Al contratto atipico di parcheggio si applicano le norme sul deposito
Il custode del parcheggio risponde dei danni PAGINA PRECEDENTE
(Cassazione 3863/2004)
   
   
Il custode del parcheggio è responsabile dei danni riportati dall'automobile. Lo ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, motivando la propria decisione con il principio secondo il quale il contratto di parcheggio è un contratto cosiddetto "atipico" (cioè non previsto da alcuna norma di legge), per la disciplina del quale bisogna fare riferimento alle norme del codice civile relative al deposito, che affidano il veicolo al gestore del parcheggio con l'obbligo di custodirlo e di restituirlo nello stesso stato nel quale gli è stato consegnato. (20 aprile 2004)  


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, sentenza n.3863/2004

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il giorno 11 settembre 1991 dall’area di parcheggio adiacente all’aeroporto di Malpensa, gestito dalla S.r.l Sea Parking, fu sottratta un’auto di proprietà della S.p.A. Gnutti Transfer; il veicolo era assicurato contro il furto con la S.p.A. Società Cattolica di Assicurazioni, la quale provvide al pagamento dell’indennizzo alla propria assicurata.

La Società Cattolica di Assicurazioni, surrogandosi nei diritti del proprio assicurato, con atto di citazione del 27 maggio 1994, ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Milano la S.r.l. Sea Parking ed ha chiesto la condanna della convenuta al pagamento di oltre £ 80 milioni, che aveva corrisposto alla propria assicurata.

La Sea Parking si è costituita nel giudizio ed ha contestato la fondatezza della domanda, sostenendo: che l’attrice non aveva dimostrato di aver introdotto l’auto nel parcheggio; che non si era assunta l’obbligo di custodire il veicolo; che, quand’anche fosse configurabile un contratto di deposito, la sottrazione dell’auto non era ad essa imputabile.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale, che ha dichiarato che in parcheggi come quello gestito dalla Sea Parking il parcheggio non è custode dell’auto.

La decisione, impugnata dalla Società Cattolica, è stata riformata dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 23 luglio 1999.

La Corte di Appello, premesso che chi immette la propria autovettura in un parcheggio intende ottenerne anche la custodia, ha dichiarato che tra l’automobilista e la Sea Parking era intervenuto un contratto che presentava i caratteri del deposito, con la conseguenza che il gestore del parcheggio aveva l’obbligo di custodire l’autovettura e rispondere del furto.

La S.r.l. Sea Parking ha proposto ricorso per cassazione ed ha depositato memoria.

La Società Cattolica di Assicurazioni coop. a r.l. ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente, con il primo motivo, si duole del fatto che la Corte di appello non ha dato risposta all’eccezione con la quale aveva dedotto a mancanza di prova sull’introduzione nel parcheggio dell’auto della quale era stato denunciato il furto.

Premesso che sulla Compagnia di assicurazioni incombeva l’onere di provare l’avvenuto furto e che sul punto essa aveva sollevato specifica eccezione, la Sea Parking addebita alla sentenza l’errore di assoluta mancanza di qualsiasi motivazione a riguardo: censura di omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia e violazione degli artt. 1916 e 2697 cod. civ. dell’art. 115 cod, proc. civ.

Il motivo non è fondato.

L’art. 1916 cod. civ. dispone che l’assicuratore è surrogato nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili e che l’assicuratore, che abbia pagato, subentra nella posizione giuridica dell’assicurato verso il terzo responsabile del danno.

Per questa ragione, l’azione esercitata dall’assicuratore si identifica con quella che, in mancanza di pagamento, sarebbe spettata all’assicurato; in questo senso la norma è stata pacificamente interpretata nella giurisprudenza di questa Corte: sent. 2 febbraio 2001, n. 1505, tra le più recenti.

In altri termini, la società Cattolica Compagnia di Assicurazioni doveva assolvere gli stessi oneri probatori richiesti all’assicurata.

Il principio ora indicato, è esattamente richiamato.

L’esattezza del richiamo, tuttavia, non consente di configurare il vizio di omessa motivazione sull’eccezione della mancata dimostrazione dell’avvenuta introduzione nel parcheggio dell’auto della quale era stato denunciato il furto.

