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Sent: Monday, July 16, 2001 1:53 PM
Subject: Il lavoratore può svolgere hobby durante l'assenza per malattia

 
Queste attività sono compatibili con lo stato di salute perché non usuranti
Il lavoratore può svolgere hobby durante l'assenza per malattia PAGINA PRECEDENTE
(Cassazione 7198/2001)
   
   
Lo svolgimento, durante l'assenza per malattia, di attività "hobbistiche" può essere ritenuto compatibile con lo stato di salute del dipendente, in quanto tali attività non hanno le caratteristiche usuranti della prestazione lavorativa. Questo il principio stabilito dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso di una ditta del Trentino il cui dipendente aveva avuto un incidente mentre conduceva in retromarcia un carrello nel reparto spedizioni, riportando un "colpo di frusta", con prognosi di dieci giorni di riposo ed applicazione di un " collare". L'azienda aveva avviato nei confronti del lavoratore un procedimento disciplinare, contestandogli di avere svolto attività di carattere lavorativo e sportivo mentre era assente per l'infortunio; l'uomo si era difeso sostenendo di essersi limitato a trascorrere alcune ore presso un circolo velico, ma l'azienda lo aveva licenziato. Il Pretore di Rovereto aveva confermato il licenziamento, mentre in secondo grado il Tribunale lo aveva annullato ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro. L'azienda aveva proposto ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha respinto il ricorso rilevando che, come correttamente accertato dal Tribunale, il dipendente aveva svolto attività di natura ricreativa, la quale conformemente alle osservazioni del consulente tecnico di ufficio, proprio per il suo carattere amatoriale, non aveva le caratteristiche usuranti di una prestazione lavorativa e poteva pertanto essere ritenuta compatibile con lo stato di salute del dipendente. (13 luglio 2001)  


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.7198/2001

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F. M., con ricorso al Pretore di Rovereto, Sezione distaccata di Riva del Garda, impugnava il licenziamento per giusta causa dalla società (omissis), che aveva fondato il provvedimento espulsivo sugli addebiti contestati con lettera del 26 lugl9io 1996 e consistenti nella tenuta da parte del lavoratore, nei giorni successivi al 18 luglio 1996, quando era stato da lui dichiarato un infortunio sul lavoro, di comportamenti (prestazione di attività di carattere lavorativo e sportivo nei giorni 20 e 22 luglio 1996) tali da mostrarne la idoneità a rendere la prestazione e contrastanti, in ogni caso, con l’obbligo di non compromettere una pronta guarigione.

Il ricorrente riferiva di aver subito il 18 luglio 1996 un urto violento mentre operava nel reparto spedizioni su un cartello da lui condotto in retromarcia; affermava che il medico del pronto soccorso aveva diagnosticato un colpo di frusta con prognosi di dieci giorni di riposo e con suggerimento di applicare il collare medico; non contestava di aver trascorso, nei giorni di assenza per malattia, alcune ore presso il circolo velico di Molina di Ledro, ma contestava la legittimità della sanzione adottata anche per la sua sproporzione rispetto alla contestazione.

La società (omissis), nel costituirsi, contestava che l’infortunio si fosse realmente verificato e sosteneva che il lavoratore era incorso in grave violazione del dovere di fedeltà per essersi dedicato a diversa attività lavorativa nel corso dell’assenza per malattia, così pregiudicando la sua pronta guarigione, che risultava comunque compromessa dall’inosservanza della prescrizione relativa al collare medico.

Con sentenza n. 86/97 il Pretore rigettava il ricorso accertando, essenzialmente sulla base delle conclusioni del CTU, una grave violazione del dovere di fedeltà perché il lavoratore aveva, oltrechè simulato l’infortunio, altresì ingigantito le conseguenze dell’episodio.

Il M. proponeva appello che il Tribunale di Rovereto, disposta nuova consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva con sentenza in data 10 febbraio 2000.

Il Tribunale, interpretando il contenuto della lettera di contestazione, ha affermato che la stessa faceva riferimento ala sola condotta tenuta dal M. successivamente all’episodio del 18 luglio 1996, condotta che era censurata come incompatibile con la situazione di inidoneità al lavoro nei termini per gli effetti asseriti nel certificato medico del 18/7/1996, mentre la questione della simulazione della malattia, e prima ancora dell’incidente, sulla quale si era fondato il giudizio del Pretore, non aveva formato oggetto di addebito disciplinare, onde la questione stessa non poteva essere valorizzata nel giudizio introdotto dal lavoratore per contestare gli addebiti a lui effettivamente mossi.

