Nel procedimento C-109/01,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla
Corte, a norma dell'art. 234 CE, dall'Immigration Appeal Tribunal (Regno
Unito), nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Secretary of State for the Home Department
e
Hacene Akrich
domanda vertente sull'interpretazione del diritto comunitario in
materia di libera circolazione delle persone e di diritto di soggiorno di
un cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino di uno Stato
membro,
LA CORTE,
composta dal sig. G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, dai sigg. J.-P.
Puissochet, M. Wathelet, R. Schintgen e C.W.A. Timmermans, presidenti di
sezione, dai sigg. D.A.O. Edward, A. La Pergola e P. Jann, dalle sig.re F.
Macken e N. Colneric (relatore), e dal sig. S. von Bahr, giudici,
avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore
viste le osservazioni scritte presentate:
- per il sig. Akrich, dal sig. T. Eicke, barrister, su incarico dei
sigg. D. Flynn, Joint Council for the Welfare of Immigrants e D. Betts,
solicitor;
- per il governo del Regno Unito, dal sig. J. E. Collins, in qualità di
agente, assistito dalla sig.ra E. Sharpston, QC, e dal sig. T. R. Tam,
barrister;
- per il governo ellenico, dalle sig.re I. Galani-Maragkoudaki e S.
Vodina, in qualità di agenti;
- per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra C. O'Reilly,
in qualità di agente,
vista la relazione d'udienza,
sentite le osservazioni orali del sig. H. Akrich, rappresentato
dall'avv. T. Eicke, del governo del Regno Unito, rappresentato dal sig. J.
E. Collins, assistito dalla sig.ra E. Sharpston, del governo ellenico,
rappresentato dalle sig.re I. Galani-Maragkoudaki e E.-M Mamouna, in
qualità di agenti, e della Commissione, rappresentata dalla sig.ra C. O'Reilly,
all'udienza del 5 novembre 2002,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza
del 27 febbraio 2003,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 3 ottobre 2000, pervenuta in cancelleria il 7 marzo
successivo, l'Immigration Appeal Tribunal (Commissione di secondo grado
per i ricorsi in materia di immigrazione) ha sottoposto alla Corte, ai
sensi dell'art. 234 CE, due questioni pregiudiziali vertenti
sull'interpretazione del diritto comunitario in materia di libera
circolazione delle persone e di diritto di soggiorno di un cittadino di un
paese terzo coniugato con un cittadino di uno Stato membro.
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia
tra il Secretary of State of the Home Department (in prosieguo: il "Secretary
of State") ed il sig. Akrich, cittadino marocchino, vertente sul diritto
di quest'ultimo di entrare e soggiornare nel Regno Unito.
Contesto normativo
Diritto comunitario
3. L'art. 39 CE, nn. 1-3, dispone quanto segue:
"1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità è
assicurata.
2. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata
sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto
riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
3. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine
pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:
(...)
b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati
membri;
(...)".
4. La direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il
coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il
soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di
pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850), agli
artt. 1, 2, e 3, nn. 1 e 2, così recita:
"Articolo 1
1. Le disposizioni contenute nella presente direttiva riguardano i
cittadini di uno Stato membro che soggiornano o si trasferiscono in un
altro Stato membro della Comunità allo scopo di esercitare un'attività
salariata o non salariata o in qualità di destinatari di servizi.
2. Tali disposizioni trovano applicazione anche nei riguardi del
coniuge e dei familiari che rispondono alle condizioni previste dai
regolamenti e dalle direttive adottati in questo settore in esecuzione del
Trattato.
Articolo 2
1. La presente direttiva riguarda i provvedimenti relativi all'ingresso
sul territorio, al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, o
all'allontanamento dal territorio, che sono adottati dagli Stati membri
per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
2. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.
Articolo 3
1. I provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono
essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale
dell'individuo nei riguardi del quale essi sono applicati.
2. La sola esistenza di condanne penali non può automaticamente
giustificare l'adozione di tali provvedimenti".
5. L'art. 10, nn. 1 e 3, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre
1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori
all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), dispone quanto segue:
"1. Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno
Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque
sia la loro cittadinanza:
a) il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;
b) gli ascendenti di tale lavoratore e del suo coniuge che siano a suo
carico.
(...).
3. Ai fini dell'applicazione dei paragrafi 1 e 2 il lavoratore deve
disporre per la propria famiglia di un alloggio che sia considerato
normale per i lavoratori nazionali nella regione in cui è occupato, senza
che tale disposizione possa provocare discriminazioni tra i lavoratori
nazionali ed i lavoratori provenienti da altri Stati membri".
