N.  717/09  Reg.Dec. 
 

N.     520     Reg.Ric. 
 

ANNO  2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

     Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n. 520 del 2008, proposto dal sig.

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rappresentato e difeso dall’avv. -

c o n t r o

- il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici in via A. De Gasperi n. 81, è per legge domiciliato;

- il CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE PER IL PERSONALE DELLA POLIZIA DI STATO, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante in carica, non costituito;

e nei confronti di

- - non costituiti;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania (sezione III) - n. 543/2007 del 27 marzo 2007.

     Visto il ricorso in appello di cui in epigrafe;

     Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Inter-no;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Vista l’ordinanza di questo C.G.A. n. 486 del 9 giugno 2008;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore alla pubblica udienza del 12 dicembre 2008, il Consigliere -

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O    e    D I R I T T O

     1.1. L’attuale appellante, il quale - vice questore aggiunto della Polizia di Stato - venne sospeso in via cautelare dal servizio e dalla frequenza al dodicesimo corso di formazione dirigenziale per l’accesso alla qualifica di primo dirigente, in pendenza di un procedimento penale nei suoi confronti e successivamente e, con provvedimento del 21 maggio 1997, sospeso obbligatoriamente dalla funzione e dall’ufficio a seguito del rinvio a giudizio, era, poi, stato collocato a riposo, su sua domanda, a decorrere dal 3 giugno 1997.

     Successivamente, però - assolto dalle imputazioni mossegli con sentenza del 16 aprile-19 novembre 2002 e divenuta irrevocabile la sentenza penale - aveva ottenuto il riconoscimento del diritto di cui all’articolo 3, comma 57, legge 24.12.2003 n. 350, venendo riammesso in servizio con decreto del 15 luglio 2004 con prolungamento del rapporto di impiego sino alla data del 1° marzo 2013 ed inserimento nel ruolo di anzianità con la qualifica di vice questore aggiunto.

     Gli era stato, invece negata la riammissione al corso di formazione dirigenziale, la cui frequenza aveva interrotto a seguito della sospensione dal servizio a suo tempo disposta.

     Ha, dunque, impugnato, davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, il decreto del Capo della Polizia del 12 maggio 2005 nella parte in cui, nel definire la posizione nel ruolo di anzianità del ricorrente, non lo ha collocato in posizione utile per la riammissione alla frequenza del corso di formazione dirigenziale per l’accesso alla qualifica di primo dirigente per l’anno 2005, e, con esso, la deliberazione del 13 giugno 2005 del Consiglio di Amministrazione di scrutinio per l’ammissione al corso di formazione dirigenziale per il personale della Polizia di Stato ed ogni altro atto presupposto, connesso, antecedente e consequenziale.

     Con motivi aggiunti, ha, poi, impugnato la deliberazione del 12 giugno 2006, di scrutinio per l’ammissione al corso di formazione dirigenziale del Consiglio di Amministrazione per il personale della Polizia di Stato.

     1.2. Con sentenza n. 543/08 del 27 marzo 2008, la sezione interna III di Catania del Tribunale Amministrativo adito, aderendo in buona sostanza alla tesi dell’Amministrazione resistente, ha respinto ricorso principale e motivi aggiunti, non avendo rinvenuto, nell’ope-rato dell’Amministrazione la denunciata violazione dell’art. 3, comma 57, L. 350/2003 da interpretarsi ed applicarsi, secondo quanto asserito dall’interessato in coordinata lettura con l’art. 94 T.U. n. 3 del 1957, per la considerazione della singolarità della situazione del richiedente, per il quale si era verificata l’interruzione del rapporto, e la non assimilabilità del caso a quello risolto dal Consiglio di Stato con decisione 31 gennaio 2007, n. 401, trattandosi di precedente giurisprudenziale non adattabile al caso in esame.

     1.3. Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto appello l’inte-ressato, sottoponendo a censura il percorso logico interpretativo attraverso il quale il giudice di primo grado è pervenuto alle proprie conclusioni, senza tenere conto, né della finalità interamente riparatoria della normativa applicabile nel caso in esame (e della quale l’istante ha in parte beneficiato), né, con riferimento al caso in esame, della posizione in cui l’interessato si trovava allorché ebbe a subire il provvedimento di sospensione cautelare.

     1.4. L’Amministrazione dell’Interno, costituitasi in appello, reitera le ragioni difensive portate in primo grado.

     Il Consiglio ha accolto - nei limiti in cui era possibile allo stato - l’istanza cautelare dell’interessato, ovvero della partecipazione del ricorrente alla tornata di ammissione al corso di formazione dirigenziale immediatamente successivo alla pronuncia di cui all’ordinanza 489/08 emessa nella camera di consiglio del 4 giugno 2008 e, successivamente, chiamata la causa alla pubblica udienza del 12 dicembre 2008.

     2. Si osserva che nonostante l’apprezzabile ricostruzione del quadro normativo applicabile al caso in esame, il giudice di primo grado non ha poi tratto le conclusione debite, con riferimento all’obiettivo riparatorio del legislatore, in relazione al caso in esame, nel quale, lo iato determinato dalla sospensione dal servizio ha colto il dipendente in un momento del suo percorso che lo vedeva già impegnato e partecipe del corso di formazione dirigenziale, in possesso di tutti i requisiti richiesti per prendervi parte.

     Orbene, a meno di non volere vanificare, almeno in parte, la funzione riparatrice della normativa (che del resto l’Amministrazione dell’interno ha in buona misura applicato senza difficoltà) deve ritenersi che il rigore interpretativo, nella esegesi della normativa in questione (l. 350/2003 ed in particolare art, 3 commi 57 e 57 bis, coordinati, in ragione dello status dell’attuale appellante, con l’art. 2, comma 4, d.l. 66/2004, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 11 maggio 2004, n. 126) debba risiedere non già nel circoscrivere, restrittivamente, la nozione di “ripristino” - che, in particolare, nella specificazione contenuta nell’art. 2, comma 4 del decreto legge n. 66/2004, deve comprendere, espressamente, l’applicazione delle “vigenti disposizioni di legge in materia di reclutamento, stato giuridico ed avanzamento” - bensì nell’escludere, soltanto, quanto, espressamente, per volontà normativa, è tenuto fuori dallo strumento straordinario, con il quale si è inteso porre riparo al torto ingiustamente inflitto.

      In altri termini, la regola di carattere generale che rinviene in qualsiasi disposizione attribuiva di “benefici” extra ordinem, una norma di carattere eccezionale, non suscettibile di interpretazione analogica e di applicazione estensiva, deve essere qua ribaltata, in quanto sotto l’apparente configurazione di norma di favore si colloca, invece, lo strumento attraverso cui l’ordinamento ha inteso fare ammenda al danno provocato al proprio dipendente, fissandone i limiti, in funzione dei riflessi organizzativi della misura riparatoria.

      Sono, dunque, tali limiti che subiscono la regola di una interpretazione restrittiva, e non suscettibile di applicazione analogica, e non anche, al contrario, gli effetti riparatori che si sono intesi perseguire, mediante il “ripristino”.

      Ciò appare chiaro proprio nella formulazione dell’art. 2, comma 4, d.l. 66/2004, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 11 maggio 2004, n. 126, il cui testo è stato per esteso riportato nella sentenza appellata, là dove, dopo avere profferito che “si applicano le vigenti disposizioni di legge in materia di reclutamento, stato giuridico ed avanzamento” la norma precisa – però – che non si dà luogo a valutazione ai fini dell'avanzamento al grado o qualifica superiore per gli anni di prolungamento o di ripristino del rapporto di impiego oltre il limite di età previsto per il ruolo e il grado o qualifica di appartenenza e, fino al definitivo collocamento a riposo, cessano di avere efficacia le promozioni conferite in conseguenza del collocamento in congedo o in quiescenza e sono sospesi il relativo trattamento economico e il decorso dell'ausiliaria”.

     E’ questa disposizione limitativa, dunque, che deve essere interpretata restrittivamente, e non la prima, la quale richiede l’applica-zione delle “vigenti disposizioni di legge in materia di reclutamento, stato giuridico ed avanzamento.

     Ne consegue che, nei riguardi di soggetto appartenente ad una delle categorie destinatarie della disposizione (personale militare e delle forze di polizia, per il personale di cui all'articolo 7, primo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonché per quello del settore operativo e aeronavigante del Corpo nazionale dei vigili del fuoco addetto all'attività di soccorso), nei confronti del quale la sospensione (e non l’interruzione del rapporto dovuta al collocamento a riposo) sia intervenuta (come nel caso in esame) nella fase di partecipazione al corso di formazione dirigenziale, affinché si realizzi il “ripristino”, nel senso richiesto dal citato articolo, occorre anche che il dipendente sia messo nella condizioni di riprendere il percorso della sua relazione lavorativa là dove il complesso degli eventi gestiti dall’ordinamento hanno cominciato ad esplicare i loro effetti ingiustamente lesivi, ovvero dalla partecipazione al corso di formazione (sempre che sia ancora previsto in un determinato assetto organizzativo e compatibilmente con lo svolgersi ordinario delle relative tornate).

     In questo senso, pertinente e corretto è il richiamo fatto dall’attuale appellante, in primo ed in secondo grado, alla giurisprudenza formatasi sulla materia, a nulla rilevando la singolarità della casistica, in rapporto anche alla posizione di status degli amministrati coinvolti, essendo comune ed adattabile a tutto l’ambito di operatività della normativa sopra citata, l’obiettivo informatore della “riparazione”, da leggersi in un’ottica “risarcitoria” e non meramente “indennitaria” del torto inflitto.

     3. L’appello, pertanto, deve essere accolto, con consequenziale riforma della sentenza appellata nel senso dell’accoglimento del ricorso di primo grado e dell’annullamento dei provvedimenti impugnati.

     Le spese dei due gradi del giudizio, che si liquidano in dispositivo, devono essere poste a carico dell’Amministrazione dell’interno ed in favore dell’appellante.

P. Q. M.

     Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso i primo grado ed annulla i provvedimenti impugnati.

     Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento, in favore dell’appellante delle spese del doppio grado del giudizio, che si liquidano in € 10.000,00 (diecimila/00) oltre IVA e CPA, come per legge.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Palermo, il 12 dicembre 2008 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori: -

                            Depositata in segreteria

 il   28 agosto 2009