Il dirigente non apicale ha diritto alla preventiva contestazione
dell’addebito in caso di licenziamento disciplinare – In base all’art. 7 St. Lav.
– In base all’art. 7 St. Lav., il
licenziamento disciplinare deve ritenersi illegittimo se non sia stato preceduto
dalla contestazione per iscritto dell’addebito e non sia stata data al
lavoratore la possibilità di difendersi. Nel caso di licenziamento di un
dirigente per mancanza, le garanzie previste dall’art. 7 St. Lav. non si
applicano se l’interessato abbia una posizione apicale o di vertice. La
procedura deve essere invece rispettata nel caso di licenziamento di dirigenti
in posizione sottordinata (Cassazione Sezione Lavoro n. 5471 del 16 aprile 2002,
Pres. Dell’Anno, Rel. Filadoro).
___________________
E’ IL GIUDICE ORDINARIO CHE DEVE DECIDERE SULLA DOMANDA DI RISARCIMENTO DEL
DANNO PROPOSTA CONTRO LO STATO ITALIANO DA UN MEDICO PER LA MANCATA
REMUNERAZIONE DURANTE LA SPECIALIZZAZIONE – In
seguito al ritardo nella attuazione di direttive comunitarie (Cassazione Sezioni
Unite Civili n. 5125 del 10 aprile 2002, Pres. Baldassarre, Rel. Preden).
Il
dott. Luca G. ha frequentato, nel periodo 1986-1989, un corso universitario di
specializzazione medica senza percepire alcuna remunerazione. All’epoca infatti,
lo Stato italiano non aveva dato esecuzione alle direttive dell’Unione Europea
n. 363 del 16.6.1975 e n. 76 del 26.1.1982, che prevedono il diritto dello
specializzando a un’adeguata remunerazione. Questo diritto è stato riconosciuto
dallo Stato italiano soltanto con il decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257, a
far tempo dall’anno accademico 1991-1992. Nel giugno del 1995 il dott. Luca G.
ha promosso nei confronti della Repubblica Italiana, davanti al Tribunale di
Firenze, un giudizio diretto ad ottenere il risarcimento del danno per la
mancata esecuzione, nel periodo precedente al 1991, delle direttive europee
relative alla remunerazione degli specializzandi; egli ha chiesto l’attribuzione
di una somma pari all’importo della remunerazione che avrebbe conseguito qualora
le direttive fossero state tempestivamente recepite. Il Tribunale ha rigettato
la domanda, ma la sua decisione è stata integralmente riformata in grado di
appello. La Corte d’Appello di Firenze ha applicato la giurisprudenza della
Corte di Giustizia europea secondo cui gli Stati membri sono responsabili per i
danni derivati ai singoli a causa di violazioni del diritto comunitario, anche
nel caso in cui la violazione sia riferibile al legislatore nazionale; pertanto
la Corte ha condannato la Repubblica Italiana a risarcire al dott. Luca G. il
danno subito. Lo Stato italiano ha proposto ricorso per cassazione sostenendo,
tra l’altro, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, per
inconfigurabilità di un diritto soggettivo del cittadino al risarcimento per
mancata attuazione delle direttive comunitarie. Il ricorso è stato assegnato
alle Sezioni Unite delle Suprema Corte per la sola decisione sulla questione
della giurisdizione.
La
Suprema Corte (Sezioni Unite Civili n. 5125 del 10 aprile 2002, Pres.
Baldassarre, Rel. Preden) ha rigettato, sul punto, il ricorso, richiamando i
principi enunciati con la sentenza n. 500 del 1999
secondo cui al cittadino compete, nei confronti della pubblica
amministrazione, il diritto al risarcimento del danno anche nel caso di lesione
di un interesse legittimo; pertanto – ha affermato la Corte – la questione deve
essere decisa dal giudice ordinario, cui compete stabilire se il cittadino abbia
subito un danno ingiusto, risarcibile in base all’art. 2043 cod. civ.
Testo integrale della sentenza della Suprema Corte,
Sezioni Unite Civili n. 500 del 22 luglio 1999 che
ha riconosciuto il diritto del cittadino al risarcimento del danno anche per la
lesione degli interessi legittimi da parte della pubblica amministrazione, ove
questa si sia comportata scorrettamente
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Ferdinando ZUCCONI GALLI FONSECA
Primo
Presidente
Dott. Franco BILE
Presidente
di Sezione
Dott. Antonio IANNOTTA
Presidente di Sezione
Dott. Francesco AMIRANTE
Presidente
di Sezione
Dott. Vincenzo CARBONE
Consigliere
Dott. Rafaele CORONA
Consigliere
Dott. Giovanni OLLA
Consigliere
Dott. Alfio FINOCCHIARO
Consigliere
Dott. Roberto PREDEN
Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
COMUNE DI FIESOLE, in persona del Sindaco pro-tempore
elettivamente domiciliato in ROMA, Lungotevere Michelangelo n.9, presso lo
Studio dell’avvocato Gian Marco Grez, rappresentato e difeso dall’avvocato
Fausto Falorni, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente-
contro
VITALI GIORGIO, elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Mellini 39, presso lo studio dell'avvocato Maurizio Marucchi, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Feri, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente-
per regolamento preventivo di giurisdizione in
relazione al giudizio pendente n. 2186/96 del Tribunale di Firenze;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/03/99 dal Consigliere Dott. Roberto Preden;
uditi gli Avvocati Fausto FALORNI, per il ricorrente,
Giorgio VITALI, per se stesso;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.
Paolo DETTORI che ha concluso per la giurisdizione del giudice ordinario.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 1°.4.1996, Giorgio
Vitali conveniva davanti al Tribunale di Firenze il Comune di Fiesole per
sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti al mancato
inserimento, nel piano regolatore generale adottato dal Comune con deliberazione
del 16.7.1971, tra le zone edificabili, dell'area di proprietà dell'istante
oggetto di convenzione di lottizzazione stipulata con l'ente locale il 3.6.1964.
Deduceva che il detto P.R.G. era stato annullato dal Consiglio di Stato,
con decisione del 22.1.1990, per difetto di motivazione circa le ragioni che
avevano indotto l'amministrazione a disattendere la convenzione. Sosteneva che,
pur essendo venuta meno, per effetto di successiva variante del P.R.G. adottata
nel 1984, la possibilità di realizzare la convenzione, dovevano essere risarciti
i pregiudizi economici subiti nel periodo di vigenza del piano originario, che
aveva illegittimamente impedito la realizzazione della lottizzazione.
Il Comune resisteva ed eccepiva il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario.
Nel corso del giudizio il Comune ha proposto regolamento
preventivo di giurisdizione.
Ha resistito con controricorso il Vitali.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l'istanza di regolamento preventivo
deduce il ricorrente che la domanda di risarcimento del danno conseguente al
mancato inserimento nel P.R.G. del Comune di Fiesole, adottato nel 1971, tra le
zone edificabili, dell’area di proprietà del resistente oggetto di precedente
convenzione di lottizzazione, stipulata nel 1964, è improponibile per difetto
assoluto di giurisdizione.
Premette il ricorrente, in punto di fatto, che, giusta
variante al P.R.G. approvata nel 1984, per l'area di proprietà del Vitali era
stata prevista destinazione incompatibile con l'attuazione delle lottizzazione;
che il P.R.G. del 1971 era stato riadottato dal Comune, per la parte annullata
dal Consiglio di Stato, con deliberazione del 20.3.1990, con specifica
motivazione relativa al mancato inserimento dell'area di proprietà del Vitali
oggetto della convenzione di lottizzazione del 1964, in quanto destinata a verde
agricolo; che il Consiglio di Stato, adito in sede di giudizio di ottemperanza
della decisione del 22.1.1990, con decisione n.800/95, aveva respinto il
ricorso, sul rilievo che l'annullamento del P.R.G. del 1971 per difetto
motivazione non precludeva all'Amministrazione la riproduzione dell'atto
emendato del vizio accertato.