La disciplina del ricorso per Cassazione, improntata al principio dell’indicazione analitica dei vari motivi che possono essere denunciati, infatti, tiene ben distinto quello della violazione di legge (n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ.) da quello dell’omessa, insufficiente , o contraddittoria motivazione della decisione (n. 5 dello steso articolo).

Il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando si prospetta l’errata individuazione o applicazione di una norma ad un fatto sulla cui fissazione non c’è discussione.

Quello di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione è, invece, una doglianza che investe la ricostruzione della fattispecie concreta addebitando a questa ricostruzione di essere stata effettuata in una massima, la cui incongruità emerge dall’insufficiente, contraddittoria od omessa motivazione della sentenza impugnata: Cass. 18 marzo 1995, n. 3205; 10 gennaio 1995, n. 228; 9 aprile 1990, n. 2940; 14 marzo 1986, n. 1760; 18 novembre 2000, n. 14953 ed altre.

In altre parole, il controllo della Cassazione sulla motivazione si riferisce alla sola giustificazione del giudizio di fatto, perché quello sul giudizio di diritto rientra nel n. 3 del citato art. 360, il quale, quando investe la motivazione di diritto, può dare luogo alla sola correzione della decisione ai sensi dell’art. 384 dello stesso codice.

Da questi principi si ricava: che il vizio di falsa applicazione della legge si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalla norma di diritto applicabile al caso concreto.

La denuncia di questo vizio deve avvenire mediante la specifica indicazione dei punti della sentenza impugnata che si assumono in contrasto con l norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di questa Corte e/ o della dottrina prevalente (Cass. 11 aprile 2000, n. 8153); che quello dell’incongruità della motivazione comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante; che tra i due momenti non vi possono essere giustapposizioni.

Se ne ricava che il ricorrente non può denunciare contemporaneamente la violazione di norme di diritto ed il difetto di motivazione, attribuendo alla decisione impugnata un’errata applicazione delle norme di diritto, senza indicare la diversa prospettazione attraverso la quale si sarebbe giunti ad un giudizio sul fatto diverso da quello contemplato dalla norma di diritto applicata al caso concreto, e nemmeno il difetto di motivazione sulla ricostruzione di fatti o sui punti decisivi della controversia che avrebbero condotto ad una diversa decisione, senza indicare quali questi fossero.

In questo caso, infatti, non di errore di diritto o di omessa motivazione si deve parlare, ma di soccombenza del ricorrente su questioni di merito, che non possono formare motivo di ricorso per cassazione.

In base ai principi indicati la censura di violazione dell’art. 1916 cod. civ. non è in grado di sorreggere il difetto motivazionale della decisione sul punto criticato.

La questione della prova dell’avvenuta introduzione dell’auto nel parcheggio, a sua volta, è stata esaminata dalla Corte di appello, sia pure implicitamente attraverso il richiamo in fatto di quanto era stato accertato dal primo giudice.

La ricostruzione di questo fatto non si configura come difetto di motivazione nei termini denunciati, perché la sentenza impugnata sul punto si è diffusamente riportata a quanto accertato dal giudice di primo grado prendendo, sostanzialmente, posizione sull’eccezione proposta.

Si può aggiungere che la ricorrente, sia pure solo in via teorica, avrebbe dovuto svolgere la diversa censura di omessa risposta all’eccezione proposta, ma non il difetto di motivazione, che, come si è detto, non ricorre.

Il secondo motivo è rivolto contro il punto della decisione in cui la Corte di appello ha ritenuto che il contratto di parcheggio presentava i caratteri del deposito [1], con la conseguenza che la Sea Parking, gestore del parcheggio, era gravata dall’obbligo di custodire l’auto.