6. Contemporaneamente al regolamento n. 1612/68, il legislatore
comunitario ha adottato la direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968,
68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento
e al soggiorno dei lavoratori degli Stati Membri e delle loro famiglie
all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 13). Secondo il suo primo
considerando, tale direttiva è diretta all'adozione di provvedimenti
conformi ai diritti e alle facoltà riconosciuti dal regolamento n. 1612/68
ai cittadini di ciascuno Stato membro che si trasferiscono allo scopo di
svolgere un'attività subordinata, nonché ai membri delle loro famiglie. Ai
sensi del secondo considerando della detta direttiva, la regolamentazione
applicabile in materia di soggiorno deve ravvicinare, nella misura del
possibile, la situazione dei lavoratori degli altri Stati membri e dei
membri delle loro famiglie a quella dei lavoratori nazionali.
7. Ai sensi dell'art. 1° della direttiva 68/360:
"Gli Stati membri sopprimono, alle condizioni previste dalla presente
direttiva, le restrizioni al trasferimento ed al soggiorno dei cittadini
di detti Stati e dei membri delle loro famiglie ai quali si applica il
regolamento (CEE) n. 1612/68".
8. L'art. 3 della direttiva 68/360 stabilisce quanto segue:
"1. Gli Stati membri ammettono sul loro territorio le persone di cui
all'articolo 1 dietro semplice presentazione di una carta d'identità o di
un passaporto validi.
2. Non può essere imposto alcun visto d'ingresso né obbligo
equivalente, salvo per i membri della famiglia che non possiedono la
cittadinanza di uno degli Stati membri. Gli Stati membri accordano a tali
persone ogni agevolazione per l'ottenimento dei visti ad esse necessari".
9. L'art. 4 della direttiva 68/630 dispone quanto segue:
"1. Gli Stati membri riconoscono il diritto di soggiorno sul loro
territorio alle persone di cui all'articolo 1, che siano in grado di
esibire i documenti indicati al paragrafo 3.
2. Il diritto di soggiorno viene comprovato con il rilascio di un
documento denominato carta di soggiorno di cittadino di uno Stato membro
della CEE. Tale documento deve contenere la menzione che esso è stato
rilasciato in conformità del regolamento (CEE) n. 1612/68 e delle
disposizioni adottate dagli Stati membri in applicazione della presente
direttiva. Il testo di questa menzione figura in allegato alla presente
direttiva.
3. Per il rilascio della carta di soggiorno di cittadino di uno Stato
membro della CEE, gli Stati membri possono esigere soltanto la
presentazione dei documenti qui di seguito indicati:
- dal lavoratore:
a) il documento in forza del quale egli è entrato nel loro territorio;
b) una dichiarazione di assunzione del datore di lavoro o un attestato
di lavoro;
- dai membri della famiglia:
c) il documento in forza del quale sono entrati nel loro territorio;
d) un documento rilasciato dall'autorità competente dello Stato
d'origine o di provenienza attestante l'esistenza del vincolo di
parentela;
e) nei casi contemplati dall'articolo 10, paragrafi 1 e 2, del
regolamento (CEE) n. 1612/68, un documento rilasciato dall'autorità
competente dello Stato d'origine o di provenienza, da cui risulti che sono
a carico del lavoratore o che con esso convivono in detto paese.
4. Ai membri della famiglia che non abbiano la cittadinanza di uno
Stato membro è rilasciato un documento di soggiorno di validità uguale a
quello rilasciato al lavoratore da cui dipendono".
10. La direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa
alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei
cittadini degli Stati Membri all'interno della Comunità in materia di
stabilimento e di prestazione di servizi (GU L 172, pag. 14), riguarda i
lavoratori non salariati e i loro familiari.
Diritto nazionale
Considerazioni generali
11. La normativa del Regno Unito in materia d'immigrazione è
sostanzialmente costituita dall'Immigration Act 1971 (legge del 1971
sull'immigrazione) e dalle Immigration Rules (House of Commons Paper 395),
(norme sull'immigrazione adottate dal Parlamento del Regno Unito nel 1994)
ed in seguito più volte modificate (in prosieguo: le "Immigration Rules").
12. Ai sensi delle section 1(2) e 3(1) dell'Immigration Act 1971, chi
non è cittadino britannico può, di norma, entrare o soggiornare nel Regno
Unito solo se gli viene concessa un'autorizzazione in tal senso. Tali
autorizzazioni sono definite, rispettivamente, "autorizzazione
all'ingresso" ("leave to enter") e "permesso di soggiorno" ("leave to
remain").
13. In forza del paragrafo 24 delle Immigration Rules, i cittadini di
taluni paesi, tra cui il Marocco, devono ottenere un previo permesso di
entrare ("entry clearance") prima dell'arrivo nel Regno Unito. Un permesso
di entrare è analogo ad un visto. Per le persone tenute ad ottenere un
visto, esso si presenta sotto forma di visto.
14. Ai sensi della section 7(1) dell'Immigration Act 1988 (legge del
1988 sull'immigrazione), il l'autorizzazione all'ingresso o al soggiorno
nel Regno Unito non è richiesto per chi è legittimato ad entrare o a
soggiornarvi "in forza di un diritto comunitario che egli può far valere
direttamente".
Potere discrezionale del Secretary of State
15. Il Secretary of State dispone del potere discrezionale di ammettere
persone nel Regno Unito, o di autorizzarle a soggiornarvi, anche quando
esse non soddisfano le condizioni previste dalle specifiche disposizioni
in materia di immigrazione.
