REPUBBLICA  ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima-ter, composto da:

Luigi TOSTI                                  – Presidente

Italo VOLPE                                 – Consigliere – Estensore

Ada RUSSO                                  – Primo Referendario

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 7305 del 2001, proposto da ...omissismsmvld.... ...omissismsmvld...., rappresentato e difeso dall’avv.to Filippo Giuseppe Capuzzi ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via della Giuliana, 72;

contro

il Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dalla ex lege Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del decreto ministeriale n. 333-D/60367, emesso in data 23.2.2001 dal Capo della Polizia, con il quale è stata inflitta la sanzione disciplinare della destituzione dalla Amministrazione della pubblica sicurezza a decorrere dal 28.2.2001.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Udita alla pubblica udienza del 21 dicembre 2006 la relazione del Consigliere dott. Italo Volpe e udite, altresì, le difese di parte, come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

      1. Ritenendosi leso, col ricorso in epigrafe ...omissismsmvld.... ...omissismsmvld...., premesso di essere stato Assistente della Polizia di Stato ed in tale veste di essere stato oggetto del provvedimento di destituzione pure in epigrafe indicato, lo impugnava sulla base dei seguenti motivi:

(a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 9, co. 2, della legge n. 19/90 e dell’art. 110 del d.P.R. n. 3/57.

Il procedimento disciplinare si è concluso oltre i termini di rito.

(b) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, nn. 4 e 6, del d.P.R. n. 737/81.

La mancanza in cui è incorso il ricorrente è assolutamente minima, non tale da poter giustificare la sanzione massima in sede disciplinare.

(c) Eccesso di potere e disparità di trattamento.

Il Consiglio di disciplina, la cui proposta è atto presupposto rispetto al provvedimento ora gravato, non ha tenuto una condotta imparziale nel valutare il comportamento del ricorrente e le giustificazioni dallo stesso addotte in sede di istruttoria disciplinare.

      2. Si costituiva in giudizio il Ministero dell’interno, concludendo per la reiezione del ricorso.

      3. Con ordinanza n. 4297 in data 5 luglio 2001 il Tribunale respingeva la domanda incidentale di sospensione degli effetti dell’atto impugnato.

      4. Acquisita documentazione, la causa veniva quindi chiamata all’udienza pubblica di discussione del 21 dicembre 2006 ed ivi trattenuta in decisione.

      5. Il ricorso risulta infondato nel merito – assorbita ogni altra eccezione dell’Amministrazione resistente, anche relativa ad eventuali profili di tardività dell’atto introduttivo del giudizio – e deve essere conseguentemente respinto.

      5.1. Con la prima censura viene dedotto che, nel caso di specie, il procedimento disciplinare si sarebbe protratto oltre il termine di rito di 90 giorni dalla data di nomina del funzionario istruttore e che, a tale riguardo, occorrerebbe rifarsi all’art. 110 del d.P.R. n. 3 del 1957.

La rubrica della censura evoca inoltre la sospetta violazione dell’art. 19 della legge n. 19 del 1990.

Le tesi non persuadono.

Preliminarmente, la citata legge n. 19 entra in campo laddove i procedimenti disciplinari muovano in presenza di sentenze penali di condanna, circostanza, questa, che non ricorre nella fattispecie. Si è dunque fuori dall’ambito oggettivo di applicazione di tale disciplina legislativa.

In secondo luogo, il d.P.R. n. 737 del 1981 è il testo giuridico di necessario e specifico riferimento nel caso in esame, avuto riguardo all’originario status del ricorrente e alla Amministrazione di appartenenza, nonché all’art. 31 del d.P.R. n. 737 il quale dispone che <<Per quanto non previsto dal presente decreto in materia di disciplina e di procedura, si applicano, in quanto compatibili, le corrispondenti norme contenute nel testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.>>

E il d.P.R. n. 737 prevede, in effetti, termini in materia di procedimento disciplinare, costituendo esso perciò, al riguardo, lex specialis cui occorre rifarsi in argomento.

In particolare, l’art. 19 di questo testo dispone che il funzionario istruttore <<provvede, entro dieci giorni, a contestare gli addebiti al trasgressore invitandolo a presentare le giustificazioni nei termini e con le modalità di cui all’art. 14 e svolge, successivamente, tutti gli altri accertamenti ritenuti da lui necessari o richiesti dall’inquisito>> ed aggiunge che <<l’inchiesta dev’essere conclusa entro il termine di quarantacinque giorni, prorogabile una sola volta di quindici giorni a richiesta motivata dell'istruttore>>.

Inoltre, l’art. 14 del d.P.R. n. 737 cit., per i casi di sanzione più grave del richiamo orale, stabilisce che l’incolpato può <<entro il termine di dieci giorni dalla notifica [della contestazione], (…) presentare giustificazioni, documenti o chiedere l’audizione di testimoni o indicare le circostanze sulle quali richiedere ulteriori indagini o testimonianze. Tale termine può, a richiesta motivata dell’interessato, essere opportunamente prorogato di altri dieci giorni per una sola volta>>.

In più, l’art. 13 dello stesso testo giuridico stabilisce, da un punto di vista generale, che <<Ogni sanzione deve essere inflitta previa contestazione degli addebiti e dopo che siano state sentite o vagliate le giustificazioni dell’interessato, nei modi previsti dall'art. 14.>> nonché <<Nello svolgimento del procedimento deve essere garantito il contraddittorio.>>.

In buona sostanza, si ricava dall’esame sistematico delle disposizioni trascritte che il termine per la conclusione del procedimento disciplinare in argomento non può non decorrere dalla scadenza del termine entro il quale l’inquisito può presentare le proprie giustificazioni e questo per il fatto che l’inquisito deve avere la possibilità di chiedere ulteriori indagini o l’escussione di testimoni. Se così non fosse, resterebbe compresso lo stesso diritto di difesa dell’inquisito e vulnerato il rispetto del principio del contraddittorio che, invece, si è visto dover essere un paradigma di necessario riferimento anche nel procedimento in discorso.

Peraltro, questa lettura interpretativa consente di valorizzare nei giusti termini l’ulteriore disposizione trascritta che vuole che il funzionario istruttore svolga successivamente tutti gli altri accertamenti ritenuti da lui necessari o richiesti dall’inquisito. Tale posteriorità non si riuscirebbe a realizzare se non fosse vero che il funzionario istruttore deve necessariamente attendere che l’incolpato abbia ventilato tutti i propri argomenti difensivi.

Posto ciò, la ricostruzione attenta e documentata fornita dalla difesa erariale delle date e delle condizioni di tutti i singoli adempimenti del procedimento in argomento – una ricostruzione cui la difesa del ricorrente non risulta aver obiettato alcunché –, arricchita altresì dal conforto probatorio di quanto tempo sia stato in realtà necessario anche solo per portare a conoscenza l’avvio del procedimento disciplinare ad un soggetto che nulla ha fatto per mettere l’Amministrazione nelle condizioni di adempiere ai propri doveri dopo l’infrazione del suo dipendente, consente di riscontrare che la tempistica del procedimento non è incorsa, in verità, nel prolungamento temporale affermato dal ricorrente.

La censura, pertanto, non merita accoglimento.

      5.2. Con il secondo motivo di ricorso si sospetta una sproporzione fra l’infrazione contestata al dipendente e la tipologia della sanzione irrogatagli.

Anche questa doglianza non persuade.

In primo luogo si osserva che l’art. 13 del d.P.R. n. 737 cit. stabilisce che <<L’organo competente ad infliggere la sanzione deve tener conto (…) dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell’età, della qualifica e dell’anzianità di servizio [e] sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali.>>.

Ebbene, nel caso di specie è emerso che l’incolpato in sede di notifica di atti giudiziari si è reso irreperibile sia alla residenza anagrafica sia al domicilio dichiarato all’atto della compilazione della scheda informativa in occasione dell’assunzione in forza presso l’Ufficio Forza assente della Questura di Roma; la mancata notificazione ha di fatto arrecato evidenti danni all’Amministrazione della giustizia, costretta ad allungare i tempi dei procedimenti giurisdizionali, con aggravio di oneri e spese; l’incolpato inoltre con il suo comportamento si è reso responsabile dei una persistente e riprovevole condotta dopo che nei suoi confronti sono stati adottati in precedenza altri provvedimenti disciplinari; lo stesso ha posto in essere una dolosa violazione dei doveri arrecando grave pregiudizio allo Stato e all’Amministrazione della Pubblica sicurezza.

La notevole gravità della condotta resta oggettivamente (ex actis) avvalorata solo che poi si considerino i precedenti disciplinari dell’incolpato, che ha riportato ben sedici sanzioni per la commissione di persistenti azioni riprovevoli nonostante fosse stato ripetutamente punito con altri procedimenti disciplinari.

Dato ciò e posto che, per insegnamento giurisprudenziale, è lata – e non sindacabile nel merito in questa sede, salvo che per macroscopici vizi logici, in verità non dimostrati dal ricorrente nella specie – la discrezionalità dell’Amministrazione in sede di valutazione del rapporto tra fatto disciplinarmente rilevante e sanzione da applicare col provvedimento finale, risulta destituita di fondamento la censura in discorso.

      5.3. Non diversa sorte può avere il terzo motivo di ricorso, col quale si lamenta la non imparzialità del Consiglio di disciplina, che avrebbe altresì, in altre occasioni, proposto sanzioni minori per illeciti analoghi a quelli commessi dal ricorrente.

Valga osservare, in proposito, che, in disparte il fatto che, articolata la censura, non sono stati illustrati neppure gli altri casi che avrebbero dovuto costituire il tertium comparationis per la valutazione della doglianza in argomento, l’eventuale erroneità in cui l’Organo fosse incorso in differenti occasioni non può essere tenuto in considerazione per dirimere il caso in oggetto.

      6. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto, giacchè infondato. Ricorrono, peraltro, sufficienti elementi per compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima-ter, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 dicembre 2006.

IL PRESIDENTE                                                                          L’ESTENSORE

Ric. n.  
 

Reg. dec.  
 

Anno 2006