CIRCOLARE N. 8
|
|
Roma, 3 marzo 2005
|
|
|
|
Prot. n. 210
|
e, p.c.:
|
Alle Direzioni Regionali del Lavoro
LORO SEDI
All'INPS
Direzione Centrale Vigilanza
All'INAIL
Direzione Centrale Ispettorato
Al Gabinetto dell'On.le Ministro
Alla Direzione Generale degli ammortizzatori
sociali e incentivi all'occupazione
Alla Direzione Generale per la famiglia, i
diritti sociali e la responsabilità sociale delle imprese
Alla Direzione Generale per la gestione del
fondo nazionale per le politiche sociali e monitoraggio della spesa
sociale
Alla Direzione Generale per le politiche,
per l'orientamento e la formazione
Alla Direzione Generale delle risorse umane
e affari generali
All Direzione Generale per il volontariato,
l'associazionismo e le formazioni sociali
Alla Provincia Autonoma di Trento
Alla Regione Siciliana
Assessorato Lavoro e Previdenza sociale
|
1. Premessa
Con il decreto legislativo n. 66 dell'8 aprile
2003, integrato e modificato dal decreto legislativo n. 213 del 19 luglio
2004, è stata data piena attuazione anche nel nostro ordinamento alla
direttiva comunitaria n. 93/104/CE e successive modifiche.
E' da sottolineare, in via preliminare, che la
direttiva 93/104/CE aveva già trovato parziale attuazione nell'art. 13 della
legge n. 196 del 1997 (che aveva, tra l'altro, fissato l'orario normale di
lavoro in 40
ore settimanali) e nell'accordo interconfederale
Confindustria - CGIL - CISL e UIL del 12 novembre 1997.
In seguito, la legge n. 409 del 1998, aveva
disciplinato l'esecuzione del lavoro straordinario nelle imprese
industriali, mentre con il decreto legislativo n. 532 del 1999, relativo
alla disciplina del lavoro notturno, era stata data attuazione, non solo
alla direttiva 93/104, ma anche alla delega conferita al Governo dall'art.
17, comma 2, della legge n. 25 del 1999.
Pertanto, l'adempimento agli obblighi derivanti
dalla appartenenza alla Unione Europea ha fornito l'occasione per dare un
assetto organico e definitivo all'intera materia dell'orario di lavoro. Il
decreto in esame unifica infatti la disciplina del tempo di lavoro e quella
dei riposi, attuando in larga parte i contenuti del menzionato Accordo
interconfederale del 1997 e garantendo un ampio spazio di intervento
all'autonomia collettiva per ciò che riguarda la modulazione dei tempi di
lavoro (orario normale multiperiodale, gestione degli straordinari, limiti
di orario massimo, ecc.) in rapporto alle esigenze produttive e
organizzative.
Per le parti riguardanti anche il personale
dipendente dalle pubbliche Amministrazioni, la circolare è stata redatta
d'intesa con il Dipartimento della Funzione Pubblica.
2. Finalità
e definizioni
Il decreto detta una disciplina di carattere
generale che definisce l'apparato terminologico di cui lo stesso decreto fa
uso. Le diverse definizioni verranno illustrate nel prosieguo della
circolare. Peraltro, per alcune di esse si ritiene già in questa sede utile
effettuare delle precisazioni.
In proposito occorre evidenziare una novità
sostanziale rispetto alla precedente disciplina dell'orario di lavoro in
ordine ai rinvii operati alla contrattazione collettiva. Infatti, alle varie
definizioni viene aggiunta quella di "contratti collettivi di lavoro" che,
conformemente alla prassi legislativa attualmente in vigore, sono
individuati in quelli stipulati da organizzazioni dei datori di lavoro e dei
lavoratori comparativamente più rappresentative. Non è specificato alcun
livello di contrattazione collettiva di riferimento. Salve diverse
specifiche disposizioni (art. 17, comma 1°), dunque, il rinvio alla
contrattazione collettiva deve intendersi come rinvio a tutti i possibili
livelli di contrattazione collettiva: nazionale, territoriale, aziendale.
Decreto
Legislativo 8 aprile 2003, n.66
Attuazione delle direttive 93/104/CE e
2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di
lavoro.
(Approvato in via definitiva dal Consiglio
dei Ministri del 4 aprile 2003 - Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del
14 aprile 2003, n.87 - Suppl. Ord.)
Titolo I
Disposizioni generali
Art. 1
Finalità e definizioni
1. Le disposizioni contenute nel presente
decreto, nel dare attuazione organica alla direttiva n. 93/104/Ce del
Consiglio, del 23 novembre 1993, così come modificata dalla direttiva n.
2000/34/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 2000,
sono dirette a regolamentare in modo uniforme su tutto il territorio
nazionale, e nel pieno rispetto del ruolo della autonomia negoziale
collettiva, i profili di disciplina del rapporto di lavoro connessi alla
organizzazione dell'orario di lavoro.
2. Agli effetti delle disposizioni di cui al
presente decreto si intende per:
a) ´orario di lavoro': qualsiasi periodo in
cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e
nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni;
b) ´periodo di riposo': qualsiasi periodo
che non rientra nell'orario di lavoro;
c) ´lavoro straordinario': è il lavoro
prestato oltre l'orario normale di lavoro così come definito
all'articolo 3 del presente decreto;
d) ´periodo notturno': periodo di almeno
sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le
cinque del mattino;
e) ´lavoratore notturno':
- qualsiasi lavoratore che durante il
periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro
giornaliero impiegato in modo normale;
- qualsiasi lavoratore che svolga durante il
periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le
norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di
disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi
lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di 80 giorni
lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso
di lavoro a tempo parziale;
f) ´lavoro a turni': qualsiasi metodo di
organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei
lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro,
secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere
di tipo continuo o discontinuo, e il quale comporti la necessità per i
lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un periodo
determinato di giorni o di settimane;
g) ´lavoratore a turni': qualsiasi
lavoratore il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a
turni;
h) ´lavoratore mobile': qualsiasi lavoratore
impiegato quale membro del personale viaggiante o di volo presso una
impresa che effettua servizi di trasporto passeggeri o merci su strada,
per via aerea o per via navigabile, o a impianto fisso non ferroviario;
i) ´lavoro offshore': l'attività svolta
prevalentemente su una installazione offshore (compresi gli impianti di
perforazione) o a partire da essa, direttamente o indirettamente legata
alla esplorazione, alla estrazione o allo sfruttamento di risorse
minerali, compresi gli idrocarburi, nonché le attività di immersione
collegate a tali attività, effettuate sia a partire da una installazione
offshore che da una nave;
j) ´riposo adeguato': il fatto che i
lavoratori dispongano di periodi di riposo regolari, la cui durata è
espressa in unità di tempo, e sufficientemente lunghi e continui per
evitare che essi, a causa della stanchezza della fatica o di altri
fattori che perturbano la organizzazione del lavoro, causino lesioni a
se stessi, ad altri lavoratori o a terzi o danneggino la loro salute, a
breve o a lungo termine;
k) ´contratti collettivi di lavoro':
contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali dei
lavoratori comparativamente più rappresentative.
Art. 2
Campo di applicazione
1. Le disposizioni contenute nel presente
decreto si applicano a tutti i settori di attività pubblici e privati
con le uniche eccezioni del lavoro della gente di mare di cui alla
direttiva 1999/63/Ce, del personale di volo nella aviazione civile di
cui alla direttiva 2000/79/Ce e dei lavoratori mobili per quanto attiene
ai profili di cui alla direttiva 2002/15/Ce.
2. Nei riguardi delle forze armate e di
polizia, dei servizi di protezione civile, ivi compresi quelli del corpo
nazionale dei vigili del fuoco, nonché nell'ambito delle strutture
giudiziarie, penitenziarie e di quelle destinate per finalità
istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di
ordine e sicurezza pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree
archeologiche dello stato le disposizioni contenute nel presente decreto
non trovano applicazione unicamente in presenza di particolari esigenze
inerenti al servizio espletato o di ragioni connesse ai servizi di
ordine e sicurezza pubblica, di difesa e protezione civile, nonché degli
altri servizi espletati dal corpo nazionale dei vigili del fuoco, così
come individuate con decreto del ministro competente, di concerto con i
ministri del lavoro e delle politiche sociali, della salute,
dell'economia e delle finanze e per la funzione pubblica, da emanarsi
entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. Le disposizioni del presente decreto non
si applicano al personale della scuola di cui al decreto legislativo 16
aprile 1994, n. 297
4. La disciplina contenuta nel presente
decreto si applica anche agli apprendisti maggiorenni.
Titolo II
Principi in materia di organizzazione dell'orario di lavoro
Art.3
Orario normale di lavoro
1. L'orario normale di lavoro è fissato in
40 ore settimanali.
2. I contratti collettivi di lavoro possono
stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l'orario
normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non
superiore all'anno.
Art.4
Durata massima dell'orario di lavoro
1. I contratti collettivi di lavoro
stabiliscono la durata massima settimanale dell'orario di lavoro.
2. La durata media dell'orario di lavoro non
può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore,
comprese le ore di lavoro straordinario.
3. Ai fini della disposizione di cui al
comma 2, la durata media dell'orario di lavoro deve essere calcolata con
riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi.
4. I contratti collettivi di lavoro possono
in ogni caso elevare il limite di cui al comma 3 fino a sei mesi ovvero
fino a 12 mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti
all'organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti
collettivi.
5. In caso di superamento delle 48 ore di
lavoro settimanale, attraverso prestazioni di lavoro straordinario, per
le unità produttive che occupano più di dieci dipendenti il datore di
lavoro è tenuto a informare, alla scadenza del periodo di riferimento di
cui ai precedenti commi 3 e 4, la direzione provinciale del lavoro -
Settore ispezione del lavoro competente per territorio. I contratti
collettivi di lavoro possono stabilire le modalità per adempiere al
predetto obbligo di comunicazione.
Art. 5
Lavoro straordinario
1. Il ricorso a prestazioni di lavoro
straordinario deve essere contenuto.
2. Fermi restando i limiti di cui
all'articolo 4, i contratti collettivi di lavoro regolamentano le
eventuali modalità di esecuzione delle prestazioni di lavoro
straordinario.
3. In difetto di disciplina collettiva
applicabile, il ricorso al lavoro straordinario è ammesso soltanto
previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo che non
superi le 250 ore annuali.
4. Salvo diversa disposizione dei contratti
collettivi il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario è inoltre
ammesso in relazione a:
a) casi di eccezionali esigenze
tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso
l'assunzione di altri lavoratori;
b) casi di forza maggiore o casi in cui la
mancata esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario possa dare
luogo a un pericolo grave e immediato ovvero a un danno alle persone o
alla produzione;
c) eventi particolari, come mostre, fiere e
manifestazioni collegate alla attività produttiva, nonché allestimento
di prototipi, modelli o simili, predisposti per le stesse,
preventivamente comunicati agli uffici competenti ai sensi dell'articolo
19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dall'articolo 2,
comma 10, della legge 24/12/1993, n. 537, e in tempo utile alle
rappresentanze sindacali in aziendali.
5. Il lavoro straordinario deve essere
computato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive previste
dai contratti collettivi di lavoro. I contratti collettivi possono in
ogni caso consentire che, in alternativa o in aggiunta alle
maggiorazioni retributive, i lavoratori usufruiscano di riposi
compensativi.
Art.6
Criteri di computo
1. I periodi di ferie annue e i periodi di
assenza per malattia non sono presi in considerazione ai fini del
computo della media di cui all'articolo 4.
2. Nel caso di lavoro straordinario, se il
riposo compensativo di cui ha beneficiato il lavoratore è previsto in
alternativa o in aggiunta alla maggiorazione retributiva di cui al comma
5 dell'articolo 5, le ore di lavoro straordinario prestate non si
computano ai fini della media di cui all'articolo 4.
Titolo III
Pause, riposi e ferie
Art. 7
Riposo giornaliero
1. Ferma restando la durata normale
dell'orario settimanale, il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo
consecutivo ogni 24 ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in
modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di
lavoro frazionati durante la giornata.