Riguardo al che, il giudice del gravame ha osservato (condividendo al riguardo le conclusioni del proprio CTU) che le attività che il M.fu visto svolgere sul lago di Ledro non erano incompatibili con la certificata situazione di inidoneità al lavoro, in quanto i postumi da colpo di frusta non avrebbero certamente consentito al lavoratore di attendere alle mansioni ordinarie, ne erano tali da pregiudicare il pronto ripristino della idoneità al lavoro, trattandosi di attività di carattere hobbistico e temporaneo in tutto compatibili con il tipo di malattia da lui sofferta; a sua volta, il mancato uso del collare (secondo le nozioni correnti della scienza medica riferite dall’ausiliare tecnico) non valeva a ritardare la guarigione.

Sulla base di tali rilievi il giudice a quo ha escluso che sussistesse la dedotta giusta causa di licenziamento.

Ricorre per la cassazione di questa sentenza la società (omissis) con tre motivi ai quali resiste il M. con controricorso.

Le parti ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente precisa la Corte che la memoria difensiva presentata dal resistente per l’udienza del 2 aprile 2001 risulta depositata in cancelleria il 30 marzo 2001, oltre il termine concesso dall’art. 378 c.p.c..

Con il primo motivo la società ricorrente denuncia: violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 [1] e vizio di motivazione omessa, insufficiente o comunque illogica (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) censurando la sentenza impugnata aver ritenuto che non fosse stato contestato al M. il simulato infortunio nella lettera di contestazione del 26/7/1996; violazione dell’art. 112 c.p.c. (difformità tra chiesto e pronunciato) per aver adottato una pronuncia esorbitante la causa petendi su un punto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.); in ogni caso ove rilevi error in procedendo.

Sostiene che l’osservazione del Tribunale, secondo cui la sentenza di primo grado aveva affrontato questioni estranee all’oggetto della domanda introduttiva e alla materia del contendere, per aver preso in esame la questione della simulazione dell'infortunio, è il risultato di una errata e incompleta lettura della lettera di contestazione disciplinare, ove chiaramente si addebitava al lavoratore la natura simulata dell’infortunio ovvero la volontarietà dello stesso.

Inoltre, affermando che la simulazione dell’infortunio non aveva costituito oggetto di contestazione, come prescritto dal’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, il giudice del gravame si sarebbe occupato di una questione di cui non era stato investito, perché il Maroni mai ebbe a dolersi nel giudizio di secondo grado della violazione della norma suddetta, chiedendo, come poteva, che venisse accertata e dichiarata la nullità del licenziamento per difetto formale della preventiva e specifica contestazione degli addebiti.

Il motivo non è fondato.

Deve anzitutto escludersi che la sentenza impugnata sia incorsa in violazione dell 'art. 7 della legge 20 maggio 1970 n.300, posto che il caso sottoposto a giudizio non è stato dal Tribunale esaminato e valutato con riferimento alla complessa regolazione dell'art.7 dello Statuto dei lavoratori, bensì sotto il diverso profilo della verifica della sussistenza o meno di una giusta causa idonea a dare fondamento al licenziamento impugnato.

Sotto tale profilo, correttamente il giudice a quo ha proceduto a verificare la fondatezza degli addebiti oggetto di contestazione,

rilevando in proposito, sulla base della interpretazione della lettera del 26 luglio 1996 e degli scritti difensivi sui quali si era costituito il contraddittorio tra le opposte parti, che essi consistevano nella asserita insussistenza della situazione di inidoneità al lavoro nei termini e per gli effetti di cui al certificato medico del 18.7.1996 e, in ogni caso, in un comportamento del lavoratore, nei giorni successivi, che contrastava con la possibilità di ripristinarne prontamente la idoneità al lavoro, in quanto applicato ad iniziative suscettibili di comprometterne la rapida guarigione; laddove il preambolo della lettera di contestazione, nel quale la società datrice di lavoro evidenziava, rispetto al denunciato infortunio, 1a indisponibilità di oggettivi elementi di riscontro

in sede aziendale è stato dal Tribunale ritenuto una premessa non ancora espressiva di dirette contestazioni ma solo preparatoria dei ricordati addebiti, di seguito formulato.