Espulsione
16. Ai sensi delle sezioni 3(5) e 3(6) dell'Immigration Act 1971, chi
non è cittadino britannico può, tra l'altro, subire l'espulsione ("deportation")
dal Regno Unito quando sia stato condannato per un reato punibile con pena
detentiva e un tribunale penale ne abbia richiesto l'espulsione.
17. Una volta che il Secretary of State ha firmato l'ordine di
espulsione, ai sensi della section 5(1) dell'Immigration Act 1971, esso
produce l'effetto di obbligare la persona interessata a lasciare il Regno
Unito, di vietargli l'ingresso nel Regno Unito e di invalidare qualsiasi
autorizzazione all'ingresso o al soggiorno che gli sia stata concessa,
indipendentemente dal fatto che tale autorizzazione sia stata rilasciata
prima o dopo la firma dell'ordine. Gli ordini di espulsione prevedono una
misura di allontanamento della persona dal Regno Unito.
18. Ad una persona che presenta domanda di autorizzazione all'ingresso
nel Regno Unito mentre nei suoi confronti è in vigore un'ordine di
espulsione, tale autorizzazione dev'essere rifiutata [paragrafo 320(2)
delle Immigration Rules], anche se tale persona potrebbe essere, per il
resto, legittimata ad entrare. Chi entra nel Regno Unito mentre nei suoi
confronti è in vigore un'ordine di espulsione è considerato uno straniero
entrato illegalmente [section 33(1) dell'Immigration Act 1971] e come tale
è passibile di espulsione dal Regno Unito ai sensi della section 4(2)(c) e
dell'allegato 2, paragrafo 9, dell'Immigration Act 1971.
19. Gli ordini di espulsione hanno durata illimitata. Ai sensi della
section 5(2) dell'Immigration Act 1971, tuttavia, il Secretary of State
può revocare in ogni momento un ordine di espulsione. Il paragrafo 390
delle Immigration Rules stabilisce che ogni domanda di revoca di un ordine
di espulsione deve essere valutata tenendo presenti tutti gli elementi
della fattispecie, fra l'altro, i motivi per cui l'ordine è stato emesso,
le dichiarazioni presentate a favore della revoca, gli interessi
nazionali, compreso il mantenimento di un effettivo controllo
sull'immigrazione, e gli interessi del richiedente, comprese le ragioni di
ordine umanitario. Le situazioni matrimoniali e familiari sono di norma
considerate ragioni di ordine umanitario.
20. In forza del paragrafo 391 delle Immigration Rules, l'ordine di
espulsione non viene di norma revocato a meno che non vi sia stato un
mutamento sostanziale delle circostanze o che il trascorrere del tempo non
giustifichi la revoca. Ad ogni modo, salvo casi eccezionali, l'ordine di
espulsione non è revocato se la persona non è stata assente dal Regno
Unito per un periodo di almeno tre anni dal momento dell'adozione
dell'ordine.
21. Il paragrafo 392 delle Immigration Rules chiarisce che la revoca
dell'ordine di espulsione non conferisce, di per sé, all'interessato il
diritto di entrare nel Regno Unito. Essa gli consente semplicemente di
chiedere di entrare nel Regno Unito, conformemente alle Immigration Rules
o ad altre disposizioni in materia di immigrazione.
Matrimonio con un cittadino britannico o con un cittadino di uno Stato
membro dello Spazio economico europeo (SEE)
22. Una persona il cui ingresso nel Regno Unito è subordinato
all'ottenimento di un'autorizzazione all'ingresso, può richiedere tale
autorizzazione facendo valere il proprio matrimonio con una persona, anche
un cittadino del Regno Unito, presente e stabilita nel Regno Unito. Le
condizioni richieste per il rilascio di tale autorizzazione sono indicate
al paragrafo 281 delle Immigration Rules. Tale disposizione prevede, in
particolare, al punto vi), che il richiedente deve essere in possesso di
un valido permesso di entrare che gli permetta di far ingresso nel Regno
Unito in qualità di coniuge.
23. Ad una persona che soddisfa tutte le condizioni di cui al paragrafo
281 delle Immigration Rules può essere concesso un permesso di entrare e,
se quest'ultimo viene rilasciato, tale persona può in seguito richiedere
un'autorizzazione all'ingresso al momento dell'arrivo a un posto di
frontiera del Regno Unito. Ai sensi del paragrafo 282 delle Immigration
Rules, ad una persona che desidera ottenere un'autorizzazione all'ingresso
nel Regno Unito in qualità di coniuge di una persona ivi presente e
stabilita, può essere concessa, qualora detenga un siffatto permesso
d'entrare, un'autorizzazione all'ingresso iniziale, della durata massima
di dodici mesi.
