La frammentazione non giova ai poliziotti
Con Luigi Notari (Segretario nazionale del Siulp) subito dopo il Congresso
del sindacato in cui milita da molti anni, abbiamo dialogato sullo stato
attuale del sindacalismo di Polizia e sul ruolo che possono ancora avere le
forze democratiche all’interno delle istituzioni.
La prima domanda riguarda proprio la valutazione della discussione interna
al Siulp che ha affrontato alla fine dell’anno scorso il suo primo Congresso
dopo la rottura con la Cgil e la conseguente nascita del sindacato Silp.
Quale valutazione si può dare dunque delle conclusioni politiche e
organizzative del Congresso del Siulp?
Io do un giudizio positivo della discussione congressuale, che secondo me ha
superato perfino le aspettative politiche che avevamo. Una discussione che,
d’altra parte, era stata già bene impostata nel luglio dello scorso anno,
quando, con un Consiglio generale, ci si era dati un po’ di regole e si era
programmato nei fatti il quinto Congresso. Per prima cosa c’è da ricordare e
da sottolineare che il quinto Congresso è stato una scadenza coincidente con
il ventennale della Riforma di Polizia avvenuta nel 1981. C’è stata quindi
una sorta di festa, perché era giusto festeggiare un fatto così importante e
nello stesso tempo attuare una verifica dei venti anni di storia del
sindacato di Polizia. Quindi è stata un’iniziativa importante alla luce dei
diversi interventi dei vari delegati provenienti da tutta l’Italia.
Naturalmente c’è anche da dire che questo ventennale è caduto in un momento
particolare. Questo sindacato, il Siulp, nato all’interno del mondo
confederale di Cgil, Cisl e Uil e in ralazione al Movimento dei riformisti
nella Polizia, a distanza di venti anni dalla Riforma, oggi è costretto a
muoversi in un contesto molto cambiato. È cambiata la politica nel Paese,
abbiamo un sistema elettorale diverso, c’è il maggioritario, non c’è il
proporzionale, stiamo vivendo, con una partecipazione diretta dell’Italia,
una guerra internazionale contro il terrorismo. Abbiamo una destra al
governo. Il Congresso del Siulp ha dovuto quindi tenere conto di tutto
questo e direi che il livello degli interventi ha dimostrato l’impegno e la
serietà dei delegati e dei vari segretari, a cominciare dal Segretario
generale Oronzo Cosi, per passare anche a interventi di prestigio come
quello del generale Felsani che ci ha inviato un bellissimo messaggio nel
quale ci ha comunicato la sua speranza per un possibile superamento della
diaspora del Siulp. Felsani ci ha voluto dare un’indicazione politica
unitaria, ricordando le battaglie per la Riforma e per il diritto al lavoro
e ricordando in particolare anche l’amico scomparso Franco Fedeli. Vista
l’importanza della ricorrenza, erano presenti al Congresso anche altri ex
segretari di questo sindacato, da Francesco Forleo a Lo Sciuto. Era invece
assente un altro ex segretario, Roberto Sgalla, che pure era stato invitato.
Gli interventi sono stati molto diversi tra loro. Si è parlato del
sindacato, ma anche ovviamente del contesto politico. Non ci siamo neppure
risparmiati un vero approfondimento dei fatti di Genova di luglio con il
vertice del G8. S’è n’è parlato tutti insieme ed è intervenuta anche la
parlamentare Graziella Mascia, che ha presentato la relazione di minoranza
di Rifondazione Comunista sui quei fatti. C’è stato un confronto molto
interessante. Poi ci sono stati circa ottanta interventi dei delegati. Si
era creato un clima positivo e anche le scelte di metodo dei dirigenti del
sindacato per la rielezione dei quadri, sono state accettate e condivise dai
delegati. Si sono attuati criteri, in linea di massima, tendenti a
conservare la dirigenza precedente a tutti i livelli. Cresce anche la
presenza delle donne all’interno dei gruppi dirigenti: siamo ora a più del
10% ed è una presenza viva, reale, non una riserva. E poi sono entrati come
candidati tutti i Segretari provinciali del sindacato. Cito questo dato
perché noi, come Siulp, eravamo partiti da quel sistema di elezione che poi
era stato cambiato provocando danni rilevanti. Ora siamo tornati al sistema
della candidatura dei segretari provinciali perché è vero che questa è
un’organizzazione centralista, ma è anche vero che essa è l’ultima
organizzazione che si fonda sul centralismo democratico.
Lo statuto del Siulp prevedeva, 20 anni fa, la conformazione duplice degli
organismi dirigenti: metà dei quali era elettiva e l’altra metà formata
automaticamente dai Segretari provinciali che vi entravano di diritto. Poi
però per alcuni intoppi pratici e difficoltà di gestione, il metodo di
formazione del parlamentino del Siulp (160 persone) è stato cambiato e i
consiglieri generali del Siulp, sono stati scelti per elezione. Io, a quel
tempo, fui l’unico a oppormi a questo cambiamento perché mi sembrava
negativo. Feci anche ricorso ai probiviri e avevo addirittura pensato di
rivolgermi alla magistratura, ma poi non lo feci. Eravamo negli anni 90,
c’era una grande crisi, una grande caduta confederale nei rapporti unitari e
nel Congresso del 1991, a 10 anni dalla Riforma, si pensò di portare i
delegati non più eletti a livello provinciale ma a quello regionale.
Chiaramente quel Congresso determinò la conferma degli schieramenti interni,
fu un sistema per contarsi, e poi anche per lo stesso Statuto, i segretari
provinciali non entrarono più. Si avviò quello scollamento tra il gruppo
dirigente e la massa dei lavoratori di Polizia di cui oggi ancora sentiamo
le conseguenze. Uno scollamento che secondo me, alla fine nella storia degli
ultimi tempi, negli ultimi due anni, ha fatto sì che la dirigenza sindacale
non avesse ben presente lo stato d’animo della categoria su alcune
questioni. Adesso, per fortuna, siamo tornati al vecchio sistema e, come ho
accennato, abbiamo inserito di diritto i Segretari provinciali negli
organismi dirigenti nazionali.
Possiamo dire che la caratterizzazione principale del Congresso del Siulp è
stata la discussione sui venti anni di riforma della Polizia e sul sistema
di elezione e di formazione dei gruppi dirigenti interni?
Sì è questa è la novità. Perché è importante che il sindacato ristabilisca
un rapporto diretto con chi rappresenta a cominciare quindi dal territorio.
Il metodo di scegliere i Segretari provinciali direttamente sembra meno
democratico perché non è elettivo, in realtà è piú democratico. Sembra che
siamo tornati all’antico, ma invece è un metodo nuovo. Per quanto riguarda
invece la rielezione dei dirigenti sindacali in base alle aree di appartenza
dentro il Siulp, possiamo dire che nel Direttivo nazionale si è seguito
ancora il sistema delle tre aree.
Qual è dunque la fotografia “politica” che emerge dalle conclusione del
Congresso del Siulp? Quali sono, insomma, i rapporti tra queste aree di cui
parli?
Diciamo che la nostra componente esce rafforzata dal Congresso con una
percentuale nazionale di rappresentanza intorno al 30 per cento. La nostra
area continua a fare riferimento ai valori culturali e sindacali della Cgil,
per quello che abbiamo imparato frequentando quegli ambienti. Possiamo dire,
per semplificare, che noi rappresentiamo una sinistra democratica
all’interno del Siulp. È una componente che non ha comunque un nome, ma i
nostri rappresentanti hanno parlato al Congresso, si sono espressi, hanno
manifestato liberamente le loro opinioni. Le altre due aree interne al Siulp
fanno riferimento rispettivamente alla Uil e alla Cisl. Al Congresso ha
partecipato per esempio il segretario generale della Cisl, Savino Pezzotta,
che secondo me, ha fatto un discorso molto equilibrato, legato alla
conoscenza del nostro ambiente. Ha voluto mandare dei segnali rassicuranti
per l’organizzazione, non certo di egemonia. Poi c’è la Uil, che ha avuto
anch’essa un buon risultato.
La domanda più diretta che forse è interessante per tutti i lettori, oltre
che per i sindacalisti, riguarda più in generale il ruolo del sindacato.
Qual è la vera missione di un sindacato di Polizia a venti anni dalla
Riforma?
La missione, almeno del nostro sindacato, per quello che ci viene
riconosciuto, si lega direttamente ai numeri della gente che rappresentiamo.
Vedo anche un ruolo ancora forte del Siulp, nonostante le variazioni, le
rotture, i cambiamenti degli ultimi anni. Io vedo la necessità di un
rapporto ancora forte tra Corpi armati dello Stato e società. Un rapporto
vero e profondo e noi possiamo offrire degli strumenti seri ai cittadini che
possono liberamente venirci a chiedere spiegazioni. Il Siulp è
un’organizzazione aperta; chiunque può entrare, può presentarsi, chiedere.
Ci vuole un gran rapporto senza fraintendimenti, fra ambiente della Polizia
e società. Società intesa come famiglia, ma intesa anche come problemi della
gente; un sindacato, il nostro, che riesce ancora a parlare, a verificare,
che ha avuto dei momenti di autoverifica: credo sia l’unico sindacato che ha
fatto a Roma, un Congresso nazionale: c’erano 320 delegati che sono stati
tutti eletti, perché, evidentemente un minimo di pratica della politica
viene ancora attuata. Il nostro è un sindacato che ha la presunzione di
rappresentare e praticare un vero metodo democratico e innovativo. Un
sindacato dove si è fatta e si fa molto attenzione al ruolo delle donne e al
valore della tolleranza.
Un’altra domanda che ci sembra interessante per capire lo stato attuale del
sindacalismo di Polizia riguarda ovviamente i fatti di Genova e tutto quello
che hanno determinato dentro la Polizia e nella sfera della politica. Se ne
è discusso al Congresso? Come cambia nella società l’immagine del
poliziotto? Qual è la situazione della formazione e delle Scuole di Polizia?
Sì, i fatti di Genova sono stati uno degli argomenti più forti che si sono
trattati durante il Congresso. Direi che su questo tema ci sono stati pochi
interventi fuori tono, c’è stata qualche rivalutazione, ci sono stati spunti
di riflessione a volte anche un po’ aspri soprattutto per le punizioni
attuate dal Viminale contro alti dirigenti della Polizia, perché, secondo
qualcuno, o si fa giustizia per tutti o per nessuno. In ogni caso il tono
della discussione sui fatti di Genova è stato molto pacato ma molto fermo. È
venuto fuori, chiaramente, dalla discussione fra i delegati, in particolare
fra i delegati più anziani, cioè fra quelli con più anni di servizio, un
richiamo al ruolo istituzionale di garanzia del poliziotto. È venuto fuori
facendo riferimento anche ad esperienze tragiche del passato, ai conflitti
degli anni 60, 68,69 in particolare a questi due ultimi. Noi abbiamo dei
delegati che stanno andando in pensione, che sono ancora membri dei
direttivi sindacali e che hanno vissuto il 68 e il 69, che hanno portato
questa esperienza alla discussione attuale. Non si possono fare paragoni
anche perché a Genova c’è stata anche la violenza gratuita, la violenza
contro le persone che non c’entravano nulla. Quindi i colleghi hanno messo
in luce anche l’incapacità di fare questo mestiere. Qui infatti non si
tratta di giustificare l’uso della forza nei confronti dei violenti,
argomento estremamente delicato. Ma non si possono colpire persone che non
c’entrano; chi vuole manifestare deve poterlo fare per portare un proprio
contributo su una questione economica che riguarda il pianeta e il
poliziotto deve saper distinguere, garantire questo diritto del cittadino.
Di questi concetti si è discusso durante il nostro Congresso, perché si è
sviluppata una riflessione soprattutto sulla professionalità del poliziotto.
Ed eccoci al discorso sulla professionalità e dunque sulla formazione che è
stato ripreso anche dal Capo della Polizia e dal Ministro dell’Interno che
sono intervenuti al Congresso. Forse perché è un elemento che tiene assieme
tutti, nel senso che - l’ho detto inizialmente – bisogna fare attenzione a
cosa si intende per addestramento professionale. Perché il rischio è che
arrivino dei miliardi per la formazione, ma che poi si faccia come la
scuola, ovvero che si vanno a finanziare iniziative e strutture private.
Vogliamo vedere che tipo di formazione, che tipo di corsi di management e
cose del genere, si mettono in piedi. Non vorrei che diventasse un mercato
in cui ci sono i soliti furbi che vengono a speculare sempre sulla qualità
della vita dei poliziotti, cioè investire, vedere che tipo di formazione,
che tipo di scuola e che tipo di comunicazione. Questo è stato per esempio
il senso delll’intervento del Capo della Polizia che ha parlato della
necessità della comunicazione, di particolari tipi di comunicazione. In
questo Congresso, quindi, si è aperta una discussione, su questo tema, con
le Istituzioni. Siamo stati fortunati perché sia l’Amministrazione che la
politica, sono intervenute al Congresso tardi, quindi hanno avuto anche la
possibilità di fare un intervento vero, non di circostanza. Anche questo, a
mio parere, ha giovato, al di là della condivisione più o meno
dell’intervento al lavoro del Congresso. Chiaramente questi interventi
diluiti nelle giornate hanno permesso anche alla gente di ascoltare di più.
Sono diventanti degli interventi in cui la forza del sindacato si è
palesata, la sala piena di 400 persone attente, che hanno saputo anche
lavorare; l’interesse e l’attenzione dei presenti si sono viste durante la
tavola rotonda con Violante e Mantovano, sul tema del rapporto tra conflitto
e democrazia. Si è trattato proprio del suggello della discussione su
Genova. Violante e Mantovano rappresentavano aree della politica, con un
rappresentante del terzo settore, un docente universitario che aveva
partecipato ai fatti di Genova. Quindi direi che per il G8 quella tavola
rotonda ha rappresentato il suggello di tutto il dibattito perché ha fornito
le chiavi di lettura istituzionali. Sul G8, gli interventi hanno permesso di
tenere elevato il lavoro del Congresso.
A proposito di numeri di iscritti e di forza dei sindacati, vorremmo sapere
se è vero che sta circolando un’ipotesi di semplificazione all’interno del
mondo del sindacalismo di Polizia? È vero che c’è chi pensa a una riduzione
e a un accorpamento dei sindacati di Polizia che vengono considerati troppo
numerosi?
Questo è sicuramente un tema molto delicato su cui bisogna fare attenzione.
Non si può rinnovare il modello di rappresentanza con un decreto, ma tutti
devono dare un contributo e comprendere i danni che ha causato la
frammentazione dei sindacati di Polizia. Constatiamo che le rotture e la
frammentazione non hanno portato alcun profitto ai lavoratori, e ai
cittadini. Casomai questi fenomeni hanno creato la dispersione di forze
creative. La frammentazione è stata voluta dal Dipartimento: su questo punto
non si discute. Chi ha creato la frammentazione sono stati il Dipartimento e
chi era interessato al “fenomeno”. La frammentazione è stato il frutto dei
rapporti tra il Dipartimento, cioè il ministero dell’Interno, e la politica.
È una frammentazione che non giova, che non ha giovato.
Può darsi anche che qualche sindacato sia nato per esigenze democratiche. È
anche successo che i quadri di un gruppo nell’organizzazione, messi in
disparte dal punto di vista democratico, abbiano ritenuto opportuno creare
nuovi sindacati. Questo è successo per esempio con i sindacati legati al Sap.
Noi abbiamo avuto nei primi dieci anni di sindacalizzazione della Polizia,
dei piccoli sindacati legati al Sap. Sono fenomeni nati in un momento in cui
c’era nel nostro Paese una politica più conservatrice. Poi si è verificato
in questa ultima fase, che anche il più grande sindacato unitario abbia
vissuto la sua frattura. Anche in quel caso si può dare una lettura di tipo
democratico alla scissione. Penso che certi processi sono legati in qualche
modo anche alle stanze del potere.
I fenomeni si intrecciano anche se continuo a pensare che le scelte sono
state fatte per esigenze democratiche e sono state scelte di gente che ha
bisogno di esprimersi e che non riteneva di poterlo fare all’interno delle
organizzazioni di provenienza. La frammentazione è anche più larga in
Polizia. Perché c’è il sindacato della dirigenza, quello degli ispettori. Io
so per certo comunque che esiste una buona fetta di colleghi che in questo
momento è in difficoltà a proposito della aggregazione sindacale. A me non
preoccupano tutti questi sindacati. Però devo dire che spesso la
frammentazione e l’elevato numero di sindacati vengono usati per le esigenze
dei gruppi dirigenti più che per esigenze di democrazia. Esigenze,
certamente legittime, ma che non tornano a beneficio dei lavoratori, perché
a queste rotture e a questa frammentazione ha corrisposto una dispersione di
energie e di risorse, risorse umane.
C’è un altro pericolo che ho notato nella campagna predatoria dei tre mesi
congressuali. Ho percepito un fatto nuovo durante tutte le discussioni a cui
ho partecipato prima e dopo il Congresso: il rischio che prendano corpo
altri due sindacati di Polizia: quello dei giovani e quello degli anziani.
Si percepisce chiaramente un conflitto latente tra i poliziotti giovani e
quelli più anziani. Ed è un altro punto che potrebbe farci giudicare la
dirigenza della Polizia. Si rischia di essere incapaci di dare risposte alle
esigenze e si tenta di scaricare le tensioni sui bisogni che nella Polizia
sono diversi. Ci sono le esigenze del poliziotto che ha tanti anni di
servizio e quelle del poliziotto che ne ha pochi. Li ho sentiti io nei
congressi, gli interventi che hanno espresso queste esigenze diverse. Ad
esempio quelle dell’anziano, che vuole svolgere il suo al servizio al
coperto anziché sulla strada. Si tratta di esigenze vere, come sono vere le
esigenze del giovane che dice di restare sempre in posizioni svantaggiate,
con una carriera sempre più schiacciata dal modello piramidale. Quindi,
quello dello svecchiamento veloce, è sempre stato uno strumento di potere,
tipico delle strutture totalitarie. Per rimuovere le esperienze scomode di
gente portatrice di memoria, c’è stata sempre la tendenza a svecchiare. In
questo senso ci potrebbe anche essere una spinta da parte dei vertici della
nostra Amministrazione, anche se inconsapevole. Chiaramente la gerarchia si
trova meglio a governare, a navigare, a plasmare il giovane che a plasmare
il poliziotto formato e con più esperienza alle spalle.
Per concludere il mio discorso voglio dunque suggerire di stare attenti ad
un pericolo. E il pericolo vero consiste forse nel tentativo
dell’Amministrazione di tentare di chiudere tutti questi sindacatini di
Polizia per crearne magari altri due: quello dei giovani e quello degli
anziani.
Questo fatto mi sta molto a cuore perché questa tendenza l’ho percepita in
maniera netta. È un fenomeno che ho percepito nei lavori congressuali a
livello locale e naturalmente a livello nazionale.
(Intervista a cura di Paolo Andruccioli) |