La riferita interpretazione non è censurabile in questa sede, essendo giustificata con argomenti che appaiono in tutto persuasivi, in quanto regola propria del sistema è quella secondo la quale possono dirsi contestati solo i fatti e i comportamenti che esplicitamente e dichiaratamente sono posti a fondamento del provvedimento espulsivo; per altro verso, nessun rilievo è stato svolto dalla società ricorrente in ordine alla violazione, da parte del giudice del merito, delle regole legali di ermeneutica fissate negli art. 1362 e segg. cod.civ. e applicabili, secondo univoca giurisprudenza di questa Corte, anche alla interpretazione degli atti negoziali unilaterali, come pure alla interpretazione della domanda giudiziale e degli scritti difensivi in genere.

Senza dire che la sentenza del Tribunale (pag.11), pur definendola non oggetto di specifico addebito, prende comunque in esame la ipotesi della simulazione dell'incidente, osservando al riguardo, senza che il relativo accertamento abbia costituito oggetto di adeguata censura, che l'affermazione del Pretore, per il quale dalla dinamica del sinistro e dal successivo contegno del Maroni risultava con chiarezza come l'infortunio avesse causato conseguenze molto minori di quelle riportate dal certificato medico del pronto soccorso, era stata smentita dai rilievi e dalle conclusioni del consulente tecnico di ufficio di secondo grado, che aveva ritenuto verosimile la produzione di un lieve colpo di frusta quale esito dell'evento traumatico subito dal lavoratore e conformi a consuetudine le prescrizioni e la prognosi di dieci giorni stabilite dal medico del pronto soccorso.

Neppure sussiste, nella decisione impugnata, il denunziato vizio di ultrapetizione.

La sussistenza di tale vizio è costruita sul presupposto; totalmente infondato alla luce del testo e del senso della motivazione e del dispositivo della sentenza impugnata, che la stessa abbia ritenuto causa petendi del ricorso di primo grado e di appello la legittimità sotto il profilo formale del licenziamento per violazione di una delle elementari guarentigie … (dell') art. 7 dello Statuto … (per difetto di)… preventiva contestazione degli addebiti… (ricorso pagg. 12,13 e 14).

Una simile tesi non è mai stata espressa dal giudice del gravame, che, come già detto, si è invece soffermato, nell'esercizio del suo potere- dovere di controllo della obiettiva giustificazione del potere di licenziamento, sulla verifica della sussistenza o meno delle ragioni che informavano il recesso in concreto intimato e sulla loro congruità, tanto da adottare la conclusiva declaratoria di nullità del provvedimento espulsivo (con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie di cui all'art.18 della legge n.300n.70) sulla base della rilevata assenza di giusta causa (sent. pag.12), non già per la violazione delle regole procedimentali di cui all'art.7 della stessa legge.

Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia (testualmente)'violazione dell'art. 437 c.p.c. in ordine all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c (inammissibilità della CTU perchè tardiva ed impossibilità del giudice di disporre di ufficio prove da cui il ricorrente è previamente decaduto) ed in punto alla violazione degli obblighi di buona fede e correttezza da parte del ricorrente 2104 cc. e 2105 cc. e circa la

compatibilità dell'infortunio subito (se subito) con l'attività svolta; violazione dell'art.2697 cod.civ. laddove non dà conto che la prova dell'attività svolta presso il Circolo velico fosse avvenuta nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza nel rapporto di lavoro; motivazione insufficiente.

Con riferimento alla valutazione dei comportamenti del lavoratore successivi al giorno dell'asserito infortunio, assume che il Tribunale ha inammissibilmente disposto consulenza di ufficio medico legale, nonostante il M. avesse tardivamente formulato la relativa richiesta nel ricorso in appello; ha recepito acriticamente, e senza considerare la consulenza tecnica di parte (prof. G., le conclusioni del CTU; ha errato nel ritenere gravante sul datore di lavoro l'onere di provare che l'attività extra lavorativa non avesse natura semplicemente temporanea.

In particolare, sottolinea che il CTU non solo ha effettuato le proprie osservazioni partendo da un presupposto erroneo, ossia dalle dichiarazioni rilasciategli dal M. in ordine a una sintomatologia non riferita al medico del pronto soccorso (quando fu visitato il giorno stesso dell'asserito infortunio) e priva di qualunque riscontro nella documentazione medica in atti, ma ha escluso di poter affermare con certezza sia che il M. avesse subito il colpo di frusta, sia che, a causa della denunciata invalidità, fosse inidoneo alle ordinarie prestazioni lavorative, sia, infine, che la invalidità fosse stata procurata da un urto involontario.