24. Tuttavia, in applicazione dei paragrafi 320(2) e 321(3) delle
Immigration Rules, se una persona nei confronti della quale è in vigore un
ordine di espulsione chiede di entrare nel Regno Unito in qualità di
coniuge di una persona ivi presente e stabilita, le saranno negati il
permesso di entrare e, se lo richiede, l'autorizzazione all'ingresso,
anche se tale persona, per il resto, sarebbe in possesso dei requisiti per
entrare a tale titolo. Questa persona deve ottenere la revoca dell'ordine
di espulsione prima che gli possa essere concesso il permesso di entrare o
l'autorizzazione all'ingresso nel Regno Unito. Essa può chiedere la revoca
dell'ordine di espulsione o prima o contemporaneamente alla domanda di
permesso di entrare.
25. La normativa del Regno Unito in materia di immigrazione non
conteneva, inizialmente, una disposizione specifica relativa alla
situazione considerata dalla Corte nella citata sentenza 7 luglio 1992,
causa C-370/90, Singh (Racc. pag. 4265) vale a dire, l'ammissione nel
Regno Unito di una persona che dovrebbe normalmente disporre di
un'autorizzazione all'ingresso e che vuole entrarvi come coniuge di un
cittadino del Regno Unito che rientra o che vuole rientrare nel Regno
Unito dopo aver esercitato i diritti derivanti dal diritto comunitario
come lavoratore in un altro Stato membro.
26. Tuttavia, alla luce della citata sentenza Singh, tale persona
godeva di un "diritto comunitario che essa può far valere direttamente" ai
sensi della section 7(1) dell'Immigration Act 1988 e della section 2 dello
European Communities Act 1972 (legge del 1972 sulle Comunità europee), e
non era tenuta, in tale qualità, ad ottenere un'autorizzazione
all'ingresso nel Regno Unito.
27. In sostanza, quando una tale persona era "una persona tenuta ad
ottenere un preventivo permesso di entrare", essa doveva ottenere tale
permesso per essere ammessa nel Regno Unito. Esso le veniva normalmente
concesso, ma poteva esserle rifiutato per motivi di ordine pubblico,
pubblica sicurezza o sanità pubblica. Se essa otteneva siffatto permesso,
aveva quindi il diritto, al suo arrivo nel Regno Unito, di esservi ammessa
e di soggiornarvi alle stesse condizioni di un familiare di un cittadino
di uno Stato dello SEE diverso dal Regno Unito [artt. 3(2) e (3) dell'Immigration
(European Economic Area) Order 1994 (ordinanza del 1994 sul'immigrazione
proveniente dalla Spazio economico europeo)].
28. Ai sensi dell'art. 11, n. 1, delle EEA Regulations 2000
(regolamento del 2000 sul diritto d'ingresso e di soggiorno nel Regno
Unito dei cittadini dello SEE), tale regolamento di applica ad un
"familiare" di un cittadino del Regno Unito come se egli fosse un
familiare di un "cittadino dello SEE" qualora siano soddisfatte le
condizioni di cui all'art. 11, n. 2. Tali condizioni sono le seguenti:
- dopo aver lasciato il Regno Unito, il cittadino del Regno Unito ha
soggiornato in uno Stato membro dello SEE e o vi ha lavorato come
lavoratore salariato (non a titolo provvisorio, né occasionale) o vi si è
stabilito come lavoratore autonomo;
- il cittadino del Regno Unito non ha lasciato il Regno Unito per
permettere al suo familiare di acquisire diritti in forza di tale
regolamento e di eludere così l'applicazione della normativa
sull'immigrazione del Regno Unito;
- al suo ritorno nel Regno Unito, il cittadino del Regno Unito sarebbe,
se fosse un cittadino dello SEE, una persona legittimata a soggiornare nel
Regno Unito ("qualified person"), e
- se il familiare del cittadino del Regno Unito è il suo coniuge, il
matrimonio ha avuto luogo e le parti hanno convissuto in uno Stato membro
dello SEE prima del ritorno del cittadino britannico nel Regno Unito.
Causa principale
29. Nel febbraio 1989, il sig. Akrich, cittadino marocchino nato nel
1967, veniva autorizzato ad entrare nel Regno Unito come turista per un
mese. Egli presentava una domanda di permesso di soggiorno come studente,
ma tale domanda veniva respinta nel luglio 1989 ed il successivo ricorso
veniva respinto nell'agosto 1990.
30. Nel giugno 1990 egli veniva condannato per tentato furto e per uso
di un documento di identità rubato. In forza di un ordine di espulsione
emanato dal Secretary of State, egli veniva espulso verso l'Algeria il 2
gennaio 1991.
31. Nel gennaio 1992, tornava nel Regno Unito usando una falsa carta
d'identità francese. Veniva arrestato e nuovamente espulso nel giugno
1992. Dopo essere rimasto fuori dal Regno Unito per meno di un mese, vi
faceva ritorno clandestinamente.
32. Mentre soggiornava illegittimamente nel Regno Unito, egli sposava,
l'8 agosto 1996, la sig.ra Helina Jazdzewska, cittadina britannica, e,
alla fine dello stesso mese, chiedeva un permesso di soggiorno in qualità
di coniuge di un cittadino del Regno Unito.
