REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.890/09

Reg.Dec.

N. 10541 Reg.Ric.

ANNO   2006

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 10541 del 2006, proposto da @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avv.ti -

c o n t r o

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in via dei Portoghesi n. 12, Roma;

- il Capo della Polizia di Stato, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli Sez. IV, n. 3486 del 7 aprile 2006.

     Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore all’udienza del 12 dicembre 2008 il Consigliere -

     Ritenuto quanto segue

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

     1.  Con  ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale @@@@@@@ @@@@@@@ domandava l’annullamento del decreto del Capo della Polizia n. 333/6.4 1998 di ricezione della Delibera del Consiglio Provinciale di disciplina di Napoli e della Delibera medesima; del verbale del Consiglio del 31.10.1997; della nota di contestazione del 29.8.1997.

     A fondamento del ricorso deduceva plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

     Si costituiva in giudizio per resistere al ricorso il Ministero dell’Interno.

     Con sentenza n. 3486 del 7 aprile 2006il TAR rigettava il ricorso.

     2. La sentenza è stata appellata da @@@@@@@ @@@@@@@ che contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado

     Si è costituito per resistere all’appello il Ministero dell’Interno.

     La causa è passata in decisione alla pubblica udienza del 12 dicembre 2008.

MOTIVI DELLA DECISIONE

     1. @@@@@@@ @@@@@@@, Assistente della Polizia di Stato,  è stato destituito dall’Amministrazione con il provvedimento impugnato perché, in servizio di piantonamento ad un noto pregiudicato, gli era stato contestato di avere disimpegnato, in più circostanze, i compiti di istituto con grave negligenza. Il TAR ha respinto il ricorso di primo grado, all’esito di un esame delle censure di incompetenza; decorso del termine massimo previsto per la conclusione del procedimento disciplinare; omessa istruttoria (il processo penale si era concluso con la sua assoluzione e dunque i fatti oggetto di esso non avrebbero potuto essere presi a base del provvedimento sanzionatorio), contraddittorietà con precedenti atti dell’amministrazione intimata che aveva ritenuto meritevole, il ricorrente, in passato,  di elogi e di riconoscimenti.

     Appella l’interessato criticando le argomentazioni del TAR.

     L’appello è infondato. Vanno esaminate singolarmente le diverse doglianze formulate.

     2 Con il primo motivo di appello si deduce la violazione del termine di centoventi giorni per l’avvio del procedimento disciplinare, di cui al comma 6 dell’articolo 9 D.P.R. 737/81.

     Con il secondo motivo di appello si deduce la violazione del termine di dieci giorni per la contestazione degli addebiti all’interessato di cui al comma 4 dell’articolo 19 D.P.R. 737/81 e del termine di quarantacinque giorni per la conclusione dell’inchiesta disciplinare di cui al comma 5 dell’articolo 19 D.P.R. 737/81.

     Con il terzo motivo di appello si deduce la violazione del termine di duecentosettanta giorni per la conclusione dell’intero procedimento disciplinare di cui all’art. 9 della legge 19/90.

     Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate, sono infondate.

     3. Preliminarmente occorre una sintetica descrizione del procedimento disciplinare.

     Con sentenza depositata il 17 marzo 1997 il Tribunale Penale di Napoli dichiarava il non doversi procedere nei confronti del @@@@@@@ in ordine al reato di cui all’art. 323 comma 1 c.p. così modificata l’originaria imputazione (di corruzione continuata, per aver ricevuto per interposta persona da un detenuto piantonato in ospedale sostanza stupefacente, consentendogli di ricevere persone – anche affiliate al clan –  e beni in assenza di autorizzazione), essendosi il reato estinto per amnistia.  La sentenza passava in giudicato il 21 maggio 1997.

     L’inchiesta disciplinare era avviata il 13 giugno 1997 con decreto del Questore, il quale nominava il funzionario istruttore dandone comunicazione all’interessato. Dopo le rinunce di due dirigenti interpellati dall’amministrazione, in data 29 luglio 1997 veniva nominato il funzionario istruttore, che il 7 agosto 1997, formulava la contestazione degli addebiti all’interessato. All’esito di attività istruttoria il responsabile in data 21 settembre 1998 concludeva l’inchiesta disciplinare, rimettendo tutti gli atti al Questore.

