LA CORTE COSTITUZIONALE
(…)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 27
del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul
processo penale a carico di imputati minorenni), promosso, nell’ambito di
un procedimento penale, dalla Corte d’appello di Roma, sezione per i
minorenni, con ordinanza in data 16 aprile 2002, iscritta al n. 292 del
registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il Giudice
relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 16 aprile 2002, la Corte
d’appello di Roma, sezione per i minorenni, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 25 e 31 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell'art. 27 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448
(Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati
minorenni), nella parte in cui non prevede che la sentenza di non luogo a
procedere per irrilevanza del fatto possa essere pronunciata anche in
dibattimento.
La Corte d’appello premette:
- che procede, a seguito di impugnazione proposta dal
difensore di un imputato minorenne, contumace, che era stato sorpreso, in
compagnia di altri ragazzi e di due maggiorenni, mentre tentava di
asportare benzina dal serbatoio di alcune vetture lasciate in sosta;
- che l'imputato era stato rinviato a giudizio dal
Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Roma, in
quanto la sua assenza non consentiva la definizione del processo
nell’udienza preliminare;
- che all'esito del dibattimento il Tribunale per i
minorenni, rilevato che in quella sede non poteva più essere pronunciata
sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto a norma
dell'art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988, concedeva al minore il perdono
giudiziale;
- che avverso tale sentenza l'imputato aveva proposto
appello, chiedendo di venire prosciolto per irrilevanza del fatto e
sollevando, in subordine, eccezione di illegittimità costituzionale ove si
ritenesse preclusa l'applicabilità di tale istituto in dibattimento;
- che al riguardo la difesa aveva sostenuto che, avendo
il proscioglimento per irrilevanza del fatto "natura sostanziale",
l'esclusione della sua applicazione in sede dibattimentale non trova
alcuna razionale giustificazione, e che tale preclusione si pone inoltre
in contrasto con l'art. 31 Cost., in quanto, a seguito delle modifiche
introdotte nell'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988 dal
decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 7, convertito nella legge 25 febbraio
2000, n. 35, nell'udienza preliminare l'imputato può essere prosciolto per
irrilevanza del fatto solamente se in quella fase ha prestato il suo
consenso alla definizione del procedimento, rimanendo pertanto privato
della possibilità di conseguire il più favorevole proscioglimento per
irrilevanza del fatto ove per qualsiasi ragione non sia presente
all'udienza preliminare.
La Corte d'appello rimettente, nell'aderire alle
argomentazioni della difesa circa la non manifesta infondatezza della
questione, rileva che, nonostante la natura sostanziale della causa di non
punibilità disciplinata dall’art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988, ove la
sua sussistenza emerga solo in dibattimento, ovvero l'imputato non sia
presente all'udienza preliminare, la disciplina censurata non consente il
proscioglimento del minorenne per irrilevanza del fatto.
Si determinerebbe così un irragionevole trattamento
deteriore del minorenne che non è stato prosciolto in udienza preliminare
soltanto perché era assente in tale fase, con conseguente violazione
dell'art. 3 Cost.
Sarebbe inoltre violato l'art. 25 Cost., in quanto al
"giudice del dibattimento che è il giudice naturale cui è demandato
l'accertamento dei fatti con pienezza di poteri" non verrebbe attribuito
il potere di prosciogliere per irrilevanza del fatto, riconosciuto invece
al "giudice adito in modo eccezionale" a seguito di giudizio direttissimo
o immediato.
La disciplina censurata sarebbe infine in contrasto con
l'art. 31 Cost.: criticando le argomentazioni espresse dalla
giurisprudenza di legittimità che, nell'escludere l'incostituzionalità
dell'art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988, ha ritenuto che un
proscioglimento in forza di tale norma in dibattimento si porrebbe in
contrasto con "la ratio sottesa alla disciplina, consistente
nell'educazione del minore", la Corte rimettente osserva che "una
pronuncia di non luogo a procedere ex art. 27, sia pur collocata in
una fase avanzata del processo, potrebbe comunque spiegare effetti
positivi per il minorenne al quale verrebbe [...] evitato l'ulteriore
pregiudizio alle sue esigenze educative conseguente al protrarsi della
vicenda processuale". L'impossibilità di prosciogliere per irrilevanza del
fatto in dibattimento impedirebbe dunque di garantire "quell'attenzione e
protezione nei confronti della gioventù" imposte dall'art. 31 Cost.