33. Dopo essere stato posto in detenzione all'inizio del 1997 in forza
dell'Immigration Act 1971, il sig. Akrich veniva espulso, nell'agosto
1997, su sua richiesta verso Dublino (Irlanda), dove sua moglie si era
stabilita dal giugno 1997.
34. Nel gennaio 1998, il sig. Akrich chiedeva la revoca dell'ordine di
espulsione e, il mese successivo, un permesso di entrare in qualità di
coniuge di una persona ivi stabilita.
35. In occasione di tale domanda, il sig. e la sig.ra Akrich venivano
interrogati da un funzionario britannico dell'ambasciata del Regno Unito
in Dublino in merito al loro soggiorno in Irlanda e alle loro intenzioni.
Ne emergeva, da una parte, che la sig.ra Akrich aveva lavorato a Dublino
dall'agosto 1997 svolgendo, dal gennaio 1998 fino al maggio o al giugno
1998, un impiego a tempo pieno e durata determinata ma prorogabile. Anche
il sig. Akrich aveva lavorato nel settore della ristorazione per mezzo di
un'agenzia, accettando tutti gli impieghi disponibili. Il fratello della
sig.ra Akrich aveva proposto loro una sistemazione nel Regno Unito se vi
avessero fatto ritorno, e a quest'ultima veniva offerto un impiego nel
Regno Unito a partire dall'agosto 1998.
36. Da tali colloqui emergeva inoltre che il sig. e la sig.ra Akrich
chiedevano un permesso di entrare sul fondamento della citata sentenza
Singh. La sig.ra Akrich indicava inoltre, rispondendo ad una domanda, che
lei e suo marito avevano intenzione di tornare nel Regno Unito, avendo
"sentito parlare di diritti comunitari in base ai quali, restando sei
mesi, si poteva in seguito rientrare nel Regno Unito". Essa indicava, come
fonte di tale informazione, "solicitors e altre persone nella stessa
situazione".
37. Il 21 settembre 1998, il Secretary of State rifiutava di revocare
l'ordine di espulsione. Conformemente alle sue istruzioni, il 29 settembre
1998 veniva negato anche il permesso di entrare, richiesto sul fondamento
della citata sentenza Singh. Il Secretary of State riteneva che il
trasferimento del sig. Akrich e della sig.ra Akrich in Irlanda non fosse
altro che un'assenza temporanea, deliberatamente diretta a far sorgere un
diritto di soggiorno per il sig. Akrich al suo ritorno nel Regno Unito e,
allo steso modo, ad eludere la normativa nazionale del Regno Unito, e che
la sig.ra Akrich non avesse pertanto veramente esercitato i diritti
derivanti dal Trattato CE in qualità di lavoratore in un altro Stato
membro.
38. Nell'ottobre 1998, il sig. Akrich proponeva ricorso contro queste
due decisioni dinanzi all'Immigration Adjudicator (Regno Unito), che
accoglieva il ricorso nel novembre 1999.
39. Considerando dimostrato, in particolare, che il sig. Akrich e la
sig.ra Akrich si erano trasferiti in Irlanda con lo scopo manifesto di
esercitare successivamente diritti derivanti dal diritto comunitario che
li autorizzavano a ritornare nel Regno Unito, l'Immigration Adjudicator
giungeva tuttavia alla conclusione che, dal punto di vista giuridico, vi
era stato un esercizio effettivo, da parte della sig.ra Akrich, di diritti
conferiti dal diritto comunitario, esercizio che non era stato inficiato
dalle intenzioni dei coniugi e che questi ultimi non si erano pertanto
avvalsi del diritto comunitario per eludere le disposizioni della
normativa nazionale del Regno Unito. Esso dichiarava altresì che il sig.
Akrich non costituiva una vera e propria minaccia sufficientemente seria
per l'ordine pubblico, tale da giustificare il mantenimento dell'ordine di
espulsione.
40. Il Secretary of State proponeva appello avverso tale decisione
dinanzi all'Immigration Appeal Tribunal.
Ordinanza di rinvio e questioni pregiudiziali
41. Nell'ordinanza di rinvio, l'Immigration Appeal Tribunal ricorda
che, al punto 24 della citata sentenza Singh, la Corte ha formulato la
seguente riserva:
"Riguardo ai rischi di frode invocati dal governo britannico, è
sufficiente rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte (v., in
particolare, sentenze 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors, Racc. pag.
399, punto 25 della motivazione, e 3 ottobre 1990, causa C-61/89,
Bouchoucha, Racc. pag. I-3551, punto 14 della motivazione), le possibilità
offerte dal Trattato CEE non possono avere l'effetto di consentire alle
persone che ne fruiscono di sottrarsi abusivamente all'applicazione delle
normative nazionali e di vietare agli Stati membri di adottare i
provvedimenti necessari per evitare tali abusi".
