L’ABBASSAMENTO DELLE NOTE DI QUALIFICA DEVE ESSERE
ADEGUATAMENTE MOTIVATO
–
In applicazione delle regole di correttezza (Cassazione
Sezione Lavoro n. 7138 del 16 maggio 2002, Pres. Trezza, Rel. Putaturo Donati
Viscido).
Antonio
A., dipendente della Banca di Roma con qualifica di capo ufficio, dopo avere
riportato, nel 1991 e nel 1992, note di qualifica con il giudizio “buono”, nel
1993 è stato classificato “mediocre”. Egli ha chiesto al Pretore di Bolzano di
annullare quest’ultimo giudizio, in quanto non motivato.
La
Banca di Roma si è difesa sostenendo che il peggioramento della valutazione
verificatosi per il 1993 era dovuto ad un episodio di anomalia
comportamentale, in quanto Antonio A. aveva insultato in ufficio un collega
alla presenza dei clienti e gli era stata perciò applicata una sanzione
disciplinare, non impugnata. Il Pretore ha ritenuto ingiustificata la
classificazione attribuita al lavoratore per il 1993 e la ha sostituita con
quella di “normale”, intermedia tra “buono” e “mediocre”. Questa decisione è
stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Bolzano, in
considerazione del carattere episodico della conflittualità verificatasi, per
motivi insignificanti, con un collega e già sanzionata con un provvedimento
disciplinare, accettato da Antonio A. La banca ha proposto ricorso per
cassazione, sostenendo che il Tribunale non aveva adeguatamente motivato la
sua decisione.
La
Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 7138 del 16 maggio 2002, Pres. Trezza, Rel.
Putaturo Donati Viscido) ha rigettato il ricorso, ricordando la sua costante
giurisprudenza secondo cui le note di qualifica non sono insindacabili perché
nell’emetterle il datore di lavoro deve rispettare gli obblighi di correttezza
e buona fede, motivando adeguatamente il suo giudizio; questi principi – ha
affermato la Corte – sono stati esattamente applicati dal Tribunale che non ha
ritenuto sufficientemente motivato, stante il carattere episodico della
conflittualità attribuita al lavoratore, l’abbassamento del giudizio da
“buono” a “mediocre” e pertanto ha condiviso la valutazione del Pretore
secondo cui era appropriata, nel caso in esame, la qualifica intermedia di
“normale”. Si tratta – ha concluso la Corte – di una valutazione di merito,
congruamente motivata, anche sotto il profilo logico e giuridico e pertanto
non censurabile in Cassazione.
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PER I COLLEGHI DEI REPARTI VOLO
PUO’ ESSERE RITENUTO INGIUSTIFICATO IL LICENZIAMENTO SUBITO DA UN PILOTA PER
NON AVERE ESEGUITO SUGGERIMENTI SUL VOLO CAUSANDO DANNI ALL’AEROMOBILE
–
Perché non si trattava
di ordini (Cassazione Sezione Lavoro n. 6906 del 13 maggio 2002, Pres.
Mercurio, Rel. Guglielmucci).
Michele
D., dipendente della s.r.l. Avioabruzzo con mansioni di pilota, è stato
licenziato con l’addebito di non essersi attenuto, nell’effettuare un volo di
prova, alla disposizione impartita di tenersi nell’ambito del cosiddetto
“cielo-campo” per poter atterrare agevolmente in caso di avaria, che si è in
effetti verificata costringendolo ad un atterraggio di emergenza con
conseguenti danni all’aeromobile. Egli ha impugnato il licenziamento davanti
al Pretore di Pescara sostenendo che l’indicazione datagli dall’azienda doveva
interpretarsi non come un ordine, ma come un suggerimento.
Il
Pretore ha accolto la domanda, annullando il licenziamento. Questa decisione è
stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Pescara che ha
escluso, in base all’istruttoria svolta, che si trattasse di un volo di prova
e pertanto ha ritenuto che l’indicazione data dall’azienda non costituisse una
vera e propria disposizione, ma un consiglio. Da ciò il Tribunale ha tratto la
conseguenza che il comportamento tenuto dal pilota non configurasse una grave
inadempienza, tale da giustificare il licenziamento.
