LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt.
33, commi 1 e 2, lettere b) ed e), e 34, comma 1, del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di
organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di
giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione
amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della
legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 7 della legge 21
luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa),
promossi con ordinanze del 31 luglio 2002, dell’11 ottobre 2002 (n. 2
ordinanze) e del 31 gennaio 2003 del Tribunale di Roma, rispettivamente
iscritte al n. 488 del registro ordinanze 2002 e ai nn. 226, 227 e 680 del
registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2002 e nn. 18 e 37,
prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di costituzione della Casa di Cura
Villa Maria Pia s.r.l., nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 28 aprile
2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 31 luglio 2002 (r.o. n. 488 del
2002) il Tribunale di Roma, adito dalla casa di cura Villa Maria Pia
s.r.l. con atto di citazione, notificato il 10 agosto 2000, volto ad
ottenere la condanna della Azienda Usl Rm/E al pagamento di somme da
questa dovute per prestazioni di ricovero, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 33, commi 1 e 2, lettere b) ed
e), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove
disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle
amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e
di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 7
della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia
amministrativa), nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi
"tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di
pubblici servizi" e, in particolare, le controversie "riguardanti le
attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale,
rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese
nell’ambito del servizio sanitario nazionale", per contrasto con gli artt.
3, 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113 della Costituzione.
1.1.– In punto di rilevanza, osserva il rimettente che
la controversia rientra tra quelle devolute alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, tenuto conto che il rapporto tra le case di
cura e le minori strutture private (ambulatori, centri di diagnostica
strumentale, etc.) e la USL è sempre stato qualificato dalla
giurisprudenza di legittimità di concessione di pubblico servizio.
Pertanto, abbandonato il pregresso criterio che attribuiva al giudice
amministrativo le controversie vertenti sull’accertamento del contenuto e
della validità del rapporto, con devoluzione al giudice ordinario di
quelle vertenti sul pagamento di indennità, canoni ed altri corrispettivi,
il rapporto in questione è oggi direttamente disciplinato, quanto alla
giurisdizione, dall’art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificato
dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, che rimette alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di
pubblici servizi, tra le quali quelle "tra le amministrazioni pubbliche e
i gestori comunque denominati di pubblici servizi" (comma 2,
lettera b) e quelle "riguardanti le attività e le prestazioni
di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese
nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle
rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale" (comma 2, lettera e).
1.2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza del
dubbio, osserva il giudice a quo che il nuovo criterio di riparto
della giurisdizione "per blocchi di materie", introdotto dalla legge n.
205 del 2000, determina uno "smisurato ampliamento" della giurisdizione
esclusiva, in contrasto, innanzitutto, con il dettato degli artt. 103,
primo comma, e 113, primo comma, Cost., posto che il riferimento alle
"particolari materie indicate dalla legge" esprimerebbe invece il
carattere residuale delle controversie devolute alla giurisdizione
esclusiva, la cui peculiarità non a caso è stata tradizionalmente
riscontrata nella "sicura e necessaria compresenza o coabitazione … di
posizioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo legate da un
inestricabile nodo gordiano"; come rendeva manifesto il divieto per il
giudice amministrativo (ex artt. 30, secondo comma, del r.d. 26
giugno 1924, n. 1054 e 7, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n.
1034) di conoscere, nelle materie devolute alla sua giurisdizione
esclusiva, anche dei diritti patrimoniali consequenziali. Le richiamate
norme costituzionali, inoltre, nel configurare la giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo unicamente per la tutela di posizioni
soggettive nei confronti della pubblica amministrazione, non
autorizzerebbero (ciò che, invece, sembra legittimato dall’art. 33
censurato) anche la cognizione di diritti soggettivi azionati dalla
medesima pubblica amministrazione contro privati ovvero contro altre
amministrazioni pubbliche. In particolare, la legge n. 205 del 2000,
segnando l’abbandono della nozione tradizionale di "giurisdizione
esclusiva" e la ridefinizione dell’istituto secondo ambiti di intere
materie, a prescindere dall’esplicazione di poteri autoritativi della
pubblica amministrazione, sarebbe lesivo dell’art. 103, primo comma, Cost.,
norma che, tra la giurisdizione ordinaria sui diritti e quella esclusiva
del giudice amministrativo, traccia un rapporto, di regola a eccezione,
fondato sull’esigenza di concentrare innanzi ad un unico giudice la
cognizione tanto dei diritti che degli interessi, e dunque, in definitiva,
sulla peculiarità della controversia concretamente individuata. Pertanto,
l’attribuzione tout court al giudice amministrativo di intere
materie, come quella dei servizi pubblici, "di generica ed incerta
identificazione" costituirebbe, secondo il giudice a quo,
l’inversione della regola posta dall’art. 103 Cost, configurando il
giudice amministrativo come giudice ordinario delle controversie in cui
sia parte una pubblica amministrazione, in violazione anche dell’art. 100,
primo comma, Cost. che lo qualifica giudice "nell’amministrazione" e non
"dell’amministrazione".
Né al rimettente sembra dirimente accedere ad una
ricostruzione in astratto piuttosto che in concreto della nozione di
"materia", ricercandone la particolarità "nell’atteggiarsi dell’azione
della pubblica amministrazione in settori determinati …, qual è quello dei
servizi pubblici", in ipotesi connotati sempre dalla presenza
dell’interesse pubblico: in tal modo si finirebbe infatti ugualmente per
capovolgere, e svuotare, il criterio di residualità della giurisdizione
amministrativa come fissato nella Costituzione.
La fondatezza del dubbio viene altresì argomentata dal
rimettente sul rilievo che nel nostro ordinamento non esisterebbe alcuna
possibilità di ampliare la giurisdizione amministrativa esclusiva oltre i
casi in cui il settore individuato "sia conformato, quanto meno, da un
regime giuridico derogatorio del diritto comune", ciò che, per la vastità
e l’eterogeneità degli ambiti abbracciati, non appare configurabile per la
materia dei servizi pubblici; né sarebbe possibile rintracciare nel
sistema costituzionale una delega in bianco al legislatore ordinario per
individuare le materie di giurisdizione esclusiva. Lo scostamento dai
rigorosi parametri dell’art. 103 Cost. sembra, poi, al rimettente
particolarmente visibile laddove, come nel caso sottoposto al suo
giudizio, nessun contenuto di specialità sia dato ravvisare nella domanda
del privato volta all’accertamento, condotto secondo le regole del diritto
civile, dell’obbligo dell’Azienda USL di pagare il corrispettivo di
prestazioni sanitarie eseguite.
Riprendendo alcune indicazioni del Consiglio di Stato
(sezione V, n. 2440 del 1999) e della Cassazione (sezioni unite n. 5640
del 18 aprile 2002), il giudice a quo osserva anche come sia
proprio la "costituzione del vincolo obbligatorio" a segnare lo
spartiacque tra la giurisdizione del giudice amministrativo e quella
dell’autorità giudiziaria ordinaria sul presupposto della tendenziale
uguaglianza tra le parti nella fase successiva alla costituzione del
vincolo, regolata dalle norme del diritto privato. Conseguentemente, a suo
avviso, l’assegnazione indiscriminata alla cognizione del giudice
amministrativo di diritti soggettivi, oltre alla progressiva creazione di
un diritto civile speciale, violerebbe anche l’art. 3 Cost., sotto il
profilo della lesione del principio di uguaglianza – per la creazione di
una posizione di privilegio della pubblica amministrazione – nonché del
principio di ragionevolezza, venendo a creare un "inutile doppione" del
giudice ordinario e insieme a disperdere il patrimonio di esperienze ed
attitudini di questi; tanto, per giunta, in un momento storico
caratterizzato dalla regressione del momento autoritativo nel rapporto tra
apparato pubblico e società civile.