42. L'Immigration Appeal Tribunal chiede se, accettando la tesi del
sig. Akrich, secondo cui ogni provvedimento adottato da uno Stato membro
al fine di prevenire un abuso deve essere compatibile con il diritto
comunitario, l'Immigration Adjudicator abbia applicato correttamente tale
riserva.
43. Secondo il Secretary of State, la riserva dovrebbe essere presa in
considerazione in entrambe le fasi dell'argomentazione del sig. Akrich,
così che non sarebbe possibile stabilire se la sig.ra ed il sig. Akrich
possano godere dei diritti conferiti ai "lavoratori", né se la portata
della deroga fondata sull'"ordine pubblico" consenta l'esclusione del
coniuge di un "lavoratore" da uno Stato membro, senza attribuire il dovuto
valore al fatto che il fine del preteso esercizio dei diritti conferiti
dal diritto comunitario era proprio quello di evitare l'applicazione
ordinaria della normativa del Regno Unito sull'immigrazione.
44. Il giudice del rinvio ritiene che questa sia una questione non
chiaramente risolta dalla citata sentenza Singh e che sia quindi opportuno
chiedere alla Corte ulteriori chiarimenti.
45. Alla luce di tali considerazioni, l'Immigration Appeal Tribunal ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le
seguenti questioni pregiudiziali:
"Qualora un cittadino di uno Stato membro sia sposato con un cittadino
di uno Stato terzo che, ai sensi della normativa nazionale, non sia
legittimato ad entrare o a soggiornare nel detto Stato membro, e con il
detto coniuge non cittadino si sposti in un altro Stato membro con
l'intento di esercitarvi diritti conferiti dal diritto comunitario
lavorando solo per un periodo limitato allo scopo di potere
successivamente reclamare, al ritorno nello Stato membro di cui è
cittadino, il beneficio di diritti conferiti dal diritto comunitario
unitamente al detto coniuge:
1) se lo Stato membro d'origine sia legittimato a considerare
l'intenzione di ambedue i coniugi, al momento in cui si spostano in un
altro Stato membro, di reclamare il beneficio di diritti tratti dal
diritto comunitario al ritorno nello Stato membro di cui il primo dei
detti coniugi è cittadino, nonostante che il coniuge non cittadino difetti
della legittimazione ai sensi della normativa nazionale, come una pretesa
all'applicazione del diritto comunitario per eludere l'applicazione della
normativa nazionale;
e
2) In caso affermativo, se lo Stato membro d'origine abbia il diritto
di rifiutarsi:
a) di sopprimere tutti i preesistenti ostacoli all'ingresso del coniuge
non cittadino nel detto Stato membro (nella specie, un ordine di
espulsione vigente); e
b) di concedere al coniuge non cittadino il diritto di entrare nel suo
territorio".
Sulle questioni pregiudiziali
46. Con le sue questioni, che occorre esaminare insieme, il giudice del
rinvio mira ad appurare, in sostanza, qual'è la portata della citata
sentenza Singh in una situazione come quella di cui alla causa principale.
47. In tale sentenza la Corte ha dichiarato che le disposizioni
dell'art. 52 del Trattato CEE (divenuto, art. 52 del Trattato CE, e, a sua
volta, in seguito a modifica, art. 43 CE) e quelle della direttiva 73/148,
devono essere interpretate nel senso che esse obbligano uno Stato membro
ad autorizzare l'entrata e il soggiorno nel suo territorio del coniuge -
indipendentemente dalla sua cittadinanza - del cittadino di tale Stato che
si sia recato, con detto coniuge, nel territorio di un altro Stato membro
per esercitarvi un'attività subordinata, ai sensi dell'art. 48 del
Trattato CEE (divenuto, art. 48 del Trattato CE, divenuto a sua volta, in
seguito a modifica, art. 39 CE), e che ritorni a stabilirsi, ai sensi
dell'art. 52 del Trattato CEE, nel territorio dello Stato di cui ha la
cittadinanza. Secondo il dispositivo di tale sentenza, il coniuge deve
godere quantomeno degli stessi diritti che gli spetterebbero, in forza del
diritto comunitario, se suo marito (o sua moglie) entrasse e soggiornasse
nel territorio di un altro Stato membro.
48. Le stesse conseguenze derivano dall'art. 39 CE se il cittadino
dello Stato membro interessato ha intenzione di ritornare sul suo
territorio per esercitarvi un'attività subordinata. Di conseguenza, quando
il coniuge è un cittadino di un paese terzo, deve godere quantomeno degli
stessi diritti che gli spetterebbero in forza dell'art. 10 del regolamento
n. 1612/68 se suo marito (o sua moglie) entrasse e soggiornasse nel
territorio di un altro Stato membro.
49. Tuttavia, il regolamento n. 1612/68 riguarda solo la libera
circolazione all'interno della Comunità. Esso non dispone nulla in merito
all'esistenza dei diritti di un cittadino di un paese terzo, coniugato con
un cittadino dell'Unione, relativi all'accesso al territorio della
Comunità.
50. Per poter fruire, in una situazione come quella di cui alla causa
principale, dei diritti previsti dall'art. 10 del regolamento n. 1612/68,
il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino dell'Unione,
deve soggiornare legalmente in uno Stato membro nel momento in cui avviene
il suo trasferimento in un altro Stato membro verso cui il cittadino
dell'Unione emigra o è emigrato.
51. Tale interpretazione è conforme all'economia delle disposizioni
comunitarie dirette a garantire la libertà di circolazione dei lavoratori
all'interno della Comunità, il cui esercizio non può penalizzare il
lavoratore migrante e la sua famiglia.
52. Quando un cittadino dell'Unione stabilito in uno Stato membro,
coniugato con un cittadino di un paese terzo che fruisce del diritto di
soggiornare in tale Stato membro, si trasferisce in un altro Stato membro
per svolgervi un'attività lavorativa subordinata, tale trasferimento non
deve far venire meno la possibilità di vivere legalmente insieme, perciò
l'art. 10 del regolamento n. 1612/68 conferisce al detto coniuge il
diritto di stabilirsi in tale altro Stato membro.
53. Per contro, quando un cittadino dell'Unione stabilito in uno Stato
membro e coniugato con un cittadino di un paese terzo che non gode del
diritto di soggiornare in tale Stato membro, si trasferisce in un altro
Stato membro per svolgervi un'attività lavorativa subordinata, il fatto
che il suo coniuge non abbia il diritto, derivante dall'art. 10 del
regolamento n. 1612/68, di stabilirsi con lui in tale altro Stato membro
non può costituire un trattamento meno favorevole di quello di cui
beneficiavano prima che il detto cittadino dell'Unione fruisse delle
possibilità offerte dal Trattato in materia di circolazione delle persone.
Pertanto, l'assenza di un tale diritto non è idonea a dissuadere il
cittadino dell'Unione dall'esercitare i diritti di circolazione
riconosciuti dall'art. 39 CE.
54. Lo stesso vale quando il cittadino dell'Unione, coniugato con un
cittadino di un paese terzo, ritorna nello Stato membro di appartenenza
per esercitarvi un'attività lavorativa subordinata. Se il suo coniuge
dispone di un diritto di soggiorno valido in un altro Stato membro, l'art.
10 del regolamento n. 1612/68 trova applicazione affinché il cittadino
dell'Unione non sia dissuaso dall'intento di esercitare la libertà di
circolazione ritornando nello Stato membro di cui è cittadino. Se, invece,
il suo coniuge già non dispone di un diritto di soggiorno valido in un
Stato membro, l'assenza, in capo a quest'ultimo, del diritto, tratto dal
detto art. 10, di installarsi con il cittadino dell'Unione, non produce
effetto dissuasivo a tale riguardo.
55. Quanto alla questione dell'abuso, richiamata al punto 24 della
citata sentenza Singh, occorre ricordare che i motivi che hanno potuto
spingere un lavoratore di uno Stato membro a cercare un'occupazione in un
altro Stato membro sono irrilevanti per quel che riguarda il diritto del
lavoratore ad accedere e a soggiornare nel territorio di quest'ultimo
Stato, sempreché l'interessato svolga o intenda svolgere un'attività reale
ed effettiva (sentenza 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035,
punto 23).
56. Tali intenzioni non sono pertinenti neppure per valutare la
situazione giuridica della coppia al momento del ritorno nello Stato
membro di cui il lavoratore è cittadino. Un comportamento del genere non
può costituire un abuso ai sensi del punto 24 della citata sentenza Singh,
anche se il coniuge, nel momento in cui la coppia si è stabilita in un
altro Stato membro, non era titolare di un diritto di soggiorno nello
Stato membro di cui è cittadino il lavoratore.
57. Per contro, si verificherebbe un abuso se ci si avvalesse delle
possibilità offerte dal diritto comunitario ai lavoratori migranti e al
loro coniuge nell'ambito di matrimoni di comodo contratti al fine di
eludere le disposizioni relative all'ingresso ed al soggiorno dei
cittadini di paesi terzi.
58. Quando il matrimonio è autentico e, al momento del ritorno del
cittadino dell'Unione nello Stato membro di cui egli ha la cittadinanza,
il suo coniuge, cittadino di un paese terzo, con il quale egli viveva
nello Stato membro che lascia, non soggiorna legalmente sul territorio di
uno Stato membro, occorre tuttavia tenere conto del diritto al rispetto
della sua vita familiare ai sensi dell'art. 8 della Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la "CEDU"). Tale diritto
fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la giurisprudenza costante
della Corte, riaffermata inoltre nel preambolo dell'Atto unico europeo e
dall'art. 6, n. 2, UE, sono tutelati nell'ordinamento giuridico
comunitario.