La
Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 6906 del 13 maggio 2002, Pres. Mercurio, Rel.
Guglielmucci) ha rigettato il ricorso dell’azienda in quanto ha ritenuto che
il Tribunale abbia adeguatamente motivato la sua decisione.
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L’UTILIZZAZIONE IN UNA CAUSA DI LAVORO, DA PARTE DEL DIPENDENTE, DI FOTOCOPIE
DI DOCUMENTI RISERVATI AZIENDALI NON CONFIGURA VIOLAZIONE DELL’OBBLIGO DI
FEDELTA’ TALE DA GIUSTIFICARE IL LICENZIAMENTO – Si deve tener conto
delle esigenze connesse all’esercizio del diritto di difesa (Cassazione
Sezione Lavoro n. 6420 del 4 maggio 2002, Pres. Sciarelli, Rel. Balletti).
Walter
C., dipendente della Cassa di Risparmio di Fano con mansioni di direttore di
filiale, ha promosso nei confronti della banca un giudizio diretto ad ottenere
il risarcimento del danno da dequalificazione, sostenendo di avere subito una
sottrazione di mansioni. Per dimostrare il torto subito egli ha prodotto
fotocopie di alcuni atti interni della Banca relativi a pratiche per la
concessione o l’ampliamento di fidi. La Banca lo ha sottoposto a procedimento
disciplinare con l’addebito di avere violato l’obbligo di fedeltà producendo
documenti riservati e lo ha quindi licenziato.
Walter
C. ha impugnato il licenziamento davanti al Pretore di Ancona, che ha
rigettato la domanda. Questa decisione è stata confermata, in grado di
appello, dal Tribunale di Ancona, che ha ritenuto che il comportamento tenuto
dal lavoratore sottraendo documenti aziendali riservati, fosse idoneo a ledere
in modo insanabile il rapporto di fiducia con il datore di lavoro; secondo il
Tribunale, il lavoratore avrebbe dovuto limitarsi a chiedere al Giudice di
ordinare alla Banca l’esibizione dei documenti in base agli articoli 118 e 210
cod. proc. civ.. Walter C. ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo tra
l’altro di aver dovuto produrre le fotocopie per tutelare i propri diritti e
di non avere danneggiato l’azienda.
La
Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 6420 del 4 maggio 2002, Pres. Sciarelli, Rel.
Balletti) ha accolto il ricorso, osservando, in primo luogo, che,
contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, il lavoratore non aveva
sottratto i documenti, ma si era limitato a fotocopiarli, tenendo perciò un
comportamento diverso e meno grave di quello addebitatogli. Per quanto
riguarda l’addebito di violazione del dovere di riservatezza, la Corte ha
ricordato che l’art. 2105 cod. civ., pone a carico del dipendente l’obbligo di
fedeltà, vietandogli di compiere atti di concorrenza nei confronti del datore
di lavoro e di divulgare notizie attinenti all’organizzazione ed ai metodi di
produzione dell’impresa o di farne uso in modo da poter recare ad essa
pregiudizio. Questa norma – ha osservato la Corte – in applicazione dei
principi costituzionali, deve essere interpretata tenendo conto anche dei
diritti del lavoratore ed in particolare del suo diritto di difesa, garantito
dall’art. 24 Cost., come è dato desumere anche dalla recente normativa in
materia di tutela della privacy: l’art. 12 della legge n. 675/1996 prevede
espressamente che il consenso dell’interessato per il trattamento di dati
personali da parte di privati o di enti pubblici economici non è richiesto
quando detto “trattamento” sia necessario “per fare valere o difendere un
diritto in sede giudiziaria sempre che i dati siano trattati esclusivamente
per finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”.
Pertanto – ha affermato la Corte – il Tribunale di Ancona ha errato nel
ritenere il lavoratore passibile della sanzione del licenziamento, anche
perché la produzione in giudizio di fotocopie di documenti non comporta una
vera e propria divulgazione di notizie essendo esse inserite nel fascicolo di
parte, che è consultabile solo dal Giudice e dalla controparte.
La
Corte, pronunciando nel merito, ha annullato il licenziamento ordinando la
reintegrazione di Walter C. nel posto di lavoro