Art. 8
Pause
1. Qualora l'orario di lavoro giornaliero
ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un
intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai
contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie
psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di
attenuare il lavoro monotono e ripetitivo.
2. Nelle ipotesi di cui al comma che
precede, in difetto di disciplina collettiva che preveda un intervallo a
qualsivoglia titolo attribuito, al lavoratore deve essere concessa una
pausa, anche sul posto di lavoro, tra l'inizio e la fine di ogni periodo
giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a dieci minuti e la cui
collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo
lavorativo.
3. Salvo diverse disposizioni dei contratti
collettivi, rimangono non retribuiti o computati come lavoro ai fini del
superamento dei limiti di durata i periodi di cui all'articolo 5 rd
10/9/1923, n. 1955 e successivi atti applicativi e dell'articolo 4 del
rd 10 settembre 1923, n. 1956 e successive integrazioni.
Art. 9
Riposi settimanali
1. Il lavoratore ha diritto ogni sette
giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in
coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo
giornaliero di cui all'articolo 7.
2. Fanno eccezione alla disposizione di cui
al comma 1:
a) le attività di lavoro a turni ogni volta
che il lavoratore cambi squadra e non possa usufruire, tra la fine del
servizio di una squadra e l'inizio di quello della squadra successiva,
di periodi di riposo giornaliero o settimanale;
b) le attività caratterizzate da periodi di
lavoro frazionati durante la giornata;
c) per il personale che lavora nel settore
dei trasporti ferroviari: le attività discontinue; il servizio prestato
a bordo dei treni; le attività connesse con gli orari del trasporto
ferroviario che assicurano la continuità e la regolarità del traffico
ferroviario;
d) i contratti collettivi possono stabilire
previsioni diverse, nel rispetto delle condizioni previste dall'articolo
17, comma 4.
3. Il riposo di 24 ore consecutive può
essere fissato in un giorno diverso dalla domenica e può essere attuato
mediante turni per il personale interessato a modelli
tecnico-organizzativi di turnazione particolare ovvero addetto alle
attività aventi le seguenti caratteristiche:
a) operazioni industriali per le quali si
abbia l'uso di forni a combustione o a energia elettrica per l'esercizio
di processi caratterizzati dalla continuità della combustione e
operazioni collegate, nonché attività industriali ad alto assorbimento
di energia elettrica e operazioni collegate;
b) attività industriali il cui processo
richieda, in tutto o in parte, lo svolgimento continuativo per ragioni
tecniche;
c) industrie stagionali per le quali si
abbiano ragioni di urgenza riguardo alla materia prima o al prodotto dal
punto di vista del loro deterioramento e della loro utilizzazione,
comprese le industrie che trattano materie prime di facile deperimento e
il cui periodo di lavorazione si svolge in non più di tre mesi all'anno,
ovvero quando nella stessa azienda e con lo stesso personale si compiano
alcune delle suddette attività con un decorso complessivo di lavorazione
superiore a tre mesi;
d) i servizi e attività il cui funzionamento
domenicale corrisponda a esigenze tecniche ovvero soddisfi interessi
rilevanti della collettività ovvero sia di pubblica utilità;
e) attività che richiedano l'impiego di
impianti e macchinari ad alta intensità di capitali o ad alta
tecnologia;
f) attività di cui all'articolo 7 della
legge 22 febbraio 1934, n. 370;
g) attività indicate agli articoli 11, 12,
13 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.
4. Sono fatte salve le disposizioni speciali
che consentono la fruizione del riposo settimanale in giorno diverso
dalla domenica nonché le deroghe previste dalla legge 22 febbraio 1934,
n. 370.
5. Con decreto del ministro del lavoro e
delle politiche sociali, di concerto con il ministro per la funzione
pubblica per quanto coinvolge i pubblici dipendenti, adottato sentite le
organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente più
rappresentative nonché le organizzazioni nazionali dei datori di lavoro,
saranno individuate le attività aventi le caratteristiche di cui al
comma 3, che non siano già ricomprese nel decreto ministeriale 22 giugno
1935, e successive modifiche e integrazioni, pubblicato nella G.U. n.
161 del 12 luglio 1935, nonché quelle di cui al comma 2, lett. d), salve
le eccezioni di cui alle lettere a), b) e c). Con le stesse modalità il
ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
ministro per la funzione pubblica per quanto coinvolge i pubblici
dipendenti, provvede all'aggiornamento e alla integrazione delle
predette attività. Nel caso di cui al comma 2, lett. d), e salve le
eccezioni di cui alle lettere a), b), e c) l'integrazione avrà
senz'altro luogo decorsi 30 giorni dal deposito dell'accordo presso il
ministero stesso. I predetti decreti, per le materie di esclusivo
interesse dei dipendenti pubblici, sono adottati dal ministro per la
funzione pubblica, di concerto con il ministro del lavoro e delle
politiche sociali.
Art. 10
Ferie annuali
1. Fermo restando quanto previsto
dall'articolo 2109 del codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto
a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro
settimane. I contratti collettivi di lavoro possono stabilire condizioni
di miglior favore.
2. Il predetto periodo minimo di quattro
settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie
non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
3. Nel caso di orario espresso come media ai
sensi dell'articolo 3, comma 2, i contratti collettivi stabiliscono
criteri e modalità di regolazione.
Titolo IV
Lavoro
notturno
Art. 11
Limitazioni al lavoro notturno
1. L'inidoneità al lavoro notturno può essere accertata attraverso le
competenti strutture sanitarie pubbliche.
2. I contratti collettivi stabiliscono i
requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di
effettuare lavoro notturno. È in ogni caso vietato adibire le donne al
lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di
gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Non sono
inoltre obbligati a prestare lavoro notturno:
a) la lavoratrice madre di un figlio di età
inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente
con la stessa;
b) la lavoratrice o il lavoratore che sia
l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a
12 anni;
c) la lavoratrice o il lavoratore che abbia
a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio
1992, n. 104, e successive modificazioni.
Art. 12
Modalità di organizzazione del lavoro notturno e obblighi di
comunicazione
1. L'introduzione del lavoro notturno deve
essere preceduta, secondo i criteri e con le modalità previsti dai
contratti collettivi, dalla consultazione delle rappresentanze sindacali
in azienda, se costituite, aderenti alle organizzazioni firmatarie del
contratto collettivo applicato dall'impresa. In mancanza, tale
consultazione va effettuata con le organizzazioni territoriali dei
lavoratori come sopra definite per il tramite dell'associazione cui
l'azienda aderisca o conferisca mandato. La consultazione va effettuata
e conclusa entro un periodo di sette giorni.
2. Il datore di lavoro, anche per il tramite
dell'associazione cui aderisca o conferisca mandato, informa per
iscritto i servizi ispettivi della direzione provinciale del lavoro
competente per territorio, con periodicità annuale, della esecuzione di
lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni
periodici, salvo che esso sia disposto dal contratto collettivo. Tale
informativa va estesa alle organizzazioni sindacali di cui al comma 1.
Art. 13
Durata del lavoro notturno
1. L'orario di lavoro dei lavoratori
notturni non può superare le otto ore in media nelle 24 ore, salva
l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di
un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il
suddetto limite.
2. È affidata alla contrattazione collettiva
l'eventuale definizione delle riduzioni dell'orario di lavoro o dei
trattamenti economici indennitari nei confronti dei lavoratori notturni.
Sono fatte salve le disposizioni della contrattazione collettiva in
materia di trattamenti economici e riduzioni di orario per i lavoratori
notturni anche se non concesse a titolo specifico.
3. Entro 120 giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto, con decreto del ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il ministro per la funzione pubblica
per quanto coinvolge i pubblici dipendenti, previa consultazione delle
organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente più
rappresentative e delle organizzazioni nazionali dei datori di lavoro,
viene stabilito un elenco delle lavorazioni che comportano rischi
particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, il cui limite è di
otto ore nel corso di ogni periodo di 24 ore. Il predetto decreto, per
le materie di esclusivo interesse dei dipendenti pubblici, è adottato
dal ministro per la funzione pubblica, di concerto con il ministro del
lavoro e delle politiche sociali.
4. Il periodo minimo di riposo settimanale
non viene preso in considerazione per il computo della media quando
coincida con il periodo di riferimento stabilito dai contratti
collettivi di cui al comma 1.
5. Con riferimento al settore della
panificazione non industriale la media di cui al comma 1 del presente
articolo va riferita alla settimana lavorativa.
Art. 14
Tutela in caso di prestazioni di lavoro notturno
1. La valutazione dello stato di salute dei
lavoratori addetti al lavoro notturno deve avvenire attraverso controlli
preventivi e periodici adeguati al rischio cui il lavoratore è esposto,
secondo le disposizioni previste dalla legge e dai contratti collettivi.
2. Durante il lavoro notturno il datore di
lavoro garantisce, previa informativa alle rappresentanze sindacali di
cui all'articolo 12, un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o
di protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il turno
diurno.
3. Il datore di lavoro, previa consultazione
con le rappresentanze sindacali di cui all'articolo 12, dispone, ai
sensi degli articoli 40 e seguenti del decreto legislativo 19 settembre
1994, n. 626, per i lavoratori notturni che effettuano le lavorazioni
che comportano rischi particolari di cui all'elenco definito
dall'articolo 13, comma 3, appropriate misure di protezione personale e
collettiva.
4. I contratti collettivi di lavoro possono
prevedere modalità e specifiche misure di prevenzione relativamente alle
prestazioni di lavoro notturno di particolari categorie di lavoratori,
quali quelle individuate con riferimento alla legge 5 giugno 1990, n.
135, e alla legge 26 giugno 1990, n. 162.
Art. 15
Trasferimento al lavoro diurno
1. Qualora sopraggiungano condizioni di
salute che comportino l'inidoneità alla prestazione di lavoro notturno,
accertata dal medico competente o dalle strutture sanitarie pubbliche,
il lavoratore verrà assegnato al lavoro diurno, in altre mansioni
equivalenti, se esistenti e disponibili.
2. La contrattazione collettiva definisce le
modalità di applicazione delle disposizioni di cui al comma precedente e
individua le soluzioni nel caso in cui l'assegnazione prevista dal comma
citato non risulti applicabile.
Titolo V
Disposizioni finali e deroghe
Art. 16
Deroghe alla disciplina della durata settimanale dell'orario
1. Fatte salve le condizioni di miglior
favore stabilite dai contratti collettivi, sono escluse dall'ambito di
applicazione della disciplina della durata settimanale dell'orario di
cui all'art. 3
a) le fattispecie previste dall'art. 4 del
rd n. 692/1923 e successive modifiche;
b) le fattispecie di cui al rd n. 1957/1923
e successive modifiche, alle condizioni ivi previste, e le fattispecie
di cui agli artt. 8 e 10 del rd n. 1955/1923;
c) le industrie di ricerca e coltivazione di
idrocarburi, sia in mare che in terra, di posa di condotte e
installazione in mare;
d) le occupazioni che richiedono un lavoro
discontinuo o di semplice attesa o custodia elencate nella tabella
approvata con rd 6 dicembre 1923, n. 2657, e successive modificazioni e
integrazioni, alle condizioni ivi previste;
e) i commessi viaggiatori o piazzisti;
f) il personale viaggiante dei servizi
pubblici di trasporto per via terrestre;
g) gli operai agricoli a tempo determinato;
h) i giornalisti professionisti, praticanti
e pubblicisti dipendenti da aziende editrici di giornali, periodici e
agenzie di stampa, nonché quelli dipendenti da aziende pubbliche e
private esercenti servizi radiotelevisivi;
i) il personale poligrafico (operai e
impiegati) addetto alle attività di composizione, stampa e spedizione di
quotidiani e settimanali, di documenti necessari al funzionamento degli
organi legislativi e amministrativi nazionali e locali, nonché alle
attività produttive delle agenzie di stampa;
j) il personale addetto ai servizi di
informazione radiotelevisiva gestiti da aziende pubbliche e private;
k) i lavori di cui all'art. 1 della legge
20/4/1978, n. 154 e all'art. 2 della legge 13/7/1966, n. 559;
l) le prestazioni rese da personale addetto
alle aree operative, per assicurare la continuità del servizio, nei
settori appresso indicati:
- personale dipendente da imprese
concessionarie di servizi nei settori delle poste, delle autostrade, dei
servizi portuali e aeroportuali, nonché personale dipendente da aziende
che gestiscono servizi pubblici di trasporto e da imprese esercenti
servizi di telecomunicazione;
- personale dipendente da aziende pubbliche
e private di produzione, trasformazione, distribuzione, trattamento ed
erogazione di energia elettrica, gas, calore e acqua;
- personale dipendente da quelle di
raccolta, trattamento, smaltimento e trasporto di rifiuti solidi urbani;
- personale addetto ai servizi funebri e
cimiteriali limitatamente ai casi in cui il servizio stesso sia
richiesto dall'autorità giudiziaria, sanitaria o di pubblica sicurezza;
m) personale dipendente da gestori di
impianti di distribuzione di carburante non autostradali;
n) personale non impiegatizio dipendente da
stabilimenti balneari, marini, fluviali, lacuali e piscinali.