Tanto precisato, osserva che, per consolidato orientamento
giurisprudenziale, il privato che aspiri alla realizzazione di iniziative
edificatorie è titolare, nei confronti della P.A., di una posizione di mero
interesse legittimo, e non già di diritto soggettivo perfetto, poiché a fronte
della posizione del privato vi sono le potestà pubblicistiche della P.A. in
materia di disciplina dell’assetto del territorio. Tale posizione non muta
neppure a seguito della stipula di convenzione di lottizzazione, poiché questa
non determina la nascita di un diritto soggettivo nei confronti del Comune, che
mantiene il potere di mutare la disciplina dell’assetto del territorio, e quindi
di eliminare, con successive varianti dello strumento urbanistico generale, le
possibilità edificatorie previste dalla convenzione di lottizzazione. Consegue
che, anche dopo la stipula della convenzione di lottizzazione, l’aspettativa del
privato ad edificare concretamente (previo rilascio della concessione edilizia)
è sempre da qualificare in termini di interesse legittimo, sicché l’eventuale
illegittimo esercizio del potere di pianificazione del territorio deve essere
denunciato davanti al giudice amministrativo. In tal senso richiama le sentenze
di questa S.C. n. 4587/76; n. 4833/80; n. 2951/81; n. 442/88; n. 1589/90.
Osserva ancora che non rileva l’avvenuto annullamento, da
parte del Consiglio di Stato, del P.R.G. del 1971, nella parte in cui non
recepiva la convenzione di lottizzazione, destinando la relativa area a verde
agricolo, poiché, per giurisprudenza costante, l’annullamento dell’atto
amministrativo, denunciato dal privato come lesivo di un interesse legittimo,
non è di per sé idoneo a mutare la qualificazione della posizione del privato
nei confronti del potere di cui l'atto è espressione, che, essendo all’origine
di interesse legittimo, resta tale. In tal senso richiama le sentenze n.4833/80;
n. 2951/81; n.442/88; n.1589/90; n.3963/94; 10800/94.
Sostiene, conclusivamente, che, avendo incontestabilmente
natura di interesse legittimo la posizione giuridica soggettiva dedotta
dell'attore a fondamento della domanda di risarcimento dei danni, in
applicazione del remoto e costante orientamento della S.C., che esclude la
risarcibilità degli interessi legittimi, deve negarsi la sussistenza di una
posizione soggettiva tutelata dall'ordinamento e va dichiarato il difetto
assoluto di giurisdizione per improponibilità della domanda. In tal senso
richiama le sentenze n. 442/88; n.7213/86; n.4944/91; n. 3963/94.
2. I1 ricorso ripropone la questione della
risarcibilità degli interessi legittimi, o meglio il problema della
configurabilità della responsabilità civile, ai sensi dell’art. 2043 c.c., della
P.A. per il risarcimento dei danni derivanti ai soggetti privati dalla
emanazione di atti o di provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di
situazioni di interesse legittimo.
E' noto che questa S.C., con giurisprudenza definita dalla
dottrina "monolitica" o addirittura "pietrificata", è costante da vari decenni
nel fornire una risposta sostanzialmente negativa al quesito.
Ritengono tuttavia queste S.U. di dover riconsiderare il
proprio orientamento. Non possono infatti essere ignorati: a) il radicale
dissenso sempre manifestato dalla quasi unanime dottrina, che ha criticato i
presupposti dell'affermazione, individuati nella tradizionale lettura dell'art.
2043 c.c. e denunciato come iniqua la sostanziale immunità della P.A. per
l'esercizio illegittimo della funzione pubblica che essa determina; b) il
progressivo formarsi di una giurisprudenza di legittimità volta ad ampliare
l'area della risarcibilità ex art. 2043 c.c., sia nei rapporti tra privati,
incrementando il novero delle posizioni tutelabili, che nei rapporti tra privati
e P.A., valorizzando il nesso tra interesse legittimo ed interesse materiale
sottostante (elevato ad interesse direttamente tutelato); c) le perplessità più
volte espresse dalla Corte costituzionale circa l'adeguatezza della tradizionale
soluzione fornita all'arduo problema (sent. n. 35/1980; ord. n. 165/1998); d)
gli interventi legislativi di segno opposto alla irrisarcibilità, culminati nel
d.lgs. n. 80 del 1998, che, nell'operare una cospicua ridistribuzione della
competenza giurisdizionale tra giudice ordinario e giudice amministrativo in
base al criterio della giurisdizione esclusiva per materia, ha attribuito in
significativi settori al giudice amministrativo, investito di giurisdizione
esclusiva (comprensiva, quindi, delle questioni concernenti interessi legittimi
e diritti soggettivi), il potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione
in forma specifica, il risarcimento del "danno ingiusto".
3. Ripercorrendo la giurisprudenza di questa S.C., può constatarsi che il principio della irrisarcibilità degli interessi legittimi si è formato e consolidato con il concorso di due elementi, l'uno di carattere formale (o meglio processuale), l'altro di carattere sostanziale: a) il peculiare assetto del sistema di riparto della giurisdizione nei confronti degli atti della P.A. tra giudice ordinario e giudice amministrativo, incentrato sulla dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo e caratterizzato dall'attribuzione ai due giudici di diverse tecniche di tutela (il giudice amministrativo, che conosce degli interessi legittimi, può soltanto annullare l'atto lesivo dell'interesse legittimo, ma non può pronunciare condanna al risarcimento in relazione alle eventuali conseguenze patrimoniali dannose dell'esercizio illegittimo della funzione pubblica, mentre il giudice ordinario, che pur dispone del potere di pronunciare sentenze di condanna al risarcimento dei danni, non può conoscere degli interessi legittimi); b) la tradizionale interpretazione dell’art. 2043 c.c., nel senso che costituisce "danno ingiusto" soltanto la lesione di un diritto soggettivo, sul rilievo che l'ingiustizia del danno, che l'art. 2043 c.c. assume quale componente essenziale della fattispecie della responsabilità civile, va intesa nella duplice accezione di danno prodotto non iure e contra ius; non iure, nel senso che il fatto produttivo del danno non debba essere altrimenti giustificato dall'ordinamento giuridico; contra ius, nel senso che il fatto debba ledere una situazione soggettiva riconosciuta e garantita dall'ordinamento medesimo nella forma del diritto soggettivo perfetto ( sent. n. 5813/85: n. 8496/94; n. 1540/95).
3.1. Il tema della irrisarcibilità degli
interessi legittimi è stato in primo luogo affrontato ed esaminato, da queste
S.U., sotto il profilo del difetto di giurisdizione.
In relazione a fattispecie in cui il privato, ottenuto dal
giudice amministrativo l'annullamento dell'atto lesivo di una posizione avente
la originaria consistenza di interesse legittimo, aveva proposto davanti al
giudice ordinario domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla lesione di
detta posizione giuridica soggettiva (rimasta immutata nel suo originario
spessore malgrado l'annullamento del provvedimento negativo, poiché questo si
limita a ripristinare la situazione antecedente), le S.U., in sede di
regolamento preventivo, hanno costantemente dichiarato il difetto assoluto di
giurisdizione.
Hanno invero tratto argomento dall’avvenuto esaurimento
della tutela erogabile in virtù dell'ordinamento, poiché il giudice
amministrativo aveva ormai fornito la tutela rimessa al suo potere, mentre
davanti al giudice ordinario non poteva essere proposta domanda di risarcimento
del danno da lesione di posizione avente la consistenza dell'interesse
legittimo, non essendo prevista dall’ordinamento, alla stregua del quale doveva
essere vagliata la pretesa secondo il criterio del c.d. petitum
sostanziale (costantemente applicato da questa S.C.), l'invocata tutela, perché
riservata, ai sensi dell’art. 2043 c.c., ai soli diritti soggettivi (in tal
senso: sent. n.l484/81; n; 4204/82; n. 6776/83; n. 5255/84; n. 436/88; n.
2723/91; n. 4944/91; n. 7550/91; n. 1186/97).
In senso critico si è osservato, peraltro, che l'adozione
di una pronuncia siffatta, e cioè di una decisione che afferma l'inesistenza del
diritto azionato, resa in sede di regolamento preventivo determina, di fatto,
una anticipata decisione sfavorevole sul merito.