Palese sarebbe anche la violazione degli artt. 102,
primo comma, e 113, primo comma, Cost. che, assecondando la tradizione
giuridica italiana (cfr. artt. 2 e 26 della legge 20 marzo 1865, n. 2248,
All. E, e il diritto vivente in tema di risarcimento per lesione di
interessi legittimi), fanno del giudice ordinario il giudice dei diritti
con cognizione, in via di principio, generale e illimitata, di contro alla
tendenziale residualità della cognizione sui diritti affidata al giudice
amministrativo, in un contesto che contempla altresì la possibilità che
all’autorità giudiziaria ordinaria siano attribuiti poteri di annullamento
dell’atto amministrativo (art. 113, commi secondo e terzo, Cost.): il che
genera una vera e propria presunzione di devoluzione al giudice ordinario
– la cui posizione nell’ordinamento non a caso è circondata da particolari
garanzie di indipendenza ed autonomia (artt. 104 e 105 Cost.) – delle
controversie in cui sussiste incertezza nell’identificazione della
situazione soggettiva coinvolta.
Il giudice a quo esprime, inoltre, dubbi circa
la legittimità della norma censurata in relazione all’art. 25, primo
comma, Cost.: evidenzia sul punto come una concezione del giudice naturale
attenta ai valori su cui si fonda l’ordine costituzionale delle
giurisdizioni, si sia ormai affermata in altri ordinamenti europei (così
ad esempio in Francia, ove il Consiglio costituzionale ha affermato che
tra i principi fondamentali v’è quello per cui, "ad eccezione delle
materie riservate per natura all’autorità giudiziaria, appartiene in
ultima istanza alla competenza della giurisdizione amministrativa il
contenzioso relativo all'annullamento e alla riforma degli atti
amministrativi che costituiscono l’espressione dei pubblici poteri"),
mentre nel nostro ordinamento tale opzione ermeneutica sarebbe stata
avallata dalla stessa Corte costituzionale allorché questa ha, ad esempio,
affermato "la maggiore idoneità del giudice ordinario alla cura di
interessi concernenti rapporti paritari" (sentenza n. 641 del 1987) o che
"la Corte dei conti è il giudice naturale in materia di pensioni a totale
carico dello Stato" (ordinanza n. 388 del 1990). La violazione nel settore
dei pubblici servizi dell’ordine costituzionale [delle giurisdizioni], e
cioè di "quel nucleo di principi che giustificano l’"essere giudice" in
uno stato di diritto", si risolverebbe pertanto nell'istituzione di un
giudice speciale in violazione del disposto dell’art. 102, secondo comma,
Cost..
Dunque, anche a non voler riconoscere l’esistenza del
principio, seppur tendenziale, di unità della giurisdizione (ma v.,
contra, sentenze n. 41 del 1957 e n. 48 del 1959 di questa Corte), la
pluralità di giurisdizioni riconoscibili nel nostro ordinamento non
legittimerebbe la devoluzione a giudici appartenenti a giurisdizioni
diverse di "controversie identiche ovvero non caratterizzate da una
sostanziale ed intrinseca reciproca diversità con riguardo all’oggetto e
alle posizioni soggettive delle parti", essendo del tutto irrilevante "la
circostanza che nella controversia sia parte una pubblica amministrazione
ovvero … che il suo oggetto presenti una generica rilevanza pubblica".
Il giudice rimettente osserva, poi, come ancora più
grave sia il vulnus che la norma arreca al principio di uguaglianza
(art. 3, primo comma, Cost.), inteso come uguaglianza davanti alla
giustizia e alla giurisdizione (art. 24 Cost.), principio che troverebbe
il suo logico corollario nella regola secondo cui controversie identiche o
similari devono essere giudicate dalla medesima giurisdizione o da
giurisdizioni strettamente identiche anche nelle regole di composizione.
Sarebbe pertanto evidente, nella specie, "la disparità di trattamento tra
i cittadini dinanzi alla giurisdizione, essendo l'individuazione del
giudice fatta dipendere dalla qualità soggettiva di una parte", tanto più
che nel momento storico attuale mancano riferimenti normativi di sicura
individuazione del soggetto "pubblica amministrazione" e della materia
"servizi pubblici".
Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è
infine ravvisato dal giudice a quo nella violazione degli artt.
111, settimo comma, e 3 Cost., sotto il profilo che "il principio di
uguaglianza postula l’esigenza di uniforme interpretazione della legge, la
quale invece (stante la non ricorribilità delle sentenze dei giudici
amministrativi per violazione di legge) non avrebbe strumento alcuno per
attuarsi a fronte di differenti orientamenti … che dovessero formarsi in
ordine a medesime disposizioni codicistiche nelle non comunicanti
giurisprudenze dei giudici ordinari e amministrativi" (Cass., sezioni
unite n. 72 del 30 marzo 2000), con una sostanziale elisione della
funzione di nomofilachia esercitata dalla Cassazione, innanzitutto, ai
sensi dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario. Del resto, osserva il
rimettente, il ruolo nomofilattico dello stesso Consiglio di Stato non si
è mai svolto al di fuori del tradizionale ordine proprio di questa
giurisdizione, caratterizzato dal generale parametro di riferimento
dell'interesse pubblico, laddove in ambito civilistico la coscienza
collettiva mal tollera ogni incidenza, sulle paritarie posizioni in
conflitto, di valutazioni inerenti proprio l’interesse pubblico.
1.3.– É intervenuto in giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, il quale, con la rappresentanza dell’Avvocatura
generale dello Stato, ha eccepito in via pregiudiziale l’inammissibilità
della questione sollevata, che investirebbe non tanto la norma di legge
oggetto di censura, quanto piuttosto "un puntuale combinato disposto di
norme contenuto nella Costituzione stessa e cioè quello regolante l’intero
sistema della giustizia amministrativa come delineato dagli artt. 24, 103,
108, 111 e 113", norme originarie della Costituzione di cui il legislatore
censurato sarebbe stato solo puntuale esecutore.
Ulteriore profilo di inammissibilità è sollevato
dall’Avvocatura per l’irrilevanza della censura relativa alla violazione
degli artt. 3 e 103 Cost. sotto il profilo della attribuzione al giudice
ordinario della conoscibilità di diritti azionati nei confronti di privati
dalla pubblica amministrazione, tenuto conto che, nel giudizio a quo,
la parte attrice è un ente di diritto privato.
Nel merito, infondata sarebbe la questione laddove fa
leva sul principio di unità della giurisdizione, mai accolto – se non come
"valore fine" – nel sistema costituzionale che, anzi, avrebbe scelto di
conservare le giurisdizioni storiche, in un sistema di riparto affidato al
legislatore ordinario (sentenze n. 48 del 1959 e n. 641 del 1987 di questa
Corte). Né altrimenti sarebbe stato imposto a quest’ultimo, per via
costituzionale, alcun limite alla individuazione delle particolari materie
di giurisdizione amministrativa esclusiva sotto il profilo della
necessaria compresenza di diritti soggettivi ed interessi legittimi. Tant’è
che già in passato v’è stato un ampliamento di tale sfera giurisdizionale
in assenza del richiamato "inestricabile nodo gordiano".
Con riguardo alla pretesa irragionevolezza dell’attuale
sistema di riparto giurisdizionale, ricorda la deducente che nel sistema
francese, affine a quello italiano, è affidata al giudice amministrativo
la cognizione dell’azione pubblica tanto nel momento autoritativo che in
quello paritetico.