59. Benché la CEDU non garantisca, a favore di uno straniero, alcun
diritto ad entrare o risiedere nel territorio di un paese determinato,
l'esclusione di una persona da un paese in cui vivono i suoi congiunti può
rappresentare un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare
come tutelato dall'art. 8, n. 1, di tale convenzione. Una simile ingerenza
viola la CEDU a meno che essa non corrisponda ai requisiti di cui al n. 2
dello stesso articolo, cioè a meno che essa non sia "prevista dalla
legge", dettata da uno o più scopi legittimi ai sensi della disposizione
citata e "necessaria, in una società democratica", cioè "giustificata da
un bisogno sociale imperativo" e, in particolare, proporzionata al fine
legittimo perseguito (v., in particolare, sentenza 11 luglio 2002,
Carpenter, Racc. pag. I-6279, punto 42).
60. I limiti di ciò che è "necessari[o], in una società democratica",
quando il coniuge ha commesso un'infrazione, sono stati messi in evidenza
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nelle sentenze 2 agosto 2001,
Boultif/Suisse, (Recueil des arrêts et décisions 2001-IX, §§
46-56), e 11 luglio 2002, Amrollahi c. Danemark (non ancora pubblicata
nella Recueil des arrêts et décisions, §§ 33-44).
61. Alla luce dell'insieme delle considerazioni che precedono, occorre
risolvere le questioni sottoposte nel senso che:
- Per poter fruire, in una situazione come quella di cui alla causa
principale, dei diritti previsti dall'art. 10 del regolamento n. 1612/68,
il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino dell'Unione,
deve soggiornare legalmente in uno Stato membro nel momento in cui avviene
il suo trasferimento in un altro Stato membro verso cui il cittadino
dell'Unione emigra o è emigrato.
- L'art. 10 del regolamento n. 1612/68 non è applicabile quando il
cittadino di uno Stato membro e il cittadino di un paese terzo hanno
contratto un matrimonio di comodo, al fine di eludere le disposizioni
relative all'ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi.
- In presenza di un matrimonio autentico tra un cittadino di uno Stato
membro e un cittadino di un paese terzo, la circostanza che i coniugi si
siano stabiliti in un altro Stato membro per godere dei diritti conferiti
dal diritto comunitario al momento del ritorno nello Stato membro di cui
il primo è cittadino non è pertinente ai fini della valutazione della loro
situazione giuridica da parte delle competenti autorità di quest'ultimo
Stato.
- Nel momento in cui un cittadino di un primo Stato membro, coniugato
con un cittadino di un paese terzo con il quale vive in un secondo Stato
membro, ritorna nello Stato membro di cui ha la cittadinanza per ivi
esercitare un'attività lavorativa subordinata, se il suo coniuge non
fruisce dei diritti previsti dall'art. 10 del regolamento n. 1612/68, non
avendo soggiornato legalmente nel territorio di uno Stato membro, le
autorità competenti del primo Stato membro devono tuttavia, per valutare
la domanda di ingresso e di soggiorno del detto coniuge nel territorio di
quest'ultimo Stato, tener conto del diritto al rispetto della vita
familiare ai sensi dell'art. 8 della CEDU, sempreché il matrimonio sia
autentico.
Sulle spese
62. Le spese sostenute dai governi del Regno Unito ed ellenico, nonché
dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non
possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa
principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato
dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE
pronunciandosi sulle questioni sottoposte dall'Immigration Appeal
Tribunal, con ordinanza 3 ottobre 2000, dichiara:
1) Per poter fruire, in una situazione come quella di cui alla causa
principale, dei diritti previsti dall'art. 10 del regolamento (CEE) del
Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei
lavoratori all'interno della Comunità, il cittadino di un paese terzo,
coniugato con un cittadino dell'Unione, deve soggiornare legalmente in uno
Stato membro nel momento in cui avviene il suo trasferimento in un altro
Stato membro verso cui il cittadino dell'Unione emigra o è emigrato.
2) L'art. 10 del regolamento n. 1612/68 non è applicabile quando il
cittadino di uno Stato membro e il cittadino di un paese terzo hanno
contratto un matrimonio di comodo, al fine di eludere le disposizioni
relative all'ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi.
3) In presenza di un matrimonio autentico tra un cittadino di uno Stato
membro e un cittadino di un paese terzo, la circostanza che i coniugi si
siano stabiliti in un altro Stato membro per godere dei diritti conferiti
dal diritto comunitario al momento del ritorno nello Stato membro di cui
il primo è cittadino non è pertinente ai fini della valutazione della loro
situazione giuridica da parte delle competenti autorità di quest'ultimo
Stato.
4) Nel momento in cui un cittadino di un primo Stato membro, coniugato
con un cittadino di un paese terzo con il quale vive in un secondo Stato
membro, ritorna nello Stato membro di cui ha la cittadinanza per ivi
esercitare un'attività lavorativa subordinata, se il suo coniuge non
fruisce dei diritti previsti dall'art. 10 del regolamento n. 1612/68, non
avendo soggiornato legalmente nel territorio di uno Stato membro, le
autorità competenti del primo Stato membro devono tuttavia, per valutare
la domanda di ingresso e di soggiorno del detto coniuge nel territorio di
quest'ultimo Stato, tener conto del diritto al rispetto della vita
familiare ai sensi dell'art. 8 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a
Roma il 4 novembre 1950, sempreché il matrimonio sia autentico.