2. Le attività e le prestazioni indicate
alle lettere da a) a n) del comma 1 verranno aggiornate e armonizzate
con i principi contenuti nel presente decreto legislativo mediante
decreto del ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il ministro per la funzione pubblica per quanto concerne i pubblici
dipendenti, da adottarsi sentite le organizzazioni sindacali nazionali
maggiormente rappresentative nonché le organizzazioni nazionali dei
datori di lavoro. Il predetto decreto, per le materie di esclusivo
interesse dei dipendenti pubblici, è adottato dal ministro per la
funzione pubblica, di concerto con il ministro del lavoro e delle
politiche sociali.
Art. 17
Deroghe alla disciplina in materia di riposo giornaliero, pause, lavoro
notturno, durata massima settimanale
1. Le disposizioni di cui agli articoli 7,
8, 12 e 13 possono essere derogate mediante contratti collettivi o
accordi conclusi a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali
nazionali comparativamente più rappresentative e le associazioni
nazionali dei datori di lavoro firmatarie di contratti collettivi
nazionali di lavoro o, conformemente alle regole fissate nelle medesime
intese, mediante contratti collettivi o accordi conclusi al secondo
livello di contrattazione.
2. In mancanza di disciplina collettiva, il
ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
ministro per la funzione pubblica per quanto coinvolge i pubblici
dipendenti, su richiesta delle organizzazioni sindacali nazionali di
categoria comparativamente più rappresentative o delle associazioni
nazionali di categoria dei datori di lavoro firmatarie dei contratti
collettivi nazionali di lavoro, adotta un decreto, sentite le stesse
parti, per stabilire deroghe agli articoli 4, terzo comma, nel limite
dei sei mesi, 7, 8, 12 e 13 con riferimento:
a) alle attività caratterizzate dalla
distanza fra il luogo di lavoro e il luogo di residenza del lavoratore,
compreso il lavoro offshore, oppure dalla distanza fra i suoi diversi
luoghi di lavoro;
b) alle attività di guardia, sorveglianza e
permanenza caratterizzate dalla necessità di assicurare la protezione
dei beni e delle persone, in particolare, quando si tratta di guardiani
o portinai o di imprese di sorveglianza;
c) alle attività caratterizzate dalla
necessità di assicurare la continuità del servizio o della produzione,
in particolare, quando si tratta:
1) di servizi relativi all'accettazione, al
trattamento o alle cure prestati da ospedali o stabilimenti analoghi,
comprese le attività dei medici in formazione, da case di riposo e da
carceri;
2) del personale portuale o aeroportuale;
3) di servizi della stampa, radiofonici,
televisivi, di produzione cinematografica, postali o delle
telecomunicazioni, di servizi di ambulanza, antincendio o di protezione
civile;
4) di servizi di produzione, di conduzione e
distribuzione del gas, dell'acqua e dell'elettricità, di servizi di
raccolta dei rifiuti domestici o degli impianti di incenerimento;
5) di industrie in cui il lavoro non può
essere interrotto per ragioni tecniche;
6) di attività di ricerca e sviluppo;
7) dell'agricoltura;
8) di lavoratori operanti nel settore del
trasporto passeggeri in ambito urbano ai sensi dell'articolo 10, comma
1, punto 14, 2° periodo, del dpr 26 ottobre 1972, n. 633.
d) in caso di sovraccarico prevedibile di
attività, e in particolare:
1) nell'agricoltura;
2) nel turismo;
3) nei servizi postali.
e) per personale che lavora nel settore dei
trasporti ferroviari:
1) per le attività discontinue;
2) per il servizio prestato a bordo dei
treni;
3) per le attività connesse al trasporto
ferroviario e che assicurano la regolarità del traffico ferroviario.
f) a fatti dovuti a circostanze estranee al
datore di lavoro, eccezionali e imprevedibili o eventi eccezionali, le
conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili malgrado la
diligenza osservata;
g) in caso di incidente o di rischio di
incidente imminente.
3. Alle stesse condizioni di cui al comma 2
si può derogare alla disciplina di cui all'articolo 7:
a) per l'attività di lavoro a turni tutte le
volte in cui il lavoratore cambia squadra e non può usufruire tra la
fine del servizio di una squadra e l'inizio di quello della squadra
successiva di periodi di riposo giornaliero;
b) per le attività caratterizzate da periodo
di lavoro frazionati durante la giornata, in particolare del personale
addetto alle attività di pulizie.
4. Le deroghe previste nei commi che
precedono possono essere ammesse soltanto a condizione che ai prestatori
di lavoro siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo o,
in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di
riposo compensativo non sia possibile per motivi oggettivi, a condizione
che ai lavoratori interessati sia accordata una protezione appropriata.
5. Nel rispetto dei principi generali della
protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le
disposizioni di cui agli articoli 3, 4, 5, 7, 8, 12 e 13 del presente
decreto legislativo non si applicano ai lavoratori la cui durata
dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività
esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai
lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta:
a) di dirigenti, di personale direttivo
delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo;
b) di manodopera familiare;
c) di lavoratori nel settore liturgico delle
chiese e delle comunità religiose;
d) di prestazioni rese nell'ambito di
rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro.
6. Nel rispetto dei principi generali della
protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le
disposizioni di cui agli articoli 7, 8, 9 e 13 del presente decreto
legislativo non si applicano al personale mobile. Per il personale
mobile dipendente da aziende autoferrotranviarie, trovano applicazione
le relative disposizioni di cui al rdl 19 ottobre 1923, n. 2328 e alla
legge 14 febbraio 1958, n. 138.
7. Il decreto di cui al comma 2, per le
materie di esclusivo interesse dei dipendenti pubblici, è adottato dal
ministro per la funzione pubblica, di concerto con il ministro del
lavoro e delle politiche sociali.
Art. 18
Lavoratori a bordo di navi da pesca marittima
1. Gli articoli 4, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14 e
15 non si applicano ai lavoratori a bordo di navi da pesca marittima.
2. Fatte salve le disposizioni dei contratti
collettivi nazionali di categoria, la durata dell'orario di lavoro a
bordo delle navi da pesca è stabilita in 48 ore di lavoro settimanali
medie, calcolate su un periodo di riferimento di un anno, mentre i
limiti dell'orario di lavoro o di quello di riposo a bordo delle navi da
pesca sono così stabiliti:
a) il numero massimo delle ore di lavoro a
bordo non deve superare:
1. 14 ore in un periodo di 24 ore;
2. 72 ore per un periodo di sette giorni;
ovvero:
b) il numero minimo delle ore di riposo non
deve essere inferiore a:
1. 10 ore in un periodo di 24 ore;
2. 77 ore per un periodo di sette giorni.
3. Le ore di riposo non possono essere
suddivise in più di due periodi distinti, di cui uno è almeno di sei ore
consecutive e l'intervallo tra i due periodi consecutivi di riposo non
deve superare le 14 ore.
Art.19
Disposizioni transitorie e abrogazioni
1. Entro un anno dalla data di entrata in
vigore del presente decreto il ministro del lavoro e delle politiche
sociali, unitamente al ministro per la funzione pubblica per quanto
coinvolge i pubblici dipendenti, convoca le organizzazioni dei datori di
lavoro e le organizzazioni dei lavoratori comparativamente più
rappresentative al fine di verificare lo stato di attuazione del
presente decreto nella contrattazione collettiva.
2. Dalla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo sono abrogate tutte le disposizioni
legislative e regolamentari nella materia disciplinata dal decreto
legislativo medesimo, salve le disposizioni espressamente richiamate e
le disposizioni aventi carattere sanzionatorio.
3. Per il personale dipendente da aziende
autoferrotranviarie, addetto ad attività caratterizzata dalla necessità
di assicurare la continuità del servizio, fermo restando quanto previsto
dagli articoli 9, comma 5, 16 e 17, restano in vigore le relative
disposizioni contenute nel rdl 19 ottobre 1923, n. 2328 e nella legge 14
febbraio 1958, n. 138, in quanto compatibili con le disposizioni del
presente decreto legislativo.
Orario di
lavoro
La nozione di orario di lavoro è stata sinora
ancorata al concetto di lavoro "effettivo", già definito dall'art. 3 R.D.L.
692/23 come quel lavoro "che richieda un'applicazione assidua e
continuativa".
Il decreto legislativo n. 66/2003, nel
riprendere la definizione dettata dalla direttiva europea, stabilisce (art.
2, punto a)), invece, che per orario di lavoro si intende "qualsiasi periodo
in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e
nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni".
Tale formulazione ha una portata certamente più
ampia, così come ha chiarito la stessa Corte di giustizia europea che ha
ritenuto compresi nell'orario di lavoro i periodi in cui i lavoratori "sono
obbligati ad essere fisicamente presenti sul luogo indicato dal datore di
lavoro e a tenervisi a disposizione di quest'ultimo per poter fornire
immediatamente la loro opera in caso di necessità" (sentenza del 9 settembre
2003).
D'altro canto ciò è confermato dalla circostanza
che, nella nuova disciplina, non è stata più riproposta l'esclusione dalla
nozione di orario di lavoro e dalla disciplina sulla durata massima della
prestazione di lavoro di "quelle occupazioni che richiedano per loro natura
o nella specialità del caso, un lavoro discontinuo o di semplice attesa o
custodia" (art. 3 R.D.L. n. 692/1923); nella nuova disposizione, invece,
tali lavorazioni vengono esplicitamente escluse solo dall'ambito di
applicazione della disciplina della durata settimanale (art. 16 DLgs n.
66/2003).
3. Campo di
applicazione
La disciplina dell'orario di lavoro di cui al
decreto legislativo n. 66 del 2003 si applica a tutti i settori di attività,
pubblici e privati, in relazione a rapporti di lavoro subordinato. Si
applica anche agli apprendisti che abbiano raggiunto la maggiore età che,
pertanto, possono svolgere lavoro straordinario e notturno (già possibile,
per quanto attiene al lavoro notturno, nelle aziende artigianali di
panificazione e di pasticceria e di quelle del comparto turistico e dei
pubblici esercizi).
Per gli apprendisti minorenni si applica la
disciplina speciale di cui alla legge n. 977 del 1967 e successive
modificazioni.
La disciplina non si applica qualora "altri
strumenti comunitari contengano prescrizioni più specifiche in materia di
organizzazione dell'orario di lavoro per determinate occupazioni o attività
professionali". In particolare, non si applica al lavoro della gente di mare
di cui alla direttiva 1999/63/CE del 21 giugno 1999, che attua l'accordo
sull'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare concluso
dall'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione
dei sindacati dei trasportatori dell'Unione europea (FST). In forza di
questo atto, espressamente richiamato dal decreto n. 66 del 2003, per "gente
di mare" si intende ogni persona occupata o impegnata a qualunque titolo a
bordo di una nave marittima di proprietà pubblica o privata, registrata nel
territorio di uno Stato membro.
Il decreto non si applica neppure ai lavoratori
mobili, per quanto attiene ai profili di cui alla direttiva n. 2002/15/CE
dell'11 marzo 2002, concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle
persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto. Per "lavoratori
mobili" si intendono quelli impiegati quali membri del personale viaggiante
o di volo presso una impresa che effettua servizi di trasporto passeggeri o
merci su strada, per via aerea o per via navigabile, o a impianto fisso non
ferroviario.
In ragione della peculiare organizzazione del
lavoro e della concorrente competenza regionale in materia di istruzione, il
decreto legislativo n. 66 del 2003 non si applica al personale della scuola
di cui al Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di
istruzione, né al personale delle Forze armate e di polizia, nonché gli
addetti al servizio di polizia municipale e provinciale, in relazione alle
attività operative specificamente istituzionali.
Infine, il decreto in oggetto non si applica nei
confronti dei servizi di protezione civile, ivi compresi quelli del corpo
nazionale dei vigili del fuoco, nonché nell'ambito delle strutture
giudiziarie, penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali
alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza
pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello
Stato. Nei confronti di queste attività le norme del decreto non trovano
applicazione in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio
espletato o di protezione civile, nonché degli altri servizi espletati dal
corpo nazionale dei vigili del fuoco, così come individuate con decreto del
ministro competente, di concerto con i ministri del lavoro e delle politiche
sociali, della salute, dell'economia e delle finanze e per la funzione
pubblica. Nelle more dell'emanazione dei decreti ministeriali indicati si
deve ritenere che continuino a trovare applicazione le attuali discipline,
anche contrattuali, previgenti, ove compatibili.
4. Orario
normale settimanale
Il decreto legislativo n. 66 del 2003 riprende i
contenuti dell'art. 13, della legge n. 196 del 1997 e fissa in 40 ore
settimanali l'orario normale di lavoro, assegnando alla contrattazione
collettiva la facoltà sia di stabilire un orario inferiore che di riferire
l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un
periodo non superiore all'anno in modo tale che, nonostante la
flessibilizzazione, nel dato arco temporale non venga superata la media
riferita, ovviamente, all'orario normale.
Tale orario di lavoro, purché venga rispettata
la media nei termini suddetti, è orario normale di lavoro e l'eventuale
superamento settimanale delle 48 ore, senza che concorrano ore di lavoro
straordinario, non dovrà essere oggetto di comunicazione, stante la chiara
lettera della legge (purché ovviamente nel periodo di riferimento sia
effettuato il relativo recupero).
Si ricorda, a questo proposito, che in caso di
organizzazione multiperiodale dell'orario di lavoro, costituisce
straordinario ogni ora di lavoro effettuata oltre l'orario programmato
settimanale. Pertanto qualora ad esempio in una settimana sia svolto un
orario programmato di 50 ore la cinquantunesima ora di lavoro sarà imputata
a lavoro straordinario e quindi costituirà motivo sufficiente per la
comunicazione.
Si evidenzia, inoltre, che anche nel caso di
orario multiperiodale, pur non venendo in essere l'obbligo di comunicazione
(in quanto non siano state effettuate ore di lavoro straordinario che
abbiano concorso al superamento delle 48 ore di lavoro settimanali) resta
fermo il limite massimo delle 48 ore medie nel periodo di riferimento.
E' da sottolineare come nella nuova formulazione
si fa riferimento ai "contratti collettivi" e non ai contratti "collettivi
nazionali" di cui al citato art. 13. Di conseguenza anche i contratti
territoriali e aziendali, oltre quelli nazionali, possono stabilire – purché
stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative
(art. 1, comma 2, lett. m) – una durata minore ovvero prevedere orari
multiperiodali.
Ovviamente, in questo quadro di
flessibilizzazione, i contratti collettivi dovranno, comunque, rispettare il
limite massimo settimanale dell'orario, come determinato dall'art. 4.
Per quanto concerne il settore del pubblico
impiego, si ritiene che la contrattazione collettiva decentrata non possa
introdurre discipline difformi dalla contrattazione collettiva nazionale.
L'orario normale di lavoro è di 40 ore nell'arco
della settimana, da intendersi non necessariamente come settimana di
calendario, salva la facoltà della contrattazione collettiva, di qualsiasi
livello, di introdurre il c.d. regime degli orari multiperiodali, cioè la
possibilità di eseguire orari settimanali superiori e inferiori all'orario
normale a condizione che la media corrisponda alle 40 ore settimanali o alla
durata minore stabilita dalla contrattazione collettiva, riferibile ad un
periodo non superiore all'anno.
Il riferimento all'anno non deve intendersi come
anno civile (1° gennaio - 31 dicembre) ma come un periodo mobile compreso
tra un giorno qualsiasi dell'anno ed il corrispondente giorno dell'anno
successivo, tenendo conto delle disposizioni della contrattazione
collettiva.
Nel computo dell'orario normale di lavoro,
stante la definizione di orario di lavoro, non rientrano i periodi in cui il
lavoratore non è a disposizione del datore, nel senso precisato nel
paragrafo 2, ovvero nell'esercizio della sua attività e delle sue funzioni.
Quindi le ore non lavorate potranno essere recuperate in regime di orario
normale di lavoro.
Laddove, pertanto, uno di questi eventi venga a
coincidere con giornate in cui, a seguito della programmazione
multiperiodale, sia stato previsto un orario superiore o inferiore a quello
normale, le parti del rapporto sono tenute a concordare lo spostamento in
altra data di un eguale incremento o riduzione della prestazione.
Le eventuali ore di incremento prestate e non
recuperate assumono la natura di lavoro straordinario e devono essere
compensate secondo le modalità previste dai contratti.
I contratti collettivi possono stabilire che la
durata dell'orario normale sia ridotta rispetto al limite legale delle 40
ore. Questa facoltà ha ad oggetto una riduzione d'orario valida ai soli fini
contrattuali.
La possibilità di modulare l'orario di lavoro su
base settimanale, mensile o annuale è stata attuata dal decreto legislativo
n. 66 del 2003 anche attraverso l'eliminazione del limite giornaliero di
durata della prestazione lavorativa. Nel nostro ordinamento non vige più,
pertanto, un limite positivo alla durata giornaliera del lavoro ma, semmai,
un limite che può ricavarsi, a contrario, dal combinato disposto dagli
articoli 7 e 8 del decreto nella misura di 13 ore giornaliere, ferme
restando le pause. Tale individuazione risulta conforme al dettato
costituzionale che impone alla legge di definire la durata massima della
giornata lavorativa.
La limitazione positiva della durata della
prestazione lavorativa giornaliera, benché non sia disposta per legge,
potrebbe essere disposta dalla autonomia privata, ma ai soli fini
contrattuali, imponendo un limite anche alla modulazione, pertanto alla
flessibilità, dell'organizzazione del lavoro nella sue caratteristiche
temporali.
Deroghe alla
durata settimanale dell'orario
L'art. 16 del decreto, che recepisce le
corrispondenti disposizioni dell'Accordo interconfederale del 1997,
ampliandole con le fattispecie di cui alle lettere "m" ed "n", riporta
l'elencazione delle ipotesi per le quali non si applica la disposizione
sulla durata settimanale di 40 ore di lavoro. Per queste attività, quindi,
non esiste un orario settimanale normale stabilito per legge.
Si tratta di una serie di attività e di
prestazioni suscettibili di aggiornamento e armonizzazione con i principi
della nuova normativa mediante decreto del Ministero del lavoro, da adottare
sentite le OO.SS. datoriali e dei lavoratori maggiormente rappresentative.
Pertanto, tutte le attività che rientrano tra le
ipotesi dell'articolo in questione continuano a mantenere la loro
specificità, salvo i necessari adeguamenti al principio della durata media
settimanale di 48 ore che dovranno essere adottati con i decreti di
armonizzazione previsti dal secondo comma dell'art. 16.
L'art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 66/2003 prevede
che "l'orario normale di lavoro é fissato in 40 ore settimanali". Ai soli
fini contrattuali, i contratti collettivi di lavoro possono prevedere una
minore durata.
A tal proposito va chiarito che le 40 ore
settimanali di lavoro sono calcolate non necessariamente sulla base della
settimana lavorativa ma per ogni periodo di sette giorni.
La violazione della previsione è punita in via
amministrativa con la sanzione da € 25,00 a € 154,00 inoltre, se la
violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata
nel corso dell'anno solare per più di cinquanta giornate lavorative, la
sanzione amministrativa va da € 154,00 a € 1.032,00 e non è ammesso il
pagamento della sanzione in misura ridotta.
Per tale violazione non trova applicazione
l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del d.lgs. n. 124/2004.
6. Durata
massima dell'orario di lavoro
Il decreto, al fine di tutelare la salute e
sicurezza dei lavoratori, di consentire una più attuale distribuzione dei
tempi di vita e di lavoro e di garantire eque condizioni di concorrenza tra
le imprese, nel mercato comunitario, prevede un sistema di limiti alla
durata della prestazione lavorativa organizzati in modo flessibile.
La durata massima settimanale dell'orario di
lavoro, comprensiva sia del lavoro ordinario sia di quello straordinario, è
stabilita dai contratti collettivi e riguarda, in generale, sia il settore
pubblico sia il settore privato.
L'orario settimanale, sia in presenza sia in
assenza di contrattazione applicabile, non può superare le 48 ore, comprese
le ore di lavoro straordinario, per ogni periodo di sette giorni calcolate,
come media, su un periodo di riferimento non superiore a 4 mesi.
A tale limite deve attenersi l'autonomia
individuale.
Il limite delle 48 ore medie, nel periodo di
riferimento, deve essere rispettato sia nel caso in cui il datore stabilisca
un orario rigido e uniforme sia nel caso in cui l'orario di lavoro venga
disciplinato in senso multiperiodale mediante il rispetto del limite come
media, per ogni periodo di sette giorni, in un determinato periodo. Quindi
il decreto non vieta prestazioni che superino, nell'arco di sette giorni, le
48 ore in quanto il periodo di riferimento sia un periodo più ampio della
settimana e non superiore a quattro mesi, salvi i più ampi periodi che può
fissare la contrattazione collettiva. Nella settimana lavorativa si potrà
superare il limite delle 48 ore settimanali purché vi siano settimane
lavorative di meno di 48 ore in modo da effettuare una compensazione e non
superare il limite delle 48 ore medie nel periodo di riferimento.
L'attività potrà essere concentrata in alcuni
periodi e ridotta in altri in modo da realizzare una efficiente gestione dei
fattori produttivi. Ad esempio, in un periodo di 4 mesi dal 1 gennaio al 30
aprile, l'orario settimanale di lavoro del mese di gennaio potrebbe essere
di 60 ore, di 40 ore il mese di febbraio e di 35 ore il mese di marzo e di
48 ore il mese di aprile.
Nel caso in cui la contrattazione collettiva non
provveda a disciplinare l'orario di lavoro multiperiodale, l'autonomia
individuale potrà intervenire esclusivamente con riferimento all'orario di
lavoro straordinario.
La contrattazione collettiva, oltre che
determinare la durata massima settimanale dell'orario di lavoro, ha facoltà
di elevare il periodo di riferimento, in relazione agli specifici interessi
del settore cui i datori di lavoro ed i lavoratori appartengono, da 4 fino a
6 mesi e, in caso di ragioni obiettive, tecniche o inerenti
all'organizzazione del lavoro, fino a 12 mesi.
La durata massima dell'orario di lavoro, pari a
48 ore medie nel periodo di riferimento, si applica anche nei confronti
degli apprendisti maggiorenni. I lavoratori adolescenti, anche non
apprendisti, rimangono assoggettati alla disciplina della l. n. 977 del 1967
che, all'articolo 18, pone un limite orario settimanale di 40 ore ed uno
giornaliero di 8 ore. Di tale limitazione, anche giornaliera, deve tenersi
conto anche nell'ipotesi di distribuzione dell'orario di lavoro su base
multiperiodale. Per i bambini, liberi da obblighi scolastici, la stessa
disposizione legislativa prevede al primo comma che l'attività lavorativa
non può essere prestata per più di 7 ore giornaliere e 35 settimanali.
L'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo
n. 66/2003 stabilisce che "la durata media dell'orario di lavoro non può in
ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore,
comprese le ore di lavoro straordinario". In base ai successivi commi 3 e 4,
la durata media dell'orario di lavoro deve essere calcolata con riferimento
a un periodo non superiore a quattro mesi e i contratti collettivi di lavoro
possono in ogni caso elevare tale limite fino a sei mesi ovvero fino a
dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti
all'organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti
collettivi.
