A primavera, salvo imprevisti, vedremo
sbocciare il tanto atteso fiore della Riforma della Polizia. Sono occorsi
più di dieci anni per giungere a questo difficile traguardo. Diventa
perfino difficile ricordare quanti ostacoli sono stati frapposti sul lungo
percorso di una legge essenziale per lo Stato.
Il testo, cui sono state apportate ulteriori modifiche (rispetto a quello
licenziato dalla Camera nel luglio 1980) è stato già discusso dalla
Commissione Affari Costituzionali del Senato e dovrebbe essere approvato
in aula; una volta ratificata da Palazzo Madama, la legge di Riforma
dovrebbe, rapidamente tornare alla Camera per la convalida delle modifiche
apportate.
Per questa grande battaglia il Movimento democratico dei poliziotti ha
fatto la sua parte pagando un duro prezzo che non può essere ignorato:
repressione, umiliazioni, violenze contro centinaia di tutori della legge
che chiedevano solo di fare meglio il proprio mestiere ed essere più utili
alla collettività. Grazie alla loro perseveranza, al loro spirito
democratico, alla fedeltà ai loro ideali, oggi il Paese può sperare in una
Polizia più efficiente e capace di produrre sicurezza, un servizio sempre
più richiesto nel nostro Paese.
L’aver superato l’atavica separatezza fra poliziotti e cittadini, l’aver
costretto le forze politiche e sindacali ad affrontare un aspetto così
importante per la riforma dello Stato, non è stata una conquista di poco
conto.
Ai momenti eroici della storia del Movimento (come l’assemblea dell’Hilton
del 1974 a Roma, quella di Milano, di Genova, il Palasport, del
Supercinema, della Domus Pacis, tanto per ricordarne solo i più
significativi), si sono contrapposti periodi difficili durante i quali i
poliziotti hanno dovuto resistere, per evitare i colpi di chi tentava, con
ogni mezzo, di interrompere il loro cammino.
Poche categorie di lavoratori avrebbero avuto la forza di superare i tanti
ostacoli frapposti in questo decennio alla rifondazione dell’istituto di
Polizia. Né può essere dimenticato l’apporto sostanziale offerto dai molti
giuristi costituzionalisti, e magistrati che hanno sostenuto con grande
determinazione le lotte dei tutori della legge. Basti cirare, per tutti,
l’opera nobile del giudice Mario Barone, morto tre anni addietro, che fu
tra i primi animatori del Movimento.
La Riforma, finalmente, diventa legge dello Stato. I suoi contenuti non
sono certo quelli voluti dai poliziotti che proprio da queste colonne
hanno sempre manifestato critiche; i limiti di questa elaborata norma
sono, comunque, le conseguenze di taluni compromessi politici che hanno
finito per sminuirne l’importanza e la stessa funzione.
Quante promesse non sono state mantenute, in questi anni, quanti proclami
si sono dissolti nel nulla, quanti capovolgimenti di posizioni si sono
registrati. La diminuita compattezza della sinistra italiana e il riflusso
moderato nel Paese hanno pesato in maniera determinante sui risultati
ottenuti in Parlamento con la riforma della pubblica sicurezza.
Ma non serve recriminare, bisogna, invece, trovare nuova lena per
continuare la lotta. Proprio nel momento in cui leggeremo il testo sulla
Gazzetta Ufficiale, occorrerà avviare una nuova battaglia per una corretta
applicazione della legge.
“Gestire la riforma”, dovrà essere la parola d’ordine di ogni poliziotto
che crede fermamente nella sua funzione sociale. Dovremo tenere ben
presente che nel Palazzo non sono scomparsi i “falchi neri”. Dovremo
convincere ogni lavoratore di Polizia che questo non è il momento per
incrociare le braccia, per affidare deleghe a pochi. È il momento, invece,
della mobilitazione generale. Occorre una forza massiccia della base, il
contributo generoso di ognuno per edificare questa nuova Polizia.
Non mancheranno lusinghe, offerte sottobanco, auree promesse, tendenti a
dividere il personale. Comincerà la “caccia” al poliziotto, spunteranno
come funghi i “salvatori della Polizia”, “nuovi protettori” sorretti dai
soliti “compari”. Ci sarà chi cavalcherà tutte le tigri del più bieco
corporativismo, per mettere i poliziotti gli uni contro gli altri, per far
germinare una pletora di sindacati e sindacatini a capo dei quali si
porranno gerarchi e gerarchetti. Saranno in molti a speculare sulle
aspirazioni frustrate, sulle attese tradite di chi forse dalla riforma si
sente danneggiato.
Cadere in questa trappola è pericoloso poiché rischia di vanificare dieci
anni di lotte dei poliziotti.
La riforma potrà essere gestita solo se si sarà capaci di costituire un
organo di rappresentanza efficiente ed unitario: quel sindacato, appunto,
in nome del quale si è combattuto, sofferto, pagato.
Diffidare quindi degli eroi dell’ultima ora, dei falsi “puri” che si
ammantano di una falsa autonomia per nascondere equivoche
strumentalizzazioni. C’è una sola collocazione per i poliziotti ed essa è
all’interno del grande movimento dei lavoratori, al fianco della
stragrande maggioranza dei cittadini democratici.
Bisogna costruire perciò un sindacato di poliziotti, dall’interno del
quale possano emergere i quadri più qualificati e più capaci eletti e
scelti dalla base. Una autentica autonomia del sindacato si realizza solo
assicurando ad ogni poliziotto il diritto di partecipare in prima persona
alla politica del suo sindacato.
Evitiamo di annullare i contenuti ideali del Movimento, di confondere il
grande ruolo politico del sindacato con una miriade di piccole, anche se
legittime, rivendicazioni. Battiamoci prima per risolvere i problemi di
fondo della riforma, per dare più dignità al tutore della legge, per
assicurare prestigio al suo ruolo, solo così si conquisterà la fiducia e
la collaborazione del cittadino.
Non dimentichiamo qual è stata la funzione del Movimento dei poliziotti e
quali dovranno essere i compiti del nascente sindacato. Abbandonare ora
questa grande battaglia significherebbe disertare, significherebbe tradire
proprio quegli ideali che l’hanno ispirata.
|