Va ancora ricordato che, nella diversa ipotesi in cui la
pretesa risarcitoria fosse stata azionata davanti al giudice ordinario prima di
aver ottenuto dal giudice amministrativo l'annullamento dell'atto lesivo, la
giurisprudenza di queste S.U. ha invece dichiarato la giurisdizione del giudice
amministrativo, configurandosi di fronte al provvedimento autoritativo solo
interessi legittimi (in tal senso: sent. n. 1917/90: n. 8586/91; n. 2857/92; n.
10800/94; n. 5520/96; n. 9478/97).
I noti limiti della giurisdizione amministrativa
determinavano tuttavia la necessaria limitazione della successiva pronuncia del
giudice amministrativo alla sola pronuncia di annullamento, con conseguente
riproposizione della situazione dianzi illustrata.
3.2. Secondo un diverso indirizzo di queste
S.U., manifestatosi in tempi più recenti, la questione relativa alla
risarcibilità degli interessi legittimi non attiene propriamente alla
giurisdizione, bensì costituisce questione di merito.
Si è infatti affermato che con la proposizione di una
domanda di risarcimento la parte istante fa valere un diritto soggettivo, sicché
bene la domanda è proposta davanti al giudice ordinario, che, in linea di
principio, è giudice dei diritti (a parte i casi di giurisdizione esclusiva) al
quale spetta stabilire, giudicando nel merito, sia se tale diritto esista e sia
configurabile, sia se la situazione giuridica soggettiva dalla cui lesione la
parte sostenga esserle derivato danno sia tale da determinare, a carico
dell'autore del comportamento illecito, l'insorgere di una obbligazione
risarcitoria (in tal senso: sent. n.10453/97; n.1096/98; ma già in precedenza,
per l'affermazione che si tratta di questione di merito e non di giurisdizione,
sent. n.6667/92; n. 8836/94; n. 5477/95; n. 1030/96).
Va comunque rilevato che, in forza di tale indirizzo (che
appare essenzialmente rivolto a delimitare, restringendoli, i confini del
regolamento preventivo, e non già ad incidere sul tema di fondo della
risarcibilità degli interessi legittimi), la decisione rimessa al giudice di
merito risulta comunque vincolata (e di segno negativo), in ragione della
persistente vigenza del principio che vuole limitata la risarcibilità ex art.
2043 c.c. al solo danno da lesione di diritti soggettivi (non espressamente
contrastato dalle dette decisioni).
3.3. Può constatarsi, quindi, che i due
menzionati orientamenti approdano entrambi al medesimo risultato negativo circa
la questione della risarcibilità dei danni conseguenti alla lesione
dell'interesse legittimo: a) nel primo caso, è la stessa S.C., in sede di
regolamento preventivo, a negare (anticipatamente) l'accesso alla tutela; b) nel
secondo, la decisione negativa è soltanto differita, essendo rimessa al giudice
del merito l'adozione di una pronuncia dal contenuto già prefigurato.
Ed in entrambi i casi, in definitiva, l'ostacolo
insormontabile è costituito da una ragione di ordine sostanziale, e cioè dalla
tradizionale lettura dell'art. 2043 c.c., che identifica il "danno ingiusto" con
la lesione di un diritto soggettivo.
Ora, non può negarsi che dal descritto stato della
giurisprudenza deriva una notevole limitazione della responsabilità della P.A.
nel caso di esercizio illegittimo della funzione pubblica che abbia determinato
diminuzioni o pregiudizi alla sfera patrimoniale del privato. Ma una siffatta
isola di immunità e di privilegio, va ancora rilevato, mal si concilia con le
più elementari esigenze di giustizia.
Queste S.U. ritengono quindi di dover affrontare alla
radice il problema, riconsiderando la tradizionale interpretazione dell’art.
2043 c.c., che identifica il "danno ingiusto" con la lesione di un diritto
soggettivo.
Interpretazione che, è bene precisarlo subito, pur
costantemente riaffermata in termini di principio, è stata poi frequentemente
disattesa (o meglio aggirata) da una cospicua giurisprudenza, che ha realizzato,
di fatto, un notevole ampliamento dell'area della risarcibilità dei danni ex
art. 2043 c.c., ponendo cosi le premesse per il definitivo abbandono
dell'interpretazione tradizionale.
Di tale percorso è opportuno ripercorrere i punti
salienti.
4. E' noto che la giurisprudenza di questa
S.C. ha compiuto una progressiva erosione dell'assolutezza del principio che
vuole risarcibile, ai sensi dell'art. 2043 c.c., soltanto la lesione del diritto
soggettivo, procedendo ad un costante ampliamento dell'area della risarcibilità
del danno aquiliano, quantomeno nei rapporti tra privati.
Un primo significativo passo in tale direzione è
rappresentato dal riconoscimento della risarcibilità non soltanto dei diritti
assoluti, come si riteneva tradizionalmente, ma anche dei diritti relativi (va
ricordata anzitutto la sent. n. 174/71, alla quale si deve la prima affermazione
del principio, successivamente ribadita da varie pronunce, che esprimono un
orientamento ormai consolidato: sent. n. 2105/80; n.555/84; n. 5699/86; n.
9407/87).
E' quindi seguito il riconoscimento della risarcibilità di
varie posizioni giuridiche, che del diritto soggettivo non avevano la
consistenza, ma che la giurisprudenza di volta in volta elevava alla dignità di
diritto soggettivo: è il caso del c.d. diritto all'integrità del patrimonio o
alla libera determinazione negoziale, che ha avuto frequenti applicazioni (sent.
n. 2765/82; n. 4755/86; n. 1147/92: n.3903/95), ed in relazione al quale
è stata affermata, tra l'altro, la risarcibilità del danno da perdita di chance,
intesa come probabilità effettiva e congrua di conseguire un risultato utile, da
accertare secondo il calcolo delle probabilità o per presunzioni ( sent. n.
6506/85; n. 6657/91; n. 781/92; n. 4725/93).
Ma ancor più significativo è stato il riconoscimento della
risarcibilità della lesione di legittime aspettative di natura patrimoniale nei
rapporti familiari (sent. n. 4137/81; n. 6651/82; n. l959/95), ed anche
nell'ambito della famiglia di fatto (sent. n. 2988/94), purché si tratti,
appunto, di aspettative qualificabili come "legittime" (e non di mere
aspettative semplici), in relazione sia a precetti normativi che a principi
etico-sociali di solidarietà familiare e di costume.
Siffatta evoluzione giurisprudenziale è stata condivisa
.nella sostanza dalla dottrina, che ha le ragioni di giustizia che la
ispiravano, ma ha tuttavia avuto buon gioco nel rilevare che la S.C., pur
riaffermando il principio dell'identificazione del "danno ingiusto" con la
lesione del diritto soggettivo, in .pratica lo disattendeva sempre più spesso,
"mascherando" da diritto soggettivo situazioni che non avevano tale consistenza,
come il preteso diritto all'integrità del patrimonio, le aspettative, le
situazioni possessorie.
La via maestra che la dottrina suggeriva era invece quella
di prendere atto che l’art. 2043 c.c. non costituisce norma secondaria (di
sanzione) rispetto a norme primarie (di divieto), ma racchiude in sé una
clausola generale primaria, espressa dalla formula "danno ingiusto" in virtù
della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche
dell’ingiustizia, in quanto lesivo di interessi ai quali l'ordinamento,
prendendoli in considerazione sotto vari profili (esulanti dalle tematiche del
risarcimento), attribuisce rilevanza.
5. Maggior resistenza ha mostrato invece la
giurisprudenza di questa S.C. in riferimento alla risarcibilità degli interessi
legittimi.
Ma anche sotto tale profilo risulta che la soluzione
negativa ha visto progressivamente ristretto il suo ambito di applicazione,
grazie ad operazioni di trasfigurazione di alcune figure di interesse legittimo
in diritti soggettivi, con conseguente apertura dell'accesso alla tutela
risarcitoria ex art. 2043 c.c., a questi ultimi tradizionalmente riservata.
