Ricorso n. 1496/2003       Sent. n. 497/08

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

  Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima Sezione, con l’intervento dei magistrati:

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della   L.   27  aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

..

  ha pronunciato la seguente

SENTENZA

  sul ricorso R.G. 1496/2003 , proposto da @@@@@@ @@@@@@, rappresentato e difeso dall’..

contro

  il Ministero dell’Interno, in persona del  Ministro pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, San marco n. 63,

  per l’annullamento

   del decreto del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza  n. 333-D/0 166265 dd. 11 aprile 2003, recante la destituzione del ricorrente dal servizio presso la Polizia di Stato; nonché di ogni altro atto presupposto e conseguente, ed in particolare del deliberato dd. 4 marzo 2003 del Consiglio Provinciale di Disciplina costituito presso la Questura di Firenze, della nota Prot. n. .. dd. 3 dicembre 2002 a firma del Funzionario Istruttore e recante la contestazione di addebiti a carico dell’incolpato; della relazione conclusiva del procedimento Prot. n. 16/02-R dd. 10 gennaio 2003 a firma del Funzionario medesimo; della nota n. 08 Uff. Pers. Cat. 16 dd. 12 febbraio 2003 a firma del Questore di Firenze; della nota n. 09 08 Uff. Pers. Cat. 16 dd. 12 febbraio 2003 a firma del Questore di Firenze conosciuta dal ricorrente medesimo per il tramite della nota Prot. n. 2.14/12-1982 dd. 26 febbraio 2003.

  Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 28 giugno 2003 e depositato il 5 luglio 2003

  visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

  viste le memorie prodotte dalle parti;

  visti gli atti tutti di causa;

  uditi nella pubblica udienza dell’11 ottobre 2007 ...

  ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO  E  DIRITTO

  1.1. Il ricorrente, Signor @@@@@@ @@@@@@, ha prestato servizio presso la Polizia di Stato, rivestendo il grado di Agente Scelto presso la Sottosezione della Polizia Stradale di @@@@@@ @@@@@@ all’epoca dei fatti che hanno dato origine al procedimento disciplinare a proprio carico e contestato nel suo esito nella presente sede di giudizio.

  Nell’esporre i fatti anzidetti, lo stesso @@@@@@ afferma di essere stato tratto in arresto in data 6 marzo 1987 all’esito di alcune intercettazioni telefoniche e di un servizio di osservazione effettuato dalla Polizia Stradale di @@@@@@, venendo conseguentemente denunciato per il reato di cui all’art. 317 c.p. (concussione).

  Nella memoria prodotta dal Ministero dell’Interno si puntualizza che l’arresto del @@@@@@ è avvenuto in flagranza di reato, posto che questi “attivandosi personalmente e valendosi della sua qualità di Agente della Polstrada, aveva costretto certo ......, abituale organizzatore del gioco delle “tre campanelle”, a versargli indebitamente la somma di Lire 500.000.- per tenerlo indenne dall’attività di repressione del gioco d’azzardo presso le aree di servizio autostradali” (cfr. ivi, pag. 1).

  Il @@@@@@, a sua volta, precisa che il ...... avrebbe a sua volta “ereditato” tale attività “da certo  ......., sorta di testimone de relato od informatore della Polizia Giudiziaria, tuttavia mai escusso nel corso delle indagini preliminari, né nell’ambito del giudizio penale propriamente inteso” (cfr. pag. 2 dell’atto introduttivo del presente giudizio).

  A seguito di giudizio abbreviato, con sentenza n. 662 dd. 15 dicembre 1992 il Tribunale di @@@@@@ ha condannato il @@@@@@, per il predetto reato di cui all’art. 317 c.p. alla pena di anni tre di reclusione, dichiarandolo – altresì – interdetto in perpetuo dai pubblici uffici a’ sensi dell’art. 314, secondo comma, c.p. (cfr. doc. 5 di parte resistente)

  Il @@@@@@ ha proposto appello avverso tale pronuncia, e con sentenza n. 1385 dd. 18 luglio 2001 la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma, ha ridotto la pena detentiva ad anni 2 e la pena accessoria a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici (cfr. ibidem, doc. 6).

  Il @@@@@@ ha proposto ricorso per cassazione avverso tale secondo pronuncia ma, con sentenza n. 1276 dd. 5 novembre 2002, la Sez. VI penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, rendendo in tal modo definitiva la predetta sentenza resa dalla Corte di Appello di Venezia (cfr. ibidem, doc. 7).

  Il @@@@@@ precisa pure di essersi comunque dimesso volontariamente dalla Polizia di Stato a far data dal 4 luglio 1998 e che, avendo riscontrato “evidenti anomalie sostanziali e processuali caratterizzanti i tre gradi del giudizio penale al quale è stato sottoposto”, egli sarebbe comunque “intenzionato a richiedere la revisione del verdetto penale irrevocabile di condanna, e ciò a’ sensi e per gli effetti di cui all’art. 630 c.p.p.” (cfr. pag. 4 dell’atto introduttivo del presente giudizio).

  Nelle more di ciò, tuttavia, è stato promosso a suo carico e concluso presso la Questura di Firenze – ultima sede di servizio dell’interessato, sospeso cautelativamente dal servizio dal 6 marzo 1987 al 6 marzo 1992 a’ sensi dell’art. 9 della L. 7 febbraio 1990 n. 19 (cfr. doc.ti 3 e 4 di parte resistente) e assoggettato a misura di carcerazione preventiva dal 6 marzo 1987 al 21 marzo 1987 -  il procedimento disciplinare conseguente alla predetta sentenza di condanna.

  Tale procedimento si è concluso con l’adozione, da parte del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, del decreto n. 333- D/0 166265 dd. 11 aprile 2003, recante l’irrogazione a carico dell’incolpato della sanzione della destituzione, a’ sensi dell’art. 7, nn. 1, 2, 3 e 4 del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, “vista l’allegata delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina di Firenze in data 4 marzo 2003 ..” che ha parimenti ritenuto conferente al caso di specie la sanzione stessa, “accertata la più assoluta mancanza del senso dell’onore e della morale” dell’incolpato medesimo, “in quanto, nella sua qualità di tutore dell’ordine, (egli) avrebbe dovuto considerare il disvalore della sua azione ed astenersi dalla commissione del fatto” e “considerato (altresì) che il comportamento (da lui) tenuto è assolutamente inconciliabile con le funzioni proprie di un operatore di polizia”.

  Nelle premesse del predetto provvedimento adottato dal Capo della Polizia si legge pure che sono state pure “valutate le argomentazioni difensive” dell’incolpato, che è stato “considerato che nella fattispecie ricorrono gli estremi per l’applicazione della destituzione, ai sensi dell’art. 7, nn. 1, 2, 3 e 4 del citato D.P.R. 737 del 1981”, che è stato “visto il decreto del Prefetto della Provincia di Firenze datato 15 giugno 1998 con il quale sono state accolte le dimissioni dal servizio rassegnate dal @@@@@@ a decorrere dal 4 luglio 1998”, e che deve essere comunque “considerato che, pur se il @@@@@@ è cessato (dal servizio), l’Amministrazione è tenuta a concludere il procedimento disciplinare allo scopo di regolare in maniera definitiva l’assetto degli interessi provvisori determinato dal provvedimento di sospensione cautelare, innanzi citato, che va dal 6 marzo 1987 al 5 marzo 1992”, con la conseguenza che “il periodo di sospensione cautelare sofferto” dal medesimo @@@@@@ durante tale periodo “non è valido né ai fini giuridici, né a quelli di quiescenza e previdenza”.

  Nell’annesso deliberato del Consiglio Provinciale di Disciplina si legge, tra l’altro, che “in data 16 dicembre 2002” il @@@@@@ aveva presentato al funzionario istruttore “le proprie giustificazioni scritte nelle quali eccepiva a scusante dell’appropriazione del denaro motivazioni fondate su un asserito atteggiamento persecutorio da parte dei superiori gerarchici, affermando contestualmente di essere stato vittima di un’ingiustizia e dichiarando di aver ricevuto la somma di denaro dal ....a titolo di parziale rimborso per l’acquisto di un orologio restituitogli dopo qualche giorno in quanto non funzionante”, e “… che dalla trattazione orale non è emersa una ricostruzione diversa da quella prospettata dal funzionario istruttore; che dalle giustificazioni scritte presentate dall’incolpato, così come le memorie difensive lette in sede di Consiglio Provinciale di Disciplina, non hanno modificato il quadro probatorio contestato all’incolpato, né attenuato le sue responsabilità, peraltro ampiamente accertate in sede penale”.

  La motivazione conclusiva della destituzione proposta dalla Commissione di Disciplina è, pertanto, la seguente: “In data 6 marzo 1987 veniva tratto in arresto dalla Sezione di Polizia Stradale di @@@@@@ in quanto responsabile del reato di concussione, rendendosi così responsabile di gravissimi fatti che sono in totale contrasto con i doveri assunti all’atto del giuramento, violati dolosamente, abusando della propria autorità istituzionale e denotando pertanto un comportamento assolutamente privo del senso dell’onore e della morale altamente lesivo del decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della Polizia di Stato.

  1.2. Ciò posto, con il ricorso in epigrafe il @@@@@@ chiede l’annullamento del surriferito decreto del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza  n. 333-D/0 166265 dd. 11 aprile 2003, recante la propria destituzione dal servizio, nonché di ogni altro atto presupposto e conseguente, ed in particolare del deliberato dd. 4 marzo 2003 del Consiglio Provinciale di Disciplina costituito presso la Questura di Firenze, della nota Prot. n. 1173.16 (PD 498) dd. 3 dicembre 2002 a firma del Funzionario Istruttore e recante la contestazione di addebiti a carico dell’incolpato; della relazione conclusiva del procedimento Prot. n. 16/02-R dd. 10 gennaio 2003 a firma del Funzionario medesimo; della nota n. 08 Uff. Pers. Cat. 16 dd. 12 febbraio 2003 a firma del Questore di Firenze; della nota n. 09 08 Uff. Pers. Cat. 16 dd. 12 febbraio 2003 a firma del Questore di Firenze conosciuta dal ricorrente medesimo per il tramite della nota Prot. n. 2.14/12-1982 dd. 26 febbraio 2003.

  Il @@@@@@ deduce al riguardo le seguenti censure.

  A) Violazione del procedimento disciplinato dagli artt. 19 e 20 del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737. Sopravvenuta estinzione del procedimento medesimo per perenzione conseguente all’omessa trasmissione degli atti dell’indagine al Consiglio Provinciale di Disciplina entro il termine ivi fissato.

  Il ricorrente evidenzia in tal senso che il Capo II del Titolo II del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 disciplina puntualmente il procedimento che l’Amministrazione della Polizia di Stato deve esperire per poter legittimamente irrogare le sanzioni disciplinari contemplate dal medesimo testo normativo.

  Il ricorrente, per quanto segnatamente attiene alla sanzione disciplinare della destituzione e per quanto rileva nell’economia della presente causa, rileva che  gli artt. 19 e 20 del medesimo D.P.R. articolano il relativo procedimento nelle seguenti fasi:

  1) II Capo dell’Ufficio od il Comandante del reparto che abbia notizia di un’infrazione commessa da un dipendente, per il qua1e sia prevista una sanzione più grave del1a deplorazione, ne da comunicazione all’Autorità Centrale competente ad infliggere la sanzione se il trasgressore appartiene alla qualifica dirigenziale o direttiva o, comunque, è in servizio presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza; se, viceversa, il presunto trasgressore appartiene al restante personale, il Capo dell’Ufficio o il Comandante del Reparto informano il Questore della Provincia in cui predetto interessato presta servizio.

  2) Tali Autorità, qualora ritengano che l’infrazione comporti  l’irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio o della destituzione, dispongono che venga svolta un’indagine disciplinare, e ne affidano lo svolgimento ad un funzionario istruttore, appartenente ad un servizio diverso rispetto a quello al quale l’inquisito è assegnato, ed avente una qualifica dirigenziale o direttiva o comunque superiore rispetto a quella dell’incolpato.

  3) Il funzionario istruttore nominato provvede, entro dieci giorni, alla contestazione degli addebiti disciplinari al trasgressore invitandolo a presentare le proprie giustificazioni, nelle forme e nei termini di cui all’art. 14 del D.P.R. 737 del 1981; il funzionario istruttore svolge – altresì - tutti gli accertamenti reputati necessari, ovvero richiesti dall’incolpato; la fase istruttoria dell’inchiesta amministrativa deve essere conclusa entro il termine (perentorio) di giorni quarantacinque, prorogabile per una sola volta e per soli ulteriori quindici giorni, previa motivata richiesta del funzionario istruttore.

  4)  Al termine dell'inchiesta il Funzionario Istruttore riunisce tutti gli atti in un fascicolo, numerandoli progressivamente in ordine cronologico ed apponendo su ciascun foglio la propria firma e redigendo infine apposita relazione, alla quale allega tutto il carteggio raccolto; la relazione, unitamente al fascicolo ed alla documentazione allegata, è trasmessa a11’Autorità che ha disposto l’inchiesta.

  5) Tale Autorità, dopo aver esaminato gli atti, se ritiene che gli addebiti non sussistono, ne dispone l'archiviazione con provvedimento motivato; altrimenti, ove reputi che sussistano i presupposti per irrogare una sanzione minore, trasmette gli atti stessi, con le opportune osservazioni, all’Organo competente ad infliggere la sanzione stessa; se, da ultimo, reputa che gli addebiti disciplinari effettivamente sussistano e che da essi consegua l’esigenza di irrogare la sanzione della sospensione dal servizio o della destituzione , trasmette il “carteggio dell’inchiesta”, con le opportune osservazioni, al Consiglio di Disciplina competente in base al disposto degli artt. 6 e 7 del D.P.R. 737 del 1981.

  6) Il Consiglio di Disciplina è convocato dall’Organo indicato dall’art. 16 del D.P.R. 737 del 1981 entro 10 giorni dalla ricezione del carteggio.

  7) Nella prima riunione il Presidente e gli altri Membri del Consiglio esaminano gli atti e ogni componente di tale Organo redige una dichiarazione per far constare tale adempimento; il Presiedente nomina, quindi, Relatore uno dei Membri e fissa il giorno e l’ora della riunione per la trattazione orale e per la deliberazione del Consiglio, che dovrà aver luogo entro quindici giorni dalla data della prima riunione del Consiglio medesimo.

  8) I1 Segretario, appena conclusa. la prima riunione, notifica per iscritto all’incolpato che dovrà presentarsi al Consiglio di disciplina nel giorno e nell’ora all’uopo fissati, avvertendolo – altresì - che ha facoltà di prendere visione degli atti dell'inchiesta o di chiederne copia entro dieci giorni e di farsi assistere nel procedimento da un difensore appartenente all’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, comunicandone il nominativo entro tre giorni; lo avverte, inoltre, che se non si presenterà, ovvero non darà comunicazione di essere legittimamente impedito, si procederà comunque in sua assenza.

  Ciò posto, il ricorrente evidenzia pure che il sopradescritto paradigma normativo deve ora essere rapportato aI paradigma fattuale, affinchè possa riscontrarsi la necessaria rispondenza di quest’ultimo al primo.

  Tale corrispondenza, ad avviso del @@@@@@, non sussisterebbe.

  Secondo il ricorrente, infatti, il procedimento che lo riguarda sarebbe intervenuto a mezzo della successione dei seguenti atti:

  a) Nota, Prot. n. 1173.16 (PD 498) in data 3 dicembre 2002, a firma del Funzionano Istruttore, avente ad oggetto: "Contestazione addebiti disciplinari ai sensi dell'Art. 14 del D.P.R. 737 del 1981” (cfr. doc. 2 di parte ricorrente);

  b) Relazione conclusiva del procedimento disciplinare Prot. n. 161O2-R dd. 1O gennaio 2003, a firma del medesimo Funzionario Istruttore (cfr. ibidem, doc. 3);

  c)  Nota nr. 08 Uff. Pers. Cat. 16 dd. 12 febbraio 2003 a firma del Questore di Firenze (cfr. ibidem, doc. 4);

  d) Nota nr. 09 Uff. Pers. Cat. 16 a firma del Questore di Firenze notificata al ricorrente medesimo a mezzo della nota Prot. n. 2.14/12-1982 dd. 26 febbraio 2003, pervenuta a destinazione successivamente alla data dell’11 marzo 2003 (cfr. ibidem, doc. 5);

  e) Nota, Nr. 151, in data 13 febbraio 2003, a firma del Questore di Firenze e indirizzata al Presidente del Consiglio Provinciale di Disciplina, a mezzo della quale si è provveduto alla trasmissione a tale Organo degli atti del procedimento disciplinare in questio (cfr. ibidem, doc. 6).

  Orbene, ad avviso del ricorrente sarebbe ravvisabile nella specie una palese violazione dell’art. 20, comma 1, del D.P.R. 737 del 1981, in quanto la Relazione conclusiva del procedimento disciplinare porta la data del 10 gennaio 2003 ed è pervenuta all’Ufficio Protocollo della Questura di Firenze in data 15 gennaio 2003, nel mentre l’ulteriore trasmissione degli atti stessi al Consiglio di Disciplina risulta – per l’appunto - intervenuta con la predetta nota del Questore n. 151 dd. 13 febbraio 2003, ossia oltre il termine di 10 giorni contemplato dall’art. 20 testè citato.

  A tale riguardo, la difesa del @@@@@@ richiama la sentenza n. 9549 dd. 15 novembre 2001, resa dalla Sezione I^ - ter del T.A.R. per il Lazio, secondo il quale il termine di cui trattasi risulterebbe perentorio, con conseguente perenzione del procedimento nel caso della sua violazione.

  B) Violazione dell’art. 16 del D.P.R. 737 del 1981 e dei principi discendenti dagli artt. 25 e 102 Cost.

  E’ in tal modo censurata la circostanza che il Questore di Firenze avrebbe costituito la Commissione Provinciale di Disciplina con proprio provvedimento Nr. 08 Uff. Pers. Cat. 16 dd. 12 febbraio 2003, poi modificato con ulteriore provvedimento Nr. 09 Uff. Pers. Cat. 16 dd. 26 febbraio 2003 segnatamente per pronunciarsi nel procedimento disciplinare relativo al @@@@@@; viceversa, tale costituzione doveva avvenire annualmente, a’ sensi dell’art. 16 del D.P.R. 737 del 1981, con conseguente violazione di tale disposizione normativa, nonché del principio del giudice precostituito per legge di cui agli artt. 25 e 102 Cost.

  C) Incompetenza funzionale dell’organo che ha avviato il procedimento disciplinare e della Commissione Provinciale di Disciplina che si è pronunciata al riguardo.

  Il ricorrente evidenzia che per effetto di quanto disposto dall’art. 31 del D.P.R. 737 del 1981, per quanto non previsto nel D.P.R. medesimo, si applicano le disposizioni contenute al riguardo nel T.U. approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, recante – per quanto qui segnatamente interessa – una norma in forza della quale, nell’ipotesi di trasferimento del dipendente, è competente a determinarsi in materia disciplinare il superiore gerarchico del dipendente stesso nel luogo nel quale è stata fatto constare il comportamento illecito.

  Allo stesso tempo, peraltro, il @@@@@@ reputa che la norma stessa non possa ragionevolmente trovare applicazione nella fattispecie qui in esame.

  A tale riguardo il ricorrente evidenzia che il procedimento penale è stato instaurato nei suoi confronti, ormai nel lontano 1987, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di @@@@@@, che il Tribunale di @@@@@@ ha emanato la sentenza di condanna in primo grado, parzialmente riformata dalla Corte d'Appello di Venezia, che egli peraltro è stato collocato in congedo per dimissioni volontarie con  decorrenza 14 luglio 1998 e che pertanto, ai fini di una corretta applicazione dei generalissimi principi di individuazione del luogo in cui svolgere il procedimento disciplinare, la Questura di @@@@@@ – e non già quella di Firenze - avrebbe dovuto essere l’ufficio a ciò competente; e, del resto, la fase cautelare del procedimento disciplinare qui in esame era stata espletata dal Comandante Compartimentale della Polizia Stradale per il Veneto.

  D) Violazione dell’art. 1 del D.P.R. 737 del 1981 per irragionevolezza e mancanza di proporzionalità della sanzione disciplinare irrogata; violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241 relativamente alla statuizione di inefficacia del periodo 6 marzo 1987 – 5 marzo 1992 agli effetti giuridici, economici e previdenziali.

  Il ricorrente evidenzia che, a’ sensi dell’art. 1 del D.P.R. 737 del 1981, le sanzioni disciplinari debbono “essere graduate, nella misura, in relazione alla gravità delle infrazioni ed alle conseguenze che le stesse hanno prodotto per l’Amministrazione o per il servizio. Il provvedimento che infligge la sanzione deve essere motivato”.

  Secondo il @@@@@@ tale articolo risulterebbe nella specie violato, in quanto “se il provvedimento a firma del Capo della Polizia e Direttore Generale della Pubblica Sicurezza in data 11 aprile 2003” recante l’irrogazione della sanzione parrebbe “finanche accademico e ripetitivo nel riepilogare puntualmente la fattispecie di fatto dalla quale emergerebbe la gravità delle infrazioni addebitate all’odierno ricorrente, esso, per contro” risulterebbe “ mutilo e stereotipo in ordine alle asserite conseguenze negative che le precitate infrazioni avrebbero determinato per l’Amministrazione o per il servizio. Pertanto, un corretto sindacato sulla ragionevolezza. della sanzione disciplinare concretamente irrogata a carico del Sig. @@@@@@ induce a ritenere che la predetta non si uniformi al criterio legislativo della proporzionalità. Né, infine, la P.A. procedente ha attuato un doveroso e necessario bilanciamento fra gli opposti interessi del dipendente o meglio ex dipendente (che riflette la tutela del diritto al lavoro, garantito dall’art. 35 della Costituzione) e quelli di cui risulta titolare essa medesima (il cui “buon andamento” possiede anch’esso rilievo costituzionale, ex art. 97 della Costituzione) esternando la comparazione per il tramite di una compiuta e completa motivazione, come sancito dall’art. 1 del D.P.R. 737 del 1981”  (cfr. pag. 13 dell’atto introduttivo del presente giudizio).

  Da ultimo, per quanto attiene alla statuizione in forza della quale il periodo di sospensione cautelare dal servizio subito dal 6 marzo 1987 al 5 marzo 1992 non deve essere computato ai fini giuridici, di quiescenza e di previdenza, il ricorrente richiama la sentenza 919/2003 resa dalla Sezione giurisdizionale per il Piemonte della Corte dei Conti, in forza della quale gli emolumenti pensionabili percepiti dal ricorrente durante la sospensione cautelare dall’impiego sono dovuti nella misura del 50%.

  2. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, concludendo per la reiezione del ricorso.

  3. Alla pubblica udienza del 13 ottobre 2007 la causa è stata trattenuta per la decisione.

  4.1. Tutto ciò premesso, il ricorso va respinto.

  4.2. Innanzitutto, per quanto attiene alla dedotta violazione degli artt. 19 e 20 del D.P.R. 737 del 1981, opportunamente la difesa erariale ha rimarcato che l’art. 10, comma 3, della L. 27 marzo 2001 n. 97 come innovato per effetto della sentenza “manipolativa” n. 186 dd. 24 giugno 2004 n. 186 (cfr. ivi: “I procedimenti disciplinari per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge devono essere instaurati entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’Amministrazione o all’Ente competente per il procedimento disciplinare”) assume portata estensiva e si applica, pertanto, anche al personale appartenente ai ruoli della Polizia di Stato.

  Ciò posto, nel contesto ordinamentale del procedimento disciplinare per il personale dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza vanno distintamente considerati:

  a) i termini per l’inizio o la riassunzione del procedimento disciplinare e per la conclusione dello stesso, qualificati come perentori (Corte Cost. 28 maggio 1999 n. 197; Cons. Stato, A.P., 26 giugno 2000 n. 15 e 3 settembre 1997 n. 16) con riferimento all’art. 9, comma 2,  della L. 7 febbraio 1990 n. 19, i cui termini – peraltro – sono stati poi sostituiti per effetto dell’art. 5, comma 4, della L. 97 del 2001 che, a sua volta, individua come dies a quo per l’inizio del procedimento disciplinare il termine di 90 giorni dalla comunicazione della sentenza penale definitiva di condanna e come dies ad quem un arco temporale di 180 giorni;

  b) i termini posti a tutela dell’esercizio del diritto di difesa, definiti come dilatori, tassativi e inderogabili; rientra ad esempio in tale fattispecie il termine di dieci giorni di cui all’art. 20, secondo comma, del D.P.R. 737 del 1981 decorrente dalla data della notificazione dell’invito a presentarsi innanzi al Consiglio di Disciplina affinché l’inquisito possa prendere idonea visione degli atti dell’inchiesta ed estrarne copia; il termine stesso, infatti, è posto a garanzia del contraddittorio tra le parti e, conseguentemente, la P.A. non può fissare un termine inferiore (cfr.,  ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 14 novembre 1997 n. 1279), nel mentre – all’evidenza – non pregiudica il diritto della difesa l’osservanza di un termine maggiore.

  c) gli altri termini infraprocedimentali, i quali assumono – viceversa – natura ordinatoria, con conseguente applicazione in via analogica del principio di ordine generale contenuto nell’art. 152 c.p.c..

  Anche i termini di cui all’art. 19 e ss. del D.P.R. 737 del 1981 – fatta ovviamente eccezione per i termini per l’inizio o la riassunzione del procedimento disciplinare, ovvero per la conclusione dello stesso – rivestono natura ordinatoria (cfr. al riguardo, ad es., T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 6 aprile 1998 n. 696).

  Venendo, quindi, al caso di specie va evidenziato che il funzionario istruttore, dopo aver concluso l’istruttoria, riunisce – come si è visto innanzi - tutti gli atti in un fascicolo, redige apposita relazione e la trasmette, unitamente al carteggio raccolto, al Questore, quale Autorità Amministrativa che ha disposto l’inchiesta.

  L’art. 19, settimo comma, del D.P.R. 737 del 1981 contempla al riguardo l’obbligo di concludere l’inchiesta “entro il termine di quarantacinque giorni, prorogabile una sola volta di quindici giorni a richiesta motivata dell’istruttore”, nel mentre la disciplina in esame di per sé non prevede un termine entro il quale deve avvenire la trasmissione della Relazione unitamente al fascicolo.

  Si è inoltre visto che, qualora il Questore ritenga sussistenti gli addebiti disciplinari, trasmette il carteggio dell'inchiesta con le opportune osservazioni al Consiglio Provinciale di disciplina e provvede a convocare tale Organo entro 10 giorni dalla ricezione del carteggio da parte di quest’ultimo.

  Tali termini sono – all’evidenza – ordinatori in quanto in alcun modo identificativi dell’inizio o della conclusione del procedimento disciplinare e, conseguentemente, la loro eventuale violazione sarebbe irrilevante per la sorte dell’intero procedimento; e, ad ogni buon conto, va pure evidenziato che nel caso di specie la Relazione conclusiva del funzionario istruttore, datata 13 gennaio 2003, è pervenuta al Questore in data 15 gennaio 2003, e che in data 13 febbraio 2003 questi ha trasmesso gli atti del procedimento al Consiglio di disciplina, riunitosi per la prima volta il 19 febbraio 2003.

  Per quanto attiene alla dedotta violazione dell’art. 16, comma 8, del D.P.R. 737 del 1981,  è vero che ivi si dispone, per quanto qui segnatamente interessa, che “con decreto del Questore è costituito, in ogni provincia, il Consiglio di disciplina composto: a ) dal Vice Questore con funzioni vicarie che lo convoca e lo presiede; b ) da due funzionari del ruolo direttivo della Polizia di Stato; c ) da due appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato di qualifica superiore a quella dell’incolpato, designati di volta in volta dai sindacati di polizia più rappresentativi sul piano provinciale. Un funzionario del ruolo direttivo della Polizia di Stato funge da segretario. I membri di cui alla lettera b ) durano in carica un anno. Con le stesse modalità si procede alla nomina di un pari numero di supplenti per i membri di cui alla lettera b )”.

  E’ pure vero che il decreto questorile recante la nomina della Commissione (cfr. doc.ti 4 e 5 di parte ricorrente), di per sé ha costituito la Commissione stessa con espresso riferimento agli “atti del procedimento disciplinare instaurato nei confronti dell’ex Agente Scelto della Polizia di Stato @@@@@@ @@@@@@ ..”: ma, evidentemente, ciò trova fondamento nella circostanza che l’organo di disciplina è composto – come è stato testè rilevato – anche da “due appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato di qualifica superiore a quella dell’incolpato, designati di volta in volta dai sindacati di polizia più rappresentativi sul piano provinciale”.

  Ne consegue che, di volta in volta, per ogni procedimento, deve essere nominata una diversa Commissione di disciplina, fermo peraltro restando che nell’anno rimangono fissi i componenti di cui alle predette lettere a) e b), ossia il Vice Questore con funzioni vicarie che convoca e presiede l’Organo, nonché i due funzionari del ruolo direttivo della Polizia di Stato; né, del resto, il ricorrente prova che tali tre membri siano stati cambiati nel corso dell’anno per l’espletamento di altri procedimenti disciplinari, salva ovviamente restando la legittimità degli avvicendamenti tra membri effettivi e supplenti pure previamente nominati.

  Non sussiste nemmeno l’incompetenza territoriale dell’organo che ha avviato il procedimento disciplinare e della Commissione Provinciale di disciplina che si è pronunciata al riguardo.

  A differenza di quanto affermato dal ricorrente, la circostanza delle sue dimissioni volontarie dal servizio risulta ininfluente rispetto alla competenza a promuovere il procedimento disciplinare, che permane pertanto individuata nell’ultima sua sede di servizio, ossia Firenze; né in alcun modo rileva la circostanza che agli incombenti relativi alla sospensione cautelare dal servizio del medesimo dipendente abbia provveduto a suo tempo il Comandante Compartimentale della Polizia Stradale per il Veneto, posto che ciò conseguiva dalla circostanza che a quel tempo il @@@@@@ prestava servizio presso la Polstrada di @@@@@@, e che – comunque – la sospensione cautelare dal servizio è procedimento del tutto autonomo e distinto rispetto a quello disciplinare (cfr. amplius ed ex multis al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 3 marzo 2003 n. 1165).

  Per quanto, da ultimo, attiene alla dedotta violazione dell’art. 1 del D.P.R. 737 del 1981 per asserita irragionevolezza e mancanza di proporzionalità della sanzione disciplinare irrogata al @@@@@@ e all’asserito difetto di motivazione relativamente alla statuizione di inefficacia del periodo di sospensione dal servizio agli effetti giuridici, economici e previdenziali, va rilevato che – come ha correttamente affermato dalla difesa erariale – l’entrata in vigore della L. 97 del 2001, senza dubbio applicabile al caso di specie, ha introdotto una netta inversione di tendenza nei rapporti tra giudizio penale e procedimento disciplinare.

  L’introduzione di tale disciplina risponde infatti all’esigenza di  rendere più efficace la repressione dei reati consumati da pubblici dipendenti a detrimento dell’immagine della Pubblica Amministrazione: e in tale contesto assume peculiare rilevanza il comma 1- bis dell’art. 653 c.p.p., aggiunto dall’art.1 della medesima L. 97  in materia di sentenza penale irrevocabile di condanna e di efficacia della stessa nel procedimento disciplinare.

  Infatti, mentre nel precedente assetto normativo soltanto la sentenza dibattimentale assolutoria, pronunciata con la formula “il fatto non sussiste” o “l’imputato non l’ha commesso” assumeva efficacia vincolante nel procedimento disciplinare, ora anche la sentenza penale definitiva di condanna  fa stato circa i fatti accertati e la responsabilità dell’imputato.

  Conseguentemente, rimane integro nel suo nucleo essenziale il principio fondamentale espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza 14 ottobre 1988 n. 971, per effetto della quale è stato complessivamente espunto dall’ordinamento il pregresso automatismo tra condanna penale e sanzione disciplinare in quanto non rispettoso del principio di ragionevolezza; ma, allo stesso tempo, risulta innegabile l’avvenuta estensione, per effetto dello ius novum, della pregiudizialità penale in sede disciplinare.

  Va soggiunto che la predetta sentenza n. 971 del 1988 resa dalla Corte Costituzionale, laddove ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, lett. a), del D.P.R. 737 1981, ha inteso salvaguardare la gradualità sanzionatoria disciplinare, riconducendone le relative valutazioni alla loro sede naturale, ossia al procedimento disciplinare.

  In tal modo è stato, quindi, rimosso il pregresso automatismo tra condanna penale per concussione e destituzione dall’impiego.

  Non va peraltro sottaciuta la ben evidente, intrinseca gravità di tale reato, che comporta ex se una valutazione particolarmente rigorosa delle relative fattispecie nell’ambito disciplinare; e, per il caso qui in esame, risulta altrettanto evidente la congrua motivazione che è stata data, sia dalla Commissione di Disciplina, sia nelle premesse del provvedimento di destituzione, in ordine alle esigenze che impongono di valutare il comportamento del @@@@@@ mediante l’applicazione della massima sanzione disciplinare, avuto riguardo – per l’appunto – “alla gravità delle infrazioni ed alle conseguenze che le stesse hanno prodotto per l’Amministrazione o per il servizio”, come testualmente disposto dall’art. 1 del D.P.R. 737 del 1981.

  In tal senso, quindi, il provvedimento sanzionatorio qui impugnato risulta tutt’altro che “mutilo” o “stereotipo” nella sua motivazione; né va sottaciuto che nel procedimento disciplinare sono emerse soltanto giustificazioni pretestuose da parte dell’interessato ed inidonee perlomeno ad attenuare il divario intercorrente tra il comportamento tenuto dall’incolpato e i doveri su di esso gravanti, per cui in tale ipotesi è senz’altro corretta la destituzione del medesimo (Cons. Stato, Sez. V, 18 marzo 2002, n. 1555).

  Per quanto da ultimo attiene l’invalidità ai fini giuridici e a quelli di quiescenza e previdenza del periodo della sospensione cautelare scontata dall’interessato dal 6 marzo 1987 al 5 marzo 1992, va ribadito che per consolidata giurisprudenza gli effetti del provvedimento di destituzione operano ai fini della ricostruzione della carriera ex tunc (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2002 n. 487).

  Infatti, l’applicazione della misura della sospensione cautelare dal servizio determina - di per sé - un temporaneo affievolimento del rapporto di pubblico impiego che fa venir meno il corrispondente sinallagma contrattuale per cui, relativamente al periodo di sospensione non operano tutti gli istituti legati all'anzianità di servizio, quali retribuzione, ferie, progressione di carriera, trattamenti di quiescenza e previdenza, ecc., a nulla rilevando il fatto che in un compendio riepilogativo della materia non sia stata fatta menzione delle conseguenze della sanzione (cfr. sul punto, ad es., T.A.R. Lombardia, Brescia, 31 luglio 1991 n. 572).

  La giurisprudenza perviene a conclusioni diverse soltanto per quanto attiene alla particolare ipotesi – qui non ricorrente – del dipendente già sospeso cautelativamente dal servizio, riammesso a prestare attività lavorativa per intervenuta cessazione del periodo quinquennale massimo di sospensione cautelare, susseguentemente condannato in sede penale con sentenza passata in giudicato e – nondimeno – abnormemente non assoggettato a procedimento disciplinare: soltanto in tal caso, infatti,  il dipendente ha diritto al reintegro nella sua posizione col computo dell’intero periodo di sospensione cautelare facoltativa, “posto che nell’evenienza di omissione del procedimento disciplinare la condanna penale intervenuta nei confronti del dipendente medesimo non è suscettibile di tenere ferma la sospensione cautelare dal servizio, disposta in corso di procedimento penale e stabilita dall’Amministrazione in via discrezionale, non potendosi ammettere una conversione della misura in una sanzione di identico contenuto. La sospensione”, quindi, soltanto in tale particolare ipotesi, deve intendersi caducata, alla pari di quella cui sia seguito un procedimento disciplinare estinto. Per effetto di ciò la posizione del dipendente deve essere reintegrata, essendo venuto a mancare il titolo che giustificava la quiescenza del rapporto. Si tratta, in sostanza, dell’applicazione dei principi desumibili dagli artt. 96 e 97 del T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, con riferimento ad ipotesi di venir meno della sospensione per altri motivi” (cfr. Cons. Stato, A.P., 28 febbraio 2002 n. 2 che, tra l’altro, conferma la sentenza n. 1049 dd. 16 giugno 1998 pronunciata dalla Sezione II di questo stesso T.AR.).

  Per quanto segnatamente attiene al trattamento di quiescenza, va evidenziato che anche l’art. 8 del T.U. approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, nel disporre che “tutti i servizi prestati in qualità di dipendente statale si computano ai fini del trattamento di quiescenza … dalla data di decorrenza del rapporto d’impiego o di lavoro sino a quella di cessazione di tale rapporto … (e) per il personale militare il computo si effettua dalla data di assunzione del servizio sino a quella di cessazione dal servizio stesso”, espressamente afferma che “non si tiene conto del tempo trascorso  …  dal personale civile durante la sospensione dalla qualifica o in posizione corrispondente che comporti la privazione dello stipendio o della paga”, nonché  “durante la detenzione per condanna penale”, con la sola deroga (cfr. ivi, ultimo comma) per il personale militare , nei cui confronti è – per l’appunto - “computato in ragione della metà il tempo trascorso … durante la sospensione dall'impiego o dal servizio, fermo il disposto di cui alla lettera c)” dell’articolo medesimo, ossia l’esclusione dal computo della durata della pena detentiva eventualmente subita.

  In effetti, una giurisprudenza citata dal ricorrente reputa che tale deroga riguardi anche il personale della Polizia di Stato, laddove afferma che la disposizione di cui all’art. 8 del D.L.vo 30 aprile 1997 n. 165 – la quale fissa al 1 gennaio 1998 il termine di entrata in vigore della disciplina che armonizza il trattamento pensionistico del personale delle forze di polizia ai principi ispiratori della L. 8 agosto 1995 n. 335 - fa comunque salva l’applicabilità “medio tempore” della disposizione di cui all'art. 17, comma 1, della L. 23 dicembre 1994 n. 724 in tema di aliquote di rendimento per il calcolo della pensione, implicitamente non escludendo in tal modo l’operatività dell’art. 8 del D.P.R. n. 1092 del 1973 in materia di computo del periodo di sospensione cautelare, con la conseguenza che, qualora la domanda di collocamento in quiescenza prodotta dal dipendente della Polizia di Stato, già sospeso cautelarmente dal servizio, sia antecedente a tale data, va riconosciuto il diritto a conseguire il trattamento di pensione più favorevole, con la sola limitazione della riduzione pari al 50% per il periodo di sospensione cautelare (cfr. Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale per il Piemonte, 9 aprile 2003 n. 919).

  Questo Collegio, peraltro, è di diverso avviso.

  Fermo restando infatti, per quanto specificatamente attiene al caso di specie, che “la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di pensioni è limitata solo a quanto concerne con immediatezza, anche nella misura, il sorgere, il modificarsi o l’estinguersi totale o parziale del diritto a pensione in senso stretto, restando esclusa ogni questione connessa con il rapporto di pubblico impiego (cfr., ex multis, Cons. Stato, A.P.; 1 dicembre 1995 n. 32; cfr., altresì, Cass.  SS.UU. 2 giugno 1997 n. 4910) e che qui si verte – per l’appunto – su di un provvedimento che indubitabilmente attiene a quest’ultimo e ben specifico aspetto, ancorchè adottato con effetto retroattivo nei confronti di un dipendente già cessato dal servizio, va rilevato - in via del tutto dirimente - che a’ sensi dell’art. 23, quinto comma, della L. 1 aprile 1981 n. 121 “al personale appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, per quanto non previsto dalla presente legge, si applicano, in quanto compatibili, le norme relative agli impiegati civili dello Stato.”

  Pertanto, deve da ciò trarsi la conseguenza che dopo l’entrata  in vigore della medesima L. 121 del 1981 la surriferita disciplina agevolatoria per il personale militare, già applicata al Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza durante la sua pregressa militarizzazione, non può riguardare il ricorrente, assodatamente assunto in servizio con l’applicazione del regime proprio della stessa L. 121 del 1981.

  5. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere, peraltro, integralmente compensati tra le parti.

  P.Q.M.

  Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, prima sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

   Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

  Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

  Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio dell’11 ottobre 2007.

  Il Presidente      l’Estensore 
 

  Il Segretario 
 

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Prima Sezione 
 
 
 
 
 
 
 

T.A.R. per il Veneto – I Sezione                                              n.r.g. 1496/03