Da ciò il Tribunale avrebbe dovuto dedurre il mancato assolvimento da parte del lavoratore dell’onere di dimostrare la incompatibilità del suo stato fisico con la prestazione lavorativa, dal momento che il datore di lavoro aveva provato (con documentazione fotografica e con testimoni) lo svolgimento, durante il periodo di infortunio, di attività lavorative manuali che, tutte coinvolgevano i muscoli del collo, dimostravano di per se, che se pure il (presunto) colpo di frusta involontario vi era stato, il danno era di tale lievità da consentire al lavoratore la continuazione del proprio impiego lavorativo.

Sostiene ancora la ricorrente, specificamente denunciando vizio di motivazione insufficiente (ex art. 360 n. 5 c.p.c.) in punto di violazione degli obblighi di correttezza e buona fede e di diligenza da parte del M., che, pacifica essendo la presunzione di inidoneità generica al lavoro del dipendente assente per malattia, era onere di costui (e non come erroneamente sostenuto dal Tribunale, del datore di lavoro)dare la prova che il comportamento da esso osservato durante il prescritto periodo di riposo, cioè la prestazione di attività presso il Circolo velico, era compatibile con gli esiti dell’infortunio e conforme ai doveri di correttezza e di diligenza (persistenti anche durante il periodo di malattia), i quali impongono al lavoratore di osservare la necessaria cautela per recuperare il più rapidamente possibile la piena idoneità al lavoro.

Il Tribunale, inoltre, avrebbe totalmente ignorato la pur decisiva circostanza che lo svolgimento da parte del M. delle più diverse attività nel periodo di malattia era indicativo della sussistenza di una sua residua capacità lavorativa e che tanto gli imponeva, sempre in osservanza dei ricordati doveri, di offrirla al datore di lavoro sia pure sotto forma di prestazione parziale.

Anche questo motivo è da rigettare.

Osserva in primo luogo la Corte che la consulenza tecnica di ufficio non costituisce un mezzo di prova ma utilizzo di saperi specialistici per operare valutazioni che richiedano l’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche; essa, pertanto, è liberamente disposta dal giudice in ogni grado del giudizio di merito e sfugge, nel rito del lavoro alla regola contenuta nell’art. 437 c.p.c. (del quale quindi non è ravvisabile la denunciata violazione) sulla possibilità di disporre nuovi mezzi di prova in grado di appello solamente quando questi siano indispensabili (per tutte, Cass. 15 settembre 1997 n. 9175).

Altra regola propria della speciale disciplina dei licenziamenti individuali è quale posta dall’art. 5 della L. 15 luglio 1996 n. 604, che impone al datore di lavoro l’onere della prova dei fatti costitutivi della giusta causa (o del giustificato motivo) dell’irrogato licenziamento; sicchè, nel caso concreto, incombeva sulla società ricorrente l’onere di provare la insussistenza della instabilità al lavoro, quest’ultima(pacificamente) risultante dalla certificazione medica, nonché quello di provare lo svolgimento da parte del lavoratore in malattia, di attività di natura tale da ritardare il recupero della idoneità al lavoro e il suo .stesso rientro in azienda.

Nel caso specifico, si trattava di un onere alternativo, considerata la prova della insussistenza della inabilità assorbente rispetto alla prova dello svolgimento di attività incompatibili con una inabilità presupposta come sussistente.

Tanto precisato, deve rilevarsi come il Tribunale, con accertamento fondato sulle risultanze processuali adeguatamente motivato, ha escluso che fosse stato dimostrato lo svolgimento, da parte del M. di prestazioni di carattere lavorativo, rilevando come, viceversa, sussiste in atti la prova che l’attività svolta dal M. presso il Circolo velico aveva le caratteristiche di un’attività ricreativa che il lavoratore era solito effettuare quale socio del circolo stesso.

In adesione, quindi, a considerazioni di medicina del lavoro svolte dal CTU, ha ritenuto che tale attività, proprio per il suo carattere amatoriale, non aveva le caratteristiche pressanti e usuranti di una prestazione lavorativa, legata ai vincoli di orario e di subalternità gerarchica, e ha così coerentemente escluso che la segnalata presenza del lavoratore sul lago potesse determinare un ritardo nel rientro in azienda.

Anzi, proprio il ritorno al lavoro al termine previsto nella prognosi di inabilità seguita all’infortunio è stato ritenuto circostanza ulteriormente dimostrativa della mancanza di qualsiasi incompatibilità tra inabilità, recupero dell’abilità e presenza del Circolo nautico.