In riferimento invece all'arco temporale di
quattro, sei o dodici mesi sul quale va calcolata la media delle ore di
lavoro effettuate, si precisa che lo stesso è da considerarsi scorrevole
limitatamente ai periodi di ferie e malattia e periodi equiparabili alla
malattia a differenza di quanto avviene negli altri periodi di sospensione
(ad es. sciopero).
In altre parole, l'arco temporale di riferimento
può superare il quadrimestre (ovvero il semestre o l'anno) in quanto nella
sua determinazione non vanno computate le assenze dovute a ferie e malattia
o periodi equiparabili alla malattia; ad esempio, nel considerare il
quadrimestre gennaio/aprile, tale periodo, in considerazione delle assenze
dovute a malattia, potrebbe scorrere nel mese di maggio.
Si precisa, inoltre, che per effetto delle
disposizioni di cui all'art. 16 del decreto legislativo n. 66 del 2003, con
riferimento al personale nei confronti del quale non si applica il limite
dell'orario normale di lavoro pari a 40 ore settimanali, non opera la
sanzione in esame, giacché tale personale è escluso dall'obbligo di
comunicazione.
9. Lavoro
straordinario
Il "lavoro straordinario", a norma dell'articolo
1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 66 del 2003, è quello
prestato oltre l'orario normale così come definito dall'articolo 3 del
decreto.
Il ricorso al lavoro straordinario "deve essere
contenuto".
Non è più prevista una durata massima
giornaliera delle prestazioni straordinarie (così come la prevedeva, per i
datori di lavoro che non fossero imprenditori industriali, l'art. 5 r. d.
l. n. 692 del 1923), bensì una durata massima settimanale che, cumulata con
le ore di lavoro normale, non può superare il livello medio di 48 ore.
Infatti, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, la durata medio/massima
dell'orario di lavoro per ogni periodo di sette giorni, non può superare le
48 ore medie, comprensive del lavoro straordinario, nel periodo di
riferimento.
Il ricorso al lavoro straordinario è legittimo
in presenza di un accordo collettivo applicato ovvero applicabile, che
preveda una disciplina del lavoro straordinario ovvero, in mancanza di esso,
in presenza di un previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore. In
questo ultimo caso il ricorso al lavoro straordinario non può superare le
250 ore annue, oltre alle casistiche previste al comma 4 dell'art. 5 del
decreto.
Perché possa essere superato il suddetto limite
è necessario, quindi, che esista un contratto collettivo applicato ovvero
applicabile, inoltre è necessario che il contratto collettivo disciplini il
ricorso al lavoro straordinario.
In aggiunta ai limiti fissati dal contratto
collettivo o dalla legge (250 ore annuali) il ricorso al lavoro
straordinario è consentito, salvo diversa disciplina collettiva, in
relazione all'ipotesi in cui non sia possibile fronteggiare i casi di
eccezionali esigenze tecnico-produttive attraverso l'assunzione di altri
lavoratori; nei casi di forza maggiore; nei casi in cui la mancata
esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario possa dare luogo a un
pericolo grave e immediato ovvero a un danno alle persone o alla produzione.
Inoltre è consentito in caso di eventi
particolari, come mostre, fiere e manifestazioni collegate alla attività
produttiva, nonché allestimento di prototipi, modelli o simili, predisposti
per le stesse, preventivamente comunicati agli uffici competenti ai sensi
dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990, come sostituito dall'art. 2, comma
10, della legge n. 537 del 1993.
In quest'ultimo caso gli eventi indicati devono
essere comunicati in tempo utile alle rappresentanze sindacali aziendali.
Anche in questi casi, a fronte della richiesta
del datore, il lavoratore è tenuto alla prestazione del lavoro
straordinario, salvo sussistano ragioni che consentano al lavoratore di
rifiutarne l'esecuzione.
Il lavoro straordinario deve essere computato
separatamente dal computo del lavoro normale e deve essere retribuito con
una maggiorazione, rispetto al lavoro normale, il cui ammontare è stabilito
dalla contrattazione collettiva. Quest'ultima può disporre che, in aggiunta
o in alternativa alla maggiorazione retributiva, i lavoratori possano
usufruire di riposi compensativi. In questo caso le prestazioni
straordinarie eseguite non sono computabili ai fini della durata media
dell'orario di lavoro prevista, nella misura massima complessiva delle 48
ore settimanali, dall'articolo 4, comma 2.
In caso di superamento delle 48 ore di lavoro
settimanale, questa volta da intendersi come valore assoluto, attraverso
prestazioni di lavoro straordinario, entro trenta giorni dalla scadenza del
periodo di riferimento di 4 mesi o di quello superiore previsto dai
contratti collettivi, il datore di lavoro che occupa più di dieci dipendenti
nell'unità produttiva interessata è tenuto a informare la direzione
provinciale del lavoro - Settore ispezione del lavoro competente per
territorio. Qualora il superamento del limite delle 48 ore non avvenga
attraverso prestazioni di lavoro straordinario non è dovuta la comunicazione
ex art. 4, comma 5.
L'obbligo di comunicazione può essere adempiuto
secondo le modalità previste dai contratti collettivi, in questo caso il
mancato rispetto delle disposizioni contrattuali non costituisce violazione
dell'obbligo di comunicazione purché sia comunque raggiunto lo scopo
comunicativo.
Ai fini del
calcolo dei dipendenti non devono essere computati i lavoratori con contratto
di somministrazione, mentre i lavoratori a tempo parziale devono essere
computati in proporzione all'orario svolto tranne che nel settore del pubblico
impiego.
La disposizione, quindi, fissa sia limiti
quantitativi che tipologici alla prestazione di lavoro straordinario, che
non riguardano, evidentemente, il personale di cui all'art. 16 del decreto
legislativo n. 66 del 2003, per il quale non trova applicazione la
disciplina dell'orario normale di lavoro.
Per tale violazione non trova applicazione
l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del decreto legislativo n. 124
del 2004.
11. Criteri di computo
L'art. 6, comma 1, del decreto legislativo n. 66
del 2003 prevede che i periodi di ferie e di assenze per malattia non devono
essere considerati ai fini del computo della media di cui all'art. 4. Il
riferimento alla malattia, coma già accennato, si ritiene debba intendersi
equivalente a quello di "stato invalidante" e comprendere quindi anche le
assenze comunque legate alla salute del lavoratore (infortunio, gravidanza
ecc.). L'interpretazione più corretta sembra consistere nel considerare
neutre tali assenze rispetto al calcolo della media, con il conseguente
slittamento del periodo di riferimento sul quale calcolare la media.
Lo "slittamento" del periodo di riferimento è,
ovviamente, riferito al solo calcolo della media delle ore settimanali
lavorate (non superiore alle 48) ma non rileva ai fini della scadenza dei
termini per la comunicazione di cui al comma 5 dell'art. 4 (superamento
tramite straordinario) che indipendentemente dalle assenze resterà
cristallizzato nei termini di legge od in quelli fissati dalla
contrattazione collettiva.
Il comma 2 dello stesso articolo prevede che non
vengano computate, ai fini del calcolo della media in questione, le ore di
lavoro straordinario per le quali il lavoratore abbia beneficiato del riposo
compensativo. In questo caso sembra doversi ritenere che tale meccanismo di
calcolo possa essere adottato solo qualora sia il lavoro straordinario sia
il relativo riposo compensativo siano effettuati in un medesimo periodo di
riferimento, dovendosi, al contrario provvedere a computare le ore di
straordinario effettuate qualora il riposo compensativo sia effettuato in un
successivo periodo di riferimento.
Diversamente, stante la lettera dell'art. 6 che
fa riferimento ai criteri di computo ai fini del solo calcolo della media,
il lavoro straordinario effettuato nella settimana, qualora il relativo
riposo compensativo non sia goduto nella stessa, sarà computato ai fini
della comunicazione, di cui al comma 5 dell'art. 4, relativa al superamento
delle 48 ore nella singola settimana a causa della prestazione di lavoro
straordinario.
Il criterio di calcolo basato sulla media
individua il limite entro il quale deve considerarsi rispettato il principio
della tutela della salute e della sicurezza del lavoro, indipendentemente
dalla durata effettiva del rapporto di lavoro.
Va inoltre chiarito che, nel caso di rapporti a
tempo determinato di durata inferiore al periodo di riferimento (4, 6 o 12
mesi), per il calcolo dell'orario medio di lavoro è necessario considerare
l'effettiva durata del contratto di lavoro a termine. Invece nei rapporti di
lavoro risolti inaspettatamente prima della scadenza del periodo di
riferimento, il periodo da prendere in considerazione quale base di calcolo
della media è pari a 4 mesi (ovvero 6 o 12 mesi qualora previsto dalla
contrattazione collettiva).
12. Riposo
giornaliero
Il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo
consecutive ogni 24 ore, calcolate dall'ora di inizio della prestazione
lavorativa. Rimane ferma la durata del normale orario settimanale fissato in
40 ore o nel minor valore individuato dalla contrattazione.
Il periodo di riposo di undici ore è un periodo
minimo, salvi i casi di deroghe previste, quindi l'eventuale accordo che
diminuisca tale periodo è nullo e sostituito di diritto dalla disposizione
normativa.
Le parti possono accordarsi per un periodo di
riposo maggiore di quello stabilito dall'art. 7 del decreto legislativo n.
66 del 2003, in questo caso il lavoratore ha facoltà di rinunciare al
periodo di riposo compreso tra la misura convenzionale e quella minima
prevista.
Il lavoratore
ha diritto al periodo di riposo giornaliero anche qualora sia titolare di
più rapporti di lavoro.
Peraltro,
poiché non esiste alcun divieto di essere titolari di più rapporti di lavoro
non incompatibili, il lavoratore ha l'onere di comunicare ai datori di
lavoro l'ammontare delle ore in cui può prestare la propria attività nel
rispetto dei limiti indicati e fornire ogni altra informazione utile in tal
senso.
Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo
consecutivo salvo che per le attività caratterizzate da periodi di lavoro
frazionati durante la giornata, ossia per quelle attività che, per loro
natura, sono svolte in tal modo come, in particolare, l'attività del
personale addetto alle pulizie. Per queste ultime attività, sarà la
contrattazione collettiva a disciplinare le più opportune modalità di
fruizione del riposo giornaliero.
Nel periodo di riposo non si computano i riposi
intermedi, nonché le pause di lavoro di durata non inferiore a dieci minuti
e complessivamente non superiore a due ore, comprese tra l'inizio e la fine
di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia
richiesto alcun tipo di prestazione lavorativa in quanto non si tratta di
un periodo di riposo continuativo.
Questi periodi non rientrano nell'orario di
lavoro né nel periodo di riposo.
Il terzo comma dell'articolo 8 del decreto
legislativo n. 66 del 2003 recita testualmente che "Salvo diverse
disposizioni dei contratti collettivi, rimangono non retribuiti o computati
come lavoro ai fini del superamento dei limiti di durata i periodi di cui
all'art. 5, regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955, e successivi atti
applicativi, e dell'art. 4 del regio decreto 10 settembre 1923, n. 1956, e
successive integrazioni". Questi periodi, pertanto, non rientrano
nell'orario di lavoro.
Il richiamo operato all'art. 5 del R.D.
10/9/23, n. 1955, ha la sola finalità di individuare i periodi suddetti.
Deve, pertanto, ritenersi abrogato il disposto di cui al secondo comma del
citato articolo 5 il quale prevedeva che "i riposi normali, perché possano
essere detratti dal computo del lavoro effettivo, debbono essere
prestabiliti ad ore fisse ed indicati nell'orario di cui all'art. 12".
Da ciò deriva che, alla luce della vigente
disciplina, la pausa intermedia di 10 minuti possa essere anche mobile.
Allo stesso modo deve pure considerarsi decaduto l'obbligo della esposizione
dell'orario "in modo facilmente visibile ed in luogo accessibile a tutti i
dipendenti" così come l'obbligo di comunicarlo all'Ispettorato del Lavoro
previsto dall'art. 12 del citato regio decreto.
Deroghe in materia di riposo giornaliero
L'art. 7, nella parte che determina la misura e
la consecutività del riposo giornaliero, può essere derogato ai sensi
dell'art. 17. La deroga può essere disposta da contratti collettivi o
accordi conclusi a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali
nazionali comparativamente più rappresentative e le associazioni nazionali
dei datori di lavoro firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro
o, conformemente alle regole fissate nelle medesime intese, mediante
contratti collettivi o accordi conclusi al secondo livello di
contrattazione. Per poter derogare alla disposizione in materia di riposo le
parti devono accordare ai prestatori di lavoro periodi equivalenti di riposo
compensativo. Se, in casi eccezionali ed oggettivi, non possono essere
previsti dei periodi di riposo compensativo ai lavoratori interessati, deve
essere accordata loro una protezione appropriata. In presenza di una
siffatta tutela devono considerarsi ancora in vigore le previgenti
disposizioni collettive che regolamentano l'orario di lavoro non
rispettando il limite di 11 ore di riposo consecutivo.
Nelle ipotesi di attività frazionate le deroghe
alla disciplina in materia di riposi alle condizioni di cui all'art. 17,
comma 4, possono avere ad oggetto la durata del riposo.
13. Pause
Il lavoratore ha diritto ad un intervallo di
pausa dall'esecuzione della prestazione lavorativa quando la stessa ecceda
le sei ore nell'ambito dell'orario di lavoro.
Le funzioni per le quali è previsto il diritto
alla pausa sono individuate nell'esigenza di consentire il recupero delle
energie, nell'eventuale consumazione del pasto e nell'attenuazione del
lavoro ripetitivo e monotono.
La durata e le modalità della pausa sono
stabilite dalla contrattazione collettiva.
In mancanza di contrattazione collettiva che
preveda una pausa per una finalità qualsiasi, anche ulteriore rispetto a
quelle previste dal decreto, il lavoratore ha diritto ad un intervallo non
inferiore a 10 minuti.
Il periodo di pausa può essere fruito anche sul
posto di lavoro, in quanto la finalità della pausa è quella di costituire un
intervallo tra due momenti di esecuzione della prestazione, ma non può
essere sostituito da compesazioni economiche. La eventuale "concentrazione"
della pausa all'inizio o alla fine della giornata lavorativa, che determina
in sostanza una sorta di riduzione dell'orario di lavoro, può essere
ritenuta lecita come disciplina derogatoria, ex art. 17 comma 1 e per il
legittimo esercizio della quale è necessario accordare ai lavoratori degli
equivalenti periodi di riposo compensativo o, comunque, assicurare una
appropriata protezione. Quindi si ritengono superate, dalle disposizioni di
legge, quelle regole collettive o individuali che prevedono al posto della
pausa la sola compensazione economica.
La determinazione del momento in cui godere
della pausa è rimessa al datore di lavoro che la può individuare, tenuto
conto delle esigenze tecniche dell'attività lavorativa, in qualsiasi momento
della giornata lavorativa e non necessariamente successivamente al
trascorrere delle 6 ore di lavoro. Quindi, nell'ipotesi in cui
l'organizzazione del lavoro preveda la giornata c.d. spezzata, la pausa
potrà coincidere con il momento di sospensione dell'attività lavorativa.
La pausa minima stabilita per legge e
corrispondente a 10 minuti deve essere fruita consecutivamente affinché
possa essere raggiunta la finalità per la quale è prevista. I periodi di
pausa, stante la definizione di orario di lavoro, non vanno computati come
lavoro ai fini del superamento dei limiti di durata.
I periodi di pausa non sono retribuiti, salvo
diverse disposizioni dei contratti collettivi. In particolare non sono
retribuiti i riposi intermedi che siano presi sia all'interno che
all'esterno dell'azienda; il tempo impiegato per recarsi al posto di lavoro
; le soste di lavoro di durata non inferiore a dieci minuti e
complessivamente non superiore a due ore, comprese tra l'inizio e la fine di
ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia richiesta
alcuna prestazione.
Pausa per
alcune particolari attività
I lavoratori che utilizzino un'attrezzatura
munita di videoterminali in modo sistematico o abituale, per venti ore
settimanali, hanno diritto, qualora svolgano tale attività per almeno
quattro ore consecutive, ad una pausa stabilita, nelle modalità, dalla
contrattazione collettiva. Qualora nulla disponga la contrattazione
collettiva, questi lavoratori hanno diritto a 15 minuti di pausa ogni 120
minuti di applicazione continuativa al videoterminale, senza possibilità di
cumulo all'inizio ed al termine dell'orario di lavoro. Il tempo di pausa è
considerato orario di lavoro.
Il periodo di pausa di cui all'articolo 8 è
assorbito da quello appena indicato quando quest'ultimo comporti una
interruzione dell'attività lavorativa e non consista in un cambiamento
dell'attività.
14. Riposi
settimanali
Il lavoratore ha diritto ad un periodo di riposo
di almeno 24 ore consecutive, ogni sette giorni, di regola coincidenti con
la domenica. Il periodo di riposo settimanale deve essere cumulato con il
riposo giornaliero, per un totale di 35 ore consecutive nelle ipotesi in cui
il periodo di riposo sia individuato in 11 ore.
Il decreto pone una intricata disciplina in
materia di eccezioni e deroghe ai principi indicati in materia di riposi
settimanali.
In particolare prevede due categorie di
eccezioni.
Da un lato prevede che le regole della
periodicità, della coincidenza con la domenica, della durata e della
consecutività possano essere derogate per alcune attività, quelle di cui
alle lettera a), b), c) dell'art. 9, comma 2 del decreto legislativo n. 66
del 2003. Inoltre prevede che la contrattazione collettiva possa introdurre
delle deroghe purché ai lavoratori siano concessi periodi equivalenti di
riposo compensativo o, in caso di eccezionale impossibilità oggettiva, che
sia predisposta una protezione appropriata a favore degli stessi.
Dall'altro lato prevede che la regola della
coincidenza del riposo domenicale possa essere derogato nelle ipotesi
elencate - peraltro già contenute nell'art. 5 della legge n. 370 del 1934 -
in cui il riposo settimanale di 24 ore consecutive può essere spostato in un
giorno diverso dalla domenica e attuato mediante turni del personale.
Innanzitutto, per quanto riguarda la prima
categoria di eccezioni, la disposizione che prevede che il periodo di riposo
settimanale debba coincidere con la domenica può essere derogata in quanto
la coincidenza è esclusivamente tendenziale. La disposizione che prevede la
cadenza del riposo ogni sette giorni può essere derogata, in conformità agli
orientamenti consolidati e prevalenti in giurisprudenza, in presenza, si
ritiene, di una triplice condizione: che esistano degli interessi
apprezzabili, che si rispetti, nel complesso, la cadenza di un giorno di
riposo ogni sei di lavoro, che non si superino i limiti di ragionevolezza
con particolare riguardo alla tutela della salute e sicurezza dei
lavoratori. La disposizione che prevede la durata del riposo può essere
derogata nel limite delle 24 ore che costituiscono la soglia minima di
tutela. Qualora esistano delle disposizioni che prevedono la durata del
riposo al di sotto di tale soglia, le stesse dovranno prevedere un recupero
compensativo. La disposizione che prevede la consecutività delle ore di
riposo può anch'essa essere derogata nel rispetto del limite delle 24 ore.
Il decreto fa salve le disposizioni speciali in
materia di riposi settimanali e deroghe previste dalla disciplina dettata in
materia di riposi domenicali e settimanali.
Le ulteriori attività per le quali il decreto
legislativo n. 66 del 2003 ammette la derogabilità della disciplina del
riposo settimanale, che non siano già previste da disposizioni vigenti,
saranno individuate con decreto del Ministero del Lavoro, adottato dopo aver
sentito le organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente
più rappresentative, nonché le organizzazioni nazionali dei datori di
lavoro.
Pertanto, qualora un contratto collettivo
finisca per identificare una nuova attività, diversa da quelle già previste,
si dovrà attivare la procedura di cui all'art. 9.
A tal proposito si rileva che la previsione
normativa, pur non commisurata al numero delle giornate e dei lavoratori,
trova applicazione con riferimento alla singola condotta datoriale che
comunque si sostanzia nel non consentire i periodi di riposo a ciascun
lavoratore coinvolto ed in relazione a ciascun periodo considerato (giorno o
settimana). Ne consegue che, in tali ipotesi, vadano applicate tante
sanzioni quanti sono i lavoratori interessati ed i riposi giornalieri o
settimanali non fruiti, fermo restando quanto stabilito dall'art. 8, comma
1, L. n. 689 del 1981.
Per tale violazione non trova applicazione
l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del decreto legislativo n. 124
del 2004.
16. Ferie
annuali
La disciplina in materia di ferie è,
innanzitutto, regolata dall'art. 36, comma 3, della Costituzione, che tutela
il diritto del lavoratore ad un periodo di ferie annuali retribuite cui non
può rinunciare.
L'art. 2109, comma 2, del Codice Civile dispone
poi che la durata delle ferie è fissata dalla legge, dai contratti
collettivi, dagli usi e secondo equità; che il momento di godimento delle
ferie è stabilita dal datore di lavoro che deve tenere conto delle esigenze
dell'impresa e degli interessi del lavoratore; che il periodo feriale deve
essere possibilmente continuativo; che il periodo feriale deve essere
retribuito.
Oltre a quanto sopra indicato la Convenzione OIL
n. 132 del 24 giugno 1970 (ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 157)
prevede un periodo di ferie minimo di tre settimane di cui due da godere
ininterrottamente. Inoltre, dispone che la fruizione del periodo
bisettimanale "dovrà essere accordata e usufruita entro il termine di un
anno al massimo, e il resto del congedo annuale pagato entro il termine di
diciotto mesi, al massimo, a partire dalla fine dell'anno che dà diritto al
congedo". Inoltre, "ogni parte di congedo annuale che superi un minimo
stabilito potrà, con il consenso della persona impiegata interessata, essere
rinviata, per un periodo limitato, oltre i limiti indicati" in precedenza.
La Corte costituzionale, con sentenza 19
dicembre 1990, n. 543, ha, fra l'altro, affermato che il godimento
infra-annuale dell'intero periodo di ferie deve essere contemperato con le
esigenze di servizio che hanno carattere di eccezionalità o comunque con
esigenze aziendali serie.
In questo quadro normativo si è inserito il
decreto legislativo 66 del 2003 che ha disposto che "il prestatore di lavoro
ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro
settimane".
Quindi, nel caso di fruizione di un periodo
feriale consecutivo di quattro settimane, tale periodo equivale a 28 giorni
di calendario.
Con il decreto legislativo n. 66 del 2003 è
stata introdotto per la prima volta in Italia, in modo espresso, il divieto
di monetizzare il periodo di ferie corrispondente alle quattro settimane
previste dalla legge, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro
nel corso dell'anno. Per quanto riguarda i contratti a tempo determinato, di
durata inferiore all'anno, è quindi sempre ammissibile la monetizzazione
delle ferie.
L'impossibilità di sostituire il godimento delle
ferie con la corresponsione dell'indennità sostitutiva è operante per la
quota di ferie maturata a partire dal giorno dell'entrata in vigore del
decreto legislativo n. 66 del 2003, ossia dal 29 aprile 2003.
Nei casi di sospensione del rapporto di lavoro
che rendano impossibile fruire delle ferie secondo il principio della
infra-annualità, le stesse dovranno essere godute nel rispetto del principio
dettato dall'art. 2109 cod civ, espressamente richiamato nell'art. 10 del
decreto legislativo n. 66 del 2003, ossia "nel tempo che l'imprenditore
stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del
prestatore di lavoro".
Il legislatore delegato ha, ora, dettato una
specifica disciplina sul punto, in forza della quale si possono distinguere
3 periodi di ferie.
Un primo periodo, di almeno due settimane, da
fruirsi in modo ininterrotto nel corso dell'anno di maturazione, su
richiesta del lavoratore. La richiesta del lavoratore dovrà essere
inquadrata nel rispetto dei principi dell'art. 2109 del Codice Civile.