I puti essenziali della motivazione della sentenza si possono indicare nei seguenti: chi immette la propria auto in un’area di parcheggio recintata è interessato anche alla custodia del veicolo e non vuole soltanto disporre di uno spazio per lasciare l’auto; se così non fosse, non vi sarebbe differenza con chi parcheggia l’auto in una strada o area pubblica; non è vero che nella situazione di fatto indicata si instaura un rapporto che ha per oggetto la sola disponibilità dell’area di stazionamento, che il conducente avrebbe interesse ad ottenere per lasciarvi ‘auto, perché al cliente del parcheggio è indifferente il posto ove l’auto è parcheggiata; l’obbligazione principale del gestore del parcheggio è di custodire la vettura che l’automobilista immette nel parcheggio recintato, per evitare di lasciarla in luogo pubblico, con i rischi che conseguono alla mancanza di custodia; nel rapporto era preponderante l’elemento dell’affidamento del veicolo al gestore, con conseguente obbligo per costui di custodire e riconsegnare il veicolo, secondo lo schema generale del contratto di deposito.

La ricorrente, con il motivo che si sta esaminando, sostiene che nella specie era configurabile un contratto di locazione di spazio adibito a parcheggio, in relazione al quale non c’è assunzione dell’obbligo di custodia.

La Sea Parking, al riguardo, richiama precedenti di questa Corte in tema di contratto di ormeggio, per i quali è stato escluso l’obbligo della custodia, ed in tema di parcheggio disciplinato dal codice della strada, anche per i quali siffatto obbligo è escluso.

Secondo la ricorrente, l’argomento, adoperato dalla sentenza impugnata, della recinzione dello spazio non poteva condurre alla soluzione criticata, perché essa era soltanto uno strumento di riscossione della sosta a tempo; d’altra parte, l’automobilista, avendo chiuso a chiave l’auto, aveva dimostrato di non essere interessato alla custodia del veicolo.

Infine, l’oggetto del contratto era delimitato dalle annotazioni contenute nello scontrino rilasciato all’utente e nel regolamento in questo richiamato, nei quali era chiarito che il contratto era di mero godimento dello spazio di sosta: censure di violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di contratto di parcheggio, di contratto di deposito e di contratto di locazione (artt. 1766 e 1571 cod. civ.); violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi sull’onere della prova (art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ.); violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi sull’interpretazione dei contratti; omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1780 e 1218 cod. civ. e dei principi in tema di esenzione da responsabilità contrattuale; omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La ricorrente sostiene che la Corte di appello non ha tenuto nella dovuta considerazione il sistema automatico del parcheggio a sbarre di ingresso e di uscita, il quale consentendo il prelievo dell’autovettura mediante l’utilizzazione del solo scontrino, aveva comportato che la perdita dell’autovettura non era addebitabile al titolare del parcheggio, che, quindi, era esentato da responsabilità.

Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati insieme.

L’individuazione degli obblighi delle parti richiede la ricostruzione del contratto di parcheggio, sia sul piano generale, sia su quello particolare del come si è formato tra le parti.

Sotto il primo profilo , l’inquadramento del contratto di parcheggio tra quelli atipici, non può essere messo in discussione, perché, per dirla con l’art. 1322 cod. civ., svolge la funzione di emersione e tutela di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Il problema che si pone, quindi, è quello dell’individuazione della sua disciplina, considerando che, a questo fine, le regole indicate dal codice civile sui contratti in generale non sono sufficienti a risolvere i problemi che la pratica presenta.

In questo senso questa Corte si è pronunciata già con le sentenze 12 febbraio 1952, n. 337 e 14 febbraio 1966, n. 459.

Da questa insufficienza, peraltro, è nata l’esigenza d’integrare la disciplina dei contratti atipici con tecniche non sempre riconducibili a sistema.

Il criterio d’individuazione della disciplina dei contratti atipici, tuttavia, non può essere solo quello negativo, di sottrarre il contratto atipico all’applicazione della disciplina di un determinato contratto tipico, ma deve esere volto all’individuazione della sua giusta disciplina.

Questa, d’altra parte, non sempre si ricostruisce attraverso la tecnica di ricondurre la fattispecie atipica ad un tipo contrattuale, perché, inevitabilmente, essa conduce a trascurare i modi attraverso i quali è stata realizzata la disciplina pattizia.

È questa la ragione per cui sono stati superati i tradizionali metodi dell’assorbimento del contratto atipico in quello tipico, che presenti il maggior numero di caratteri comuni, o della combinazione delle discipline dei vari contratti tipici di cui quello atipico riproduca gli elementi principali.

A questi criteri si può contrapporre la tecnica detta del modo tipologico, che è quello con il quale il fenomeno contrattuale è considerato in una visione complessiva, che mette a confronto la disciplina del tipo di contratto in questione con quella dei tipi ad esso affini, consentendo di applicare alla fattispecie concreta una disciplina che deriva da più discipline legali.

Si tratta di quei contratti, che si formano senza una preventiva contrattazione, ma attraverso la concreta utilizzazione dei servizi offerti.

In questi, per così dire, nuovi contratti il ruolo della volontà, che resta elemento costitutivo dell’accordo delle parti, si affievolisce, perché si standardizza in comportamenti automatici di accesso, di pagamento della prestazione e di prelievo del veicolo.

Il contratto che se ne ricava è del tipo di quelli nei quali all’offerta della prestazione di parcheggio corrisponde l’accettazione dell’utente, manifestata attraverso l’immissione dell’auto nell’area messa a disposizione.

Dalla combinazione di questi fattori nasce il vincolo contrattuale, il quale si realizza attraverso il contatto sociale.

Nella realtà il fenomeno è frequente e trova la sua radice nelle condizioni di affollamento delle strade, nell’urgenza dell’automobilista di liberarsi del veicolo o in altre condizioni simili.

Tutto ciò indice l’automobilista ad utilizzare strutture appositamente predisposte nelle aree adiacenti aeroporti, ospedali, supermercati e simili.

Il problema che si pone, in questi casi, e quello del se nell’offerta dell’area di parcheggio nei modi indicati sia compresa anche la custodia dell’auto, non sul piano della pura cortesia, ma su quello giuridico.

È innegabile che l’offerta, come ora è stata ricostruita, ingenera nell’automobilista l’affidamento che in essa sia compresa anche la custodia dell’autovettura.

Dunque, oggetto del contratto di parcheggio, che si è formato attraverso mezzi meccanici, è la messa a disposizione di uno spazio ed essa si combina con la custodia, allo stesso modo in cui avviene nel contratto di deposito, nel quale l’obbligo della custodia è elemento essenziale (art. 1766 cod. civ.), come questa Corte ha già dichiarato (sent. 23 agosto 1990, n. 8615), affermando che il contratto di parcheggio delle autovetture è contratto atipico per la cui disciplina occorre fare riferimento alle norme relative al deposito e che pertanto comporta l’affidamento del veicolo al gestore del parcheggio con l’obbligo di custodirlo e restituirlo nello stato in cui gli è stato consegnato.

Le conferme di quest’impostazione stanno, sia nel fatto che nella vita sociale la funzione pratica del contratto di posteggio è di liberare l’automobilista da ogni preoccupazione relativa alla custodia del veicolo, sia in quello che la detenzione del veicolo, conseguita dal titolare dell’area di parcheggio, aderisce allo schema del contratto di deposito, nella parte in cui l’art. 1766 cod. civ. pone la custodia a carico del depositario.

Si deve pure aggiungere che il significato oggettivo di questo comportamento prevale su eventuali condizioni generale di contratto predisposte dall’impresa di parcheggio, che escludano un obbligo di custodia.

Il conducente, infatti, giunto in prossimità dell’area di parcheggio, assai difficilmente è in condizioni di rendersi conto di quelle condizioni.

Se, poi, esse fossero richiamate nello scontrino o nella scheda rilasciati dagli apparecchi automatici, è egualmente legittimo ritenere che quella conoscenza sfugga all’attenzione dell’utente, considerato il modo rapidissimo con il quale il contratto è realizzato.

La ricostruzione degli obblighi delle parti nel contratto intercorso tra la Sea Parking e la proprietaria dell’auto trafugata è correttamente compiuta nella sentenza impugnata, la quale, sostanzialmente, si è attenuta ai principi prima esposti.

In primo luogo, è pacifico che, nella fattispecie, l’automobilista ha introdotto la sua autovettura in uno spazio recintato mediante pagamento effettuato attraverso un dispositivo di controllo di una scheda magnetica rilasciata in maniera altrettanto automatica.

L’automobilista, in questo modo, ha aderito all’offerta di parcheggio, al quale si accompagnava la prestazione, non secondaria, della custodia del suo autoveicolo.

Il richiamo della ricorrente alle decisioni di questa Corte che, nella situazione data, condurrebbe ad accostare la disciplina del parcheggio a quella della locazione non è corretto.

La sentenza 21 ottobre 1994, n. 8567, che conterebbe questo accostamento, infatti, ha escluso l’obbligo della custodia nel contratto di ormeggio, me è evidente la differenza tra parcheggio di un’autovettura ed ormeggio di un’imbarcazione.

Si può aggiungere che contratto di parcheggio e contratto di locazione differiscono, sostanzialmente, sul piano della causa.

La causa del secondo, infatti, è incompatibile con la custodia, perché con quel contratto il bene è dato in godimento continuato del locatario; ciò non ricorre nel contratto di parcheggio.

Il fatto, poi, che nel codice della strada sia previsto il parcheggio anche senza custodia è argomento che non prova nulla, sia perché non da luogo ad un contratto atipico rientrante nella categoria che si sa esaminando, sia perché il parcheggio sulla pubblica strada risponde a finalità di disciplina generale dell’occupazione di suoli pubblici, la quale, a sua volta, giustifica la deroga ai principi generali sulla responsabilità dell’ente pubblico proprietario della strada.

Quello della rinuncia alla custodia da parte dell’automobilista, ricavato dall’avvenuta chiusura a chiave del veicolo, è un argomento che non prova nulla, perché la chiusura a chiave dell’auto nel parcheggio è elemento aggiuntivo, ma non escludente l’obbligo di custodia.

Se si può convenire con la ricorrente sul fatto che la recinzione dello spazio ove l’auto era parcheggiata era finalizzato alla riscossione del prezzo della sosta a tempo, nondimeno si deve considerare che essa era strutturata in modo da ingenerare nell’automobilista quel ragionevole affidamento, di cui si è parlato, che nella sosta fosse compresa anche la custodia del veicolo; di modo che l’elemento considerato diventa ambivalente ai fini che interessano.

Egualmente irrilevante è l’argomento delle annotazioni riportate sulla tessera magnetica, che escludevano la prestazione della custodia.

Ciò per le ragioni già esposte a proposito della ricostruzione in generale del contratto di parcheggio.

In conclusione, l’accostamento del contratto di parcheggio a quello di deposito, compiuto dalla sentenza impugnata, è corretto ai fini della configurazione della responsabilità della ricorrente.

Infine, alcun rilievo deve essere dato all’argomento della non imputabilità alla ricorrente dell’avvenuto furto.

Stabilita, infatti, che la custodia è elemento del contratto di parcheggio meccanizzato, si ricava che l’imputabilità del furto è connaturata all’inadempimento dell’obbligo di diligenza indicato dall’art. 1768, primo comma, cod. civ.

Quest’obbligo, infatti, deve essere determinato secondo la natura dell’oggetto da custodire e lo scopo cui la custodia deve rispondere.

Vale a dire che la diligenza si deve misurare secondo la natura dell’oggetto e che nella custodia di autovetture affidata ad una semplice sbarra di chiusura non risponde ai criteri di diligenza ora indicati.

Con il quarto motivo, la ricorrente si duole del mancato accertamento del valore dell’auto rubata, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1916 e 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ.; omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La Corte di appello ha determinato il danno nell’importo di £ 80 milioni, considerando che si trattava di debito di valore, indipendentemente dall’avvenuto pagamento dell’indennizzo assicurativo.

La Sea Parking, premesso di nuovo che il danno risarcibile all’assicuratore, che agisce in surroga, non può eccedere il valore della vettura rubata al tempo del furto, sostiene che la Corte di appello ha ignorato il rilievo, limitandosi a riconoscere il danno nei limiti di quanto la Compagnia di assicurazioni aveva liquidato, senza motivazione sul punto.

La Corte di appello non ha liquidato il debito sulla base dell’indennizzo corrisposto dall’assicuratore, ma ha accertato il valore dell’autovettura, come si ricava dalla dichiarata indifferenza su questo valore della qualificazione dei rapporti tra assicuratore ed assicurato.

La valutazione compiuta non è ripetibile in questa sede.

Rigettato il ricorso, le spese di questo giudizio possono essere interamente compensate tra le parti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

 

Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2004.