2. - E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o,
comunque, infondata.
Circa l'inammissibilità, l'Avvocatura dello Stato
rileva che la Corte d’appello avrebbe omesso ogni "valutazione della
rilevanza della questione sollevata nell'ambito del giudizio a quo".
Quanto ai profili di infondatezza, l'Avvocatura, richiamando la
giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui la ratio
della norma risiede nella necessità di garantire al minore
"l'estromissione immediata, o quantomeno la più possibile sollecita, dal
circuito penale", sostiene che l'intervento richiesto dal giudice a quo
si porrebbe in contrasto con la finalità della norma; inoltre, "da un
punto di vista sostanziale", l'istituto del perdono giudiziale, applicato
in primo grado nel giudizio a quo, corrisponderebbe "alle medesime
esigenze dell'irrilevanza penale del fatto (tenuità del fatto ed
esclusione di futura recidivanza), sì che non sembra che nel sistema vi
sia alcuna lacuna con riferimento a tale esigenza".
Considerato in diritto
1. - La Corte d’appello di Roma dubita della
legittimità costituzionale dell'art. 27 del d.P.R. 22 settembre 1988, n.
448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di
imputati minorenni), nella parte in cui non prevede che la sentenza di
proscioglimento per irrilevanza del fatto possa essere pronunciata anche
in dibattimento.
La questione è sollevata nel procedimento di appello a
carico di un imputato minorenne che era stato rinviato a giudizio avanti
al Tribunale avendo il Giudice dell'udienza preliminare rilevato che
l'assenza dell'imputato precludeva di pronunciare sentenza di non luogo a
procedere per irrilevanza del fatto. Il Tribunale, preso atto che l'art.
27 del d.P.R. n. 448 del 1988 non è applicabile in dibattimento, emetteva
sentenza di concessione del perdono giudiziale, avverso la quale
l'imputato proponeva appello chiedendo di essere prosciolto per
irrilevanza del fatto ed eccependo, in subordine, l’illegittimità
costituzionale del citato art. 27.
Ad avviso della Corte rimettente, la disciplina
censurata si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto,
stante la natura sostanziale della causa di non punibilità per irrilevanza
del fatto, la preclusione stabilita dall'art. 27 del d.P.R. n. 448 del
1988 determina un ingiustificato trattamento deteriore dell'imputato che
non può essere prosciolto con tale formula per essere rimasto assente
nell'udienza preliminare, ovvero perché la sussistenza degli estremi
dell'irrilevanza del fatto è emersa solo in dibattimento.
Risulterebbe violato anche l'art. 31 Cost., in quanto
la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, sia pure
pronunciata in una fase avanzata del procedimento, avrebbe comunque
effetti positivi per il minorenne, consentendogli di evitare l'ulteriore
protrazione della vicenda processuale.
Il rimettente evoca inoltre l'art. 25 Cost., che
ritiene violato in base al rilievo che al giudice del dibattimento
"ordinario", che è il giudice naturale cui è demandato l'accertamento del
fatto, sarebbe preclusa la possibilità di pronunciare sentenza di
proscioglimento per irrilevanza del fatto, consentita invece al giudice
investito del giudizio direttissimo o immediato.
2. - Risulta priva di fondamento l'eccezione di
inammissibilità avanzata dall'Avvocatura dello Stato per avere il
rimettente omesso qualsiasi valutazione circa la rilevanza della
questione. Poiché il caso di specie concerne un giudizio di appello nel
quale la difesa dell'imputato ha chiesto, in riforma della sentenza di
primo grado, il proscioglimento del minore ex art. 27 del d.P.R. n.
448 del 1988, la questione è comunque rilevante, in quanto da una
eventuale pronuncia di accoglimento discende la possibilità per la Corte
di appello di entrare nel merito del gravame.
3. - La questione è fondata.
4. - Nell'originaria formulazione dell'art. 27 del
d.P.R. n. 448 del 1988 il proscioglimento dell'imputato minorenne per
irrilevanza del fatto era previsto solo nel corso delle indagini
preliminari. L'art. 32 del medesimo testo di legge prevedeva poi che la
sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto poteva essere
pronunciata anche nell'udienza preliminare. Dichiarate illegittime
entrambe le norme per eccesso di delega con la sentenza n. 250 del 1991,
l'irrilevanza del fatto venne reintrodotta dalla legge 5 febbraio 1992, n.
123, che, nel riformulare l’art. 27, inserì nel comma 4 la previsione che
la sentenza con tale formula può essere pronunciata anche nell'udienza
preliminare, nonché nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato. La
medesima legge provvedeva inoltre a ripristinare, con alcune modifiche
formali, il testo originario dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448 del
1988.
Sia la normativa transitoria del d.P.R. n. 448 del
1988, sia quella prevista in occasione dell'entrata in vigore della legge
n. 123 del 1992, estendevano la possibilità di pronunciare sentenza di
proscioglimento per irrilevanza del fatto in ogni stato e grado
nell’ambito dei procedimenti pendenti all'entrata in vigore dei rispettivi
testi di legge.
L'iter legislativo della disciplina del
proscioglimento per irrilevanza del fatto risulta dunque caratterizzato
dall'originaria volontà del legislatore di circoscrivere l'operatività
dell'istituto alle fasi delle indagini preliminari e dell'udienza
preliminare, poi estesa dalla legge n. 123 del 1992, mediante la
previsione del comma 4 dell'art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988, alle
ipotesi del giudizio direttissimo e del giudizio immediato, cioè alle
situazioni in cui nel procedimento minorile l'imputato, dopo che nei suoi
confronti è stata esercitata l’azione penale, ha il primo contatto con il
giudice. Tale volontà trova conferma nella disciplina transitoria, cui
sopra si è fatto cenno, che ha eccezionalmente previsto la possibilità di
pronunciare sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto in ogni
stato e grado del procedimento.
Da ultimo, l'art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63
(a sua volta anticipato dall'art. 1, comma 5, del decreto-legge 7 gennaio
2000, n. 2, convertito con modificazioni nella legge 25 febbraio 2000, n.
35), sostituendo integralmente il comma 1 dell’art. 32 del d.P.R. n. 448
del 1988, ha subordinato, per quanto rileva ai fini del presente giudizio,
la pronuncia nell'udienza preliminare della sentenza di non luogo a
procedere per irrilevanza del fatto (nonché nei casi previsti dall'art.
425 cod. proc. pen. e per concessione del perdono giudiziale) al consenso
dell'imputato a che il processo sia definito in quella fase. Il nuovo
testo dell'art. 32, comma 1, è stato dichiarato costituzionalmente
illegittimo da questa Corte con sentenza n. 195 del 2002, nella parte in
cui, in mancanza del consenso dell'imputato, preclude al giudice di
pronunciare una sentenza di non luogo a procedere che non presuppone un
accertamento di responsabilità.
5. - Come emerge anche dai cenni al proscioglimento per
irrilevanza del fatto contenuti nella relazione al progetto preliminare
delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, il
legislatore delegato, in attuazione del criterio generale enunciato
nell’alinea dell'art. 3 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, ha
ritenuto corrispondente alle esigenze dell'educazione del minore una
disciplina che privilegiasse la sua rapida fuoruscita dal processo, non
oltre il primo contatto con il giudice successivo all'esercizio
dell'azione penale. Questa impostazione è stata sostanzialmente confermata
dal legislatore del 1992, che, nel reintrodurre la disposizione che
preclude in via generale di fare applicazione dell'istituto in
dibattimento, ha previsto quali uniche eccezioni il giudizio direttissimo
e il giudizio immediato, ipotesi caratterizzate entrambe dalla mancanza
dell'udienza preliminare.
La scelta così operata sembra peraltro porsi in
contraddizione con la peculiare natura del proscioglimento per irrilevanza
del fatto e con la funzione di favore svolta da tale pronuncia rispetto ad
altre formule di proscioglimento tipiche del procedimento minorile.
In primo luogo, i presupposti sostanziali dell’istituto
(tenuità del fatto e occasionalità del comportamento), variamente definito
come causa oggettiva di esclusione della pena o causa di esclusione della
punibilità (v. in particolare la sentenza n. 250 del 1991, ove
l'irrilevanza del fatto, di cui è affermata la pertinenza al diritto
sostanziale, è qualificata come causa di non punibilità), e l’esigenza di
assicurarne le più ampie possibilità di accertamento rendono priva di
ragionevole giustificazione una disciplina che ne limita l’operatività
alle fasi iniziali del procedimento.
D’altro canto, alla luce dell’art. 31, secondo comma,
Cost. e dei principi enunciati nelle Convenzioni, nelle Regole e nelle
Raccomandazioni internazionali in materia, a cui questa Corte si è
ripetutamente richiamata (tra le tante, v. sentenze n. 195 del 2002, n.
433 del 1997, n. 250 del 1991), la tutela del preminente interesse del
minore non può essere fatta meccanicisticamente coincidere con la sua
immediata fuoruscita dal procedimento, ma richiede che l’estromissione "la
più possibile sollecita" (cfr. sentenza n. 250 del 1991) dal circuito
processuale non sacrifichi l'esigenza di "garantire al minore le più
complete opportunità difensive connesse alla formazione della prova in
dibattimento" (cfr. sentenza n. 195 del 2002, che a sua volta richiama la
sentenza n. 77 del 1993).
L'obiettivo di una rapida fuoruscita del minorenne dal
circuito processuale non esclude cioè che debba comunque essere adottata
la decisione a lui più favorevole, ponendolo nelle condizioni di ottenere,
ove ne sussistano i presupposti, la formula di proscioglimento più
adeguata alla natura del fatto contestato e ai profili soggettivi del suo
comportamento.
La disciplina censurata non contempera tali esigenze,
posto che, se gli elementi di fatto e le circostanze idonei a dimostrare
la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento emergono solo in
dibattimento, o se l'imputato non ha potuto beneficiare del
proscioglimento per irrilevanza del fatto nell’udienza preliminare,
l'unica alternativa alla pronuncia di una sentenza di condanna è, come
emblematicamente dimostrato dalla vicenda oggetto del giudizio a quo,
il proscioglimento dibattimentale per concessione del perdono giudiziale.
Ma tale esito, che presuppone un’affermazione di colpevolezza, realizza un
livello di tutela dell'imputato minorenne certamente inferiore rispetto a
quello assicurato dal proscioglimento per irrilevanza del fatto, i cui
effetti processuali e sostanziali sono di gran lunga più favorevoli.
Deve quindi essere dichiarata, per contrasto con gli
artt. 3 e 31, secondo comma, Cost., l'illegittimità costituzionale
dell'art. 27, comma 4, del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui
prevede che la sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto possa
essere pronunciata solo nell’udienza preliminare, nel giudizio immediato e
nel giudizio direttissimo.
Rimangono così assorbite le censure prospettate dal
rimettente in riferimento all'art. 25 Cost.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art.
27, comma 4, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle
disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), nella
parte in cui prevede che la sentenza di proscioglimento per irrilevanza
del fatto possa essere pronunciata solo nell’udienza preliminare, nel
giudizio immediato e nel giudizio direttissimo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2003.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA