Febbraio/2002 - Sicurezza Urbana

Un nuovo modello per i cittadini

 

di Massimiliano Valdannini

e Gianclaudio Vianzone

 

 

In questi ultimi anni i temi relativi alle politiche per la sicurezza dei cittadini sono diventati strumenti fondamentali con i quali conoscere e misurare il grado di democrazia della società. Queste problematiche hanno conquistato una priorità nell’agenda politica italiana, intorno ad esse costruiscono i consensi sociali e politici. Come lavoratori progressisti del settore pubblico della sicurezza (Forze di polizia Statali e Locali ), intendiamo sottoporre per una riflessione alcune considerazioni ed alcune proposte di lavoro su un tema che in questi ultimi anni è diventato decisivo sia per la convivenza civile, sia per la stessa tenuta democratica del Paese.
Il governo del bene pubblico della sicurezza, in particolare di quella urbana, racchiude in se problematiche molto complesse ed in relazione alla capacità della politica di saper governare questi fenomeni e prospettare soluzioni adeguate, si definiscono nuove forme di disuguaglianze e nuove esclusioni sociali.
Ci sembra che in Italia prevalgano due modi diversi di affrontare tali problemi; da un lato c’é chi definisce le devianze criminali come esclusive conseguenze del sistema economico capitalista e quindi tende ad avere un atteggiamento di tipo "giustificazionista " dall’altro invece ci sono coloro che nella linea di omologazione al "pensiero unico" operano con l’intento di impedire a chiunque di vedere l’imputabilità di coloro che di questo sistema ne sono i massimi rappresentanti e concentrano le politiche repressive solo nei confronti dell’anello più debole della catena criminale (immigrati, tossicodipendenti).
Queste tesi, ovviamente, non sono sufficienti ad interpretare e leggere le crescenti preoccupazioni tra gli abitanti delle città ed i fattori che determinano la costruzione delle paure sociali più diffuse. Occorre saper interpretare il sentimento di insicurezza partendo dall’analisi delle nuove contraddizioni che emergono dalla attuale fase di modernizzazione capitalistica, in una società che ha "mondializzato" l’economia mentre sul piano dei diritti e della circolazione delle persone da una parte all’altra del pianeta, si impongono limiti e regole rigidissime.
Dobbiamo interrogarci sul perché una fetta sempre più crescente di cittadini vive il rapporto con la realtà urbana in termini fortemente negativi.
Le condizioni di vita nelle grandi città sono ormai critiche, la diffusione del sentimento di insicurezza, si esplicita in relazione a due aspetti distinti ma in qualche modo complementari.
Esiste la paura ed il timore di rimanere vittime della criminalità di strada (furti, rapine, scippi, violenze) e di altre forme di illegalità diffuse. Dall’altro il degrado urbano e il disordine sociale sempre più esteso per l’aumento della povertà, dell’emarginazione e dell’esclusione sociale causano un forte senso di impotenza e di abbandono.
Sul primo elemento riteniamo che, pur in presenza di un tasso di criminalità in lieve ma costante aumento, negli ultimi anni, questo non appare sufficiente a giustificare l’aumento dell’insicurezza generale e lo spropositato allarme sociale che crea.
Anche se alcune statistiche ci indicano che il numero dei delitti denunciati e per i quali l’Autorità Giudiziaria ha iniziato l’azione penale ha registrato nel periodo compreso tra il 1991-1995 un incremento medio di circa il 4-5% annuo rispetto al quinquennio precedente, questo non pone in discussione l’assunto per cui più che un aumento delle azioni delittuose , abbiamo assistito in questi anni, anche a causa di una mancata politica di depenalizzazione, alla estensione nel campo penale di settori prima non previsti (si veda ad esempio la normativa sull’emigrazione clandestina).
