Le fasce orarie di reperibilità per il controllo sono applicabili in caso di assenza del lavoratore per infermità causata da infortunio sul lavoro - La materia può essere validamente disciplinata dal contratto collettivo - L’art. 14 terzo comma Cost. prevede una generale riserva di legge per la disciplina dei controlli delle infermità del lavoratore (“gli accertamenti e le ispezioni  … sono regolati da leggi speciali”). E, come osservato dalla dottrina, l’art. 5 secondo comma della legge 20 maggio 1970 n. 300 (“il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda”) ha soddisfatto questa riserva. Ed è incontestato che la norma, disciplinando il controllo delle assenze per “infermità” (quale temporaneo impedimento), riguardi anche l’ipotesi  in cui l’infermità dipenda da infortunio sul lavoro. Ad una più specifica finalità sono dirette le c.d. fasce orarie di reperibilità. Introdotte (con norma programmatica) dall’accordo interconfederale del 26 gennaio 1977, applicate poi da alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro (come in materia tessile), le fasce orarie sono state legislativamente previste, quale formale attuazione del protocollo triangolare (d’intesa sul costo del lavoro) del 22 gennaio 1983 (attuazione diretta a contrastare il contingente fenomeno dell’assenteismo per micromorbilità pretestuosa), solo per le “infermità” determinate da malattia: non per quelle determinate da infortuni sul lavoro.
         Deve ritenersi che l’obbligo di disponibilità del lavoratore assente per infortunio sul lavoro, pur non direttamente disciplinato dalle fasce orarie previste dall’indicata normativa, sia legittimamente regolabile dal contratto collettivo (la legittimità di un’eventuale norma collettiva che abbia questo contenuto è condivisa da Cass. 30 gennaio 2002 n. 1247). Ciò discende in primo luogo dall’oggetto di quest’obbligo. Per tale oggetto, le fasce orarie disciplinate dalle disposizioni precedentemente indicate (ed ogni altra, pur disciplinata da norma collettiva) non rientrano nello spazio della riserva di legge, costituzionalmente garantita. Ed invero, questa riserva attiene all’accertamento in sé, come attività dell’organo che ha la relativa funzione; la sua ragione normativa è la natura “invasiva” dell’accertamento, nei confronti della sfera del singolo: la positiva penetrazione in uno spazio (l’infermità, nonché il corpo e la mente, che ne sono sede), il quale, riguardando, come sofferta intimità la dignità dell’individuo (anche nei suoi potenziali riflessi familiari, professionali e sociali), esige adeguata corrispondente riservatezza. Ed è ben evidente (come ragione della riserva) la necessità che questa penetrazione sia regolata da una norma di legge: adeguata attuazione della riserva e della relativa ragione, la legge ha poi assegnato la gestione dell’accertamento ad un istituto pubblico, al fine di garantirne la necessità e le modalità. La disponibilità nelle fasce orarie previste per la visita di controllo ha un diverso più limitato oggetto: il comportamento del lavoratore (rendersi reperibile in particolari limitati spazi della giornata, per consentire la visita), quale fatto propedeutico, necessario per l’accertamento. Il controllo è un fatto attivo (del terzo) nei confronti del singolo; la reperibilità è un fatto passivo (del singolo) nei confronti del controllo. In tal modo, nei confronti d’una norma collettiva, che disciplini attraverso fasce orarie la disponibilità del lavoratore al controllo di infermità causate da infortuni sul lavoro, la preclusione ex art. 14 terzo comma Cost. (ravvisata da Cass. 2 giugno 1998 n. 5414), investendo un oggetto diverso dalla disponibilità, non sussiste. Da altra angolazione, è poi da osservare che la disciplina delle fasce orarie non solo non rientra nell’indicata preclusione, bensì è fondata su una doverosa disponibilità del lavoratore al controllo dell’infermità. Ed invero, questo controllo è un diritto del datore, previsto dall’art. 5 secondo comma della legge 20 maggio 1970 n. 300; e questi, creditore  della prestazione, ha indubbio interesse ad accertare non solo la giustificazione della temporanea sospensione dell’adempimento adotta dal lavoratore, bensì la situazione patologica del lavoratore stesso, quale potenziale fattore d’una propria responsabilità. A tale diritto corrisponde il simmetrico obbligo del lavoratore ( unico strumento di attuazione di quel diritto). E, in assenza d’un termine  l’adempimento di questo obbligo sarebbe immediatamente esigibile (articolo 1183 primo comma cod. civ.). Temporale delimitazione dell’obbligo, le fasce orarie costituiscono, come anche la dottrina ha osservato, una prescrizione a favore del lavoratore (è da aggiungere che le sanzioni previste per l’inadempimento hanno la loro giustificazione – quale simmetrico compenso – anche in questa favorevole delimitazione). Da più generale angolazione, quest’obbligo di reperibilità è poi parte del più generale obbligo di correttezza e buona fede, immanente a tutto lo svolgimento del rapporto obbligatorio (come ad es., per gli artt. 1175, 1358, 1366, 1375 cod.civ.) (Cassazione Sezione Lavoro n. 15773 del 9 novembre 2002, Pres. D’Angelo, Rel. Cuoco).

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Il lavoratore che non abbia goduto delle ferie ha diritto, oltre che all’indennità sostitutiva, avente natura retributiva, al risarcimento del danno - Per la perdita di “cura”personale, familiare e sociale - L’indennità dovuta al lavoratore per ferie non godute ha natura retributiva e non risarcitoria. Il mancato godimento delle ferie comporta infatti la prestazione di attività lavorativa contrattualmente non dovuta ed irreversibilmente prestata. Poiché il datore di lavoro non può restituire l’indebita prestazione ricevuta egli è obbligato, in base agli articoli 1463 e 2037 cod. civ., al pagamento di una somma, corrispondente alla retribuzione, che costituisce l’indennità sostitutiva. Oltre che a questa somma il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno per la lesione del suo diritto al godimento delle ferie, in termini di perdita di “cura”personale (energie psico-fisiche e tempo libero) familiare e sociale. Per realizzare questo diritto egli deve tuttavia dare la prova del danno. Da tale risarcimento il datore di lavoro può essere esonerato ove provi che il suo inadempimento sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (Cassazione Sezione Lavoro n. 15776 del 9 novembre 2002, Pres. Sciarelli, Rel. Cuoco).
 
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