Pertanto, anche in assenza di norme contrattuali, dovrà essere formulata
tempestivamente, in modo che l'imprenditore possa operare il corretto
contemperamento tra le esigenze dell'impresa e gli interessi del prestatore
di lavoro.
La contrattazione collettiva e la specifica
disciplina per le categorie di cui all'articolo 2 comma 2 possono disporre
diversamente. Allo scadere di tale termine, se il lavoratore non ha goduto
del periodo feriale di due settimane, il datore sarà passibile di sanzione.
Il periodo cui si riferisce la violazione è
quello di due settimane. sarà sufficiente che il lavoratore non abbia goduto
anche solo di una parte di detto periodo perché il datore di lavoro sia
considerato soggetto alla sanzione indicata, anche nelle ipotesi in cui il
godimento di detto congedo annuale sia in corso di godimento in quanto il
periodo deve essere fruito nel corso dell'anno di maturazione e non oltre il
termine di esso.
Un secondo periodo, di due settimane, da fruirsi
anche in modo frazionato ma entro 18 mesi dal termine dell'anno di
maturazione, salvi i più ampi periodi di differimento stabiliti dalla
contrattazione collettiva. Nell'ipotesi in cui la contrattazione stabilisca
termini meno ampi per la fruizione di tale periodo (ad esempio nel settore
del pubblico impiego ove il termine è di 6 mesi) il superamento di questi
ultimi, quando sia comunque rispettoso del termine dei 18 mesi, determinerà
una violazione esclusivamente contrattuale.
Un terzo periodo, superiore al minimo di 4
settimane stabilito dal decreto, potrà essere fruito anche in modo
frazionato ma entro il termine stabilito dall'autonomia privata dal momento
della maturazione. Questo ultimo periodo può essere monetizzato tenendo
conto, per il settore del pubblico impiego, delle previsioni dettate al
riguardo.
Per tale violazione non trova applicazione
l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del decreto legislativo n. 124
del 2004.
Personale
dipendente da aziende autoferrotranviarie. Regime sanzionatorio
Con riferimento al decreto legislativo n. 213
del 2004, correttivo delle disposizioni del decreto legislativo n. 66 del
2003, e, segnatamente, alla predisposizione di apposite sanzioni (v. art. 1,
lett. f), relative, in particolare, alla violazione delle norme sulla durata
del riposo giornaliero (art. 18 bis, comma 4, del D.lgs n. 66 del 2003), sul
riposo settimanale (art. 18 bis, comma 4) e sulla durata del lavoro notturno
(art. 18, comma 7), è necessario chiarire che, in virtù della speciale
disciplina applicabile al settore autoferrotranviario, ove ricorrano le
fattispecie predette, continuano a trovare attuazione le sanzioni previste
dall'art. 11 del R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328 e dall'art. 14 della legge
n. 138 del 1958 (disposizione quest'ultima applicabile al solo personale
mobile dei servizi automobilistici di linea extraurbani), in virtù
dell'espresso richiamo effettuato a tali provvedimenti di legge nell'art.
19, comma 3, dello stesso decreto legislativo. n. 66 del 2003.
18. Lavoro notturno
Gli articoli dall'11 al 15, in materia di lavoro
notturno, riprendono in larga misura il contenuto del decreto legislativo n.
532 del 1999 con il quale era stata data attuazione alla delega conferita al
Governo dall'art. 17, comma 2 della legge n. 25 del 1999, nonché alla
direttiva 93/104.
La normativa di cui ai citati articoli non si
allontana, sostanzialmente, da quella del 1999, ma viene riordinata e
razionalizzata.
Definizione di
lavoro e di lavoratore notturno
Il lavoro notturno è quello prestato in un
periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la
mezzanotte e le cinque del mattino.
Quindi il lavoro notturno è quello svolto tra le
24 e le 7, ovvero tra le 23 e le 6, ovvero tra le 22 e le 5,
indipendentemente dalla eventuale maggiorazione retributiva prevista dalla
contrattazione collettiva.
Il lavoratore notturno è il lavoratore che
svolge, durante il periodo notturno, almeno tre ore del suo tempo di lavoro
giornaliero impiegato in modo normale; è, inoltre, lavoratore notturno anche
colui che svolge durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario
di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro.
Qualora la disciplina collettiva nulla stabilisca sul punto è considerato
lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga, durante il periodo
notturno almeno una parte del suo tempo di lavoro giornaliero, per un minimo
di 80 giorni lavorativi all'anno.
Quest'ultimo criterio di definizione del
lavoratore notturno non va a sovrapporsi con il primo in quanto prende in
considerazione lo svolgimento di una prestazione lavorativa in parte
esercitata durante il periodo notturno, a prescindere che l'attività in
oggetto rientri nell'orario normale di lavoro. Quindi, deve considerarsi
lavoratore notturno anche colui che non sia impiegato in modo normale
durante il periodo notturno ma che, nell'arco di un anno, svolga almeno 80
giorni di lavoro notturno. Ad esempio se al lavoratore è richiesto lo
svolgimento, per esigenze contingenti, di prestazioni durante il periodo
notturno, tale prestatore è considerato lavoratore notturno ai fini della
disciplina in oggetto se detto periodo, anche frazionato, abbia durata di
almeno 80 giorni lavorativi nell'arco temporale di un anno solare.
Ove il limite degli 80 giorni venga superato in
ragione del sopravvenire di eventi eccezionali e straordinari (gravi
incidenti agli impianti o nell'esercizio di particolari servizi, calamità
naturali), non potrà configurarsi la fattispecie in esame.
Il suddetto limite minimo è riproporzionato in
caso di lavoro a tempo parziale.
Il lavoratore, per poter svolgere prestazioni di
lavoro notturno, deve esserne ritenuto idoneo mediante accertamento ad opera
delle strutture sanitarie pubbliche competenti o per il tramite del medico
competente.
I lavoratori notturni, la cui idoneità sia già
stata verificata ai sensi della legge previgente, non devono essere
sottoposti ad un nuovo accertamento.
Oltre a questa iniziale valutazione che deve
precedere l'esecuzione di prestazioni di lavoro notturno, lo stato di salute
dei lavvoratori notturni deve essere periodicamente verificato. La
periodicità di tali controlli è individuata dal legislatore in almeno due
anni. I controlli potranno essere più frequenti sia nel caso in cui il
medico competente abbia prescritto una periodicità inferiore sia nel caso in
cui siano mutati i rischi relativi alle lavorazioni cui il lavoratore è
addetto.
Tali controlli devono essere effettuati dalle
competenti strutture sanitarie pubbliche, o dal medico competente di cui
all'articolo 17 del decreto legislativo n. 626 del 1994. In ogni caso tali
controlli devono avvenire a cura e spese del datore di lavoro.
Limitazioni al
lavoro notturno
L'esecuzione di prestazioni di lavoro notturno è
obbligatoria per i lavoratori idonei fatto salvi i casi di divieto o di
esclusione dall'obbligo di eseguire la prestazione.
È vietato adibire al lavoro dalle 24 alle 6 le
donne in gestazione dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al
compimento di un anno di età del bambino o, comunque, dal momento in cui il
datore di lavoro ha avuto conoscenza della fattispecie generatrice del
divieto.
Alcuni lavoratori hanno facoltà di non prestare
lavoro notturno dandone comunicazione, in forma scritta, al datore di lavoro
entro 24 ore precedenti al previsto inizio della prestazione. Il datore ha
facoltà di accettare la comunicazione del rifiuto avvenuta in un termine
inferiore rispetto a quello previsto.
L'individuazione dei requisiti dei lavoratori
che determinano l'insorgere della facoltà sono stabiliti dai contratti
collettivi. Il decreto prevede, inoltre, che abbiano facoltà di rifiutarsi
di prestare lavoro notturno:
la lavoratrice subordinata, madre di un figlio
di età inferiore di tre anni o, qualora la stessa non abbia esercitato la
facoltà di rifiutare l'esecuzione di prestazioni di lavoro notturno, il
lavoratore padre convivente che sia anch'esso lavoratore subordinato;
l'unico genitore affidatario e convivente di un minore di età inferiore a 12
anni; coloro che abbiano a loro carico un soggetto disabile ai sensi della
legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate .
Obblighi di
comunicazione
Il datore di lavoro ha l'obbligo di comunicare
per iscritto, annualmente, l'esecuzione di lavoro notturno continuativo
oppure compreso in turni periodici regolari.
La comunicazione deve essere effettuata ai
servizi ispettivi della DPL competente e alle organizzazioni sindacali
titolari del diritto ad essere consultate al fine dell'introduzione del
lavoro notturno.
Se il contratto collettivo applicato in azienda
disciplina in modo specifico l'esecuzione di lavoro notturno continuativo
oppure compreso in turni periodici regolari, non sorge l'obbligo di
comunicazione.
Durata della
prestazione
Ai sensi dell'articolo 13 del D.Lgs. n. 66/2003,
per tutti i lavoratori notturni, l'orario non può superare le 8 ore, in
media, nell'arco di 24 ore calcolate dal momento di inizio dell'esecuzione
della prestazione lavorativa.
Tale limite costituisce, data la sua
formulazione, un media fra ore lavorate e non lavorate pari ad 1/3 (8/24)
che, in mancanza di una esplicita previsione normativa, può essere applicato
su di un periodo di riferimento pari alla settimana lavorativa – salva
l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un
periodo più ampio sul quale calcolare detto limite – considerato che il
Legislatore ha in più occasioni adoperato l'arco settimanale quale parametro
per la quantificazione della durata della prestazione (vedi ad esempio gli
articoli 3 e 4 del D.Lgs. n. 66/2003 in materia di orario normale di lavoro
e orario medio).
Per il settore della panificazione industriale
la media su cui calcolare il limite di durata della prestazione lavorativa è
riferito, comunque, alla settimana lavorativa e, pertanto, la norma si
configura quale limite alla contrattazione collettiva di estendere
ulteriormente il periodo di riferimento sul quale calcolare l'orario di
lavoro.
Inoltre, conformemente alla direttiva 93/104/CE,
per alcune lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti
tensioni fisiche o mentali, il limite orario è di otto ore nel corso di ogni
periodo di 24 ore. In questo caso il limite è fisso e non va considerato
come media.
L'individuazione di tali lavorazioni è rimessa
ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali – di
concerto col Ministro per la funzione pubblica per quanto riguarda, in modo
non esclusivo, i pubblici dipendenti – previa consultazione delle
organizzazioni sindacali nazionali dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Per le materie di esclusivo interesse dei
pubblici dipendenti il decreto è adottato dal ministro della funzione
pubblica di concerto col Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
La durata massima della settimana lavorativa non
potrà, quindi, superare le 48 ore comprensive delle ore di straordinario,
tenendo presente che queste ultime non potranno essere superiori, in assenza
di determinazioni collettive, di 250 ore annue.
Nel computo della media su cui calcolare il
limite delle 8 ore non si deve tener conto del periodo di riposo minimo
settimanale quando questo ricade nel periodo di riferimento stabilito dai
contratti collettivi.
Trasferimento
al lavoro diurno
Qualora sopraggiungano condizioni di salute che
comportino l'inidoneità alla prestazione di lavoro notturno il lavoratore
può essere trasferito al lavoro diurno.
La sopraggiunta inidoneità deve essere accertata
dalle competenti strutture sanitarie pubbliche o dal medico competente.
Il decreto dispone che il trasferimento al
lavoro notturno è subordinato alla esistenza e alla disponibilità di un
posto di lavoro la cui esecuzione sia relativa a mansioni equivalenti a
quelle svolte. In mancanza di tali condizioni il datore di lavoro ha facoltà
di risolvere il rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo.
Alla contrattazione collettiva è attribuita la
facoltà di definire le modalità di applicazione delle disposizioni
illustrate in materia di trasferimento al lavoro diurno e di individuare le
soluzioni per le ipotesi in cui manchino le condizioni per l'assegnazione al
lavoro diurno del prestatore di lavoro notturno.
Quindi, mentre il decreto legislativo n. 532 del
1999 stabiliva che il trasferimento al lavoro diurno o ad altra mansione era
automatico, con la nuova disciplina tale trasferimento è vincolato alla
disponibilità in azienda, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione
collettiva che potrà ricercare anche soluzioni alternative in caso di
inesistenza di altro posto di lavoro disponibile.
L'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n.
66 del 2003, come modificato dall'art. 1, comma 1 lett. e), del decreto
legislativo n. 213 del 2004, stabilisce che "la valutazione dello stato di
salute dei lavoratori notturni deve avvenire a cura e a spese del datore di
lavoro, o per il tramite delle competenti strutture sanitarie pubbliche di
cui all'articolo 11 o per il tramite del medico competente di cui
all'articolo 17 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e successive
modificazioni, attraverso controlli preventivi e periodici, almeno ogni due
anni, volti a verificare l'assenza di controindicazioni al lavoro notturno a
cui sono adibiti i lavoratori stessi".
Sotto il profilo della quantificazione della
sanzione, applicata con riferimento ad "ogni giorno e per ogni lavoratore
adibito al lavoro notturno oltre i limiti previsti", non sembra possibile,
anche sulla base dell'orientamento giurisprudenziale prevalente, applicare
in tali ipotesi l'articolo 8, comma 1, della legge n. 689 del 1981 che
prevede l'istituto del concorso formale. In tal caso, infatti, si è in
presenza di un c.d. precetto a struttura pluralistica per il quale il
legislatore ha ritenuto opportuno commisurare la sanzione al numero dei
lavoratori ed alle giornate lavorative e l'eventuale applicazione della
l'istituto del concorso formale vanificherebbe in sostanza la volontà del
legislatore stesso.
Per tale violazione trova applicazione
l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del decreto legislativo n. 124
del 2004.
20. Deroghe
alla disciplina in materia di riposo giornaliero, pause, lavoro notturno,
durata massima settimanale.
La norma recepisce una serie di disposizioni
contenute nella direttiva 93/104/CE come modificata dalla direttiva
2000/34/CE.
Si tratta di una serie di deroghe alle norme
contenute nello stesso decreto legislativo in materia di riposo giornaliero
(art. 7), pause (art. 8), modalità di organizzazione del lavoro notturno
(art. 12), durata del lavoro notturno (art. 13).
La derogabilità è affidata alla previsione dei
contratti collettivi nazionali (comma 1) ovvero, ove abilitata da questi
ultimi, anche alla contrattazione collettiva di secondo livello.
In mancanza di contrattazione, ovvero qualora
non risultasse possibile definire alcun accordo, è previsto che le deroghe
possano essere adottate con decreto del Ministero del lavoro, su richiesta
delle OO.SS. nazionali di categoria comparativamente più rappresentative,
ivi compresa la eventuale previsione di un periodo di riferimento più ampio
di un quadrimestre, ma contenuto nel periodo di sei mesi, ai fini del
calcolo della media della durata massima dell'orario settimanale.
Sempre mediante decreto del Ministero del lavoro
e alle condizioni di cui al comma 2 dell'articolo in esame, si può derogare
alla disciplina del riposo giornaliero nelle ipotesi di cui alle lettere a)
e b) del comma 3.
Infine, sempre nel rispetto dei principi
generali di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, viene
previsto (comma 5) che gli artt. 3 (orario normale di lavoro), 4 (durata
massima dell'orario di lavoro), 5 (lavoro straordinario), 7 (riposo
giornaliero), 8 (pause), 12 (modalità di organizzazione del lavoro notturno)
e 13 (durata del lavoro notturno) non trovano applicazione nei confronti dei
lavoratori e delle prestazioni di cui alle lettere a), b), c) e d) del
richiamato comma 5 che, essendo delle esemplificazioni, come lascia
intendere l'espressione "in particolare", non sono ipotesi tassative.
Relativamente alla categoria di lavoratori di
cui alla lettera a) del citato comma 5 (dirigente, personale direttivo
aziendale o di altre persone aventi potere di decisione autonomo) non può
sottacersi – come del resto già fatto presente con circolare n. 10 del
15/2/2000 – che nell'ampia formulazione della norma trovano ingresso nuove
figure professionali che, sebbene prive di potere gerarchico, conservano,
nel disimpegno delle loro attribuzioni, ampia possibilità di iniziativa, di
discrezionalità e di determinazione autonoma sul proprio tempo di lavoro.
Più in generale, si ritiene, poi, che la deroga
al limite delle 48 ore settimanali riguardi anche quelle attività le cui
peculiarità non consentono di predeterminarne la durata.
Si tratta di attività nelle quali la
professionalità dei lavoratori, dotati di competenze specialistiche, è
condizione essenziale per il funzionamento del servizio, di modo che
l'attività del personale impegnato, talora anche a ragione della continuità
del servizio offerto, reso in alcuni casi anche all'esterno dell'azienda, si
concreta in una serie di interventi che non consentono la pianificabilità,
in termini di tempo, del lavoro necessario al funzionamento del servizio.
21. I lavoratori a bordo di navi da pesca
marittima
La disciplina dell'orario di lavoro dei
lavoratori imbarcati su navi da pesca marittima è contenuta nell'articolo 18
del decreto e differisce da quella dei lavoratori imbarcati su navi da
trasporto.
La durata dell'orario di lavoro è di 48 ore
settimanali medie calcolate su un periodo di riferimento di un anno. I
contratti collettivi possono stabilire una durata diversa nei limiti
stabiliti dal decreto. In particolare, la prestazione lavorativa non può
essere eseguita per un periodo superiore a 14 ore nell'arco di 24 ore.
Il periodo di riposo non potrà essere inferiore
a 10 ore nell'arco di 24 ore. Quindi, il lavoratore che inizia a lavorare
alle 08.00 dovrà cessare la sua attività entro le 22.00 del giorno stesso e
non potrà riprendere a lavorare prima delle 08.00 del giorno successivo.
A questi limiti si sommano quelli settimanali,
in forza dei quali non possono essere superate 72 ore settimanali di lavoro
e devono essere godute almeno 77 ore di riposo.
Le ore di riposo possono essere godute in modo
anche non continuativo ma suddivise in due periodi, in questo caso uno dei
due periodi di riposo non deve essere inferiore a sei ore e tra un periodo
di riposo e l'altro non devono trascorrere più di 14 ore. Quindi, ad
esempio, un lavoratore che inizia a svolgere la sua prestazione alle 08.00
potrebbe cominciare a fruire di un periodo di riposo alle 21.00 per 6 ore.
Quindi riprendere a svolgere la restante ora di prestazione dalle 03.00 alle
4.00 e fruire del rimanente periodo di riposo di 4 ore fin alle 08.00.
A questi lavoratori non si applicano le
disposizioni contenute nel decreto per la generalità dei lavoratori in
materia di durata massima dell'orario di lavoro, di riposo giornaliero, di
pause, di riposi settimanali e di lavoro notturno. La disciplina di questi
aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro trova la propria fonte
nell'autonomia privata.
22. L'orario di lavoro nella P.A.
Il decreto legislativo n. 66/2003 si applica a
tutti i settori di attività, pubblici e privati salve le eccezioni
espressamente previste.
Nello specifico alla disciplina della durata
dell'orario normale di lavoro il decreto legislativo in questione non cambia
nulla rispetto alla legislazione e alla prassi contrattuale vigente. L'art.
3, che disciplina la materia della durata normale dell'orario di lavoro,
riprende infatti testualmente l'art. 13 della legge n. 196 del 1997, il
quale, a sua volta, dava attuazione alla intesa del 1997 tra Confindustria e
CGIL, CISL, UIL, in materia di orario di lavoro.
Stante il processo di privatizzazione del lavoro
alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche, nessun dubbio sussisteva in
merito alla applicabilità dell'art. 13 della legge n. 196 del 1997 anche ai
lavoratori del settore pubblico. Già oggi vige dunque nel settore pubblico
il principio delle 40 ore settimanali come orario normale di lavoro, fermo
restando che – secondo quanto previsto sia nella legge n. 196 del 1997 sia
nel decreto legislativo n. 66 del 2003 – "i contratti collettivi di
lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore …". Questo
è quanto avviene già oggi nel settore pubblico.
Inoltre, l'articolo 3, nella parte relativa alla
disciplina dell'orario plurisettimanale, consente alla contrattazione
collettiva di riferire l'orario normale di lavoro alla durata media delle
prestazioni lavorative in riferimento plurisettimanale. Questa disciplina è
già presente nella contrattazione collettiva del lavoro alle dipendenze
della pubblica amministrazione.
Quindi il decreto legislativo n. 66 del 2003 è
destinato a non modificare in modo importante la disciplina in materia nella
P.A. sul presupposto che non sono messe in discussione le clausole dei
contratti collettivi compatibili con la disciplina comunitaria, quali sono
appunto le clausole sulla durata della prestazione e sulla organizzazione
dell'orario di lavoro in generale.
Merita peraltro puntualizzare che in materia di
deroghe agli articoli 3, 4, 5, 7, 8, 12 e 13, di cui all'articolo 17, comma
5, tra i lavoratori cui si applicano le stesse rientrano, a titolo
esemplificativo, gli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e quelli
di supporto agli organi di direzione politica degli enti locali, in
considerazione della durata non predeterminata o predeterminabile della
prestazione lavorativa di tale personale.
L'indicazione delle figure necessarie allo
svolgimento di particolari compiti e delle esigenze di servizio per i quali
sia necessario ricorrere alla deroga di cui sopra spetta all'amministrazione
di competenza.
La deroga, comunque, è prevista al fine di
consentire una organizzazione dell'orario di lavoro compatibile con le
primarie esigenze di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
Pertanto la facoltà di deroga potrà essere esercitata solo qualora non vi
sia altro modo, quindi altra modalità organizzativa dell'orario di lavoro,
per sopperire alle esigenze indicate. Anche qualora sia esercitata la
facoltà di deroga, questa non potrà costituire un facile espediente per non
modificare l'organizzazione degli orari ma un completamento di essa.
23. Sanzioni
In base al principio di irretroattività delle
leggi che prevedono sanzioni amministrative di cui all'art. 1 della legge n.
689 del 1981, alle violazioni riferite al periodo antecedente alla data di
entrata in vigore del decreto legislativo n. 213 del 2004, sarà applicata la
sanzione prevista dalla precedente disciplina, anche se l'accertamento
avvenga in data successiva e anche nel caso di emissione di ordinanza
ingiunzione
A tal riguardo è peraltro possibile citare
quanto dettato dalla sentenza della Suprema Corte n. 16699 del 26 novembre
2002, la quale stabilisce che "in materia di illeciti amministrativi,
l'adozione del principio di legalità, di irretroattività e di divieto di
applicazione dell'analogia, risultante dall'art. 1 della L. n. 689/1981,
comporta l'assoggettamento della condotta considerata alla legge del tempo
del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina
posteriore più favorevole"; inoltre la medesima pronuncia chiarisce che la
nuova disciplina non opera "limitatamente ai rapporti non esauriti, per
essere ancora in corso i relativi procedimenti, né in relazione alle
violazioni commesse precedentemente, ma per le quali l'ordinanza ingiunzione
è stata emessa dopo l'entrata in vigore della legge, atteso che l'ordinanza
ingiunzione non è esercizio di un potere e provvedimento amministrativo
costitutivo, ma atto puramente esecutivo, preordinato soltanto alla
riscossione di un credito già sorto per effetto della violazione commessa".
Per quanto riguarda le sanzioni di carattere
penale si applicano i principi in materia.
24. Abrogazioni
Le disposizioni di legge e di regolamento in
materia di orario di lavoro sono abrogate salve quelle espressamente
richiamate dal decreto legislativo n. 66 del 2003. In particolare è da
ritenersi abrogato l'art. 12 del Rd 10 settembre 1923, n. 1955, relativo
all'obbligo di esporre in luogo accessibile a tutti i lavoratori, l'orario
di lavoro, e l Decreto ministeriale 3 agosto 1999, pubblicato sulla G.U. del
10 agosto 1999, n. 186, perché emanato in attuazione dell'art. 1, comma 2
bis, della legge n. 409 del 1998, oramai abrogata.
Roberto MARONI