Oggi è possibile parlare di "fallimento del governo istituzionale e pubblico della sicurezza" anche rispetto alla domanda di giustizia completamente inevasa. Nel 1996 la percentuale di delitti rimasta senza colpevole è la seguente: su 1500 denunce di omicidio sono rimasti ignoti il 67% degli autori, per le violenze sessuali il 40%, per i furti il 97%, per le rapine l’86%, mentre per i sequestri la percentuale di successo è del 72%.
I dati statistici rivelano anche un altro aspetto interessante, in Italia è la medio-alta borghesia la fascia sociale che risulta più a rischio di rimanere vittima dei reati, mentre per contro l’insicurezza e la paura di rimanere vittima di reati è più diffusa negli strati sociali poveri nonostante le statistiche indichino in questa categoria una minore diffusione dei fenomeni criminali, mentre ad esempio negli Stati Uniti la situazione è completamente rovesciata in quanto le statistiche sulla criminalità indicano una maggiore diffusione nella popolazione più povera ed emarginata.
Riteniamo che i partiti più sensibili debbano assumere questo tema come elemento strategico nella definizione della linea politica. Occorre superare gli enormi ritardi che la sinistra in generale ha accumulato su questo terreno.
Le proposte politiche emerse fin d’ora ci appaiono inadeguate a contrastare problematiche che per loro natura non possono essere affrontate con superficialità e reticenze di sorta.
Il concetto di sicurezza, di vita sicura, è stato sempre il terreno privilegiato su cui le forze moderate e di destra, hanno saputo costruire le loro fortune elettorali e saputo imporre anche un certo monopolio culturale.
L’atteggiamento rinunciatario da parte della sinistra e confrontarsi su questi temi, ha determinato in questi anni una certa subalternità in termini di proposte concrete.
Al verificarsi di gravi fatti di criminalità che puntualmente e demagogicamente i mass-media tendono ad enfatizzare oppure quando in alcuni periodi particolari si rileva una maggiore diffusione di azioni di microcriminalità, spesso concentrate in alcune città o in alcuni quartieri, le soluzioni che vengono proposte da sinistra non sono apparse in questi anni molto dissimili da quelle che la destra da decenni esprime su questi temi (carcere duro, pene più severe, giudici più repressivi, controllo armato del territorio).
Anche sul versante culturale vi è una subalternità che non permette di affrontare i problemi in modo adeguato. Sempre più ampi settori del mondo politico progressista appaiono affascinati dalle diverse soluzioni al problema che provengono dagli Stati Uniti; caso emblematico l’attenzione con cui si guarda all’esperienza dell’ex sindaco di New York, Giuliani che assunse come asse centrale del suo programma politico ed amministrativo la lotta alla criminalità: con dei programmi caratterizzati dallo slogan "zero tollerance" si sono trasferiti alla Polizia ampi poteri discriminatori con la conseguenza di far aumentare di circa 5 volte nel corso degli ultimi anni la popolazione carceraria americana.
Dobbiamo chiederci se sia possibile oggi per una forza veramente progressista, costruire su questo terreno delle risposte che siano concrete, efficaci ed al tempo stesso siano fortemente ancorate ai valori della solidarietà, giustizia, rispetto dei diritti.
Parlare oggi di crisi del governo istituzionale e pubblico della sicurezza significa innanzitutto prendere coscienza delle contraddizioni che incidono sul modello di convivenza imposto dallo sviluppo capitalista di questi anni. La vita nei grandi agglomerati urbani è andata sempre più disgregandosi; il processo di deindustrializzazione e ristrutturazione del sistema economico ha distrutto quel tessuto connettivo umano e sociale che storicamente era patrimonio consolidato delle città cresciute sulle spinte propulsive delle loro industrie.
Il crescente divario tra le diverse aree del Paese, disoccupazione strutturale di massa, l’emergere di aree sempre più consistenti di povertà ed emarginazione, incremento dei flussi migratori, riduzione dei sentimenti di solidarietà, crescita dell’esclusione sociale, criminalità indotta e aumento della microcriminalità definiscono un contesto in cui è facile prevedere sia l’aumento di fenomeni di criminalità che l’intreccio sempre più stretto tra questione criminale e questione sociale.
Lo sviluppo urbanistico in questi anni ha fortemente risentito dell’aumento di questi fenomeni. Gli stessi spazi urbani stanno assumendo una fisionomia nuova; da una parte assistiamo alla configurazione di spazi in cui prevale la tendenza alla costruzione di quartieri-fortezza, ove i nuovi ricchi vivono protetti da sistemi di allarme sofisticati e da Polizie private. Dall’altro crescono sempre più aree di città blindate, abitate da nuovi poveri, zone che tendono a diventare dei moderni ghetti.
Una città blindata alimenta il sentimento d’insicurezza che si esplicita non solo nella paura di rimanere vittima di azioni delittuose (furti, scippi, borseggi ecc.) ma anche delle diverse forme in cui si diffonde il disagio urbano.
Il disordine sociale e fisico delle nostre periferie (spaccio, prostituzione, edifici in stato di abbandono, lampioni rotti, strade sporche) tendono a provocare nei residenti sentimenti di ira e indignazione collettiva nei confronti delle istituzioni. Aumenta così il senso di impotenza e la paura dei fenomeni di criminalità.
Vedere nel proprio quartiere cassonetti bruciati, cabine del telefono danneggiate, immondizia abbandonata su strade e marciapiedi, unite alla mancanza di spazi di socializzazione, danno a chi abita nelle nostre periferie l’impressione che non vi sia nessuno che si occupa di far rispettare le regole fondamentali della convivenza e quindi tendono ad avvertire queste situazioni come segnali di criminalità. I soli strumenti di ordine pubblico non bastano a soddisfare i bisogni di legalità.
Occorre una strategia politica che esca dai vecchi schemi e imponga le condizioni di una alleanza tra le politiche sociali di prevenzione e le politiche di repressione.
Le politiche tradizionali di occupazione "militare" del territorio sul solo versante repressivo sono fallite. Paradossalmente più aumenta la presenza di strumenti di sicurezza, più aumenta nella popolazione la paura e l’insicurezza, è quindi giunto il momento di iniziare a riflettere e a trarre indicazioni dalle politiche di miglioramento delle condizioni di sicurezza nelle città che faticosamente ed in modo ancora discontinuo si stanno sperimentando in Italia.
Affermare la validità di politiche di sicurezza ancorate al territorio è un primo passo indispensabile per ridurre la tradizionale separazione fra le amministrazioni locali e le Istituzioni dello Stato responsabili della sicurezza; la questione può trovare una soluzione all’interno del processo di decentramento amministrativo di funzioni e competenze a livello locale.
É necessario che le scelte politiche in tema di sicurezza, siano elaborate in relazione diretta con il territorio e non calate dall’alto senza riferimenti con le problematiche connesse al territorio. I cittadini, i lavoratori debbono appropriarsi come un loro bene legittimo del "bene sicurezza".
Questo per essere legittimato in modo democratico, deve ottenere il concorso coordinato di tutte le istituzioni, in particolare per quelle che hanno la responsabilità del governo di un territorio che non possono non avere la responsabilità del bene pubblico della sicurezza.
Tale orientamento comporta un diverso rapporto tra le Agenzie statali di contrasto alla criminalità e poteri locali, di fatto però si deve prevedere uno stretto legame di cooperazione tra Polizie locali e statali.
Questo ovviamente non basta se non accompagniamo queste politiche con efficaci progetti a tutto campo: qualificazione urbana, animazioni, mediazioni dei conflitti, politiche di riduzione del danno, ridefinizione dei compiti delle Polizie locali, per una maggiore presenza nel controllo di quei settori come le frodi commerciali, gli abusi edilizi, i reati ambientali, l’evasione fiscale, che oggi in nome dell’emergenza criminale, vengono trascurati poiché le priorità sono altre.
I "protocolli d’intesa" tra Prefetture e Comuni, “contratti di miglioramento della sicurezza” stanno sperimentando nuove forme di collaborazione su un piano di parità tra autorità locale (Sindaco) e autorità centrale (Prefetto), rappresentano un primo passo,seppure ampiamente insufficiente e generico, verso un governo della sicurezza non solo basato sull’aspetto meramente repressivo.
In questi protocolli sono previste, oltre a forme di collaborazione tra Polizie locali e statali, anche la previsione di strumenti d’intervento sul piano del risanamento urbanistico, di promozione e prevenzione sociale.
Questi pur timidi tentativi di affrontare il problema in una visione più ampia del mero aspetto repressivo, non tengono conto delle cause strutturali che determinano la crescita dei fenomeni di cui stiamo parlando.
Qualsiasi politica adottata in questo settore, che non ponga in discussione gli attuali assetti economici e sociali, non può essere condivisa, pena il rischio di appiattimento e subalternità alle posizioni moderate.
Siamo fortemente preoccupati dai contrastanti segnali che pervengono da un delineato fronte trasversale parlamentare che, a partire dai Ds fino ad An, si stà muovendo nella direzione di prefigurare una politica sulla sicurezza basata sulla prevalenza organizzativa e territoriale delle Polizie militari, dequalificando le Polizie ad ordinamento civile e modificando completamente il ruolo delle Polizie locali.
In particolare occorre elaborare delle ipotesi politiche riguardo al ruolo e utilizzo della varie Forze di polizia (riorganizzazione, competenze, professionalità, formazione) in un’ottica di superamento delle Polizie militari per dei Corpi di Polizie smilitarizzate a controllo democratico.
Garantire all’interno di questi, spazi di discussione democratica per i lavoratori del settore.
Definire con precisione i compiti delle Polizie locali, in un’ottica di coordinamento con le altre Forze di polizia migliorando la qualità professionale degli operatori e delle strutture di comando, privilegiando la capacità di mediazione dei conflitti finalizzata ad una politica di "riduzione del danno”.
In campo legislativo occorrerà attivarsi per una modifica al sistema giudiziario in grado di sottrarre alla sanzione penale quei comportamenti che non arrecano allarme sociale; in particolare riteniamo scandaloso che vengano puniti severamente comportamenti che sono conseguenza di forme di protesta sociale, come ad esempio i blocchi stradali, frutto di una visione di classe della società dove il conflitto non ha diritto di cittadinanza mentre per quei comportamenti che violano pesantemente le regole in materia ambientale, sicurezza sui luoghi di lavoro, evasione fiscale, sfruttamento dei lavoratori italiani e stranieri, l’indulgenza del potere è fin troppo evidente.
L’intervento in campo sociale deve essere orientato a produrre azioni politiche concrete di aiuto e sostegno psicologico alle vittime dei reati. Nel contempo occorre guardare con attenzione alle poche ma significative esperienze in atto dei "centri di mediazione del conflitto" dove è possibile sottrarre alla delega giudiziaria la soluzione delle miriadi di situazioni di microconflittualità presenti sul territorio.
Risanamento e riqualificazione urbana, (promozione di attività economiche, risanamento abitativo, riappropriazione degli spazi urbani) rappresentano il punto essenziale per la riuscita di qualsiasi politica di riduzione dell’insicurezza e disagio.
Su questi temi appena accennati, chiediamo un impegno preciso alla elaborazione di una linea politica complessiva sul tema della "sicurezza" che superi da un lato i ritardi e le incertezze accumulate in passato su questo terreno, dall’altro la frammentazione dei contributi prodotti, utilizzando in forma permanente e organizzata i compagni impegnati a vario titolo in questo settore. Ben sapendo che su questo non siamo all’anno zero, ma esistono analisi e proposte politiche sulle quali è possibile lavorare.