Ciò è stato possibile focalizzando l'attenzione
sull'interesse materiale sotteso (o correlato) all'interesse legittimo.
L'interesse legittimo non rileva infatti come situazione meramente processuale,
quale titolo di legittimazione per la proposizione del ricorso al giudice
amministrativo, del quale non sarebbe quindi neppure ipotizzabile lesione
produttiva di danno patrimoniale, ma ha anche natura sostanziale, nel
senso che si correla ad un interesse materiale del titolare ad un bene della
vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione) può
concretizzare danno.
Anche nei riguardi della situazione di interesse legittimo
l'interesse effettivo che l'ordinamento intende proteggere è pur sempre
l'interesse ad un bene della vita: ciò che caratterizza l'interesse legittimo e
lo distingue dal diritto soggettivo è soltanto il modo o la misura con cui
l’interesse sostanziale ottiene protezione.
L'interesse legittimo va quindi inteso (ed ormai in tal
senso viene comunemente inteso) come la posizione di vantaggio riservata ad un
soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento
amministrativo e consistente nell'attribuzione a tale soggetto di poteri idonei
ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la
realizzazione dell'interesse al bene.
In altri termini, l'interesse legittimo emerge nel momento
in cui l'interesse del privato ad ottenere o a conservare un bene della vita
viene a confronto con il potere amministrativo, e cioè con il potere della P.A.
di soddisfare l'interesse (con provvedimenti ampliativi della sfera giuridica
dell'istante), o di sacrificarlo (con provvedimenti ablatori).
Si delinea così, in riferimento alle diverse forme della
protezione, la distinzione, ormai acquisita e di uso corrente, tra "interessi
oppositivi" ed "interessi pretensivi", secondo che la protezione sia conferita
al fine di evitare un provvedimento sfavorevole ovvero per ottenere un
provvedimento favorevole: i primi soddisfano istanze di conservazione della
sfera giuridica personale e patrimoniale del soggetto; i secondi istanze di
sviluppo della sfera giuridica personale e patrimoniale del soggetto.
Altre distinzioni sono certamente configurabili, in
relazione a diversi profili - atteso che la categoria dell'interesse legittimo
si palesa unitaria solo con riferimento all'accesso alla giurisdizione generale
di legittimità del giudice amministrativo, e cioè ai fini dell'annullamento in
sede giurisdizionale del provvedimento illegittimo, mentre si diversifica ed
assume varie configurazioni se considerata a fini diversi, ivi compreso quello
della eventuale tutela risarcitoria - , ma soltanto a quella suindicata ritiene
il Collegio di limitare la sua attenzione, in ragione della rilevanza che ha
assunto, come subito si vedrà, nel tema in esame.
5.1. Con riferimento agli interessi legittimi,
la giurisprudenza di questa S.C., pur riaffermandone in linea di principio la
irrisarcibilità (non già per ragioni inerenti alla sua essenza, ma) quale
necessario corollario della lettura tradizionale dell'art. 2043 c.c., ha
manifestato una tendenza progressivamente estensiva dell'area della
risarcibilità (dei danni derivanti dalla lesione di alcune figure di interesse
legittimo) nel caso di esercizio illegittimo della funzione pubblica mediante
attività giuridiche.
Nessun limite è stato invece ravvisato, come è noto, in
relazione ai comportamenti materiali della P.A., indiscussa fonte di
responsabilità aquiliana (possono ricordarsi le seguenti pronunce: sent. n.
737/70; n. 2851/76; n. 9550/92; n. 3939/96).
Ed ulteriore estensione del principio ha riguardato la
violazione dei c.d. limiti esterni della discrezionalità, ravvisata in ipotesi
in cui la P.A., omettendo di svolgere attività di vigilanza o di informazione, o
compiendo erroneamente attività di certificazione, aveva determinato danni a
terzi (vanno menzionate in proposito: sent. n. 6667/92; n. 8836/94; n. 9593/94;
n. 5477/95; n. 1030/96).
La tecnica è stata assai simile a quella, già descritta,
utilizzata per ampliare l'area della risarcibilità ex art. 2043 c.c. nei
rapporti tra privati, e cioè l'elevazione di determinate figure di interessi
legittimi (diversificate per contenuto e forme di protezione) a diritti
soggettivi.
Ciò si verifica, infatti, quando si ammette la
risarcibilità del c.d. diritto affievolito, e cioè dell'originaria situazione di
diritto soggettivo incisa da un provvedimento illegittimo che sia stato poi
annullato dal giudice amministrativo con effetto ripristinatorio retroattivo (in
tal senso, tra le pronunce risalenti: sent. n. 543/69; n. 5428/79; tra quelle
più recenti: sent. n. 12316/92; n. 6542/95). La vicenda può invero essere anche
intesa in termini di tutela di un "interesse legittimo oppositivo", considerando
che il provvedimento illegittimo estingue il diritto soggettivo, ed il privato
riceve tutela grazie alla facoltà di reazione propria dell'interesse legittimo,
prima davanti al giudice amministrativo, per l'eliminazione dell'atto, e
successivamente davanti al giudice ordinario, che dispone del potere di condanna
al risarcimento, per la riparazione delle ulteriori conseguenze patrimoniali
negative. L'esigenza di ravvisare un diritto soggettivo che rinasce è
palesemente dettata dalla necessità di muoversi nell'area tradizionale dell'art.
2043 c.c.
Ed analoga considerazione può valere in relazione
all'ipotesi (che costituisce sviluppo di quella precedente) della c.d.
riespansione della quale beneficia anche il diritto soggettivo (non originario
ma) nascente da un provvedimento amministrativo, qualora sia stato annullato il
successivo provvedimento caducatorio dell'atto fonte della posizione di
vantaggio (tra le più rilevanti decisioni che accolgono tale ricostruzione,
apparsa alla dottrina alquanto "barocca", possono ricordarsi: sent. n. 5145/79;
sent. n. 5027/92; sent. n. 2443/83; sent. n. 656/86; sent. n. 2436/97; sent. n.
3384/98). Anche nell’ambito di tale vicenda può invero rilevarsi che il privato,
una volta acquisita in forza del provvedimento amministrativo (di concessione,
autorizzazione, licenza, ammissione, iscrizione e così via) la posizione di
vantaggio, risulta titolare di un `'interesse legittimo oppositivo" alla
illegittima rimozione della detta situazione, del quale si avvale utilmente sia
per eliminare l'atto, sia per ottenere la reintegrazione dell'eventuale
pregiudizio patrimoniale sofferto (rivolgendosi in successione ai due diversi
giudici, poiché nessuno dei due è titolare di giurisdizione piena: ed è palese
la macchinosità del sistema che, di regola, richiede tempi lunghissimi). Vale,
anche in riferimento a tale ulteriore ipotesi, l'osservazione già svolta circa
le ragioni che imponevano di ravvisare un diritto soggettivo.
5.2. Da quanto detto emerge un assetto
giurisprudenziale caratterizzato dalla limitazione della tutela piena (di
annullamento e, successivamente, risarcitoria, nelle due diverse sedi) ai soli
"interessi legittimi oppositivi" (elevati a diritti soggettivi mediante
operazioni di trasfigurazione), con esclusione, quindi, dei soli interessi
legittimi pretensivi, (che invece una autorevole dottrina avrebbe voluto
"promuovere", considerandoli come "diritti in attesa di espansione ). E, questo
il caso, emblematico, della c.d. aspettativa edilizia: la giurisprudenza di
questa S.C. dopo aver ravvisato nello ius aedificandi una posizione di
diritto soggettivo (sent. n. 1324/61; n. 800/63), ha infatti successivamente
qualificato come interesse legittimo (pretensivo) la posizione del privato che
aspiri al rilascio della licenza edilizia (possono ricordarsi, ad esempio: sent.
n. 1589/90; n. 2382/92; n. 3732/94). Posizione che non muta la sua originaria
consistenza anche nel caso in cui il provvedimento di diniego venga annullato,
poiché l'eliminazione dell'atto negativo riproduce la situazione preesistente,
suscettiva di evolversi in senso favorevole o sfavorevole in relazione
all'esercizio del potere amministrativo di accogliere o disattendere le istanze
di sviluppo della sfera giuridica dell'istante.
Ma anche l'affermazione testé enunciata, circa l'irrisarcibilità
degli interessi legittimi pretensivi va rettificata, per negarne l'assolutezza.
Nella giurisprudenza di questa S.C. è dato infatti individuare anche ipotesi
nelle quali è stata riconosciuta la risarcibilità di interessi legittimi
pretensivi: si tratta dei casi, puntualmente segnalati dalla dottrina, degli
interessi legittimi pretensivi lesi da fatto-reato (sent. n. 5813/85 e n.
1540/95, entrambe relative ad ipotesi di aspettative di avanzamento di carriera
o di assegnazione di funzioni superiori da parte di pubblici - dipendenti,
frustrate da procedure concorsuali irregolari nelle quali era stata ravvisata
ipotesi di reato: in tal caso il limite tradizionale dell’art. 2043 c.c. è stato
superato applicando l'art. 185 c.p., che non richiede l'ingiustizia del danno).
E va ancora ricordato che, ritenendosi configurabile una
posizione di interesse legittimo (pretensivo) anche nei rapporti tra privati,
questa S.C., ha riconosciuto la risarcibilità della lesione di tale posizione
per effetto dell'illegittimo esercizio di "poteri privati" (nella specie
nell'ambito di un rapporto di lavoro con un ente pubblico economico) (sent. n.
5668/79).
5.3. Può quindi concludersi, in esito alla
compiuta rassegna (meramente esemplificativa, e quindi senza pretese di
completezza), che anche il principio della irrisarcibilità degli interessi
legittimi (pretensivi, in quanto per quelli oppositivi il limite è stato
superato con le tecniche sopra descritte) malgrado sia tenacemente ribadito,
risulta meno granitico di quanto comunemente si ritiene.
Una nuova lettura della giurisprudenza di questa S.C., più
attenta a coglierne la progressiva evoluzione, consente quindi di ritenere che
il principio risulta ormai vacillante, e che sono maturi i tempi per una sua
radicale revisione, cogliendo l'intimo significato di una linea di tendenza già
presente in singole pronunce di questa S.C. (nella quale non sono mancate
espresse sollecitazioni a superare l'orientamento tradizionale: v., in tal
senso, l'obiter della sentenza n. 4083/96, al quale la dottrina ha dato
particolare risalto, leggendolo come sintomo di una disagio interno alla C.S. a
fronte della perdurante riaffermazione del principio negativo).
6. Concorrono altresì a giustificare un ripensamento della soluzione negativa i vari interventi di segno contrario all'affermato principio dell'irrisarcibilità degli interessi legittimi che si rinvengono nella recente legislazione.
6.1. Va anzitutto ricordato il riconoscimento,
sotto la spinta dell'ordinamento comunitario, dell'azione di risarcimento
(davanti al giudice ordinario previo annullamento dell'atto ad opera del giudice
amministrativo) ai soggetti che abbiano subito una lesione a causa di atti
compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di
lavori o di forniture (art. 13 della legge n. 142 del 1990, di recepimento della
direttiva comunitaria n. 665/89, la cui disciplina è stata successivamente
estesa agli appalti di servizi ed ai c.d. settori esclusi; la disposizione è
stata peraltro abrogata dall'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 80 del 1998).
Sul rilievo che il diritto comunitario non conosce la
distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e che nella suindicata
materia il privato (secondo il nostro ordinamento) è titolare di posizioni di
interesse legittimo, si è sostenuto che la menzionata normativa avrebbe
introdotto nel nostro ordinamento una ipotesi di risarcibilità di interessi
legittimi, e si é suggerito di riconoscerle forza espansiva ultrasettoriale,
cosi conformando l'ordinamento interno a quello comunitario (il cui primato è
ormai incontroverso) ed evitando disparità di trattamento, nell'ordinamento
interno, nell'ambito della generale figura dell'interesse legittimo.
Il suggerimento non è stato tuttavia accolto da questa S.C.,
che ha ritenuto di attribuire alla suindicata normativa carattere eccezionale,
traendone conferma del principio, costantemente affermato, della irrisarcibilità,
non suscettivo di essere posto in discussione da una norma dettata con
riferimento ad uno specifico settore (sent. n. 2667/93; n. 3732/94; n.
10800/94).
Si tratta tuttavia di un indirizzo formatosi in
riferimento al contingente assetto del diritto positivo, suscettivo quindi di
riconsiderazione a fronte di successive modifiche dell’ordinamento: e modifiche
consistenti si sono in effetti verificate, come ora si vedrà.
6.2. In contrapposizione al diniego, opposto
da questa S.C. con le suindicate sentenze, di rivedere il tradizionale
orientamento negativo, si rinvengono anzitutto, sul piano legislativo, ulteriori
tentativi di ampliamento della responsabilità civile della P.A. per danni
conseguenti all’esercizio illegittimo della funzione pubblica.
Tra questi va menzionato, a titolo esemplificativo, quello
perseguito dall'art. 32 della legge n. 109 del 1994, recante la previsione del
rimedio risarcitorio, nelle forme di cui al citato art. 13 della legge n. 142
del 1990, in materia di appalti pubblici, ma non realizzato, perché la legge fu
successivamente sospesa e la suindicata norma venne poi sostituita dall'art. 9
bis del d.1. n. 101 del 1995, introdotto dalla legge di conversione n.
216 del 1995, che non confermò il rimedio.
Merita un cenno anche l'art. 5, comma 8, del d.1. n. 101
del 1993, che prevedeva la responsabilità del soggetto responsabile del
procedimento per i danni arrecati al singolo per il ritardo nel rilascio della
concessione edilizia, ma che non trovò conferma nella legge di conversione n.
493 del 1993 (un esauriente catalogo degli interventi legislativi, non approdati
ad esito positivo, racchiuso nell’ord. n. 165 del 1998 della Corte
costituzionale, che ne sottolinea comunque la natura "settoriale").
Non vale opporre che si tratta di iniziative che, per
varie ragioni, non hanno avuto realizzazione, poiché anche tali interventi, solo
tentati, dimostrano l'esistenza di una situazione in via di evoluzione,
contrassegnata dalla consapevolezza del legislatore circa l'inadeguatezza della
soluzione offerta dalla giurisprudenza in materia di responsabilità civile della
P.A. per l'esercizio illegittimo della funzione pubblica.
6.3. In tale quadro evolutivo si inserisce
appunto, con indubbia forza innovativa, 'la disciplina introdotta dal d.lgs. n.
80 del 1998, con il quale è data attuazione alla delega contenuta nell'art. 11,
comma 4, lettera g), della legge n. 59 del 1997, che aveva previsto la
devoluzione al giudice ordinario di tutte le controversie relative ai rapporti
di lavoro dei dipendenti della P.A. (già attribuite alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo), e la contestuale estensione della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti
patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle concernenti il risarcimento dei
danni, in materia di edilizia, urbanistica e servizi pubblici.
L’art. 29 del d.lgs. n. 80 del 1998 (che ha sostituito
l’art. 68 del d.lgs. n. 29 del 1993) ha invero devoluto al giudice ordinario, in
funzione di giudice del lavoro, la quasi totalità delle controversie relative ai
rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (già
riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), con potere
di disapplicazione, in via incidentale, degli atti amministrativi presupposti,
se illegittimi (con esclusione della c.d. pregiudizialità amministrativa nel
caso di contemporanea pendenza del giudizio di impugnazione dell'atto davanti al
giudice amministrativo: art. 68, comma 1, nel nuovo testo), e di adozione di
tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi, estintivi e di condanna
(art. 68, comma 2, nel nuovo testo).
A loro volta gli artt. 33 e 34 hanno devoluto alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in
materia di pubblici servizi (art. 33), nonché quelle aventi per oggetto gli
atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in
materia urbanistica ed edilizia (art. 34), mentre l'art. 35, comma 1, ha
stabilito che il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua
giurisdizione esclusiva ai sensi degli artt. 33 e 34, dispone, anche attraverso
la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del "danno ingiusto"
(secondo modalità disciplinate dal comma 2).
