violazione, nel caso di specie,  del principio della gradualità della sanzione, con l’irrogazione della massima sanzione disciplinare.

     Se è vero, infatti, che per costante indirizzo giurisprudenziale, nel procedimento disciplinare nel confronti dei pubblici dipendenti (ivi compreso anche il personale militare), il giudizio si svolge con una larga discrezionalità da parte dell'Amministrazione in ordine al convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da irrogare, sicché, in sede di impugnativa del provvedimento disciplinare, il giudice amministrativo non può sostituirsi agli organi dell'Amministrazione nella valutazione dei fatti contestati all'inquisito e nel convincimento cui tali organi siano pervenuti, è pur vero che ciò trova un limite nei casi in cui la valutazione contenga un travisamento dei fatti, ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (C.d.S., Sez. VI, 10 maggio 1996, n. 670; Sez. V, 1 dicembre 1993, n. 1226 e 11 aprile, n. 539; Sez. IV, 16 gennaio 1990, n. 21; Sez. I, 10 giugno 1992, n. 506).

     Orbene, nel caso di specie, il travisamento ravvisato dai primi giudici non sussiste, come si è dianzi detto, e di conseguenza l’Amministrazione non ha errato nella individuazione della pena, pervenendo alla irrogazione della massima sanzione disciplinare essendosi basata sulla corretta e completa valutazione dei fatti, tali, nella fattispecie, da far ritenere integrata l’ipotesi di violazione, da parte del @@@@@@@, del giuramento (il che conferma l’osservanza del principio di gradualità della pena).

  II. In conclusione l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.

  Ritiene il Collegio che possano essere compensate fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P. Q. M.

     Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione IV), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero delle Finanze avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sez. I, n. 2624 del 1999, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di I grado.

     Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 gennaio 2009 con l'intervento dei signori: