Ricorso n. 2897/1992       Sent. n. 1447/05

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

  Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima Sezione, con l’intervento dei magistrati:

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della   L.   27  aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

    Angelo De Zotti  Presidente f.f., relatore

    Italo Franco   Consigliere

    Rita De Piero   Consigliere

  ha pronunciato la seguente

SENTENZA

   sul ricorso n. 2897/92, proposto da (omissis), rappresentato e difeso dall’avv. Fulvio Lorigiola, con elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. Giovanni Maggiolo in Venezia, S. Marco 3481;

   contro

   il Ministero delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;

   per l'annullamento

   1) del provvedimento n. 45816 del 20 maggio 1992, con il quale, a seguito del procedimento disciplinare è stata inflitta al ricorrente la sanzione della perdita del grado per rimozione a decorrere dal 16 ottobre 1991, nonché di ogni altro atto presupposto o conseguente,

   Visto il ricorso, notificato il 30 settembre 1992 e depositato il 21 ottobre 1992 con i relativi allegati;

   visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Finanze, depositato in segreteria il 9 febbraio 1993 con i relativi allegati;

   viste le memorie prodotte dalle parti;

   visti gli atti tutti della causa;

   uditi all'udienza pubblica del  10 dicembre 2004 (relatore il consigliere Angelo De Zotti) l'avv. Palaro, in sostituzione di Lorigiola, per il  ricorrente e l’avv. dello Stato Cerillo  per l’amministrazione intimata;

   ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

   Fatto

   Il ricorrente, (omissis), che ricopriva il grado di maresciallo maggiore della Guardia di Finanza è stato condannato con sentenza del 10 ottobre 1991 del Tribunale di Padova emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per il reato di cui agli artt. 110 e 317 c.p..

   Sulla base di tale sentenza è stato avviato nei suoi confronti il procedimento disciplinare che si è concluso con il decreto di perdita del grado per rimozione e la messa a disposizione del Distretto militare come semplice soldato.

   Di tale provvedimento, con il presente giudizio, il ricorrente chiede l’annullamento con vittoria di spese per i seguenti motivi:

   1) eccesso di potere per difetto di presupposto; eccesso di potere per difetto di istruttoria.

   Si sostiene innanzitutto che l’amministrazione ha adottato il provvedimento disciplinare per i fatti oggetto della sentenza penale di patteggiamento senza aver proceduto ad un loro autonomo e compiuto accertamento; che l’istruttoria svolta nei confronti del ricorrente è superficiale e lacunosa e che richieste istruttorie da questi avanzate sono state respinte immotivatamente, impedendo all’incolpato di chiarire la propria posizione e di dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati.

   2) eccesso di potere per difetto di motivazione.

   Si sostiene che il provvedimento difetta di motivazione in ordine alle ragioni che hanno indotto la commissione di disciplina a ritenere insufficienti o inadeguati gli elementi di discolpa forniti dal ricorrente.

   3) eccesso di potere per difetto di motivazione.

   Si sostiene che il provvedimento non enuncia le ragioni di contrasto ed incompatibilità dei fatti addebitati al ricorrente e la funzione  da questi rivestita.

   4) violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990.

   Si sostiene che il provvedimento non indica i termini e l’autorità cui è possibile ricorrere, violando la norma in epigrafe.

   In data 9 marzo 2003 si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, la quale ha controdedotto su tutti i motivi di ricorso, deducendone l’infondatezza e chiedendone la reiezione con vittoria di spese.

   Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2004 previa audizione dei difensori delle parti il ricorso è stato posto in decisione.

   Diritto

   Il ricorso concerne il provvedimento di rimozione per perdita del grado emanato nei confronti del ricorrente, militare della Guardia di Finanza, in esito al procedimento disciplinare avviato con la contestazione di addebiti del 10 dicembre 1991, a seguito di fatti di rilievo penale e di sentenza di “patteggiamento” con applicazione di pena (1 anno, mesi 10 e giorni 5 di reclusione) per il reato di concorso in concussione.

   Con le prime tre censure, che possono essere trattate congiuntamente, il ricorrente deduce una serie di profili di illegittimità, riferiti alla conduzione del procedimento disciplinare, sostenendo, in particolare, che la sentenza di patteggiamento non ha comportato l’accertamento dei fatti contestati e la responsabilità penale del (omissis) e che il procedimento disciplinare anziché svolgersi sulla base di un autonomo accertamento dei fatti, idoneo a fondare la colpevolezza dell’incolpato si è limitato a prendere atto della suddetta sentenza penale.

   Egli sostiene, inoltre, che l’amministrazione ha condotto il procedimento disciplinare in maniera superficiale, dando per scontate le contestazioni di addebito e che la commissione di disciplina ha disatteso le istanze istruttorie formulate dal ricorrente esprimendo il giudizio di colpevolezza sulla base di affermazioni non provate ma puramente desunte dagli atti del processo penale conclusosi con il patteggiamento.

     Tali censure sono, a giudizio del Collegio, infondate.

    Tale è, innanzitutto, l’assunto che l’amministrazione abbia omesso, in sede disciplinare l’accertamento autonomo dei fatti già oggetto del procedimento penale conclusosi con il patteggiamento.

   In realtà risulta che l’amministrazione ha svolto una propria inchiesta formale sui fatti oggetto di addebito disciplinare; che ha esaminato i fatti contestati al ricorrente, valutandone la fondatezza e la gravità attraverso gli elementi documentali e le prove testimoniali acquisite (sia in sede di indagini di p.g. che nell’ambito della stessa inchiesta) e che ha preso in considerazione le difese dell’incolpato, ritenendole tuttavia insufficienti a confutare le contestazioni dei fatti, come detto di rilievo non solo disciplinare ma anche penale, ascritti al militare.

   Questi, d’altra parte non solo ha accettato il patteggiamento (e lo sconto di pena) rinunciando a difendersi in sede penale dalle gravi imputazioni a lui mosse, ma non ha offerto, nel procedimento disciplinare, nessuna vera prova a discarico, limitandosi a negare di aver percepito parte della somma che è risultata incontestabilmente richiesta e versata al collega Bonato dal titolare della ditta verificata e a sostenere di essere estraneo all’episodio concussivo.

   Dagli atti del procedimento disciplinare risulta invece che i militari addetti alla verifica, che su disposizione dei superiori avrebbe dovuto riguardare solo alcune specifiche infrazioni relative ad alcune bolle di accompagnamento, indussero (in particolare il (omissis)) con chiare minacce il titolare della ditta Cartoplast s.r.l. ed il suo commercialista a ritenere, come essi dichiararono sia in sede di indagini di p.g. che nell’ambito dell’inchiesta interna  (cfr. doc. 13 dep. il 9 febbraio 1993) che solo versando una somma “da stabilire” avrebbero evitato una verifica generale; che a tal fine sia il Bonato che il (omissis) mantennero contatti ed ebbero colloqui manifestamente inopportuni e  ingiustificati (per tempi luoghi e circostanze) con il commercialista ed il titolare della ditta verificata; che lo stesso (omissis) incontrò, per sua stessa dichiarazione, il commercialista Napolitano recandosi nel suo studio per fornirgli “chiarimenti”; che, infine, i militari del gruppo addetto alla verifica, tra cui il ricorrente, percepirono la somma pattuita (ridotta da 18 milioni a sei), riscossa il 25 settembre 1991 da uno di loro e ripartita tra gli stessi in parti uguali come emerso dalla comunicazione telefonica intercettata (atti del G.I.P. prodotti come all. 4 in data 9 febbraio 1993).

   I fatti che sono alla base del procedimento penale patteggiato, e che nell’immediatezza hanno determinato l’arresto ed il rinvio a giudizio dei tre militari, sono quindi, come ha ritenuto la commissione disciplinare, certamente idonei a fondare il giudizio di colpevolezza del ricorrente, anche se la scelta di patteggiare la pena li ha sottratti all’accertamento processuale.

     La sentenza di condanna patteggiata infatti, non esonera, come assume il ricorrente, l’amministrazione dall’obbligo di valutare autonomamente i fatti nella sede disciplinare, ma ciò non esclude che gli atti del procedimento penale “patteggiato” possano essere richiamati nei loro contenuti accusatori per dimostrare che i fatti contestati sussistono e che essi sono imputabili all’incolpato.

   Ciò che è avvenuto nella fattispecie, risultando univoci e non smentiti sia i fatti oggetto di rinvio a giudizio penale, che hanno comportato l’applicazione della pena al (omissis) ed agli altri colleghi inquisiti, sia gli elementi emersi nella sede istruttoria nell’ambito dell’inchiesta formale esperita sui medesimi fatti   contestati al ricorrente.

    Né infine appare determinante, come sostiene il ricorrente, la negata acquisizione di ulteriori prove testimoniali, in quanto, a parte la genericità della richiesta, formulata solo nella nota di risposta agli addebiti, i testi invocati (Zanini e Napolitano) risultano essere stati sentiti sia dal G.i.p. sia nel corso dell’inchiesta ed hanno confermato (tanto che il giudice penale ha fondato il rinvio a giudizio sulle loro circostanziate accuse) la rilevanza della condotta del ricorrente ai fini della commissione del reato, frutto dell’accordo dei tre militari coinvolti.

   Ne consegue che i motivi di ricorso con cui si deduce il difetto di istruttoria e di motivazione vanno respinti siccome infondati e che va parimenti respinto il motivo con il quale si assume l’indimostrata idoneità del comportamento contestato al ricorrente e la lesione alla dignità ed il decoro del Corpo, essendo infatti evidente che per un militare dell’amministrazione finanziara la condotta concussiva  integra un caso esemplare di violazione del giuramento e di infedeltà all’istituzione sicuramente meritevole della pur grave sanzione irrogata.

   Infondato è, infine, anche l’ultimo motivo, atteso che per giurisprudenza pacifica l’omessa indicazione dei riferimenti  contenuti dall’art. 3 della legge 241/90 non solo rilevanti sulla legittimità del provvedimento ma solo sulla tempestività del ricorso (cfr. per tutte C.d.S.  A.P. 14/2/2001 n. 2; id. Sez. IV 1/2/2001 n. 393).

   Il ricorso è quindi infondato e va respinto.

   La natura della controversia induce nondimeno alla  compensazione tra le parti delle spese e competenze di causa.

   P.Q.M.

     Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, respinge il ricorso in epigrafe..

     Spese e competenze di causa compensate.

     Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Venezia, addì 10 dicembre 2004.

   Il Presidente f.f., estensore

        

Il Segretario 
 

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Prima Sezione 
 
 
 
 

T.A.R. per il Veneto – I Sezione n.r.g. 2897/92