Improprio sarebbe inoltre il richiamo al giudice
ordinario quale "giudice naturale" dei diritti, tenuto conto che l’art. 25
Cost. àncora tale nozione al solo giudice "precostituito per legge".
Per quanto attiene, infine, alle lamentate lesioni dei
principi di uguaglianza e di difesa, con riguardo alle asserite, minori
garanzie esistenti innanzi al giudice amministrativo, l’Avvocatura osserva
come l’argomento provi troppo, tenuto conto che la equiordinazione, sul
piano della tutela giurisdizionale e della difesa, approntata dalla
Costituzione per diritti ed interessi, indurrebbe a dubitare della
legittimità della giurisdizione esclusiva anche in materie in cui esiste
l’evocato intreccio delle differenti situazioni soggettive. Infine, –
rileva l’interveniente – neppure appare costituzionalizzato il ruolo
nomofilattico pieno della Corte di cassazione.
1.4.– Si è costituita, ma fuori termine, la casa di
cura Villa Maria Pia s.r.l. che ha aderito in toto alle
argomentazioni contenute nell’ordinanza di rimessione.
1.5.– Nella memoria successivamente depositata,
l’Avvocatura dello Stato effettua, preliminarmente, un’articolata
ricostruzione dell’evoluzione che la materia del riparto di giurisdizione
ha avuto nel corso degli anni, al fine di dimostrare come dalla Carta
fondamentale del nostro Stato si evinca con chiarezza la volontà del
Costituente "di affermare la completa parità ed originarietà dei
due ordini di giurisdizione" e conseguentemente di lasciare la concreta
distribuzione degli affari tra gli stessi alle scelte discrezionali del
legislatore. Ribadisce quindi che le norme impugnate si limitano a
devolvere alla cognizione del giudice amministrativo particolari materie
caratterizzate da spiccate connotazioni pubblicistiche, nell’ottica, non
in conflitto col sistema costituzionale, del superamento del tradizionale
criterio di riparto, fondato sul tipo di posizione soggettiva lesa
(diritto soggettivo-interesse legittimo). Rileva in proposito che gli artt.
103 e 113 della Costituzione esprimono, con il richiamo all’interesse
legittimo, nient’altro che il vincolo "relativo alla deducibilità in
giudizio di tutte le controversie incidenti su interessi legittimi",
esplicitando il principio di cui all’art. 24 della Costituzione e
rimettendo, per il resto, al legislatore ordinario l’individuazione delle
particolari "materie" di giurisdizione esclusiva, secondo un’accezione
che, considerato il tratto "polisemico" del lemma, "ben si presta a
ricomprendere alternativamente o vasti ambiti di attività amministrativa
unitariamente considerati (in senso orizzontale: ad esempio urbanistica,
edilizia, etc.) oppure un oggetto contenzioso (in senso verticale:
paradigmaticamente il risarcimento del danno) accessivo a quello di
competenza generale". In alcun modo, invece, l’art. 103 Cost.
collegherebbe l’individuazione delle particolari materie al presupposto
dell’esistenza di un inestricabile intreccio tra diritti ed interessi
legittimi, quale ragione tralaticiamente richiamata come essenziale ai
fini dell’individuazione dell’area di operatività della giurisdizione
esclusiva sulla scorta di un inesatto presupposto storico.
Ne discenderebbe, per come affermato proprio dalla
Corte costituzionale (ordinanza n. 140 del 2001), "una sorta di principio
di indifferenza o intercambiabilità della tutela fornita dai due ordini di
giurisdizioni", rafforzato dalle sempre più numerose eccezioni al divieto
per il giudice ordinario di annullare atti amministrativi e dal
correlativo ampliamento dei casi di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
Peraltro, ad avviso dell’Avvocatura, le norme censurate
darebbero attuazione ai principi racchiusi nell’art. 24 della Costituzione
anche sotto il profilo della eliminazione, da un lato, delle incertezze
circa l’individuazione del giudice da adire e, dall’altro, delle
lungaggini connesse alla necessità di percorrere il c.d. doppio giudizio
per ottenere la piena soddisfazione delle posizioni soggettive lese, in
armonia con i modelli istituzionali degli altri paesi membri dell’Unione
europea in cui vige il sistema della doppia giurisdizione.
Rilevato quindi che il cambiamento normativo ha avuto
carattere biunivoco con l’attribuzione al giudice ordinario delle
controversie relative al rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica
amministrazione, sottolinea la deducente come, conseguenzialmente, il
riparto si sia venuto ad assestare su un nuovo punto di equilibrio, nel
quale mentre il giudice ordinario è divenuto "il giudice naturale di una
pubblica amministrazione che gestisce tutti i rapporti di lavoro alle sue
dipendenze con i poteri e gli strumenti del privato datore, il giudice
amministrativo, per converso, [ha acquisito] la piena cognizione di
rapporti litigiosi in cui si applicano regole sostanziali esorbitanti dal
diritto privato, anche se di essi siano parti … soggetti formalmente
privati ma tenuti all’applicazione, specie in materia contrattuale, di
procedure amministrative".
Peraltro, anche qualora si ravvisasse nella locuzione
"particolari materie" un vincolo per il legislatore, questo non andrebbe
individuato nel c.d. "nodo gordiano" diritti-interessi, la cui
connessione con il problema del riparto deriverebbe da "un imprecisato
ricordo storico": in realtà, ove un limite si volesse considerare imposto
nella individuazione dei settori da affidare alla giurisdizione esclusiva,
questo non potrebbe che rinvenirsi "nelle materie in cui si verifica un
assoggettamento dei diritti all’esercizio di un potere conformativo della
pubblica amministrazione", con conseguente piena legittimità delle scelte
operate dal legislatore nelle norme denunciate.
Infine, con riguardo alla prospettata violazione
dell’art. 111 Cost., osserva la deducente che la Carta fondamentale
costituzionalizza le differenti competenze facenti capo alla Corte di
cassazione in modo diverso da quello che i rimettenti danno per
presupposto.
Premesso che storicamente la funzione di nomofilachia
della Cassazione risponde all’esigenza di natura politica di salvaguardare
il principio della separazione tra poteri, preservando le leggi da ciò che
i positivisti francesi definivano la "ribellione dei giudici", nel
complesso delle attribuzioni della Suprema Corte individuate dall’art. 65
dell’Ordinamento giudiziario occorrerebbe distinguere le funzioni
afferenti l’esatta osservanza della legge – la quale significa rispetto,
da parte di tutti i giudici, del limite esterno della giurisdizione – da
quelle afferenti l’uniforme interpretazione della legge (c.d. nomofilachia
in senso generico): orbene, ad avviso dell’Avvocatura, questa sarebbe
dalla Costituzione attribuita alla Cassazione solo per quanto concerne le
sentenze del giudice ordinario.
2.– Con tre distinte ordinanze, due delle quali
pronunciate in data 11 ottobre 2002 (r.o. n. 226 e n. 227 del 2003) e
l’altra in data 31 gennaio 2003 (r.o. n. 680 del 2003), il Tribunale di
Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 103, 111 e 113
Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del
d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo sostituito dall’art. 7 della legge n. 205
del 2000, il quale devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti
e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle
stesse equiparati, in materia di urbanistica ed edilizia.
I giudizi nel corso dei quali le prime due ordinanze
sono state emesse avevano ad oggetto domande di risarcimento danni
proposte, con atti di citazione notificati il 20 luglio 2000, dagli eredi
di Arturo Menhert nei confronti del Comune di Roma, fondate, l’una, sulla
circostanza che un fondo del loro dante causa era stato occupato, sin
dall’11 agosto 1978, dall’ente convenuto, in vista della realizzazione di
un asilo nido, poi effettivamente completato nel 1979, senza che peraltro
la procedura di esproprio venisse mai portata a compimento e senza che
venisse pagato il relativo indennizzo; l’altra, sul fatto che lo stesso
Comune, con deliberazione consiliare n. 2201 del 3, 4 e 5 maggio 1976,
aveva modificato la destinazione edilizia di alcuni terreni del medesimo
dante causa, da aree edificabili ad aree per attrezzature di servizi di
quartiere e verde pubblico, in vista della costruzione di una strada, così
determinando, senza che l’opera pubblica venisse in realtà mai realizzata,
un tale deprezzamento degli immobili compresi nella variante da indurre la
Cassa di risparmio di Roma a chiedere la restituzione di ingenti prestiti,
erogati a Menhert s.r.l. e garantiti da quei beni; richiesta che, rimasta
inevasa, aveva a sua volta provocato il fallimento della società
garantita.
La terza ordinanza è intervenuta nel corso di un
giudizio proposto, con atto di citazione notificato il 26 gennaio 2001,
dalla società D.M. s.a.s. di Abrusca Clara & c. nei confronti, ancora una
volta, del Comune di Roma, al fine di ottenere il ristoro dei danni subiti
in conseguenza del mancato allaccio alla rete fognaria e della mancata
"agibilità" di un locale a destinazione negozio, di proprietà della
società attrice.
2.1.– In punto di rilevanza, in tutti e tre i giudizi
il giudice a quo, evidenziato che il Comune convenuto ha opposto il
difetto di giurisdizione del giudice ordinario, osserva che, secondo le
nuove previsioni in punto di riparto di giurisdizione – che attribuiscono
al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, le
controversie aventi ad oggetto, tra gli altri, i comportamenti della
pubblica amministrazione in materia urbanistica – l’eccezione sarebbe
fondata: e invero, alla stregua dei consolidati e condivisi orientamenti
del Supremo Collegio, la materia urbanistica non si esaurisce nell’aspetto
normativo della disciplina dell’uso del territorio, ma comprende anche il
momento gestionale.
Nelle ordinanze n. 226 e n. 227 del 2003 peraltro,
emesse in giudizi iniziati con atti di citazione notificati il 20 luglio
2000, il rimettente precisa, richiamando le puntualizzazioni espresse
dalla Corte costituzionale nelle pronunce n. 123 e n. 340 del 2002, che
nella fattispecie la giurisdizione esclusiva si radica non già sul testo
originario dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, ma su quello sostituito
dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, il quale, da un lato, ha innovato
la natura giuridica della fonte, da legge materiale a legge formale (così
affrancandola dal vizio di eccesso di delega) e, dall’altro, per i giudizi
introdotti dopo il 10 luglio 1998 e pendenti al 10 agosto 2000 – date in
cui sono entrati in vigore, rispettivamente, il d.lgs. n. 80 del 1998 e la
legge n. 205 del 2000 – ha disciplinato direttamente la giurisdizione, in
deroga al principio sancito dall’art. 5 cod. proc. civ., non avendo
immutato il dettato dell’art. 45, comma 18, del d.lgs. n. 80 del 1998, che
prevede, a decorrere dal 1° luglio 1998, la devoluzione al giudice
amministrativo delle controversie di cui agli artt. 33 e 34: tale
ricostruzione della successione temporale delle norme disciplinanti le
controversie devolute alla sua cognizione, impone al decidente di ritenere
rilevante nel giudizio a quo la questione di costituzionalità
dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo risultante dalla
sostituzione operata dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000.
2.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza del dubbio
di legittimità, il rimettente, che svolge considerazioni sostanzialmente
identiche in tutti e tre i provvedimenti di rimessione, sostiene
preliminarmente che il sistema dell’estensione della giurisdizione
esclusiva per blocchi di materie, seguito dal legislatore sia nel 1998 sia
nel 2000, si discosta da quello delineato nella Carta costituzionale,
oltre ad apparire scarsamente razionale e ingiustificatamente squilibrato
a favore della pubblica amministrazione, la quale viene in effetti ad
avere un proprio giudice.
In particolare, il contrasto con gli artt. 102, primo
comma, 103, primo comma, e 113, primo comma, Cost., si radicherebbe sulla
sostanziale ricezione, nell’assetto accolto dal Costituente, del sistema
di tutela giurisdizionale del privato nei confronti della pubblica
amministrazione disciplinato dalla legislazione previgente e in
particolare dalla legge n. 2248 del 1865, All. E, e dal r.d. n. 1054 del
1924: sistema che ruota tutto intorno alla dicotomia diritto
soggettivo-interesse legittimo, quali posizioni soggettive giustiziabili,
rispettivamente, davanti al giudice ordinario e al giudice amministrativo.
Posto allora che, nel quadro istituzionale delineato
dalla legge fondamentale del nostro Stato, il giudice ordinario è giudice
dei diritti e la sua giurisdizione viene meno soltanto nei limitati casi
in cui la cognizione, in considerazione dell’intreccio, difficilmente
districabile per talune controversie, di figure giuridiche attive
riconducibili all’una o all’altra categoria, è attribuita al giudice
amministrativo, il legislatore ordinario non potrebbe discostarsi da tale
modello, attribuendo determinate materie al giudice amministrativo in
considerazione della loro rilevanza pubblicistica. E ciò tanto più che il
contesto normativo di riferimento, ancorché caratterizzato dalla
progressiva estensione dell’area della giurisdizione esclusiva – in buona
parte a prescindere dalla qualificazione giuridica della situazione
vantata nei confronti della pubblica amministrazione (così l’art. 11,
comma 5, della legge n. 241 del 7 agosto 1990, sugli accordi con la
pubblica amministrazione sostitutivi dei provvedimenti; l’art. 33 della
legge n. 287 del 10 ottobre 1990 e l’art. 7 del d.lgs. n. 74 del 25
gennaio 1992, come modificato dall’art. 5, comma 11, del d.lgs. n. 67 del
25 febbraio 2000, sui provvedimenti dall’Autorità garante della
concorrenza e del mercato; l’art. 6, comma 19, della legge n. 537 del 24
dicembre 1993, come modificato dall’art. 44 della legge n. 724 del 23
dicembre 1994, sui contratti per la fornitura di beni e servizi alle
pubbliche amministrazioni; l’art. 4, comma 7, della legge n. 109 dell’11
febbraio 1994, come modificato dall’art. 9, comma 9, della legge n. 415
del 18 novembre 1998, sui provvedimenti dell’Autorità per la vigilanza sui
lavori pubblici; l’art. 2, comma 25, della legge n. 481 del 14 novembre
1995, sui provvedimenti delle Autorità per i servizi di pubblica utilità;
l’art. 1, comma 26, della legge n. 249 del 31 luglio 1997, sui
provvedimenti delle Autorità per le telecomunicazioni) – non avrebbe, a
giudizio del rimettente, affatto obliterato la fondamentale funzione del
giudice ordinario quale giudice dei diritti. Non a caso, egli ricorda, nel
disciplinare il giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative
(legge 24 novembre 1981, n. 689), il legislatore si è spinto nel
riconoscimento di quella funzione, fino al punto di attribuire al giudice
ordinario il potere di intervenire direttamente sull’atto, mentre, pur
nell’ambito delle varie ipotesi di giurisdizione esclusiva relative
all’impugnazione dei provvedimenti emessi dalle Autorità indipendenti, non
mancano casi in cui è sancita la giurisdizione del giudice ordinario.
Né l’attribuzione al giudice amministrativo delle
controversie in materia di urbanistica ed edilizia, operata dall’art. 7
della legge n. 205 del 2000, estesa a tutti gli atti, i provvedimenti e i
comportamenti non solo delle pubbliche amministrazioni, ma anche "dei
soggetti alle stesse equiparati", a prescindere dalla compresenza di
situazioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, potrebbe
ritenersi legittimata dalla previsione di cui all’art. 103, primo comma,
Cost., posto che la lettera di tale norma evidenzia, semmai, che il
legislatore costituzionale si è mosso nell’ottica del carattere
eccezionale della riserva al giudice amministrativo di aree di
giurisdizione esclusiva.
Se dunque – argomenta il rimettente – il sistema di
riferimento risulta strutturato sulla netta distinzione tra diritti e
interessi legittimi, sulla "particolarità" delle materie nelle quali far
operare la giurisdizione esclusiva e sulla individuabilità delle stesse
attraverso l’inscindibile coesistenza di diritti e interessi, forte è il
dubbio della legittimità di una norma di legge ordinaria che da tale
assetto palesemente si discosti.
Tale convincimento, ad avviso del giudice a quo,
sarebbe convalidato dall’avvenuta presentazione, in data 28 novembre 2000,
della proposta di legge costituzionale Atto Camera 7465 della XIII
Legislatura, in cui, disegnata l’area di giurisdizione del giudice
amministrativo con riferimento alle "controversie con la pubblica
amministrazione nelle materie indicate dalla legge", venivano allo stesso
esplicitamente riservate in ogni caso quelle "riguardanti l’esercizio di
pubblici poteri": modifica della Costituzione espressamente giustificata
nella relazione illustrativa anche col richiamo all’entrata in vigore
della legge n. 205 del 2000, la quale avrebbe espresso "una decisa volontà
del Parlamento nel senso indicato".
Quanto poi al contrasto con gli artt. 102, secondo
comma, e 3, primo comma, Cost., osserva il rimettente che, se la ratio
giustificatrice dell’istituto della giurisdizione esclusiva è stata per
tradizione individuata nella peculiarità delle controversie nelle quali
sia parte la pubblica amministrazione, stante la rilevanza pubblicistica
degli interessi in gioco e la necessità di fare applicazione di una
normativa speciale, di natura amministrativa, derogatoria rispetto al
diritto comune – rilievo da taluno correlato alla tesi dell’esistenza di
un principio costituzionale di pluralità delle giurisdizioni –, sarebbe
palese la sua assenza con riguardo a quelle fattispecie in cui venga
lamentata la lesione di un diritto soggettivo, perché la pubblica
amministrazione ha leso posizioni attive di altri soggetti, agendo iure
privatorum o ponendo in essere un’attività illecita: qui occorrerà
invero fare applicazione di nozioni quali danno ingiusto, nesso di
causalità e colpevolezza, tipiche del diritto civile. In tale contesto
normativo la norma impugnata, contraddicendo al principio per cui il
giudice amministrativo è organo di tutela della giustizia
nell’amministrazione e non già giudice dell’amministrazione, ingenera il
sospetto di violazione del divieto di istituire giudici speciali (art.
102, secondo comma, Cost.), dubbio vieppiù avvalorato dalla considerazione
dei meccanismi di copertura di un quarto dei posti di consigliere di Stato
(art. 19, numero 2, della legge 27 aprile 1982, n. 186), di nomina del
presidente del Consiglio di Stato (art. 22, primo comma, della legge cit.)
e di conferimento dell’incarico di segretario generale (art. 4, comma 3);
nonché dalla considerazione delle funzioni di "alta sorveglianza" e di
iniziativa in punto di promozione dei procedimenti disciplinari,
attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri su tutti i magistrati
amministrativi (artt. 31, primo comma, e 33, primo comma) e della
possibilità, per gli stessi, di accedere allo svolgimento di funzioni
giuridico-amministrative presso le amministrazioni dello Stato (art. 13,
secondo comma, numero 8, e art. 29, terzo comma).
Sostiene anche il rimettente che devolvere una
controversia a un giudice speciale in funzione, soltanto, della natura
pubblica di una delle parti o della pretesa rilevanza pubblicistica degli
interessi in contesa, desunta dall’esercizio di funzioni amministrative,
anche da parte di un soggetto privato, sarebbe scelta foriera di una non
giustificata disparità di trattamento tra i soggetti dell’ordinamento,
posto che essa recherebbe in sé il rischio dell’affermazione di un diritto
speciale della pubblica amministrazione, conformato su valutazioni
incompatibili con la natura privatistica del rapporto controverso e su una
posizione di ingiustificato privilegio attribuita ad una delle parti, la
pubblica amministrazione, alla quale invece la Costituzione non riconosce
alcun privilegio o statuto particolare, specie ove non agisca iure
imperii o si rapporti ai privati su un piano di parità.
Il sospetto di lesione degli artt. 111, settimo e
ottavo comma, e 24, primo comma, e, sotto nuovo profilo, ancora una volta,
dell’art. 3 della Costituzione viene radicato sul fatto che il legislatore
del 2000, istituendo un giudice amministrativo munito di giurisdizione
esclusiva in materie e con strumenti processuali pressoché coincidenti con
le materie e con gli strumenti processuali da sempre appartenenti al
giudice ordinario, si sarebbe mosso in palese controtendenza con le
ragioni della scelta che guidarono il Costituente il quale, mantenendo in
vita alcune delle giurisdizioni speciali preesistenti, operò in vista
della conservazione del patrimonio di conoscenze da questi acquisite.
L’irragionevolezza dell’opzione normativa, e la conseguente violazione
dell’art. 3 della Costituzione, risulterebbe vieppiù evidente in un
contesto storico segnato – come si evince dall’art. 11 della legge n. 241
del 1990 e dalla notissima Cass. sezioni unite n. 500 del 1999 – dalla
sempre più incisiva affrancazione dei rapporti fra cittadino e pubblica
amministrazione dal modello c.d. autoritativo, e dalla loro evoluzione
verso un modello c.d. negoziale, centrato sull’accordo delle parti e sul
loro fondamentale dovere di comportarsi secondo buona fede.
Infine l’attribuzione della cognizione di controversie
sostanzialmente identiche, da decidere, per giunta, facendo uso di poteri
processuali in larga misura coincidenti, a due plessi giurisdizionali
distinti, unicamente in ragione della natura soggettiva di una delle parti
in causa, comporterebbe un sostanziale svuotamento anche del fondamentale
diritto di difesa, sancito dall’art. 24, primo comma, della Costituzione,
sotto il profilo che, limitando l’art. 111, ottavo comma, della
Costituzione, la ricorribilità per Cassazione delle decisioni del
Consiglio di Stato ai "soli motivi inerenti alla giurisdizione", non vi
sarebbe alcuna possibilità di composizione dei contrasti giurisprudenziali
fra giudici ordinari e giudici amministrativi.
2.3.– In tutti e tre i giudizi è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell’Avvocatura generale
dello Stato, il quale ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza della
questione proposta, richiamando le argomentazioni (sub 1.3.) svolte
nel giudizio relativo alla ordinanza n. 488 del 2002.
2.4.– Il 6 ottobre 2003, nei giudizi di cui alle
ordinanze n. 226 e n. 227 del 2003, e il 26 novembre 2003, nel giudizio di
cui all’ordinanza n. 680 del 2003, l’Avvocatura ha poi depositato memorie
di contenuto pressoché identico a quello della memoria depositata nel
giudizio n. 488 del 2002 (v. retro, sub 1.5.)
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Roma solleva questione di
legittimità costituzionale, con r.o. n. 488 del 2002, dell’art. 33, comma
1 e comma 2, lettere b) ed e) e, con r.o. n. 226, n. 227 e
n. 680 del 2003, dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80,
come sostituiti dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205; in tutte
le ordinanze di rimessione si assumono violati gli artt. 3, 24, 102, 103,
111 e 113 della Costituzione, mentre la prima ordinanza dubita, altresì,
della violazione degli artt. 25 e 100 della Costituzione.
I giudizi – in ciascuno dei quali è adeguatamente
motivata la rilevanza della questione – devono essere riuniti in quanto,
sia pure in relazione a due norme diverse (artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 80
del 1998, come modificati dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000), in
tutti viene sostanzialmente posta la (medesima) questione dei limiti che
il legislatore ordinario deve rispettare nel disciplinare, ampliandola, la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
2.– Le questioni sono fondate nei limiti di seguito
precisati.
2.1.– I giudici rimettenti lamentano che la legge n.
205 del 2000, portando a compimento un disegno di politica legislativa
volto, a partire dal 1990, ad estendere l’area della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, abbia sostituito al criterio di
riparto della giurisdizione fissato in Costituzione, e costituito dalla
dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, il diverso criterio dei
"blocchi di materie": in tal modo sarebbe stato alterato non soltanto il
rapporto tra giurisdizione del giudice ordinario e del giudice
amministrativo – rapporto che, pur non essendo stato realizzato il
principio dell’unicità della giurisdizione, dovrebbe pur sempre essere di
regola ad eccezione quanto alla cognizione su diritti soggettivi – ma
anche il rapporto, all’interno della giurisdizione del giudice
amministrativo, tra giurisdizione (generale) di legittimità e
giurisdizione (speciale, se non eccezionale) esclusiva.
La violazione degli artt. 102 e 103 Cost. (e dell’art.
100 – aggiunge l’ordinanza n. 488 del 2002 – con la trasformazione del
Consiglio di Stato da giudice "nell’amministrazione" in giudice
"dell’amministrazione") non si sarebbe realizzata con i pur massicci
interventi legislativi degli anni ’90, in quanto le nuove ipotesi di
giurisdizione esclusiva concernevano pur sempre "talune specifiche
controversie" caratterizzate "dall’intreccio di posizioni giuridiche
riconducibili tanto al diritto soggettivo quanto all’interesse legittimo":
è con il d.lgs. n. 80 del 1998, specie come trasfuso nell’art. 7 della
legge n. 205 del 2000, che il legislatore ha abbandonato il criterio dello
"inestricabile nodo gordiano" ravvisabile in specifiche controversie
correlate all’interesse generale per accogliere quello dei "blocchi di
materie", nelle quali "la commistione di diritti soggettivi ed interessi
legittimi non si debba ricercare nelle varie tipologie delle singole
controversie ma nell’atteggiarsi dell’azione della pubblica
amministrazione in settori determinati, anche se molto estesi, connotati
da una significativa presenza dell’interesse pubblico".
La Costituzione, attribuendo al giudice ordinario "il
ruolo di giudice naturale dei diritti soggettivi tra privati e pubblica
amministrazione", avrebbe recepito e fatto propri i principi ispiratori
della legge n. 2248 del 1865, All. E, così conferendo alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo un carattere residuale, che può
giustificare "eccezioni ma non stravolgimenti" rispetto alla "tendenziale
generalità ed illimitatezza delle attribuzioni del giudice ordinario".
Anche a voler prescindere dall’irragionevolezza della
scelta legislativa di esaltare il ruolo del giudice amministrativo nel
momento in cui al c.d. modello autoritativo dei rapporti
cittadino-pubblica amministrazione viene sempre più sostituito il c.d.
modello negoziale, tale scelta – unita al conferimento al giudice
amministrativo di "pienezza di poteri decisori" e quindi anche risarcitori,
perfino "al di fuori della giurisdizione esclusiva e nell’ambito della sua
giurisdizione generale di legittimità" – farebbe sì che "il giudice
amministrativo sia ormai proiettato in una dimensione civilistica che fino
a ieri costituiva territorio esclusivo del giudice ordinario", per giunta
senza sottostare al controllo nomofilattico, che costituisce anche
garanzia di parità di trattamento, della Corte di cassazione.
2.2.– Del tutto correttamente i rimettenti osservano
che la Carta costituzionale ha recepito – non senza conservare traccia
nell’art. 102, primo comma, dell’orientamento favorevole all’unicità della
giurisdizione – il nucleo dei principi in materia di giustizia
amministrativa quali evolutisi a partire dalla legge abolitrice del
contenzioso amministrativo del 1865: ed i lavori della Costituente
documentano come "l’indispensabile riassorbimento nella Costituzione dei
principi fondamentali della legge 20 marzo 1865" conducesse, da un lato,
alla proposta di Calamandrei per cui "l’esercizio del potere giudiziario
in materia civile, penale e amministrativa appartiene esclusivamente ai
giudici ordinari" (art. 12, discusso dalla seconda Sottocommissione il 17
dicembre 1946) e, dall’altro lato, al testo (proposto dagli on.li Conti,
Bettiol, Perassi, Fabbri e Vito Reale) approvato dall’Assemblea
costituente nella seduta pomeridiana del 21 novembre 1947, corrispondente
agli attuali artt. 102 e 103 Cost.; e conducesse, inoltre, alla esclusione
della soggezione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei
conti al controllo di legittimità della Corte di cassazione, limitandolo
al solo "eccesso di potere giudiziario", coerentemente alla "unità non
organica, ma funzionale di giurisdizione, che non esclude, anzi implica,
una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi, in sistemi
autonomi, ognuno dei quali fa parte a sé" (così Mortati, seduta
pomeridiana del 27 novembre 1947).
In realtà, come la dottrina ha da tempo chiarito, la
legge n. 2248 del 1865, All. E, nel momento stesso in cui assicurava
tutela al cittadino davanti al giudice ordinario per "tutte le materie
nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque
vi possa essere interessata la pubblica amministrazione" (art. 2), sanciva
in ogni altro caso (per "gli affari non compresi nell’articolo
precedente") la totale sottrazione a qualsiasi controllo giurisdizionale
della sfera della c.d. amministrazione pura (art. 3): in tal modo – anche
grazie all’ampiezza con la quale questa zona "franca" dell’amministrazione
fu intesa dalla giurisprudenza, in ciò incoraggiata dall’allora giudice
dei conflitti, il Consiglio di Stato, e dal successivo giudice ex
legge 31 marzo 1877 n. 3761, le sezioni unite della Cassazione romana – la
legge del 1865 creava le premesse della legislazione successiva volta a
colmare il sempre più grave vuoto di tutela giurisdizionale da essa
lasciato con il puro e semplice ignorare tale esigenza negli "affari non
compresi" nell’art. 2.
La relazione Crispi al disegno di legge, divenuto la
legge (istitutiva della IV Sezione) 31 marzo 1889, n. 5992, chiarisce
infatti che "la legge 20 marzo 1865, All. E, proclamò l’unità della
giurisdizione, ma nulla avendo sostituito al contenzioso amministrativo
che abolì, rimase abbandonata alla potestà amministrativa l’immensa somma
di interessi onde lo Stato è depositario"; e pur se soltanto la legge 7
marzo 1907, n. 62, istitutiva della V Sezione, definì "giurisdizionale"
questa e la IV Sezione, riconoscendo alle loro decisioni l’efficacia del
giudicato, la funzione giurisdizionale dell’organo, che sarebbe stato
chiamato a colmare il vuoto di tutela da essa lasciato, era già insita
nella legge abolitrice del contenzioso amministrativo.
E’ evidente, quindi, l’ambivalenza del richiamo –
operato così da Calamandrei come dai suoi oppositori nell’Assemblea
costituente – all’"indispensabile riassorbimento nella Costituzione dei
principi fondamentali della legge 20 marzo 1865, All. E": richiamo, che
potrebbe dirsi "statico", da parte di chi voleva colmare, nel 1947, con il
giudice ordinario (eventualmente attraverso sue sezioni specializzate), il
vuoto di tutela lasciato nel 1865 ed "abusivamente" (rispetto ai principi
proclamati nell’art. 2) poi riempito da un Consiglio di Stato che aveva,
ormai, "esaurito storicamente" il suo compito (Calamandrei, II
Sottocommissione, seduta pomeridiana del 9 gennaio 1947); richiamo, che
potrebbe dirsi "dinamico", da parte di chi sottolineava che "il Consiglio
di Stato non ha mai tolto nulla al giudice ordinario" (così Bozzi, ivi) in
quanto la giurisdizione amministrativa è sorta "non come usurpazione al
giudice ordinario di particolari attribuzioni, ma come conquista di una
tutela giurisdizionale da parte del cittadino nei confronti della pubblica
amministrazione; quindi non si tratta di ristabilire la tutela giudiziaria
ordinaria del cittadino che sia stata usurpata da questa giurisdizione
amministrativa, ma di riconsacrare la perfetta tradizione di una conquista
particolare di tutela da parte del cittadino" (Leone, Assemblea, seduta
pomeridiana del 21 novembre 1947).
Sembra allora chiaro che il Costituente, accogliendo
quest’ultima impostazione, ha riconosciuto al giudice amministrativo piena
dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica
amministrazione, delle situazioni soggettive non contemplate dal (modo in
cui era stato inteso) l’art. 2 della legge del 1865; così come di questa
legge ha, con quello che sarebbe diventato l’art. 113 Cost., recepito il
principio – "e fu per questo ritenuta una conquista liberale di grande
importanza" – "per il quale, quando un diritto civile o politico viene
leso da un atto della pubblica amministrazione, questo diritto si può far
valere di fronte all’Autorità giudiziaria ordinaria, in modo che la
pubblica amministrazione davanti ai giudici ordinari viene a trovarsi, in
questi casi, come un qualsiasi litigante privato soggetto alla
giurisdizione … principio fondamentale che è stato completato poi con
l’istituzione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato …
dell’unicità della giurisdizione nei confronti della pubblica
amministrazione" (Calamandrei, Assemblea, seduta pomeridiana del 27
novembre 1947).
2.3.– Se, relativamente alla conservazione della
giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, l’esame
dei lavori dell’Assemblea costituente offre il quadro che si è
tratteggiato, da essi non emergono particolari elementi di chiarificazione
relativamente alla previsione, nel testo dell’art. 103 Cost., della
giurisdizione esclusiva: previsione che compare quasi come accessoria
rispetto a quella generale di legittimità, per "la inscindibilità delle
questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, e per la
prevalenza delle prime", le quali impongono di "aggiungere la competenza
del Consiglio di Stato per i diritti soggettivi, nelle materie particolari
specificamente indicate dalla legge" (Ruini, Assemblea, seduta pomeridiana
del 21 novembre 1947).
3.– L’ambivalenza stessa della premessa, si è rilevato,
esclude in radice che possa sostenersi che la Costituzione abbia
definitivamente ed immutabilmente cristallizzato la situazione esistente
nel 1948 circa il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice
amministrativo, ma deve anche escludersi che dalla Costituzione non si
desumano i confini entro i quali il legislatore ordinario, esercitando il
potere discrezionale suo proprio (più volte riconosciutogli da questa
Corte), deve contenere i suoi interventi volti a ridistribuire le funzioni
giurisdizionali tra i due ordini di giudici: a ciò non ostando la
circostanza che, per la prima volta in un testo normativo, è nella
Costituzione che compare, e ripetutamente, la locuzione "interessi
legittimi".
Si è detto della chiara opzione del Costituente in
favore del riconoscimento al giudice amministrativo della piena dignità di
giudice: riconoscimento per il quale milita, oltre e più che
l’apprezzamento, più volte espresso nell’Assemblea costituente, per
l’indipendenza con la quale il Consiglio di Stato aveva operato durante il
regime fascista, la circostanza che l’art. 24 Cost. assicura agli
interessi legittimi – la cui tutela l’art. 103 riserva al giudice
amministrativo – le medesime garanzie assicurate ai diritti soggettivi
quanto alla possibilità di farli valere davanti al giudice ed alla
effettività della tutela che questi deve loro accordare.
Si è anche sostenuto che, in presenza di tale opzione,
il principio dell’unicità della giurisdizione – espresso dall’art. 102,
con riguardo al giudice, e riflesso nell’art. 113, con riguardo alle forme
di tutela garantite al cittadino – sta a significare che in nessun caso il
legislatore ordinario può far sì che la pubblica amministrazione sia, in
quanto tale, assoggettata ad una particolare giurisdizione, ovvero
sottratta alla giurisdizione alla quale soggiace "qualsiasi litigante
privato": la specialità di un giudice può fondarsi esclusivamente sul
fatto che questo sia chiamato ad assicurare la giustizia
"nell’amministrazione", e non mai sul mero fatto che parte in causa sia la
pubblica amministrazione.
3.1.– Alla luce di tali principi occorre valutare se la
disciplina introdotta, in punto di giurisdizione esclusiva, dalla legge n.
205 del 2000 è tale da confliggere con essi; ciò che equivale a chiedersi
se quei principi conformino la giurisdizione esclusiva, ritenuta
ammissibile dalla Costituzione, in modo incompatibile con la disciplina
dettata dalla legge de qua.
Si è rilevato (sub 2.1.) che i rimettenti
ricordano diffusamente come la giurisdizione esclusiva – fino al 1990
confinata nei ristretti limiti segnati dagli artt. 29 del t.u. n. 1054 del
1924 e 5, comma 1, della legge n. 1034 del 1971 (ma adde gli artt.
11 della legge n. 1185 del 1967; 32 della legge n. 426 del 1971; 16 della
legge n. 10 del 1977; 6 della legge n. 440 del 1978; 35 della legge n. 47
del 1985; 11 della legge n. 210 del 1985) – sia stata notevolmente estesa
a partire da tale anno contemplando l’impugnazione degli atti delle c.d.
autorità amministrative indipendenti (artt. 33 della legge n. 287 del
1990; 7 del d.lgs. n. 74 del 1992; 10 della legge n. 109 del 1994; 2 della
legge n. 481 del 1995; 1 della legge n. 249 del 1997) nonché quella degli
accordi tra privati e pubblica amministrazione (artt. 11 e 15 della legge
n. 241 del 1990; legge n. 537 del 1993); ma tale estensione non appare
loro confliggente con alcun parametro costituzionale in quanto, osservano,
pur sempre limitata a specifiche controversie connotate non già da una
generica rilevanza pubblicistica, bensì dall’intreccio di situazioni
soggettive qualificabili come interessi legittimi e come diritti
soggettivi.
La giurisdizione esclusiva introdotta, viceversa, dalla
legge n. 205 del 2000 sarebbe qualitativamente diversa e, come tale,
incompatibile con il dettato costituzionale.
3.2.– Le censure che si sono sinteticamente riferite (sub
2.1.) colgono nel segno nella parte in cui denunciano l’adozione, da parte
del legislatore ordinario del 1998-2000, di un’idea di giurisdizione
esclusiva ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore
dell’ordinamento, di un rilevante pubblico interesse; un’idea – come
osservano i rimettenti – che presuppone l’approvazione (mai avvenuta) di
quel progetto di riforma (Atto Camera 7465 XIII Legislatura) dell’art. 103
Cost. secondo il quale "la giurisdizione amministrativa ha ad oggetto le
controversie con la pubblica amministrazione nelle materie indicate dalla
legge".
E’ evidente, viceversa, che il vigente art. 103, primo
comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed
incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo
di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito
il potere di indicare "particolari materie" nelle quali "la tutela nei
confronti della pubblica amministrazione" investe "anche" diritti
soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è
né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve
considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non
fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie.
Tale necessario collegamento delle "materie"
assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con
la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato
dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria
ed amministrativa – è espresso dall’art. 103 laddove statuisce che quelle
materie devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla
giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della
loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la
pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è
accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo.
Il legislatore ordinario ben può ampliare l’area della
giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal
senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero
pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la
giurisdizione generale di legittimità: con il che, da un lato, è escluso
che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia
sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo
(il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice "della" pubblica
amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.)
e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico
coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa
possa essere devoluta al giudice amministrativo.
3.3.– E’ appena il caso di rilevare che, ove il
legislatore ordinario si attenga ai criteri appena enunciati, si risolve
in radice anche il problema che i rimettenti pongono con riguardo all’art.
111, settimo comma, Cost.: è sufficiente osservare, infatti, che è la
stessa Carta costituzionale a prevedere che siano sottratte al vaglio di
legittimità della Corte di cassazione le pronunce che investono i diritti
soggettivi nei confronti dei quali, nel rispetto della "particolarità"
della materia nel senso sopra (3.2) chiarito, il legislatore ordinario
prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
3.4.– Alla luce di tali criteri – desumibili dalla
lettera delle norme nelle quali si è incarnata, nella Costituzione, la
storia della giustizia amministrativa in Italia – la disciplina dettata
dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, nella parte in cui sostituisce
gli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, non è conforme a
Costituzione.
3.4.1.– Va premesso che la dichiarazione di
incostituzionalità non investe in alcun modo – nonostante i rimettenti ne
adducano il disposto a sostegno delle loro censure – l’art. 7 della legge
n. 205 del 2000, nella parte in cui (lettera c) sostituisce l’art.
35 del d.lgs. n. 80 del 1998: il potere riconosciuto al giudice
amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma
specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun
profilo una nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno
strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o
conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei
confronti della pubblica amministrazione.
L’attribuzione di tale potere non soltanto appare
conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al
Consiglio di Stato (sub 3), ma anche, e soprattutto, essa affonda
le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il quale, garantendo
alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa
piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati
poteri; e certamente il superamento della regola (avvenuto, peraltro,
sovente in via pretoria nelle ipotesi olim di giurisdizione
esclusiva), che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice
amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di
giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e
l’eventuale risarcimento del danno (regola alla quale era ispirato anche
l’art. 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, che pure era di
derivazione comunitaria), costituisce null’altro che attuazione del
precetto di cui all’art. 24 Cost..
3.4.2.– La formulazione dell’art. 33 del d.lgs. n. 80
del 1998, quale recata dall’art. 7, comma 1, lettera a), della
legge n. 205 del 2000, confligge con i criteri, quali si sono individuati
sub 3.2. ai quali deve ispirarsi la legge ordinaria quando voglia
riservare una "particolare materia" alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo.
Ed infatti, non soltanto (e non tanto) il riferimento
ad una materia (i pubblici servizi) dai confini non compiutamente
delimitati (se non in relazione all’ipotesi di concessione prevista fin
dall’art. 5 della legge n. 1034 del 1971), quanto, e soprattutto,
quello a "tutte le controversie" ricadenti in tale settore rende evidente
che la "materia" così individuata prescinde del tutto dalla natura delle
situazioni soggettive in essa coinvolte: sicché, inammissibilmente, la
giurisdizione esclusiva si radica sul dato, puramente oggettivo, del
normale coinvolgimento in tali controversie di quel generico pubblico
interesse che è naturaliter presente nel settore dei pubblici
servizi. Ma, in tal modo, viene a mancare il necessario rapporto di
species a genus che l’art. 103 Cost. esige allorché contempla,
come "particolari", rispetto a quelle nelle quali la pubblica
amministrazione agisce quale autorità, le materie devolvibili alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Tale conclusione è avvalorata dalla circostanza che il
comma 2 della norma individua esemplificativamente ("in particolare")
controversie, quale quella incardinata davanti al giudice a quo,
nelle quali può essere del tutto assente ogni profilo riconducibile alla
pubblica amministrazione-autorità: e certamente le ipotesi specificamente
censurate (lettere b ed e) sono tali da non resistere al
vaglio di costituzionalità in quanto non soltanto (come le altre
contemplate dal comma 2) travolte dalla censura che investe la previsione
di "tutte le controversie in materia di pubblici servizi", ma anche
perché, ex se, integrano ipotesi nelle quali tali controversie non
vedono, normalmente, coinvolta la pubblica amministrazione-autorità.
La materia dei pubblici servizi può essere oggetto di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica
amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero,
attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti
negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale
facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l’esistenza del potere
autoritativo: art. 11 della legge n. 241 del 1990): sicché,
conclusivamente, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.
33, comma 1, nella parte in cui prevede che sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "tutte le controversie
in materia di pubblici servizi" anziché le controversie in materia di
pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse
quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (così come era
previsto fin dall’art. 5 della legge n. 1034 del 1971), ovvero relative a
provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un
pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla
legge n. 241 del 7 agosto 1990, ovvero ancora relative all’affidamento di
un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del
gestore (così come era previsto dall’art. 33, comma 2, lettere c e
d).
Va altresì dichiarata l’illegittimità costituzionale
del comma 2 della norma in esame.
3.4.3.– Analoghi rilievi investono la nuova
formulazione dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, quale recata
dall’art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 205 del
2000: formulazione che si pone in contrasto con la Costituzione nella
parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva – oltre "gli atti
e i provvedimenti" attraverso i quali le pubbliche amministrazioni
(direttamente ovvero attraverso "soggetti alle stesse equiparati")
svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed
edilizia – anche "i comportamenti", la estende a controversie nelle quali
la pubblica amministrazione non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè
avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente
privatistici – alcun pubblico potere.
Poiché, mutatis mutandis, a tale previsione
dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998 si attagliano le medesime
considerazioni che si sono esposte (sub 3.4.2.) a proposito
dell’art. 33, comma 1, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale
dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito
dall’art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 205 del 2000,
nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie aventi per oggetto "gli atti, i
provvedimenti e i comportamenti" in luogo che "gli atti e i provvedimenti"
delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 33, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove
disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle
amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e
di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 7,
lettera a, della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in
materia di giustizia amministrativa), nella parte in cui prevede che sono
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "tutte le
controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli" anziché
"le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di
pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri
corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica
amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento
amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero
ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza
e controllo nei confronti del gestore, nonché";
dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 33, comma 2, del medesimo decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
80, come sostituito dall’art. 7, lettera a, della legge 21 luglio
2000, n. 205;
dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 34, comma 1, del medesimo decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
80, come sostituito dall’art. 7, lettera b, della legge 21 luglio
2000, n. 205, nella parte in cui prevede che sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi
per oggetto "gli atti, i provvedimenti e i comportamenti" anziché "gli
atti e i provvedimenti" delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti
alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2004.
F.to:
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2004.
Il Cancelliere
F.to: MELATTI