REPUBBLICA ITALIANA 
 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia ha pronunciato la seguente

SENTENZA

su ricorso n. 1379 del 2003 r.g. proposto da

...OMISSIS.... ...OMISSIS....

rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Luisa Galli e presso la stessa elettivamente domiciliato in Brescia, via Moretto n. 65

contro

MINISTERO DELL’INTERNO

in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato e presso la stessa domiciliato in Brescia, via S. Caterina n. 6

per l’annullamento

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero resistente;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato come relatore, all’udienza dell’11/1/2007, la dott.ssa Federica Tondin;

Uditi, altresì, i procuratori delle parti;

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 13/11/2003 e depositato il successivo 28/11/2003 l’ispettore capo della Polizia di Stato ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... impugna, per i motivi di seguito analiticamente indicati, l’atto con cui il Capo della Polizia gli ha inflitto la sanzione disciplinare di mesi uno di sospensione dal servizio e la corrispondente proposta del Consiglio Provinciale di Disciplina.  Dagli atti di causa emerge che il 12/12/1997, unitamente all’agente Di Nunzio, l’isp. ...OMISSIS.... ricevette un esposto di tale ...OMISSIS...., che ebbe a denunciare presunte collusioni tra funzionari della Questura di Mantova e soggetti dediti ad agevolare il clandestino ingresso in Italia di ragazze rumene da avviare alla prostituzione. Egli trasmise la relativa annotazione di servizio in via riservata al Questore dell’epoca, tramite il Capo di Gabinetto. Il successivo 18/12/1997 il Questore, delegando i dirigenti della Digos e dell’Ufficio Stranieri, avviò una duplice inchiesta, che si concluse nel senso di escludere ogni irregolarità;  il 23/1/1998 venne escusso a sommarie informazioni il ...OMISSIS...., che ritrattò ogni accusa. Tutti gli atti del procedimento vennero quindi trasmessi il 23/1/1998 alla Procura della Repubblica, che iscrisse la notizia di reato a modello 21 (registro notizie di reato contro noti) il 26/1/1998, e ne chiese l’archiviazione il successivo 20/3/1998.

Il 20/12/1999 l’isp. ...OMISSIS...., di propria iniziativa,  inoltrò alla Procura della Repubblica una ulteriore ed autonoma notizia di reato, denunciando il comportamento omissivo dei colleghi che non avevano posto in essere i dovuti accertamenti sui fatti oggetto della annotazione di servizio del 12/12/1997, alla c.n.r. vennero allegati anche accertamenti da lui direttamente compiuti sui fascicoli personali delle persone menzionate dal ...OMISSIS.... nel suo esposto.

La Procura della Repubblica iscrisse il nuovo procedimento (n. 42/2000 r.g.n.r.) e lo archiviò il 22/3/2000 per infondatezza della notizia di reato.

Infine, l’isp. ...OMISSIS.... si recò direttamente in Procura per apprendere gli esiti del procedimento n. 42/2000 r.g.n.r. e, venuto a conoscenza della sua archiviazione, il 6/2/2002 inoltrò un esposto alla Procura Generale per denunciare plurime omissioni nella trattazione delle due notizie di reato.

La Procura Generale trasmise il procedimento alla Procura della Repubblica per la trattazione, la Procura archiviò per l’ennesima volta. A questo punto però, in data 24/2/2002, il Procuratore trasmise una nota riservata al Questore per informarlo del comportamento a suo avviso disciplinarmente rilevante dell’isp. ...OMISSIS.... che, in sintesi, dopo aver redatto annotazione di servizio e segnalato fatti di possibile rilievo penale alla Procura della Repubblica, aveva inviato autonoma notizia di reato, scavalcando ogni gerarchia e si era inoltre recato personalmente presso la Segreteria della Procura per acquisire notizie circa l’esito del procedimento penale, esercitando così una forma di anomalo controllo sull’operato del suo Ufficio. Tre giorni dopo, e cioè il 27/2/2003, il Questore avviò l’inchiesta disciplinare di cui all’art. 19 del d.p.r. 737 del 1981 (“Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti”) e nominò il funzionario istruttore. Il 5/3/2003 il funzionario istruttore formulò la contestazione degli addebiti e il successivo  24/3/2003 l’incolpato presentò le proprie difese. Il 28/4/2003 il funzionario, dopo aver chiesto una proroga dell’incarico, presentò  la propria relazione al Questore, che deferì l’ispettore al Consiglio di disciplina.

Il Consiglio di disciplina, dopo aver disposto istruttoria, propose in data 14/7/2003 l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per un mese. Il Capo della Polizia, ritenendo di non discostarsi dal giudizio espresso dal Consiglio di disciplina, irrogò la sanzione predetta con decreto dell’1/8/2003.

Avverso tale decreto e la proposta del Consiglio di  disciplina ricorre l’isp. ...OMISSIS.... per i seguenti motivi di diritto:

2. Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente chiedendo che il ricorso venga respinto siccome infondato.

3. All’udienza dell’11/1/2007 il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione.

DIRITTO

4. Con il primo motivo di impugnazione l’isp. ...OMISSIS.... deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione del termine per la contestazione degli addebiti.

Il motivo è infondato.

Va innanzi tutto chiarito che, come stabilito dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (dec. 25.1.2000 n. 4), pronunciata con riguardo alle norme del t.u. n. 3 del 1957 sugli impiegati civili dello Stato ma riferibile a tutte le fattispecie procedimentali caratterizzate da fasi organizzative analoghe, le scansioni fondamentali del procedimento disciplinare vanno individuate nella fase degli accertamenti preliminari e nella fase del procedimento disciplinare propriamente detto (che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termine con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato); all'interno di quest'ultima, vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito (e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, per la presa visione degli atti, per il preavviso di trattazione davanti alla commissione), da quelli sollecitatori, che sono i termini restanti. Ne consegue che il termine di dieci giorni previsto dall’art. 19, comma 6, del d.P.R. n. 737 del 1981 - che recita: “(il funzionario istruttore) provvede, entro dieci giorni, a contestare gli addebiti al trasgressore invitandolo a presentare le giustificazioni”- ha natura ordinatoria e dunque la sua eventuale violazione non comporterebbe l’invalidità del provvedimento impugnato.

Nel caso di specie, peraltro, il termine è stato rispettato perché dalla segnalazione da parte del Procuratore della Repubblica di fatti eventualmente rilevanti dal punto di vista disciplinare alla contestazione degli addebiti sono passati solo 9 giorni (segnalazione del 24/2/2003; contestazione degli addebiti del 5/3/2003).

5. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la violazione delle norme in materia di accesso agli atti amministrativi.

La doglianza è infondata in fatto.

L’isp. ...OMISSIS...., infatti, ha richiesto ed ottenuto l’accesso al fascicolo del funzionario istruttore; il Questore ha invece negato l’accesso agli atti di polizia giudiziaria esperiti in relazione ai procedimenti penali, e ciò in quanto, trattandosi di atti trasmessi all’Autorità giudiziaria od eseguiti su delega di quest’ultima, e cioè di atti a disposizione della medesima Autorità giudiziaria e non della Questura, la relativa autorizzazione non poteva che essere data dal Procuratore della Repubblica. Peraltro, in data 10/3/2005, il Pubblico Ministero ha autorizzato l’accesso anche a tali atti, nella forma della visione (doc. 9 fascicolo ricorrente).

6. Con il terzo motivo di impugnazione l’isp. ...OMISSIS.... deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per travisamento dei fatti e difetto di motivazione.

Anche tale motivo è infondato.

Dalla dettagliata istruttoria espletata dall'amministrazione, si ricava, conclusivamente, che il ricorrente ha tenuto un comportamento gravemente lesivo e non conforme al decoro delle funzioni esercitate. In particolare, è emerso che egli ha compiuto atti contrari ai doveri di subordinazione gerarchica, inoltrando direttamente all’autorità giudiziaria una autonoma notizia di reato, ha proceduto di propria iniziativa ad accertamenti non delegati né autorizzati sui fascicoli personali dei soggetti indicati nell’esposto del sig. ...OMISSIS...., per verificare se vi fossero state o meno omissioni da parte dei colleghi, si è recato personalmente presso gli Uffici di Procura per acquisire notizie circa l’esito del procedimento penale instaurato a seguito della propria c.n.r., esercitando così anche una forma di anomalo controllo sull’operato dell’autorità giudiziaria (sfociato nell’esposto alla Procura Generale). Tali fatti sono stati dall’amministrazione correttamente ascritti nell'ambito della fattispecie di cui all'art. 6, n. 1 (mancanze previste dal precedente art. 4, qualora rivestano carattere di particolare gravità), in relazione all'art. 4 n. 18 (qualsiasi altro comportamento, anche fuori dal servizio, non espressamente preveduto dalle precedenti ipotesi, comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza), della fattispecie di cui all'art. 6 n. 6, che punisce gli atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione nonché della fattispecie di cui all’art. 6 n. 3, che prevede la “denigrazione dell’amministrazione o dei superiori”.

I verbali del consiglio di disciplina e le relazioni del funzionario istruttore danno ampiamente conto di tutti gli elementi di fatto considerati e delle connesse conseguenze sul piano giuridico.

La valutazione dell'amministrazione in ordine alle violazioni relative alla disciplina ed alle norme di comportamento commesse dal dipendente, con conseguente pregiudizio al decoro delle funzioni di pubblica sicurezza, è esente da travisamenti o errori di fatto, né tali possono ritenersi le opposte valutazioni di merito espresse dal ricorrente.

D'altra parte, come costantemente ritenuto dalla giurisprudenza, l'apprezzamento dei fatti, la valutazione delle prove, nonché la rilevanza disciplinare del comportamento del pubblico dipendente rientrano nella sfera discrezionale della pubblica amministrazione, sicché essi non possono essere sindacati dal giudice amministrativo, se non nelle ipotesi di illogicità, manifesta irragionevolezza, travisamento o errore di fatto (Consiglio di Stato, Sez. IV, 1/10/2004 n. 6404; T.A.R Toscana Firenze, Sez. I, 28/3/2006, n. 1098).

7. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce la violazione degli artt. 19, 20 e 31 del d.P.R. n. 737 del 1981, sotto vari profili.

Va innanzi tutto premesso che - come riportato al punto 4, in riferimento al primo motivo di impugnazione - nell’ambito del procedimento disciplinare regolato dal d.P.R. n. 737 del 1981 hanno natura perentoria e sono inderogabili solo i termini posti a garanzia dell'inquisito (e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, per la presa visione degli atti, per il preavviso di trattazione davanti alla commissione), mentre gli altri termini hanno carattere ordinatorio e la loro eventuale violazione non comporta invalidità del provvedimento conclusivo del procedimento (T.A.R Toscana Firenze, sez. I, 28/3/2006, n. 1098).

Passando ora all’esame del merito, viene in primo luogo in considerazione la dedotta violazione del termine di 45 giorni, prorogabili di 15 ulteriori giorni,  previsto dall’art. 19 del d.P.R. n. 737/1981 più volte citato. In particolare, secondo la prospettazione del ricorrente, detto termine sarebbe stato ampiamente violato, in quanto il procedimento, iniziato il 27/2/2003 con la nomina del funzionario istruttore, avrebbe dovuto concludersi entro il 27/4/2003, con conseguente invalidità del provvedimento finale adottato l’1/8/2003.

La censura è infondata.

L’art. 19 citato stabilisce che l’inchiesta disciplinare per l’accertamento di una infrazione che comporta l'irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione venga affidata ad un funzionario istruttore, che “provvede, entro dieci giorni, a contestare gli addebiti al trasgressore invitandolo a presentare le giustificazioni nei termini e con le modalità di cui all'art. 14 e svolge, successivamente, tutti gli altri accertamenti ritenuti da lui necessari o richiesti dall'inquisito. L'inchiesta dev'essere conclusa entro il termine di quarantacinque giorni, prorogabile una sola volta di quindici giorni a richiesta motivata dell'istruttore. Questi riunisce tutti gli atti in un fascicolo, numerandoli progressivamente in ordine cronologico e apponendo su ciascun foglio la propria firma, e redige apposita relazione, alla quale allega tutto il carteggio raccolto, trasmettendola all'autorità che ha disposto l'inchiesta. Detta autorità, esaminati gli atti, se ritiene che gli addebiti non sussistono, ne dispone l'archiviazione con provvedimento motivato, ovvero li trasmette con le opportune osservazioni, all'organo competente a infliggere una sanzione minore. Qualora gli addebiti sussistano, trasmette il carteggio dell'inchiesta, con le opportune osservazioni, al consiglio di disciplina…”.

Come si evince dalla lettura della disposizione riportata, il termine di 45 giorni, prorogabili fino a 60, si riferisce non alla definizione del procedimento  disciplinare ma alla fase istruttoria, ossia all’inchiesta svolta dal funzionario istruttore che, entro detto termine, deve redigere la relazione e trasmetterla all’autorità competente. Nel caso di specie tale termine (che tra l’altro, come riconosciuto dalla giurisprudenza, ha natura ordinatoria e non perentoria, cfr. Consiglio di Stato 21/5/2000 n. 4) è stato rispettato, in quanto il funzionario istruttore, nominato il 27/2/2003,  ha consegnato la propria relazione il 28/4/2003. Né è possibile sindacare i motivi della proroga, come pretende parte ricorrente, che ne deduce la pretestuosità, in quanto l’apprezzamento dell’idoneità della motivazione posta a sostegno della richiesta del funzionario istruttore (che nel caso di specie ha evidenziato la sussistenza di motivi di salute) attiene al merito delle scelte dell’amministrazione.

Sotto altro profilo il ricorrente lamenta la violazione del termine di dieci giorni dal ricevimento della relazione istruttoria per la convocazione del Consiglio di disciplina. Sul punto l’art. 20 del d.P.R. n. 737 del 2003 stabilisce, al comma primo, che “Il consiglio centrale o provinciale di disciplina è convocato dall'organo indicato nell'art. 16 entro dieci giorni dalla ricezione del carteggio”. Tale termine, secondo la giurisprudenza, ha carattere ordinatorio (Consiglio Stato, sez. IV, 15/11/2004 , n. 7459). Esso, inoltre, decorre dalla “ricezione del carteggio” e cioè del fascicolo dell’inchiesta disciplinare, coincidente con il deferimento del dipendente al Consiglio di disciplina. Nel caso di specie, poiché il deferimento è avvenuto il 7/5/2003 e il Consiglio di disciplina è stato convocato il 16/5/2003, il termine è stato rispettato.

Da ultimo il ricorrente lamenta la violazione del termine di dieci giorni per la comunicazione all’interessato della sanzione disciplinare. Dagli atti emerge che il decreto impugnato, adottato l’1/8/2003, è stato notificato il successivo 2/9/2003.

Anche tale doglianza è infondata, poiché, come specificato dalla giurisprudenza, il termine di cui all’ultimo comma dell’art. 21 del d.P.R. n. 737 del 1981 (che recita: “il decreto deve essere comunicato all'interessato entro dieci giorni dalla sua data, nei modi previsti dall'art. 104 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3”) ha natura ordinatoria, con la conseguenza che la sua violazione non incide sulla validità del decreto che irroga la sanzione disciplinare (Consiglio Stato, Adunanza  Plenaria, 27 giugno 2006 , n. 10).

8. Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del diritto di difesa in quanto il Consiglio di disciplina ha deliberato la proposta di irrogazione della sanzione disciplinare in assenza del difensore dell’incolpato, in congedo ordinario.

In materia, l’art. 20 del più volte citato d.P.R. prevede che : “Il presidente, o i membri del consiglio previa autorizzazione del presidente, possono chiedere al giudicando chiarimenti sui fatti a lui addebitati. Questi può presentare una memoria preparata in precedenza e firmata, contenente la sua difesa, e può produrre eventuali nuovi elementi; la memoria e i documenti sono letti da uno dei componenti il consiglio ed allegati agli atti. Il presidente dà la parola al difensore, se presente, le cui conclusioni devono essere riportate nel verbale della seduta, ed infine chiede all'inquisito se ha altro da aggiungere. Udite le ulteriori ragioni a difesa ed esaminati gli eventuali nuovi documenti, il presidente dichiarata chiusa la trattazione orale e fa ritirare l'inquisito ed il difensore”.

Ne deriva che la presenza del difensore nominato dal dipendente alla seduta del Consiglio di disciplina non è obbligatoria (Il presidente dà la parola al difensore, se presente) ma facoltativa, come affermato anche dalla giurisprudenza, secondo cui “la mancata partecipazione di un difensore di fiducia del dipendente inquisito alle sessioni di una commissione disciplinare non implica alcuna violazione del diritto di difesa del medesimo, una volta garantitagli la possibilità di nominare un difensore: essendo, poi, del tutto ininfluente che quest’ultimo si sia, di sua iniziativa o per sue esigenze, astenuto dal partecipare ad una seduta della citata Commissione di disciplina” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 16/10/2006 n. 6105).

Nel caso di specie, peraltro, risulta dagli atti che il 10/7/2003 il Presidente del Consiglio di disciplina comunicò all’isp. ...OMISSIS.... che il difensore nominato, Sovr. Vitali, non avrebbe potuto presenziare alla seduta del 14/7/2003, perché in congedo ordinario e lo rese edotto della facoltà di nominare altro difensore. L’in...OMISSIS.... ad esercitare la facoltà di nominare altro difensore venne poi ribadito nella fase preliminare della seduta del 14/7/2003, ma l’incolpato ritenne di non avvalersene (“L’ispettore Capo ...OMISSIS.... conferma che il suo difensore è assente e non vuole nominarne un altro, si rimette alla decisione del consiglio “, pag. 1 verbale del 14/7/2003).

Da ultimo, va rilevato che nel corso del procedimento disciplinare, ed in particolare nella fase istruttoria e della trattazione orale avanti al Consiglio di disciplina, era sempre intervenuto il difensore dell’incolpato, risultando in tal modo garantiti tanto il contraddittorio quanto l’esercizio delle facoltà difensive riconosciute dal d.P.R. n. 737 del 1981.

9. Con l’ultimo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la violazione delle norme in materia di tutela dei dirigenti sindacali stabilite agli artt. 16 e 17 disp. att. c.p.p. .

Il motivo è infondato, perché le norme richiamate, inserite nel capo delle disposizioni di attuazione del c.p.p. che raccoglie le disposizioni relative alla polizia giudiziaria, regolamentano le sanzioni, il procedimento ed i ricorsi disciplinari per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria relativamente alle trasgressioni che si riferiscono all'esercizio di tali loro funzioni. L'omissione o il ritardo, senza giustificato motivo, nel riferire all'autorità giudiziaria la notizia del reato, ovvero nell'esecuzione di un ordine della stessa, le negligenze o le violazioni di altre disposizioni di legge relative alle funzioni di polizia giudiziaria, sono comportamenti sanzionati con la censura e, nei casi più gravi, con la sospensione dall'impiego per un tempo non eccedente sei mesi; fermo restando che per le altre trasgressioni gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria rimangono soggetti alle sanzioni disciplinari stabilite dai propri ordinamenti (art. 16). In altri termini, secondo il disposto dell’art. 16 disp. att. c.p.p., solo le specifiche violazioni ivi espressamente indicate sono disciplinate dalla speciale procedura di cui agli articoli seguenti, mentre per le altre trasgressioni, gli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria rimangono soggetti alle sanzioni disciplinari stabilite dagli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza, inflitte con la procedura per esse prevista dai medesimi ordinamenti.

Poiché le violazioni contestate all’isp. ...OMISSIS.... non rientrano tra quelle di cui al primo comma del citato art. 16, nel caso di specie è stato correttamente applicato il procedimento di cui al d.P.R. n. 737 del 1981.

Quanto, infine, alla dedotta violazione delle tutele previste per i dirigenti sindacali, la relativa censura va dichiarata inammissibile perché non è allegato che il ricorrente fosse dirigente sindacale né sono indicate le garanzie che si assumono violate.

9. Le spese seguono, come per legge, la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia – definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte resistente, delle spese di lite che liquida complessivamente in euro 1750.

Così deciso in Brescia, l’11/1/2007, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia in Camera di Consiglio, con l'intervento dei signori:

Roberto Scognamiglio   - Presidente

Gianluca Morri     - Referendario

Federica Tondin                                              - Referendario estensore 
 
 

NUMERO  SENTENZA 168 / 2007
DATA PUBBLICAZIONE 15 - 02 - 2007