Risulta in tal modo compiuta dal legislatore una decisa
scelta nel senso del superamento del tradizionale sistema del riparto della
giurisdizione in riferimento alla dicotomia diritto soggettivo-interesse
legittimo, a favore della previsione di un riparto affidato al criterio della
materia. In particolare, per quanto concerne il giudice amministrativo, viene
delineata una nuova giurisdizione esclusiva su determinate materie (di rilevante
interesse sociale ed economico): nuova (rispetto a quella preesistente) perché
nel contempo esclusiva, nel significato tradizionale di giurisdizione
amministrativa indifferentemente estesa alla cognizione degli interessi
legittimi e dei diritti, e piena, in quanto non più limitata all'eliminazione
dell'atto illegittimo, ma estesa alla reintegrazione delle conseguenze
patrimoniali dannose dell’atto, perché comprensiva del potere di disporre il
risarcimento del "danno ingiusto" (già precluso dall'art. 7, comma 3, della
legge n. 1034 del 1971, che riservava al giudice ordinario, anche nelle materie
attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le questioni
relative ai diritti patrimoniali conseguenziali, comunemente identificati con il
risarcimento del danno, e che è stato abrogato in tale parte dall’art. 35, comma
4, con conseguente estensione dei poteri del giudice amministrativo anche nelle
ulteriori ipotesi di giurisdizione esclusiva previste da altre norme
precedenti).
Ora, non può negarsi che la suindicata disciplina incide
in modo significativo sul tema della risarcibilità degli interessi legittimi,
sia sotto il profilo strettamente processuale, concernente il riparto delle
competenze giurisdizionali, sia sotto il profilo sostanziale, in quanto
coinvolge il generale tema dell'ambito della responsabilità civile ex art. 2043
c.c.
Per quanto riguarda il primo profilo, va osservato, in
primo luogo, che l'opzione a favore di una estensione delle ipotesi di
giurisdizione esclusiva, per la cui individuazione rileva la materia e non già
la qualificazione della posizione giuridica soggettiva in termini di interesse
legittimo o di diritto soggettivo, determina una sensibile attenuazione della
generale rilevanza della distinzione tra le due figure (che pur permane nei
settori non coperti dalla giurisdizione esclusiva, sicché la categoria
dell'interesse legittimo continua a porsi come figura essenziale - ed unitaria -
ai fini dell'accesso alla giurisdizione amministrativa di annullamento); in
secondo luogo, che la scelta, compiuta dal legislatore, di realizzare davanti al
giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, con cognizione
estesa indifferentemente agli interessi legittimi ed ai diritti soggettivi, in
riferimento a vasti e rilevanti settori della vita sociale ed economica (i
pubblici servizi, l'urbanistica e l'edilizia), la concentrazione di una tutela
potenzialmente esaustiva per la posizione soggettiva lesa dall'esercizio
illegittimo della funzione pubblica, sembra implicare la volontà di equiparare,
quanto a tutela giurisdizionale, le due posizioni (che, è bene ribadirlo, gli
artt. 24 e 113 Cost. pongono su un piano di pari dignità), e di assicurare
effettività alla tutela giurisdizionale, evitando la necessità del successivo
ricorso a due giudici diversi (che costituisce grave limitazione
dell'effettività della tutela giurisdizionale, ed il cui abbandono,
espressamente ribadito anche in relazione alla nuova giurisdizione del
lavoro dall'art. 29 del d. lgs. 80 del 1998, non può che essere salutato con
favore).
Quanto al secondo profilo, va rilevato che di particolare
interesse è il richiamo, contenuto nell'art. 35, comma 1, nella parte in cui
estende la tutela anche al risarcimento dei danni, alla clausola "danno
ingiusto". E' infatti inequivocabile il riferimento all'analoga espressione che
si rinviene nell’art 2043 c.c., ma non può negarsi che l'effettuato richiamo si
presta ad una duplice lettura: a) nel senso che il legislatore abbia avuto
presente il "danno ingiusto" come inteso dalla giurisprudenza "pietrificata"
della S.C., e quindi come lesione dei soli diritti soggettivi; b) nel senso che
la formula "danno ingiusto" sia stata consapevolmente impiegata nell’accezione
più ampia, che pur vive nelle opinioni della generalità della dottrina e che il
legislatore aveva già in precedenza mostrato di voler fare propria, con
tentativi di scarsa efficacia.
Si conferma, quindi, la già avvertita esigenza di
affrontare alla radice il problema, compiendo una scelta tra le due contrapposte
letture dell'art. 2043 c.c., incentrate sulla diversa qualificazione del "danno
ingiusto".
7. Una indiretta sollecitazione nel suindicato
senso si può cogliere, d’altra parte, anche nelle già ricordate pronunce con le
quali la Corte Costituzionale non ha mancato di rilevare come la tesi che vuole
non risarcibili i danni patrimoniali cagionati dall'esercizio illegittimo della
funzione pubblica a posizioni di interesse legittimo, in base ad una delle
possibili interpretazioni dell'art. 2043 c.c., determina l'insorgere di un
problema di indubbia gravità, che richiede "prudenti soluzioni normative, non
solo nella disciplina sostanziale ma anche nel regolamento delle competenze
giurisdizionali" (sent. n.35/80), e nelle scelte tra misure risarcitorie,
indennitarie, reintegrative in forma specifica e ripristinatorie, ed infine
nella delimitazione delle utilità economiche suscettibili di ristoro
patrimoniale nei confronti della P.A." (ord. n. 165/98).
Il monito, o l'invito, ancorché riferito al legislatore,
non può infatti non coinvolgere anche questa S.C., poiché anche alla
giurisprudenza di legittimità è consentito di intervenire con efficacia nella
dibattuta questione, nell'esercizio del suo potere di interpretare le norme,
procedendo a riconsiderare la tradizionale interpretazione del concetto di
"danno ingiusto".
8. E’, noto che l'opinione tradizionale,
formatasi dopo l'entrata in vigore del codice civile del 1942, secondo la quale
la responsabilità aquiliana si configura come sanzione di un illecito, si fonda
sulle seguenti affermazioni: l'art. 2043 c.c. prevede l'obbligo del risarcimento
del danno quale sanzione per una condotta che si qualifica come illecita, sia
perché contrassegnata dalla colpa del suo autore, sia perché lesiva di una
posizione giuridica della vittima tutelata erga omnes da altra norma
primaria; l'ingiustizia menzionata dall'art. 2043 c.c. è male riferita al danno,
dovendo piuttosto essere considerata attributo della condotta, ed identificata
con l’illiceità, da intendersi nel duplice senso suindicato; la responsabilità
aquiliana postula quindi che il danno inferto presenti la duplice
caratteristica di essere contra ius, e cioè lesivo di un diritto
soggettivo (assoluto), e non iure, e cioè derivante da un comportamento
non giustificato da altra norma.
In senso contrario, aderendo ai rilievi critici che la
dottrina assolutamente prevalente ha mosso alle suindicate affermazioni, può
tuttavia osservarsi, per un verso, che non emerge dal tenore letterale dell'art.
2043 c.c. che oggetto della tutela risarcitoria sia esclusivamente il diritto
soggettivo (e tantomeno il diritto assoluto, come ha convenuto la giurisprudenza
di questa S.C. con la sentenza n. 174/71, con orientamento divenuto poi
costante); per altro verso, che la scissione della formula "danno ingiusto", per
riferire l'aggettivazione alla condotta, costituisce indubbia forzatura della
lettera della norma, secondo la quale l'ingiustizia è requisito del danno.
Non può negarsi che nella disposizione in esame risulta
netta la centralità del danno, del quale viene previsto il risarcimento qualora
sia "ingiusto", mentre la colpevolezza della condotta (in quanto contrassegnata
da dolo o colpa) attiene all'imputabilità della responsabilità.
L'area della risarcibilità non è quindi definita da altre
norme recanti divieti e quindi costitutive di diritti (con conseguente tipicità
dell'illecito in quanto fatto lesivo di ben determinate situazioni ritenute dal
legislatore meritevoli di tutela), bensì da una clausola generale, espressa
dalla formula "danno ingiusto", in virtù della quale è risarcibile il danno che
presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, e cioè il danno arrecato non
iure, da ravvisarsi nel danno inferto in difetto di una causa di
giustificazione (non iure), che si risolve nella lesione di un interesse
rilevante per l'ordinamento (altra opinione ricollega l'ingiustizia del danno
alla violazione del limite costituzionale di solidarietà, desumibile dagli artt.
2 e 41, comma 2, Cost., in riferimento a preesistenti situazioni del soggetto
danneggiato giuridicamente rilevanti, e sotto tale ultimo profilo le tesi
sostanzialmente convergono).
Ne consegue che la norma sulla responsabilità aquiliana
non è norma (secondaria), volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme
(primarie), bensì norma (primaria) volta ad apprestare una riparazione del danno
ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell'attività altrui.
In definitiva, ai fini della configurabilità della
responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione
formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela
risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che
costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse
giuridicamente rilevante.
Quali siano gli interessi meritevoli di tutela non è
possibile stabilirlo a priori: caratteristica del fatto illecito delineato
dall'art. 2043 c.c., inteso nei sensi suindicati come norma primaria di
protezione, è infatti la sua atipicità. Compito del giudice, chiamato ad attuare
la tutela ex art. 2043 c.c., è quello di procedere ad una selezione degli
interessi giuridicamente rilevanti, poiché solo la lesione di un interesse
siffatto può dare luogo ad un "danno ingiusto", ed a tanto provvederà istituendo
un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell'interesse
effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il
comportamento lesivo dell’autore del fatto è volto a perseguire, al fine di
accertare se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno
giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse
dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza.
Comparazione e valutazione che, è bene precisarlo, non
sono rimesse alla discrezionalità del giudice, ma che vanno condotte alla
stregua del diritto positivo, al fine di accertare se, e con quale consistenza
ed intensità, l'ordinamento assicura tutela all'interesse del danneggiato, con
disposizioni specifiche (così risolvendo in radice il conflitto, come avviene
nel caso di interesse protetto nella forma del diritto soggettivo, soprattutto
quando si tratta di diritti costituzionalmente garantiti o di diritti della
personalità), ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili
(diversi dalla tutela risarcitoria) manifestando così una esigenza di protezione
(nel qual caso la composizione del conflitto con il contrapposto interesse è
affidata alla decisione del giudice, che dovrà stabilire se si è verificata una
rottura del "giusto" equilibrio intersoggettivo, e provvedere a ristabilirlo
mediante il risarcimento).
In particolare, nel caso (che qui interessa) di conflitto
tra interesse individuale perseguito dal privato ed interesse ultraindividuale
perseguito dalla P.A., la soluzione non è senz'altro determinata dalla diversa
qualità dei contrapposti interessi, poiché la prevalenza dell'interesse
ultraindividuale, con correlativo sacrificio di quello individuale, può
verificarsi soltanto se l'azione amministrativa è conforme ai principi di
legalità e di buona amministrazione, e non anche quando è contraria a tali
principi (ed é contrassegnata, oltre che da illegittimità, anche dal dolo o
dalla colpa, come più avanti si vedrà).
9. Una volta stabilito che la normativa sulla
responsabilità aquiliana ha funzione di riparazione del "danno ingiusto", e che
è ingiusto il danno che l'ordinamento non può tollerare che rimanga a carico
della vittima, ma che va trasferito sull'autore del fatto, in quanto lesivo di
interessi giuridicamente rilevanti, quale che sia la loro qualificazione
formale, ed in particolare senza che assuma rilievo determinante la loro
qualificazione in termini di diritto soggettivo, risulta superata in radice, per
il venir meno del suo presupposto formale, la tesi che nega la risarcibilità
degli interessi legittimi quale corollario della tradizionale lettura dell’art.
2043 c.c.
La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di
un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente
rilevante, rientra infatti nella fattispecie della responsabilità aquiliana solo
ai fini della qualificazione del danno come ingiusto.
Ciò non equivale certamente ad affermare la indiscriminata
risarcibilità degli interessi legittimi come categoria generale. Potrà infatti
pervenirsi al risarcimento soltanto se l’attività illegittima della P.A. abbia
determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse
legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si
collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento.
In altri termini, la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria,
ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c.,
poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima
(e colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l'interesse
legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di
tutela alla luce dell'ordinamento positivo.
Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi,
potrà ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificio dell'interesse alla conservazione
del bene o della situazione di vantaggio conseguente all'illegittimo esercizio
del potere. Così confermando, nel risultato al quale si perviene, il precedente
orientamento, qualora il detto interesse sia tutelato nelle forme del diritto
soggettivo, ma ampliandone la portata nell’ipotesi in cui siffatta forma di
tutela piena non sia ravvisabile e tuttavia l'interesse risulti giuridicamente
rilevante nei sensi suindicati.
Circa gli interessi pretensivi, la cui lesione si
configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di
ingiustificato ritardo nella sua adozione, dovrà invece vagliarsi la consistenza
della protezione che l’ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della
sfera giuridica del pretendente. Valutazione che implica un giudizio
prognostico, da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla
fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare
non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una
situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua
conclusione positiva, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina
applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito
favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta.
10. Occorre ora chiedersi quali conseguenze
comporta la nuova lettura della normativa sulla responsabilità aquiliana in tema
di riparto di giurisdizione.
La questione, dovendo la Corte pronunciarsi nell'ambito di
un giudizio pendente alla data del 30.6.1998, va esaminata con riferimento alla
disciplina vigente, in tema di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario
e giudice amministrativo, anteriormente all'entrata in vigore del d. lgs. n. 80
del 1998, che ha introdotto le già richiamate significative innovazioni circa il
criterio di riparto. La nuova normativa trova infatti applicazione, secondo
quanto prevede la disciplina transitoria dettata dall'art. 45, comma 18, in
relazione alle controversie di cui agli artt. 33 e 34 instaurate a partire dal
1°.7.1998, mentre resta ferma la giurisdizione prevista dalla precedente
normativa per i giudizi pendenti alla data del 30.6.1998.
Ora, ritengono queste S.U. che, alla stregua della nuova
lettura dell’art. 2043 c.c., va senz’altro confermato, con le necessarie
precisazioni, l'indirizzo secondo il quale non dà luogo a questione di
giurisdizione, ma attiene al merito, la contestazione circa la risarcibilità
degli interessi legittimi.
Deve infatti ribadirsi, ai fini del giudizio sulla
giurisdizione, in relazione ai giudizi pendenti alla data del 30.6.1998:
a) che l'azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica bene è proposta davanti al giudice ordinario, quale giudice al quale spetta, in linea di principio (secondo il previgente ordinamento), la competenza giurisdizionale a conoscere di questioni di diritto soggettivo, poiché tale natura esibisce il diritto al risarcimento del danno, che è diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto (che può avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo, nelle sue varie configurazioni correlate alle diverse forme della protezione, o di interesse comunque rilevante per l’ordinamento);
b) che stabilire se la fattispecie di responsabilità della P.A. per atti o provvedimenti illegittimi dedotta in giudizio sia riconducibile nel paradigma dell'art. 2043 c.c., secondo la nuova lettura, costituisce questione di merito, atteso che l’eventuale incidenza della lesione su una posizione di interesse legittimo non deve essere valutata ai fini della giurisdizione, bensì ai fini della qualificazione del danno come ingiusto, in quanto lesivo di un interesse giuridicamente rilevante;
c) che una questione di giurisdizione è configurabile soltanto se sussiste, in relazione alla materia nella quale è sorta la fattispecie, una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, estesa alla cognizione dei diritti patrimoniali conseguenziali, e quindi delle questioni relative al risarcimento dei danni (ipotesi che non si ravvisa nel caso in esame, poiché, pur vigendo, ai sensi dell'art. 16 della legge n. 10 del 1977, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di diniego di concessione edilizia, tale giurisdizione non è estesa ai diritti patrimoniali conseguenziali in ragione del limite posto dall'art. 7 della legge n. 1034 del 1971).
11. Per quanto concerne, invece, il merito
della pretesa, la nuova lettura dell’art. 2043 c.c. alla quale queste S.U. sono
pervenute, impone di fornire alcune precisazioni circa i criteri ai quali deve
attenersi il giudice di merito.
Qualora sia stata dedotta davanti al giudice ordinario una
domanda risarcitoria ex art. 2043 c. c. nei confronti della P.A. per illegittimo
esercizio della funzione pubblica, il detto giudice, onde stabilire se la
fattispecie concreta sia o meno riconducibile nello schema normativo delineato
dall’art. 2043 c.c., dovrà procedere, in ordine successivo, a svolgere le
seguenti indagini: a) in primo luogo, dovrà accertare la sussistenza di un
evento dannoso; b) procederà quindi a stabilire se l'accertato danno sia
qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un
interesse rilevante per l'ordinamento, che può essere indifferentemente
un interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo),
ovvero nelle forme dell'interesse legittimo (quando, cioè, questo risulti
funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, poiché è la
lesione dell'interesse al bene che rileva ai fini in esame), o altro interesse
(non elevato ad oggetto di immediata tutela, ma) giuridicamente rilevante (in
quanto preso in considerazione dall'ordinamento a fini diversi da quelli
risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse di fatto); c) dovrà
inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti
criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o
omissiva) della P.A.;
d) provvederà, infine, a stabilire se il detto
evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della P.A.; la colpa (unitamente al
dolo) costituisce infatti componente essenziale della fattispecie della
responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.; e non sarà invocabile, ai fini
dell'accertamento della colpa, il principio secondo il quale la colpa della
struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione
volontaria di atto amministrativo illegittimo, poiché tale principio, enunciato
dalla giurisprudenza di questa S.C. con riferimento all’ipotesi di attività
illecita, per lesione di un diritto soggettivo, secondo la tradizionale
interpretazione dell'art. 2043 c.c. (sent. n. 884/61; n. 814/67; n. 16/78; n.
5361/84; n.3293/94; n.6542/95), non è conciliabile con la più ampia lettura
della suindicata disposizione, svincolata dalla lesione di un diritto
soggettivo; l'imputazione non potrà quindi avvenire sulla base del mero dato
obbiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, ma il giudice
ordinario dovrà svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo
accertamento dell'illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad
esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del
funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma
della P.A. intesa come apparato (in tal senso, v. sent. n.5883/91) che sarà
configurabile nel caso in cui l'adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo
(lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole
di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali
l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice
ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla
discrezionalità.
Rispetto al giudizio che, nei termini suindicati, può
svolgersi davanti al giudice ordinario, non sembra ravvisabile la necessaria
pregiudizialità del giudizio di annullamento. Questa è stata infatti in passato
costantemente affermata per l'evidente ragione che solo in tal modo si perveniva
all'emersione del diritto soggettivo, e quindi all'accesso alla tutela
risarcitoria ex art. 2043 c.c., riservata ai soli diritti soggettivi, e non può
quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svincola la
responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un diritto
soggettivo. E l'autonomia tra le due giurisdizioni risulta ancor più netta ove
si consideri il diverso ambito dei giudizi, ed in particolare l'applicazione, da
parte del giudice ordinario, ai fini di cui all'art. 2043 c.c., di un criterio
di imputazione della responsabilità non correlato alla mera illegittimità del
provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione, estesa all'accertamento
della colpa, dell'azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto.
Qualora (in relazione ad un giudizio in corso)
l'illegittimità dell'azione amministrativa (a differenza di quanto è avvenuto
nel procedimento in esame) non sia stata previamente accertata e dichiarata dal
giudice amministrativo, il giudice ordinario ben potrà quindi svolgere tale
accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l'illecito, poiché
l'illegittimità dell'azione amministrativa costituisce uno degli elementi
costitutivi della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c.
12. Esula dall'oggetto del presente giudizio
vagliare la coerenza degli affermati principi in relazione alle controversie
instaurate a partire dal 1°.7.1998, ma non può non rilevarsi, per completezza di
esame, che la realizzata concentrazione davanti al giudice amministrativo della
giurisdizione piena (di annullamento e di risarcimento) nelle materie attribuite
alla giurisdizione esclusiva del detto giudice (sia essa "nuova" o "vecchia",
poiché la coerenza del sistema indurrebbe a ritenere che la tutela risarcitoria
sia erogabile dal giudice amministrativo in entrambi i casi, superando il limite
della lettera dell'art. 35, commi 1, 4 e 5) risolve in radice il problema di cui
si é finora discusso.
Qualora, peraltro, la fattispecie produttiva di danno sia
insorta nell'ambito di materia non attribuita alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, dovrebbe ritenersi applicabile il principio affermato in
riferimento ai giudizi pendenti, anche per quanto concerne l'accertamento
diretto, da parte del giudice ordinario, dell'illegittimità dell'atto
amministrativo quale elemento costitutivo della fattispecie dell'illecito civile
nei sensi definiti dalla presente decisione, così realizzandosi anche su tale
versante una sorta di concentrazione di tutela (come del resto espressamente
prevede l'art. 68, comma 1, del d. lgs. n. 29 del 1993, nel testo sostituito
dall'art. 29, comma 1, del d. lgs. n.80 del 1998, per la materia del lavoro).
Si tratta, tuttavia, con ogni evidenza, di questione che
riguarda una disciplina ancora in evoluzione (risulta alla Corte che è all'esame
del Parlamento un disegno di legge, n. 2934 del Senato, recante disposizioni in
materia di giustizia amministrativa, che sembra volto ad ampliare i poteri di
tutela risarcitoria del giudice amministrativo), e comunque meritevole di
approfondimento, sulla quale queste S.U. si riservano di intervenire non appena
se ne presenterà l'occasione.
13. In conclusione, il ricorso per regolamento di giurisdizione va dichiarato inammissibile: la questione con esso proposta, alla stregua delle suesposte considerazioni, non configura questione di giurisdizione, bensì questione di merito.
14. Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e
compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle
sezioni unite civili della Corte di cassazione, il 26.3.1999.
IL CONSIGLIERE EST.
F.to Dott. Roberto Preden
IL PRIMO PRESIDENTE
F.to Dott. Ferdinando Zucconi Galli Fonseca
Depositata in Cancelleria in data 22 luglio 1999.
_______________________
IL DIRITTO AL GRATUITO PATROCINIO NELLE CAUSE DI LAVORO SI FONDA SULLA
CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E SULLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI
DELL’UNIONE EUROPEA – Le norme europee sono
direttamente applicabili (Corte d’Appello di
Roma, Sezione Lavoro ordinanza dell’11 aprile 2002, Pres. Sorace, Rel.
Cannella).
Luigina
F. , con reddito annuo di 14 milioni, in una causa davanti alla Corte d’Appello
di Roma concernente il pagamento di spettanze per lavoro da lei prestato come
portiera, ha chiesto di essere ammessa al gratuito patrocinio sollevando la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge n. 533 del 1973
secondo cui nelle cause di lavoro il diritto al gratuito patrocinio può essere
riconosciuto solo a coloro che hanno un reddito inferiore a 2 milioni l’anno. La
difesa di Luigina F. ha sostenuto che la legge avrebbe dovuto prevedere la
rivalutazione di tale limite al fine di assicurare l’effettiva applicazione del
beneficio ai non abbienti.
La
Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro (ordinanza
del 11 aprile 2002, Pres. Sorace, Rel. Cannella) ha ritenuto superfluo
investire della questione la Corte Costituzionale, in quanto ha ravvisato
l’immediata e diretta applicabilità dell’art. 6 della Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo e dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione Europea, secondo cui le persone non abbienti hanno diritto
all’assistenza legale gratuita. Pertanto la Corte ha accolto l’istanza di
gratuito patrocinio.
Pubblichiamo
nella sezione Documenti il testo integrale dell’ordinanza, rinvenibile anche nel
sito della Consulta per la Giustizia Europea per i Diritti dell’Uomo
www.dirittiuomo.it