     Il Questore a sua volta ha deferito il @@@@@@@ al Consiglio Provinciale di Disciplina il 31.10.1997. In data 11 dicembre 1997 il Consiglio di Disciplina, dopo aver preso visione degli atti, fissava la trattazione orale al 22 dicembre 1997. Dopo un successivo rinvio alla seduta del 13 gennaio 1998 il Consiglio Provinciale di Disciplina proponeva la sanzione della destituzione dal servizio, seguita dal Decreto di accoglimento del Capo della Polizia del 6 aprile 1998. 

     4. Alla fattispecie in esame è applicabile unicamente il D.P.R. 737/81, in quanto normativa speciale, mentre il richiamo all’art. 9, comma 2 L. 19/90 per l’individuazione del termine finale del procedimento è impreciso, atteso che il termine si ricava dalla somma dei termini di fase previsti dall’anzidetto D.P.R. (e in tal senso va inteso il riferimento al periodo di duecentosettantacinque giorni operato dalla pronuncia n. 10 del 2006 dell’Adunanza Plenaria).

     In linea di principio va ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui i termini previsti dalle disposizioni infraprocedimentali in materia disciplinare non hanno carattere perentorio, bensì ordinatorio, ove non sia prevista alcuna decadenza per la loro inosservanza, né sia stabilita l'inefficacia degli atti compiuti dopo la loro scadenza, essendo garanzia sufficiente per l'incolpato quella del termine perentorio fissato per l'intero provvedimento disciplinare (da ultimo Sez. VI n. 80 del 2008).

     In concreto, peraltro, nessuno di tali termini risulta violato.

     4.1 Il primo termine – relativo all’avvio del procedimento – è disciplinato dell’art. 9 del D.P.R. 737/81, ai cui sensi “Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione”.

     Nel presente caso non occorre prendere posizione sulla questione se il termine decorra dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado (come la lettera lascerebbe intendere), o da quella del suo passaggio in giudicato (solo tale evento rende certa la ricostruzione dei fatti oggetto dell’indagine penale), atteso che, anche con riferimento alla prima soluzione, il medesimo risulta rispettato. Infatti il procedimento disciplinare deve ritenersi avviato nel momento in cui viene comunicato all’interessato il compimento di una qualsiasi delle attività prevista dall’art. 19 D.P.R. 747/1981 (in tal senso lo stesso parere reso su ricorso straordinario al P.d.R. del coimputato dell’appellante). Detta disposizione prevede che “L'istruttoria per irrogare la sospensione dal servizio o la destituzione deve svolgersi attraverso le seguenti fasi:  il capo dell'ufficio o il comandante del reparto che abbia notizia di un'infrazione commessa da un dipendente, per la quale sia prevista una sanzione più grave della deplorazione, se il trasgressore appartiene a qualifica dirigenziale o direttiva o, comunque, è in servizio presso il dipartimento della pubblica sicurezza, ne dà comunicazione all'autorità centrale competente a infliggere la sanzione; se invece appartiene al restante personale, informa il questore della provincia in cui lo stesso presta servizio.

     Le predette autorità, ove ritengano che l'infrazione comporti l'irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione, dispongono che venga svolta inchiesta disciplinare affidandone lo svolgimento ad un funzionario istruttore che appartenga a servizio diverso da quello dell'inquisito, e che rivesta qualifica dirigenziale o direttiva superiore a quella dell'incolpato.

     Dunque la nomina del funzionario istruttore costituisce atto di avvio del procedimento, e la stessa risulta effettuata e comunicata all’appellante il 13 giugno 1997, entro il termine di centoventi giorni dal 17 marzo 1997, data di pubblicazione della sentenza.

     4.2 Anche i termini di cui all’art. 19, commi 4 e 5 sono rispettati:“Egli [il funzionario istruttore] provvede, entro dieci giorni, a contestare gli addebiti al trasgressore invitandolo a presentare le giustificazioni nei termini e con le modalità di cui all’art. 14 e svolge, successivamente, tutti gli altri accertamenti ritenuti da lui necessari o richiesti dall'inquisito.

     L'inchiesta dev'essere conclusa entro il termine di quarantacinque giorni, prorogabile una sola volta di quindici giorni a richiesta motivata dell'istruttore.

     I dieci giorni per la contestazione attengono alla comunicazione all’interessato, non anche alla notificazione. Peraltro il termine è pacificamente ordinatorio.

     I quarantacinque giorni per la chiusura dell’inchiesta attengono all’adozione del relativo atto, che deve ritenersi avvenuto il 21 settembre 1998, allorquando il funzionario chiudeva l’istruttoria rimettendo tutti gli atti al Questore. Peraltro anche questo termine è pacificamente ordinatorio.

     4.3 Infine, con riguardo al rispetto del termine finale del procedimento, va rilevato che la pronuncia dell’Adunanza Plenaria già menzionata (n. 10 del 2006), pur nella sostanza equiparandolo a quello di duecentosettantacinque giorni di cui all’art. 9, comma 2 L. 19/90, non ne prevede l’assoluta inderogabilità, atteso che tale computo rinviene dalla somma algebrica dei termini di fase, non tutti però, come detto, di natura perentoria.

     Inoltre, la stessa decisione afferma che un procedimento penale conclusosi con la dichiarazione di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione è da assumersi assimilabile alla sentenza penale di patteggiamento, in relazione alla quale la Corte costituzionale (sentenza 28 maggio 1999, n. 197) ha escluso l’applicabilità del termine di cui all’art. 9, comma 2, legge n. 19 del 1990, non potendosi escludere, in tal caso, per le particolari modalità del procedimento penale, la necessità di autonomi accertamenti in sede disciplinare.

     Tale ragionamento vale, mutatis mutandis, per le ipotesi di estinzione del reato a seguito di amnistia propria (che, cioè, si verifica in data anteriore all’emanazione di una sentenza di condanna, e non presuppone l’accertamento in ordine alla colpevolezza dell’imputato), che non contengono un accertamento pieno sul fatto reato, ma solo sulla sua qualificazione.

     5. Con il quarto e quinto motivo di appello si deduce l’erronea valutazione dell’istruttoria amministrativa, avendo il TAR da un lato accreditato la ricostruzione contenuta nel provvedimento impugnato, acriticamente recettivo di taluni passaggi della sentenza penale, dall’altro ignorato delle note di encomio e lode ricevute dall’interessato.

     Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate, sono infondate.

     Correttamente la decisione appellata fa riferimento alla sentenza penale (citando il passaggio della motivazione in cui si afferma che  “il quadro probatorio formatosi in giudizio permette di ritenere che vi fu  […] un esercizio deviato delle proprie attribuzioni da parte del @@@@@@@ […] allo scopo di favorire”), atteso che – come è orientamento consolidato della Sezione – l’autorità penale ha la signoria del fatto e, fermo restando il potere amministrativo di riconsiderare gli esiti del giudizio penale, quella amministrativa ha l’onere di adeguarvisi ove la stessa appaia completa ed adeguata. Nella specie l’appellante non evidenzia lacune o errori tali da suggerire una rivalutazione del giudizio penale, restando insufficiente le dichiarazioni di un singolo testimone, il quale narra quanto da lui direttamente conosciuto e non può escludere fatti avvenuti in sua assenza. Deve ricordarsi, in ordine alla consistenza del giudizio penale, che il @@@@@@@ è stato gravato dalla misura della custodia cautelare in carcere e gli episodi contestati, anche se riqualificati in abuso d’ufficio e non definitivamente accertati per l’applicazione dell’amnistia, sono di notevole gravità, e prevalgono sul lodevole servizio prestato.

     6. Con il sesto motivo di appello si deduce l’incompetenza del Capo della Polizia ad adottare la sanzione, trattandosi di violazione commessa in qualità di agente di polizia giudiziaria.

     La censura è infondata.

     Il TAR ha ritenuto che la sanzione rientrasse nelle competenze del Consiglio Provinciale di disciplina, ai sensi dell’art. 7, comma 2 numeri 2)  e 3) del D.P.R. 737/81, di cui l’atto del Capo della Polizia costituisce formale recezione.

     L’argomento va integrato.

     L’art. 16, comma 3 disp. att. Cpp. Stabilisce che “fuori delle trasgressioni di cui al comma 1, gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria rimangono soggetti alle sanzioni disciplinari previste dai propri ordinamenti”. Il comma 1 contempla illeciti sanzionati con la censura o, nei casi più gravi, con la sospensione dall’impiego. Ne consegue che le trasgressioni punite con la destituzione non rientrano in detta previsione, e sono regolate dall’ordinamento di appartenenza dell’agente di polizia giudiziaria, cioè, nella specie, appunto dal D.P.R. 737/81.

     7. L’appello è respinto. La risalenza della controversia e la natura delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello.

     Spese compensate

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2008, con l'intervento dei sigg.ri: