In questi ultimi anni i temi relativi alle
politiche per la sicurezza dei cittadini sono diventati strumenti
fondamentali con i quali conoscere e misurare il grado di democrazia della
società. Queste problematiche hanno conquistato una priorità nell’agenda
politica italiana, intorno ad esse costruiscono i consensi sociali e
politici. Come lavoratori progressisti del settore pubblico della sicurezza
(Forze di polizia Statali e Locali ), intendiamo sottoporre per una
riflessione alcune considerazioni ed alcune proposte di lavoro su un tema
che in questi ultimi anni è diventato decisivo sia per la convivenza civile,
sia per la stessa tenuta democratica del Paese.
Il governo del bene pubblico della sicurezza, in particolare di quella
urbana, racchiude in se problematiche molto complesse ed in relazione alla
capacità della politica di saper governare questi fenomeni e prospettare
soluzioni adeguate, si definiscono nuove forme di disuguaglianze e nuove
esclusioni sociali.
Ci sembra che in Italia prevalgano due modi diversi di affrontare tali
problemi; da un lato c’é chi definisce le devianze criminali come esclusive
conseguenze del sistema economico capitalista e quindi tende ad avere un
atteggiamento di tipo "giustificazionista " dall’altro invece ci sono coloro
che nella linea di omologazione al "pensiero unico" operano con l’intento di
impedire a chiunque di vedere l’imputabilità di coloro che di questo sistema
ne sono i massimi rappresentanti e concentrano le politiche repressive solo
nei confronti dell’anello più debole della catena criminale (immigrati,
tossicodipendenti).
Queste tesi, ovviamente, non sono sufficienti ad interpretare e leggere le
crescenti preoccupazioni tra gli abitanti delle città ed i fattori che
determinano la costruzione delle paure sociali più diffuse. Occorre saper
interpretare il sentimento di insicurezza partendo dall’analisi delle nuove
contraddizioni che emergono dalla attuale fase di modernizzazione
capitalistica, in una società che ha "mondializzato" l’economia mentre sul
piano dei diritti e della circolazione delle persone da una parte all’altra
del pianeta, si impongono limiti e regole rigidissime.
Dobbiamo interrogarci sul perché una fetta sempre più crescente di cittadini
vive il rapporto con la realtà urbana in termini fortemente negativi.
Le condizioni di vita nelle grandi città sono ormai critiche, la diffusione
del sentimento di insicurezza, si esplicita in relazione a due aspetti
distinti ma in qualche modo complementari.
Esiste la paura ed il timore di rimanere vittime della criminalità di strada
(furti, rapine, scippi, violenze) e di altre forme di illegalità diffuse.
Dall’altro il degrado urbano e il disordine sociale sempre più esteso per
l’aumento della povertà, dell’emarginazione e dell’esclusione sociale
causano un forte senso di impotenza e di abbandono.
Sul primo elemento riteniamo che, pur in presenza di un tasso di criminalità
in lieve ma costante aumento, negli ultimi anni, questo non appare
sufficiente a giustificare l’aumento dell’insicurezza generale e lo
spropositato allarme sociale che crea.
Anche se alcune statistiche ci indicano che il numero dei delitti denunciati
e per i quali l’Autorità Giudiziaria ha iniziato l’azione penale ha
registrato nel periodo compreso tra il 1991-1995 un incremento medio di
circa il 4-5% annuo rispetto al quinquennio precedente, questo non pone in
discussione l’assunto per cui più che un aumento delle azioni delittuose ,
abbiamo assistito in questi anni, anche a causa di una mancata politica di
depenalizzazione, alla estensione nel campo penale di settori prima non
previsti (si veda ad esempio la normativa sull’emigrazione clandestina).
Oggi è possibile parlare di "fallimento del governo istituzionale e pubblico
della sicurezza" anche rispetto alla domanda di giustizia completamente
inevasa. Nel 1996 la percentuale di delitti rimasta senza colpevole è la
seguente: su 1500 denunce di omicidio sono rimasti ignoti il 67% degli
autori, per le violenze sessuali il 40%, per i furti il 97%, per le rapine
l’86%, mentre per i sequestri la percentuale di successo è del 72%.
I dati statistici rivelano anche un altro aspetto interessante, in Italia è
la medio-alta borghesia la fascia sociale che risulta più a rischio di
rimanere vittima dei reati, mentre per contro l’insicurezza e la paura di
rimanere vittima di reati è più diffusa negli strati sociali poveri
nonostante le statistiche indichino in questa categoria una minore
diffusione dei fenomeni criminali, mentre ad esempio negli Stati Uniti la
situazione è completamente rovesciata in quanto le statistiche sulla
criminalità indicano una maggiore diffusione nella popolazione più povera ed
emarginata.
Riteniamo che i partiti più sensibili debbano assumere questo tema come
elemento strategico nella definizione della linea politica. Occorre superare
gli enormi ritardi che la sinistra in generale ha accumulato su questo
terreno.
Le proposte politiche emerse fin d’ora ci appaiono inadeguate a contrastare
problematiche che per loro natura non possono essere affrontate con
superficialità e reticenze di sorta.
Il concetto di sicurezza, di vita sicura, è stato sempre il terreno
privilegiato su cui le forze moderate e di destra, hanno saputo costruire le
loro fortune elettorali e saputo imporre anche un certo monopolio culturale.
L’atteggiamento rinunciatario da parte della sinistra e confrontarsi su
questi temi, ha determinato in questi anni una certa subalternità in termini
di proposte concrete.
Al verificarsi di gravi fatti di criminalità che puntualmente e
demagogicamente i mass-media tendono ad enfatizzare oppure quando in alcuni
periodi particolari si rileva una maggiore diffusione di azioni di
microcriminalità, spesso concentrate in alcune città o in alcuni quartieri,
le soluzioni che vengono proposte da sinistra non sono apparse in questi
anni molto dissimili da quelle che la destra da decenni esprime su questi
temi (carcere duro, pene più severe, giudici più repressivi, controllo
armato del territorio).
Anche sul versante culturale vi è una subalternità che non permette di
affrontare i problemi in modo adeguato. Sempre più ampi settori del mondo
politico progressista appaiono affascinati dalle diverse soluzioni al
problema che provengono dagli Stati Uniti; caso emblematico l’attenzione con
cui si guarda all’esperienza dell’ex sindaco di New York, Giuliani che
assunse come asse centrale del suo programma politico ed amministrativo la
lotta alla criminalità: con dei programmi caratterizzati dallo slogan "zero
tollerance" si sono trasferiti alla Polizia ampi poteri discriminatori con
la conseguenza di far aumentare di circa 5 volte nel corso degli ultimi anni
la popolazione carceraria americana.
Dobbiamo chiederci se sia possibile oggi per una forza veramente
progressista, costruire su questo terreno delle risposte che siano concrete,
efficaci ed al tempo stesso siano fortemente ancorate ai valori della
solidarietà, giustizia, rispetto dei diritti.
Parlare oggi di crisi del governo istituzionale e pubblico della sicurezza
significa innanzitutto prendere coscienza delle contraddizioni che incidono
sul modello di convivenza imposto dallo sviluppo capitalista di questi anni.
La vita nei grandi agglomerati urbani è andata sempre più disgregandosi; il
processo di deindustrializzazione e ristrutturazione del sistema economico
ha distrutto quel tessuto connettivo umano e sociale che storicamente era
patrimonio consolidato delle città cresciute sulle spinte propulsive delle
loro industrie.
Il crescente divario tra le diverse aree del Paese, disoccupazione
strutturale di massa, l’emergere di aree sempre più consistenti di povertà
ed emarginazione, incremento dei flussi migratori, riduzione dei sentimenti
di solidarietà, crescita dell’esclusione sociale, criminalità indotta e
aumento della microcriminalità definiscono un contesto in cui è facile
prevedere sia l’aumento di fenomeni di criminalità che l’intreccio sempre
più stretto tra questione criminale e questione sociale.
Lo sviluppo urbanistico in questi anni ha fortemente risentito dell’aumento
di questi fenomeni. Gli stessi spazi urbani stanno assumendo una fisionomia
nuova; da una parte assistiamo alla configurazione di spazi in cui prevale
la tendenza alla costruzione di quartieri-fortezza, ove i nuovi ricchi
vivono protetti da sistemi di allarme sofisticati e da Polizie private.
Dall’altro crescono sempre più aree di città blindate, abitate da nuovi
poveri, zone che tendono a diventare dei moderni ghetti.
Una città blindata alimenta il sentimento d’insicurezza che si esplicita non
solo nella paura di rimanere vittima di azioni delittuose (furti, scippi,
borseggi ecc.) ma anche delle diverse forme in cui si diffonde il disagio
urbano.
Il disordine sociale e fisico delle nostre periferie (spaccio,
prostituzione, edifici in stato di abbandono, lampioni rotti, strade
sporche) tendono a provocare nei residenti sentimenti di ira e indignazione
collettiva nei confronti delle istituzioni. Aumenta così il senso di
impotenza e la paura dei fenomeni di criminalità.
Vedere nel proprio quartiere cassonetti bruciati, cabine del telefono
danneggiate, immondizia abbandonata su strade e marciapiedi, unite alla
mancanza di spazi di socializzazione, danno a chi abita nelle nostre
periferie l’impressione che non vi sia nessuno che si occupa di far
rispettare le regole fondamentali della convivenza e quindi tendono ad
avvertire queste situazioni come segnali di criminalità. I soli strumenti di
ordine pubblico non bastano a soddisfare i bisogni di legalità.
Occorre una strategia politica che esca dai vecchi schemi e imponga le
condizioni di una alleanza tra le politiche sociali di prevenzione e le
politiche di repressione.
Le politiche tradizionali di occupazione "militare" del territorio sul solo
versante repressivo sono fallite. Paradossalmente più aumenta la presenza di
strumenti di sicurezza, più aumenta nella popolazione la paura e
l’insicurezza, è quindi giunto il momento di iniziare a riflettere e a
trarre indicazioni dalle politiche di miglioramento delle condizioni di
sicurezza nelle città che faticosamente ed in modo ancora discontinuo si
stanno sperimentando in Italia.
Affermare la validità di politiche di sicurezza ancorate al territorio è un
primo passo indispensabile per ridurre la tradizionale separazione fra le
amministrazioni locali e le Istituzioni dello Stato responsabili della
sicurezza; la questione può trovare una soluzione all’interno del processo
di decentramento amministrativo di funzioni e competenze a livello locale.
É necessario che le scelte politiche in tema di sicurezza, siano elaborate
in relazione diretta con il territorio e non calate dall’alto senza
riferimenti con le problematiche connesse al territorio. I cittadini, i
lavoratori debbono appropriarsi come un loro bene legittimo del "bene
sicurezza".
Questo per essere legittimato in modo democratico, deve ottenere il concorso
coordinato di tutte le istituzioni, in particolare per quelle che hanno la
responsabilità del governo di un territorio che non possono non avere la
responsabilità del bene pubblico della sicurezza.
Tale orientamento comporta un diverso rapporto tra le Agenzie statali di
contrasto alla criminalità e poteri locali, di fatto però si deve prevedere
uno stretto legame di cooperazione tra Polizie locali e statali.
Questo ovviamente non basta se non accompagniamo queste politiche con
efficaci progetti a tutto campo: qualificazione urbana, animazioni,
mediazioni dei conflitti, politiche di riduzione del danno, ridefinizione
dei compiti delle Polizie locali, per una maggiore presenza nel controllo di
quei settori come le frodi commerciali, gli abusi edilizi, i reati
ambientali, l’evasione fiscale, che oggi in nome dell’emergenza criminale,
vengono trascurati poiché le priorità sono altre.
I "protocolli d’intesa" tra Prefetture e Comuni, “contratti di miglioramento
della sicurezza” stanno sperimentando nuove forme di collaborazione su un
piano di parità tra autorità locale (Sindaco) e autorità centrale
(Prefetto), rappresentano un primo passo,seppure ampiamente insufficiente e
generico, verso un governo della sicurezza non solo basato sull’aspetto
meramente repressivo.
In questi protocolli sono previste, oltre a forme di collaborazione tra
Polizie locali e statali, anche la previsione di strumenti d’intervento sul
piano del risanamento urbanistico, di promozione e prevenzione sociale.
Questi pur timidi tentativi di affrontare il problema in una visione più
ampia del mero aspetto repressivo, non tengono conto delle cause strutturali
che determinano la crescita dei fenomeni di cui stiamo parlando.
Qualsiasi politica adottata in questo settore, che non ponga in discussione
gli attuali assetti economici e sociali, non può essere condivisa, pena il
rischio di appiattimento e subalternità alle posizioni moderate.
Siamo fortemente preoccupati dai contrastanti segnali che pervengono da un
delineato fronte trasversale parlamentare che, a partire dai Ds fino ad An,
si stà muovendo nella direzione di prefigurare una politica sulla sicurezza
basata sulla prevalenza organizzativa e territoriale delle Polizie militari,
dequalificando le Polizie ad ordinamento civile e modificando completamente
il ruolo delle Polizie locali.
In particolare occorre elaborare delle ipotesi politiche riguardo al ruolo e
utilizzo della varie Forze di polizia (riorganizzazione, competenze,
professionalità, formazione) in un’ottica di superamento delle Polizie
militari per dei Corpi di Polizie smilitarizzate a controllo democratico.
Garantire all’interno di questi, spazi di discussione democratica per i
lavoratori del settore.
Definire con precisione i compiti delle Polizie locali, in un’ottica di
coordinamento con le altre Forze di polizia migliorando la qualità
professionale degli operatori e delle strutture di comando, privilegiando la
capacità di mediazione dei conflitti finalizzata ad una politica di
"riduzione del danno”.
In campo legislativo occorrerà attivarsi per una modifica al sistema
giudiziario in grado di sottrarre alla sanzione penale quei comportamenti
che non arrecano allarme sociale; in particolare riteniamo scandaloso che
vengano puniti severamente comportamenti che sono conseguenza di forme di
protesta sociale, come ad esempio i blocchi stradali, frutto di una visione
di classe della società dove il conflitto non ha diritto di cittadinanza
mentre per quei comportamenti che violano pesantemente le regole in materia
ambientale, sicurezza sui luoghi di lavoro, evasione fiscale, sfruttamento
dei lavoratori italiani e stranieri, l’indulgenza del potere è fin troppo
evidente.
L’intervento in campo sociale deve essere orientato a produrre azioni
politiche concrete di aiuto e sostegno psicologico alle vittime dei reati.
Nel contempo occorre guardare con attenzione alle poche ma significative
esperienze in atto dei "centri di mediazione del conflitto" dove è possibile
sottrarre alla delega giudiziaria la soluzione delle miriadi di situazioni
di microconflittualità presenti sul territorio.
Risanamento e riqualificazione urbana, (promozione di attività economiche,
risanamento abitativo, riappropriazione degli spazi urbani) rappresentano il
punto essenziale per la riuscita di qualsiasi politica di riduzione
dell’insicurezza e disagio.
Su questi temi appena accennati, chiediamo un impegno preciso alla
elaborazione di una linea politica complessiva sul tema della "sicurezza"
che superi da un lato i ritardi e le incertezze accumulate in passato su
questo terreno, dall’altro la frammentazione dei contributi prodotti,
utilizzando in forma permanente e organizzata i compagni impegnati a vario
titolo in questo settore. Ben sapendo che su questo non siamo all’anno zero,
ma esistono analisi e proposte politiche sulle quali è possibile lavorare. |