La tesi della società ricorrente, secondo la quale (viceversa) sarebbe stato da essa provato lo svolgimento di attività lavorativa manuale durante il periodo di infortunio non è adeguatamente suffragata, posto che il del tutto generico riferimento alla prodotta documentazione, oltre che alla testimonianza degli investigatori privati, senza alcuna indicazione del contenuto di tali risultanze probatorie, non consente alla Corte il controllo della decisività dei fatti da provare (e quindi delle stesse prove di cui si lamenta la mancata valutazione); controllo che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere posto in grado di compiere sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative direttamente eseguite sul materiale istruttorio(tra tante, Cass. 13 maggio 1999 n. 4754, 2 aprile 1999 n. 3183, 1 febbraio 1995 n. 1161).

Del pari, quanto alla censura di mancato esame delle osservazioni svolte nella consulenza tecnica di parte, come documento non considerato dal giudice a quo non è suficiente ad integrare un vizio di motivazione della sentenza impugnata rilevante ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., in quanto la contestazione dell’esattezza delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio mediante la pura e semplice contrapposizione delle diverse valutazioni espresse dal consulente di parte non serve, di per se, ad evidenziare alcun errore delle prime (con conseguente erroneità e/o in adeguatezza della motivazione della sentenza che ad esse si sia limitata a riferirsi) ma solo la diveristà dei giudizi formulati dagli esperti (vedi Cass. 3 agosto 1999 n. 8383, 14 maggio n. 4848, 26 novembre 1997 n. 11857, 2 ottobre 1995 n. 10344, 12 agosto 1994 n. 7392).

Identici rilievi devono svolgersi relativamente alle censure che la società ricorrente rivolge alla sentenza impugnata per aver prestato acritica adesione alle conclusioni del nominato consulente di ufficio, posto che un vizio di omessa o insufficiente motivazione validamente denunciabile in cassazione è ravvisabile solamente in caso di palese devianza di tali conclusioni dalle notizie correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre, al di fuori di tale ambito, la censura di difetto di motivazione costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale e perciò si traduce in una inammissibile critica del convincimento del giudice (Cass. 21 gennaio 1998 n. 530).

E tanto è riscontrabile nella accumulazione di prospettazioni in fatto operata dalla ricorrente che, in realtà, non muove esplicite e specifiche censure alla motivazione, ma con la semplice esposizione di testi contrastanti con il convincimento espresso dal giudice del gravame ritiene di costruire motivi di censura adeguati.

Resta da aggiungere, con riferimento alla deduzione relativa al mancato rispetto dei doveri di buona fede, correttezza e diligenza per non avere il M.offerto la propria residua capacità lavorativa al datore di lavoro, che i principio enunciato da questa Corte (vedi Cass. 29 luglio 1998 n. 7467 e S.U. 7 agosto 1998 n. 7755), alla stregua del quale, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il dipendente in malattia che intenda svolgere durante il relativo periodo mansioni diverse da quelle proprie del rapporto di lavoro e tali da non essere pregiudizievoli al fine di un più rapido recupero della piena idoneità fisica, è tenuto previamente ad offrire al datore di lavoro la prestazione parziale cui è rimasto idoneo, trova applicazione nell’ipotesi di svolgimento di attività lavorativa presso terzi in costanza di periodo di malattia, onde non può essere validamente richiamato in una situazione, come quella di specie, nella quale è .rimasto accertato, in contrario, che, durante la sua (giustificata) assenza dal lavoro il M. non ebbe a prestare attività di carattere lavorativo ma solo una qualche attività di carattere amatoriale.

Con il terzo motivo, deducendo vizio di omessa motivazione in punto di acquiescenza prestata alla sentenza di primo grado, la società ricorrente sostiene che il Tribunale ha mancato di esaminare il motivo di inammissibilità (o di doveroso rigetto) dell’appello, da intendersi in questa sede interamente ritrascritto, relativo alla intervenuta acquiescenza alla sentenza di primo grado.

Per rilevare l’infondatezza di quest’ultima censura è sufficiente richiamare ancora una volta il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il quale esclude che una doglianza asseritamente proposta nel precedente giudizio possa essere richiamata con una formula di mero rinvio come quella utilizzata dalla società ricorrente, richiedendosi, in contrario, la indicazione specifica dello scritto difensivo nel quale la stessa è stata dedotta, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità dell’asserzione prima di esaminare la fondatezza (vedi Cass. 5 ottobre 1998 n. 9861).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Ravvisa la Corte la sussistenza di giusti motivi (art. 92, comma 2, c.p.c.) per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese.

Roma, 2 aprile 2001.

Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2001.